I ricordi di giovinetto in Barriera hanno i colori del sole estivo. I compiti scolastici estivi erano una formalità che avremmo sbrigato a settembre, noi fortunati che iniziavamo le scuole il 1 ottobre. Che poi con qualche aggiustamento del calendario si arrivava anche dopo. Nonostante l’inquinamento i colori rimanevano sgargianti.Giocare con gli amici non era un problema. Bastava scendere in strada. Ma la parte del leone la faceva l’oratorio. Nelle vacanze estive anche di mattino era aperto. Chiusura alle 12 30. A casa per mangiare e poi di corsa giù in strada, quattro piani senza ascensore ma la fatica non si sentiva mai. Poi ci siamo “emancipati” e tre giorni alla settimana andavamo in piscina. Piscina Sempione, dove per cambiarti ti davano un braccialetto con il numero della rotatoria. Ti spogliavi in cabina e via in acqua fino a sera quando la sirena suonava l’uscita. Ed il sole si “mischiava” alla assoluta libertà. Non dico amori… ma i primi sguardi a quella ragazzina sorridente e timida che per tutta l’estate non hai avuto il coraggio neanche di salutarla. Tranne all’ultimo giorno, dove al “ciaooo” ci si riprometteva di rivederci a settembre. Cosa che non si verificava mai. Ma allora il tempo era altra cosa. Libertà e sole ci aiutavano nel vivere una Barriera di Milano che era tutta nostra. Poche le auto. Le nostre madri in casa erano fieramente casalinghe. Ed i nostri padri lavoravano alla Feroce (la Fiat). Io ero tra i più fortunati . Mio padre faceva il centrale e qualche volta ci si scambiava parsimoniose parole a cena. Qualche volta si parlava, ma non esageriamo. Siamo figli di un tempo dove il padre era
padre e il figlio il figlio. Si cenava presto e poi di nuovo giù per strada per le ultime ore di luce. Giochi imposti biglie e ligia. Colpire con una pietra piatta altre pietre vincendo biglie di plastica con l’effige dei corridori da portarsi al mare per le piste di sabbia. Proprio così, ci si divertiva con poco. Che poi i soldi erano pochi. Ed io ero fortunato o abile perché mettevo da parte il ” bottino” per l’ estate al mare o in montagna. Io fortunato nel gioco e fortunato di essere nato in Barriera dove anche il sole e la libertà erano un’altra cosa. Proprio oggi il rientro da alcuni giorni di relax. Mi sono fermato in Barriera per fare due passi a piedi. E per l’ ennesima volta non l’ho riconosciuta. Non ho voluto riconoscerla. Dalla pulizia delle strade alla convivenza tra le persone, la situazione peggiora sempre di più. Una decina di persone in uno spiazzo di corso Palermo dietro l’ oratorio della Pace. Integrazione riuscita intorno a molte bottiglie di birra e vino.Tutti ubriachi e sono solo le le tre del
pomeriggio. Lontano il ricordo di spensieratezza e il sole accecante di 50 anni fa. Ma al peggio non c’è limite. Telegiornale del Piemonte, notizia dell’accoltellamento perché due uomini hanno litigato per i loro cani. Via Baltea, proprio lì davanti la sede della mitica 35, sezione del PCI. Dove alle elezioni il popolo faceva la coda per chiedere chi votare. Sorridente diceva: “di voi comunisti mi fido”. I padri erano braccianti pugliesi che scappavano dai caporali e dalla assurda fatica dei campi nel Tavoliere. Oggi il ferito lotta tra la vita e la morte. L’accoltellatore è in prigione. Posso solo chiudere gli occhi sperando di vivere un lirico incubo. Ma so che non è cosi. E mi rifugio nel mio ricordo di libertà e di sole. Per me Barriera è rimasta ferma a 50 anni fa.
L’agricoltura piemontese guarda al futuro
Giungere ad una sempre migliore qualificazione delle produzioni in un’ottica di filiera integrata che muova dal campo passi alle operazioni di trattamento aziendale dei prodotti e si concluda con la loro valorizzazione e commercializzazione
È questo uno dei principali obiettivi annunciati dall’assessore regionale all’Agricoltura Giorgio Ferrero, presentando in terza Commissione il Documento di economia e finanza regionale (Defr) 2019-2021 per la materia di competenza. “Bisogna migliorare la competitività dei produttori primari integrandoli meglio nella filiera agro-alimentare attraverso i regimi di qualità, la creazione di un valore aggiunto per i prodotti agricoli e la loro promozione nei mercati locali e nelle filiere corte. Serve una più efficace penetrazione nei mercati anche attraverso l’organizzazione sistemica delle imprese orientate ad obiettivi condivisi”, ha spiegato Ferrero.Tra le principali strategie, il Defr individua la garanzia della corretta concorrenza di mercato tramite i controlli sui prodotti di qualità (Dop, Igp, Igt, Sqn, biologico) e lo sviluppo di forme di valorizzazione e di promozione strutturate per differenti livelli comunicativi (il brand Piemonte, i marchi Dop e Igp, il sistema di qualità regionale, i Pat e i prodotti di nicchia) e per le diverse tipologie di target di consumatore e di mercato (locale, interno nazionale, interno europeo e paesi terzi), con particolare attenzione all’internazionalizzazione delle produzioni agroalimentari piemontesi di qualità. Tutto ciò attraverso la garanzia della sicurezza alimentare: dal rispetto delle norme di produzione attraverso analisi chimiche dei vini ai controlli sui residui di prodotti fitosanitari e all’etichettatura e alla tracciabilità dei prodotti zootecnici.Con il supporto dei Fondi europei, l’agricoltura piemontese guarda anche a facilitare l’insediamento e la formazione dei giovani e all’ammodernamento delle strutture aziendali.“Il documento prevede di indirizzare le richieste di intervento in un’ottica di co-finaziamento pubblico-privato con incentivazione al ricorso al credito”, ha aggiunto Ferrero.Altro tema al centro del Defr è il valore dell’acqua, il controllo della sua qualità e la corretta gestione delle risorse idriche.Per l’approfondimento delle conoscenze sulle superfici irrigate dai consorzi è prevista infine la realizzazione dei catasti informatizzati.
MB – www.cr.piemonte.it
Io e l’Olivetti
PRIMA PARTE / Ermanno Castellaro, classe 1946. Nato a Ivrea, ha sempre vissuto nella “città dalle rosse torri” ed è un eporediese doc. Per diversi decenni è stato un dirigente alla Olivetti di Ivrea, scalando nel corso della sua vita i vari livelli dell’azienda fondata nel 1908 da Camillo Olivetti e resa grande dall’intuito e dalla capacità del figlio Adriano per il quale l’Olivetti non era solo una fabbrica “ma un modello, uno stile di vita”. Il racconto della sua esperienza lavorativa, riassunto in quest’intervista non è solo una narrazione autobiografica di una persona che ha conosciuto quest’azienda lavorandoci per una vita intera, ma rappresenta un documento importante per conoscere e riflettere una volta di più sulla straordinaria storia di un modello aziendale che rappresentò “la grande utopia che nessuno ebbe mai il coraggio e la fantasia di imitare”.
Come è iniziato il rapporto con l’Olivetti?
“Quando finisci l’esame di maturità tecnica alle ore 11 di un mercoledì di luglio e alle 12 ti viene recapitata una lettera da un fattorino della Olivetti contenente una convocazione ad un colloquio di selezione per il venerdì successivo, dire che resti basito è dire poco. Tralascio le considerazioni e le incertezze che scattarono in un giovane di 19 anni: l’assunzione, quasi sicura perchè eravamo i primi periti usciti dall’Istituto Tecnico di Ivrea, voluto fortemente da Olivetti, che andava a precludere la possibilità di continuare gli studi (corso di laurea in matematica) o rinunciare ad una autonomia economica e fornire un piccolo contributo alla famiglia che doveva fare i conti con una sola retribuzione. La capacità decisionale, la testardaggine e forse l’incoscienza sono sempre state le mie armi nel bene e nel male e così decisi di accettare l’ assunzione che avvenne nel mese di settembre del 1965”.
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Che mansioni le furono assegnate?
“Mi occupai di disegno tecnico per circa un anno (ero un elettrotecnico e di quel che avrei dovuto fare non capivo nulla). Venni spostato allo stabilimento Telescriventi, ma anche quì per circa un altro anno furono solo delusioni (fossi andato all’Università!).Un giorno venni chiamato dal Direttore di stabilimento, che aveva capito il mio disagio, il quale mi offrì la responsabilità di un piccolo centro avviamento della nuova telescrivente con il coordinamento di quattro-cinque persone : questa attività segnò la mia fortuna. Visti i buoni risultati, quando il prodotto andò in produzione, diventai il capo reparto del controllo con circa 90 dipendenti (non avevo ancora 23 anni). Nel 1973, avendo vinto un concorso interno, potei frequentare un corso di “Promozione Quadri Tecnici” (quelli che chiamavano i superperiti) della durata di 15 mesi a tempo pieno : grandissima esperienza. A febbraio 1975 venni inserito nella funzione del Personale (termine oggi obsoleto, sostituito dall’ anglosassone HR) e ci rimasi, con responsabilità crescenti, sino al giorno di andare in pensione : erano passati in un baleno quasi 37 anni: quante soddisfazioni !”.
Quali sono stati gli “anni d’oro” dell’azienda di Ivrea?
“Credo che l’Olivetti , dal 1955 al 1965, abbia vissuto il suo periodo migliore: questo è il decennio, fatto di due lustri molto precisi, l’ultimo di Adriano e il primo del post Adriano. Nei racconti e nelle reminescenze personali questo è il periodo delle assunzioni massicce di operai, di giovani tecnici delle scuole professionali e degli istituti tecnici, di laureati, non sempre in linea con le esigenze organizzative, talvolta ridondanti, ma questa era la filosofia di Adriano :”se ci capita un giovane che vale lo assumiamo. Un lavoro glielo troveremo“. Oggi la potremmo chiamare la ridondanza organizzativa, ma state tranquilli, esiste solo più in qualche ente pubblico”.
In quel periodo – che in parte coincise con gli anni del boom economico italiano – l’ Olivetti era una delle aziende leader nel settore dell’alta tecnologia, all’avanguardia nella progettazione e realizzazione di macchine per scrivere..
“Quelli erano gli anni della meccanica che dava margini molto alti, anni in cui non ci si preoccupava più di tanto dei costi, ma solo del fatturato e si guardava alle acquisizioni con una certa leggerezza come nel caso della Underwood, società americana con una grande tradizione nel settore delle macchine per scrivere. A proposito di Underwood mi colpì una frase di Renzo Zorzi nel discorso che tenne il 4 ottobre 2001 per ricordare i 100 anni dalla nascita di Adriano : “quando incontrai Adriano a Milano, di ritorno da New York, stanco, rattristato….e gli dissi che tutti i giornali parlavano di questo grande evento, lui mi rispose : caro Zorzi, se invece di far parte del gruppo degli avvocati e dei contabili fossi andato con gli ingegneri ad Hartford, io quella azienda non l’ avrei mai comprata. E’ una fabbrica vecchia, con macchinari obsoleti e maestranze anziane...”.
A parte queste considerazioni, non si può negare che l’Olivetti fu una scuola di vita: il rispetto per le persone, la cultura in generale e quella del design in particolare, il culto del bello, i servizi sociali (mense, colonie, infermerie, asili) furono per tanti anni i valori che differenziarono questa azienda da tutte le altre anche nel dopo Adriano, ma non dimentichiamo che fu un grande centro produttivo e di sviluppo tecnologico d’avanguardia, quindi non fu un ente di beneficenza come tanti la descrivono oggi dimenticando la “fabbrica” perché, anche se Adriano era stato un imprenditore illuminato, era comunque stato un imprenditore nel vero senso della parola, attento alle nuove tecnologie, al design, ai mercati, alla qualità dei prodotti, alle risorse umane e soprattutto alla creazione del profitto, senza il quale le aziende non si sviluppano e muoiono”.
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Vennero gli anni ’60. Improvvisamente, durante un viaggio da Milano a Losanna, muore Adriano Olivetti. Era il 27 febbraio 1960. Lasciava in eredità un’azienda presente su tutti i maggiori mercati internazionali, con circa 36.000 dipendenti, di cui oltre la metà all’estero…
“Sì, lasciò anche un’impronta indelebile, un segno inconfondibile nella storia dell’azienda, del Canavese e in tutta l’industria italiana. Dagli anni ’60 l’azienda si arricchì di prodotti per ufficio, ma i cambi di tecnologia e le poche risorse lasciate da Adriano provocarono una crisi finanziaria che dovette essere gestita, nel 1964, da un “Gruppo di intervento” costituito da Fiat, Pirelli, Mediobanca, IMI con Bruno Visentini Presidente e Aurelio Peccei Amministratore Delegato. Ricordiamoci che nel 1965 l’Olivetti presentò il primo calcolatore da tavolo P101 e che solo tre anni dopo la Divisione Elettronica venne ceduta alla General Electric (grande occasione persa – dov’era il Governo? – quello francese nel frattempo lanciava importanti piani a favore delle aziende a sviluppo meccanico ed elettronico). Con riferimento al periodo che va sino ai primi anni sessanta si può affermare, senza tema di smentita, che Olivetti fu una grande scuola,insegnò come si dovrebbe vivere non solo in un’azienda, ma anche al di fuori, come ci si identifica nel luogo di lavoro, come si fa cultura e come si trasmette il “bello” non solo attraverso le mostre e gli incontri con gli artisti, ma anche attraverso le linee dei prodotti. Insegnò il rispetto della persona. Qualcuno ha sostenuto che non seppe trasmettere le metodologie, ma non sono d’accordo, perché le cose di cui sopra erano dentro ad ogni lavoratore che le elaborava a modo suo e con quel grande senso di appartenenza alla fabbrica che aveva il piacere di chiamare “ditta”. Va sottolineata anche la funzione del Personale. In quegli anni svolse un ruolo centrale, collaborò con il Centro di Psicologia, studiò l’integrazione dei lavoratori agricoli nel mondo industriale, si occupò molto di cultura, pensò al recupero dei lavoratori con handicap (Centro R), fu un riferimento per i problemi familiari, soprattutto sul piano economico e, cosa importantissima fu sempre attenta ai livelli occupazionali: in Olivetti non si licenziava”.
Sul finire degli anni ’60, iniziarono gli anni del grande cambiamento..
“ Il periodo che data dal 1965 al 1978 fu quello in cui si verificarono, in ambito aziendale, ma soprattutto nel mondo una serie di eventi e di mutamenti di portata immensa che provocarono, all’interno delle imprese, delle trasformazioni radicali nei rapporti tra dipendenti e impresa e impresa e sindacato. Dai movimenti ideologici del ’68 parte il cambiamento radicale delle relazioni con il personale e il sindacato, perché mutano le filosofie economiche, politiche e sociali in tutta Europa: c’é una gran voglia di cambiare il mondo e con una velocità senza precedenti. Tutto un sistema viene preso in contropiede, ma a farne le spese non sono tanto le aziende sul piano economico quanto il livello dirigenziale travolto da questo improvviso cambiamento. In questo scenario la funzione del Personale é a rischio, non é più garante dei capi di line, delle regole, delle norme; continua a predicare teorie di gestione che più nessuno accetta (per partito preso), crollano i rapporti con il sindacato che ha comunque perso il controllo di una parte della massa operaia: qualunque atteggiamento assuma é perdente. L’Olivetti si salva essenzialmente per due motivi: uno perché é fatta prevalentemente di lavoratori canavesani che non si portano sulle spalle i problemi dei loro colleghi che vivono nelle metropoli o nelle periferie e che hanno dovuto, la maggior parte, abbandonare il Mezzogiorno; due perché comunque in Olivetti esiste ancora un attaccamento alla bandiera: ancora una volta la cultura olivettiana emerge, i lavoratori non dimenticano, fanno tanto baccano, ma, per fortuna poco danno”.
In quegli anni che responsabilità aveva e che ricordi le sono rimasti?
“Ho vissuto quegli anni negli stabilimenti con responsabilità di capo reparto, sono stato trascinato da quei cortei di centinaia di persone che contestavano tutto, danneggiavano a volte le attrezzature, “defenestravano” i capi ribelli, ma fortunatamente non accadde mai nulla di grave: forse non sapevano neppure loro cosa stessero cercando veramente ! I responsabili del Personale tennero sempre un atteggiamento di buon senso cercando il dialogo con gli operai e il sindacato e senza mai usare metodi repressivi. Vennero accusati da altri imprenditori di essere dei deboli e troppo dalla parte delle masse operaie, ma in Olivetti non si videro mai persone gambizzate, bulloni lanciati contro i capi, automobili bruciate. Ancora una volta la “cultura Olivetti” aveva vinto. Passata la fase calda in cui si incrociarono e a volte si scontrarono le logiche del cambiamento della società con quelle dello sviluppo tecnologico, tutto sembrò tornare lentamente nella normalità tentando di realizzare un cambiamento globale, ma con la giusta gradualità”.
Ci fu un’ evoluzione anche nei rapporti…
“Certamente. La funzione del Personale dovette abbandonare i vecchi schemi cercando un giusto equilibrio tra fabbrica e società. Dall’altra parte un sindacato pieno di contraddizioni, imbottito di ideologie che lo stavano logorando e che troppo tardi capì che la perdita di efficienza e di efficacia si stava trasformando in perdita di competitività e di mercato, compromettendo l’intero tessuto economico italiano. Sono anche gli anni in cui gli ammortizzatori sociali diventano eccessivamente generosi, i lavoratori sono super garantiti, gli assenteismi sono alle stelle (8-12% gli uomini e 14-16% con punte di 20% le donne), il costo del lavoro é tra i più alti in Europa. In questo periodo così
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travagliato, con i conti che continuano a preoccupare, c’é comunque la forza di guardare alla tecnologia e alle problematiche del lavoro: si sviluppano nuove metodologie quali le isole di montaggio, le UTI e le UMI (unità integrate) dove il lavoratore è responsabile di una parte importante del prodotto e lavora in autocontrollo. In queste unità integrate vengono svolte da un unico operaio quelle mansioni che prima erano responsabilità di più persone: era un notevole passo verso il job enrichment che andava a seppellire il job rotation. A seguito di queste innovazioni sul metodo di produrre, anche gli uomini della struttura del Personale dovettero avvicinarsi al prodotto e al modo di realizzarlo entrando sempre più nel vivo nell’organizzazione, nelle metodologie e nei processi, sensibilizzandosi sui temi della qualità, dell’efficienza e dei costi. Purtroppo le cose non andavano molto bene, i prodotti non si rivolgevano al futuro, si continuava ad insistere sulle calcolatrici e sui prodotti elettromeccanici, l’azienda era un insieme di produzioni meccaniche ed elettromeccaniche e non si capiva bene quali settori guadassero e quali perdessero. Si sperava che lo Stato potesse occuparsi in modo serio di Olivetti”.
Marco Travaglini
(prima parte – segue)
:
Le foto delle architetture olivettiane di Ivrea sono di Paolo Siccardi, giornalista e photoreporter free-lance, cofondatore del collettivo fotografico Walkabout-Ph
Sabato 25 agosto, al Colle del Sestriere, verrà celebrato il 74° anniversario della battaglia del Sestriere. Una ricorrenza speciale che coinciderà con il 26° anniversario del Monumento alla Resistenza che ricorda il sacrificio dei 210 caduti della Divisione Alpina Autonoma “Serafino”, delle brigate partigiane “Garibaldi” e “Giustizia e Libertà”, dei civili che persero la vita sulle balze delle Valli Chisone, Germanasca, Sangone e in alta Val di Susa nei venti mesi della guerra di Liberazione. La manifestazione, promossa dall’Anpi e dal Comune di Sestriere, si svolge con il patrocinio del Consiglio regionale del Piemonte e del Comitato Resistenza e Costituzione. Alle 10,45, dopo i saluti dell’Anpi e del Sindaco di Sestriere e Presidente del Comitato Promotore Valter Marin, il Presidente del Consiglio Regionale del Piemonte, Nino Boeti terrà l’orazione ufficiale.
(Nella foto del Comune di Sestriere una passata commemorazione)
Ecco i dati di Goletta dei Laghi: 2,5 rifiuti ogni metro quadrato di spiaggia, il 75% è plastica
RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO – Il problema del marine litter, e in particolare l’invasione della plastica, non riguarda soltanto i mari e gli oceani, ma anche fiumi e laghi. E se per altri paesi gli studi su questi ambienti erano già stati condotti, per l’Italia la prima volta è stata quella della Goletta dei Laghi che tre anni fa, assieme ad Enea ha allargato il proprio fronte di indagine anche alle microplastiche, ossia le particelle di plastica con dimensione inferiore ai 5 millimetri, nelle acque interne. Quest’anno, sono state aggiunte ricerche sui rifiuti di grandi dimensioni presenti nell’ambiente di spiaggia e, come sul mare, il problema è presente anche sulle sponde lacustri. Lo dimostra la prima indagine svolta da Legambiente, su protocollo Enea, che ha monitorato 20 arenili ubicati nei laghi Iseo, Maggiore, Como, Garda e Trasimeno dove sono stati trovati una media di 2,5 rifiuti ogni metro quadrato di spiaggia, per un totale di 2183 rifiuti censiti. Anche in questo caso plastica si conferma la regina indiscussa tra i materiali più trovati, con un percentuale del 75,5%. Rifiuti che possono frammentarsi così in milioni di particelle e provocare danni alla biodiversità: e, come dimostrano i dati già raccolti da Legambiente ed Enea, la cui indagine è proseguita anche quest’anno, i laghi non sono esenti dal problema delle microplastiche, un inquinamento di difficile quantificazione e impossibile da rimuovere totalmente.
La fotografia è stata scattata in occasione della chiusura dalla tredicesima edizione di Goletta dei Laghi, la campagna di Legambiente dedicata allo stato di salute dei bacini lacustri e realizzata in collaborazione con il CONOU – Consorzio Nazionale per la gestione, raccolta e trattamento degli oli minerali usati e Novamont, che fa il punto sulle principali criticità che minacciano i nostri laghi e i loro ecosistemi: gli scarichi non depurati e inquinanti, i rifiuti in acqua, la perdita di biodiversità, la cementificazione delle coste legale e illegale, la captazione delle acque, l’incuria e gli scempi ai danni dell’intero sistema territoriale lacustre. Un viaggio quello di Goletta dei Laghi 2018 che ha toccato ad inizio luglio anche la sponda piemontese del Lago Maggiore e il Lago d’Orta e che ha visto impegnati i tecnici in un monitoraggio scientifico, ma anche in una serie di attività che hanno coinvolto i cittadini e le comunità territoriali. Tra queste una tavola rotonda a San Maurizio d’Opaglio dal titolo Industria, turismo ed ecosistema lacustre. La ricerca continua dell’equilibrio. Iniziativa a cui sono intervenuti numerosi rappresentanti delle istituzioni locali e del distretto produttivo della rubinetteria e dell’economia del turismo, organizzata proprio nei giorni in cui sul Lago d’Orta si verificava l’ennesimo grave sversamento di residui di lavorazione di cromatura e soda caustica.
I dati sui rifiuti – Dopo la plastica tra i materiali più trovati dalla Goletta dei Laghi c’è il vetro/ceramica (10,3%), seguito da metallo (4,7%) e carta/cartone (4,1%). Sul podio dei rifiuti più trovati ci sono, invece, i mozziconi di sigaretta, al primo posto con una percentuale del 29,4%; a seguire i frammenti di plastica, ovvero i residui di materiali che hanno già iniziato il loro processo di disgregazione; a seguire bottiglie (e pezzi) di vetro (7,4%); sacchetti di patatine e dolciumi (5,6%); bastoncini per la pulizia delle orecchie (3,5%); frammenti di carta (3,34%).
La cattiva gestione dei rifiuti urbani resta la causa principale della presenza dei rifiuti sulle sponde dei laghi monitorati (il 63% degli oggetti è riconducibile ad essa). Questa categoria di rifiuto è rappresentato per lo più da imballaggi alimentari (sacchetti di dolciumi e bottiglie, ad esempio), in primis, e da rifiuti da fumo, principalmente mozziconi di sigaretta ma anche accendini, pacchetti di sigarette e imballaggi dei pacchetti. La carenza dei sistemi depurativi, unita con la pessima abitudine di usare il wc e gli scarichi domestici come una pattumiera, è causa della presenza del 5,4% dei rifiuti presenti.
L’indagine sulle microplastiche – L’attenzione ai rifiuti di grandi dimensioni è fondamentale, perché questi sono i principali precursori delle microplastiche e di cui Legambiente, in collaborazione con Enea, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, ha accertato la presenza nell’ecosistema lacustre. Per il terzo anno consecutivo infatti, Legambiente ha continuato il monitoraggio sulla presenza di microplastiche nei laghi. I laghi monitorati sono stati quello di Iseo, Garda, Como, Maggiore, d’Orta, Cavazzo, Trasimeno, Bracciano, Paola, per un totale di circa 80 ore di campionamento complessivo e 40 chilometri percorsi dalla manta, la rete utilizzata per i vari campionamenti. Quest’anno, inoltre, per ampliare gli indicatori dell’indagine sulla presenza delle microplastiche nei laghi italiani, i tecnici della Goletta dei Laghi hanno campionato le spiagge dei bacini toccati dalla campagna, secondo una procedura messa a punto grazie alla collaborazione con Enea. Oltre ai campionamenti condotti a centro lago, la metodologia del lavoro d’indagine sulla presenza di microplastiche ha riguardato anche i principali immissari ed emissari, così da ottenere ulteriori informazioni sulle caratteristiche del fenomeno.
Legambiente ricorda a tal proposito che nelle scorse indagini sono state trovate microplastiche in tutti i bacini esaminati, nonostante le loro diversità morfologiche ed ecosistemiche. Lo scorso anno i laghi di Como e il Maggiore furono quelli in cui fu trovata la maggiore densità media di microplastiche al chilometro quadrato: rispettivamente 157mila e 123mila particelle.
“Il nostro studio, il primo a livello nazionale, dimostra che il problema del marine litter non riguarda soltanto mari e oceani –spiega Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente-. L’80% della plastica che arriva sulle nostre spiagge viene trasportata proprio dai fiumi ed è presente in misura preoccupante anche nei laghi. L’obiettivo, dunque, è di approfondire ulteriormente la dinamica delle microplastiche nei laghi, analizzando il ruolo che questi sistemi semi-chiusi svolgono, in relazione alla presenza dei loro immissari ed emissari. Di certo il problema dei rifiuti dispersi sta assumendo proporzioni sempre più preoccupanti ed è necessario e urgente mettere in atto politiche di prevenzione e sensibilizzazione per ridurre gli impatti economici e ambientali causati da questa emergenza”.
Proprio per far sì che fiumi e laghi non continuino ad essere considerati da molti come discariche a cielo aperto è partito nei mesi scorsi VisPO – Volunteer Initiative for a Sustainable Po, il progetto che per 3 anni coinvolgerà 230 volontari tra i 18 e i 30 anni in azioni di pulizia e valorizzazione delle sponde del Po e dei suoi affluenti in territorio piemontese. Un’esperienza di volontariato e apprendimento per giovani under 30 promossa da Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta, in partnership con Arpa Piemonte e European Research Institute. Oltre alle iniziative di pulizia, che si svolgono principalmente nei siti Natura 2000, il progetto prevede attività di monitoraggio, sensibilizzazione, promozione, formazione ed educazione ambientale e sportiva.
E’ possibile candidarsi per diventare volontari europei VisPO sul sito www.bevispo.eu
Per consultare i dati di Goletta dei Laghi nel dettaglio:
Aicad, un cane a guardia del tuo diabete
I cani hanno proprietà e capacità riconosciute da molti anni, anche dalla scienza che studia l’interazione tra animali ed il relativo beneficio psicofisico nell’essere umano. I cani d’allerta per persone che soffrono di diabete sono cani d’assistenza che riconoscono per tempo i sintomi di un’ipoglicemia e iperglicemia (valori bassi e alti livelli di zucchero nel sangue) e possono svolgere svariate attività a favore della persona che accompagnano come: • Riconoscere i sintomi di un’ipoglicemia o iperglicemia e allarmare la persona affetta da diabete tramite una serie di segnali appresi, o nel caso di bambini, allertare i genitori sia di notte sia di giorno (specifico Programma Famiglia per allerta diabetica pediatrica e giovanile) • Andare a prendere, su comando, il misuratore glicemico (glucometro), zucchero d’uva (succo, Coca-Cola,
ecc.) o anche la siringa d’emergenza (HypoKit) • Azionare l’interruttore della luce o un pulsante d’emergenza appositamente installato per persone che vivono da sole in modo da chiamare aiuto in caso di ipoglicemia grave • Essere un amico assolutamente fedele e trasmettere maggior sicurezza riguardo all’ipoglicemia (ad es. per genitori di bambini diabetici, in caso di disturbi percettivi o paura legati all’ipoglicemia oppure in caso di malattie avanzate correlate come la retinopatia) • Imparare dei compiti ben precisi adattati ai bisogni della persona diabetica, come aprire le porte… un cane giusto per la persona giusta, un team per tutta la vita! La preparazione del cane è lunga e particolare, tale che questa disciplina non si può comparare a nessun altra disciplina cinofila al momento utilizzata. Il protocollo che AICAD ha adottato per l’addestramento, arriva dagli USA, dal coach Debby Kay che negli anni, ha sviluppato un’esclusiva esperienza nel settore della ricerca cinofila in ambito medicale. Paolo Incontri formato professionalmente direttamente da Debby Kay, secondo un serio e approfondito processo addestrativo, secondo le norme guida del D.A.D.A. (Diabetic Alert Dog Alliance), dal 2015 prepara e segue famiglie e cani su tutto il territorio nazionale. La preparazione dei cani, non avviene a cliché, ma ogni caso viene studiato individualmente, anche con il supporto ed il coinvolgimento dei medici diabetologi pediatrici e non, e di altre figure professionali quali psicologi, se fosse richiesto.
Dal mese di agosto 2018 l’Associazione Italiana Cani Allerta Diabete aps ora è presente con le sue attività di formazione cani d’allerta medicale in ambito diabetico pediatrico, giovanile e adulti presso il Centro Cinofilo Etologico “Porta della Langa” via Langa 96, in località Carrù (CN). La scuola avrà competenze territoriali per il Piemonte, Valle D’Aosta e Liguria. Per informazioni: Paolo Incontri 351 9198 681 responsabile nazionale formazione AICAD aps http://www.aicad-italia.org/
PER 1,5 MILIARDI DI EURO
Garanzia per finanziamenti a PMI, microimprese e Midcap erogati entro il 30 novembre 2019. Un portafoglio attivato in via esclusiva per le regioni del Mezzogiorno
Il Gruppo Intesa Sanpaolo rafforza il proprio impegno a favore di
Microimprese, Piccole e Medie Imprese e Midcap con un’operazione sostenuta dal Fondo di
Garanzia denominata “Tranched Cover”. Grazie a questo innovativo strumento le imprese
avranno la possibilità di accedere ai benefici previsti dalla legge 662/96 (il Fondo di
Garanzia operativo dal 2000 con la finalità di favorire l’accesso alle fonti finanziarie delle
PMI mediante la concessione di una garanzia pubblica che si affianca e spesso si sostituisce
alle garanzie portate dalle imprese) attraverso la garanzia diretta sui portafogli di
finanziamenti di nuova erogazione. In particolare il primo Gruppo bancario italiano ha ottenuto dal Fondo l’ammissione alla garanzia per quattro portafogli da 300 milioni di euro ciascuno da erogare nelle regioni del nord e del centro entro il 30 novembre 2019, e richiederà in autunno l’ammissione per un ulteriore portafoglio di 300 milioni dedicato in via esclusiva alle regioni del Mezzogiorno. Con 5 portafogli per un valore complessivo di finanziamenti per 1,5 miliardi di euro,
quello della Banca risulta ad oggi l’impegno maggiore all’interno del panorama italiano,
confermando il ruolo determinante come motore dell’economia reale.
Attraverso i portafogli di finanziamenti “Tranched Cover”, Intesa Sanpaolo agevolerà
l’accesso al credito del tessuto imprenditoriale italiano e, in particolare, delle piccole realtà
imprenditoriali con la possibilità di ottenere credito con maggiore velocità, a condizioni più
favorevoli e senza alcun costo per le garanzie; ulteriore vantaggio è rappresentato dalla
possibilità di finanziare con questo strumento le Mid-Cap (fino a 499 dipendenti), sinora
escluse dall’intervento del Fondo di Garanzia, per supportarle nei loro progetti di crescita e
sviluppo. Teresio Testa, responsabile Sales & Marketing Imprese di Intesa Sanpaolo e direttore
generale di Mediocredito Italiano, dichiara: “La partecipazione di Intesa Sanpaolo al
programma di finanziamenti garantiti ci permette di dedicare maggiori risorse alla crescita
e allo sviluppo del nostro Paese, confermandoci ancora una volta la Banca di riferimento
per il progresso dell’economia nazionale e propulsore dell’economia reale”.
Sul ponte Morandi e altri crolli
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Ing. Massimo Rivalta
Tfr, ecco le novità da conoscere
Dal 1° luglio 2018 i datori di lavoro non sono più tenuti ad inserire il cosiddetto tfr in busta paga QuIR nel cedolino del dipendente che ne ha richiesto l’erogazione mensile. Termina così la sperimentazione voluta dal governo Renzi nel 2015 e portata avanti per tre anni. Ad annunciare lo stop definitivo è l’Inps con il messaggio n. 2791 del 10 luglio 2018. Ecco i cambiamenti in atto. A partire dalla mensilità di luglio, i lavoratori non potranno più ricevere il rateo di liquidazione maturato mensilmente assieme allo stipendio, o Quir (quota integrativa della retribuzione) . Il tfr maturato verrà accantonato presso l’azienda, e non verrà più quindi erogato ai dipendenti di mese in mese. L’accantonamento porterà ad accumulare la bsomma che sarà versata al dipendente quando lascerà l’azienda a termine rapporto di lavoro. Non sono stati i molti i lavoratori che hanno deciso nei tre anni sperimentali di aderire all’iniziativa, soprattutto per via della mancata applicazione della tassazione agevolata sul trattamento di fine rapporto pagato assieme alla retribuzione. A differenza del tfr liquidato al termine del rapporto, che beneficia della tassazione separata, il tfr pagato ogni mese era infatti assoggettato alla tassazione ordinaria, nella generalità dei casi più pesante. Solo negli ultimi tempi l’opzione per la Quir stava iniziando a destare un maggiore interesse nei lavoratori, per via dell’incremento della retribuzione (seppure esiguo). Pertanto, d’ora in poi il lavoratore potrà ora accantonare il tfr come avviene nella normalità dei casi, esclusivamente all’interno dell’azienda, al Fondo di Tesoreria INPS, o in ultima analisi a una forma pensionistica complementare di destinazione.
Perché è difficile denunciare un abuso
di Davide Berardi *
Per quale ragione non si denuncia una ingiustizia? Come mai non si racconta un abuso? Perché la prima cosa che fa la vittima spesso non è raccontare? Nel momento in cui esce una notizia di una violenza di qualsiasi tipo sia, bullismo, abuso sessuale, stalking, mobbing, cyber bullismo, la prima cosa non è denunciare, non è urlare al mondo la prepotenza subita, perché non ci si ribella alla violazione immediatamente? La maggior parte delle risposte a queste domande è vergogna, ma cosa è la vergogna? Quel senso di inadeguatezza che porta a sentire un essere umano non degno, non consono, non idoneo a “non” ricevere un abuso. Un turbamento interiore profondo e scomodo da elaborare. Addirittura la vergogna fa sì che perdutamente si inizia a sentire anche di meritarlo quell’abuso, “forse è colpa mia”. La vergogna del raccontare, di essere “sporchi di violenza” poiché le persone allontanano, tengono distante da loro le cose “sporche”, le vergogne. L’essere umano gradisce il pulito, il profumato. Oggi ci sono perfino contraccettivi di vari colori e odori. Prodotti per il corpo di ogni genere. Tendiamo ad ovattare, a confezionare, quasi incravattare il nostro istinto primordiale, i nostri umori più incontrollabili, i nostri “cattivi odori mentali”, prima che fisici. Ebbene sì, mentali, dato che un comportamento, di qualsiasi gesto si parli, prende vita, inizialmente, da un atteggiamento mentale e dunque da un pensiero, giusto o sbagliato che sia.
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E raccontare un “assoggettamento” subito è giusto? Libera? Fa sentire meglio? Beh’, la violenza resta, ma fa sentire senza dubbio meno soli. Perché ciò che uccide, dopo il gesto subito, è la solitudine di portarlo con sé come un segreto, come un cesto di panni sporchi da nascondere per paura del giudizio dell’altro, per terrore che l’altro possa pensare che sia stato un gesto istigato, meritato e che dunque ne potremmo essere responsabili insieme al nostro aguzzino di turno. Un gesto di bullismo che fa perdere un occhio, un comportamento di stalking che fa smarrire il sonno, un’azione di mobbing che lancia un giaccone di uno sventurato collega da una finestra di un ufficio, un “luogo” di nonnismo dettato da gerarchie emotive egoiste e personali all’interno del quale trova sfoga la propria frustrazione individuale su chi è più debole o più indifeso o tremendamente più sfortunato di noi. Cosa si cela dietro ciò? Vigliacchi? Prepotenti seriali? Persone psicotiche o psicologicamente individui non in grado di elaborare i propri vissuti sani o feroci che siano e che, dunque, evacuano la loro esperienza, “vomitandola” sulla vita di un altro essere umano. Non vigliacchi o per lo meno non solo vigliacchi, ma individui disturbati dalla loro di vita stessa, deboli e non giustificabili. Persone che, probabilmente, a loro volta, non sono state aiutate quando dovevano esserlo e che continuano a non farsi aiutare. Individui che non accettano un dato di realtà, loro, personale, causato dalla vita. Perché piaccia o no viviamo tutti sotto la scia di un destino anarchico e, se non si riesce a tollerare questo dato di realtà, allora bisogna imparare, umanamente, non a sfogarsi su un l’altro ma a chiedere aiuto. Chiedere aiuto significa condividere la propria sofferenza con un’altra persona, significa puntare sull’empatia che dovremmo avere verso l’altro, poiché la condivisione alleggerisce dei pesi propri e altrui e, non soltanto condividendo in rete, riempiendo le bacheche dei nostri social network. La condivisione accogliente, calda, scioglie la sofferenza e permette a quel blocco sul cuore di ripartire ma, se ciò non avviene, allora l’evacuazione psicologica e fisica avverrà, spesso, nel più orribile e più facile dei modi, “violentando” il più debole, sporcandolo nell’anima. Bulli, violenti, prepotenti, stalker, mobber, non rappresentano altro che forme in cui può sfociare la fragilità umana non accolta.
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La violenza chiama violenza e chiama vendetta, ma le ferite non si cancellano, anzi, spesso vengono soffocate dai nostri pregiudizi contro chi ha atteggiamenti diversi dai nostri. Ciò porta la vittima a nascondere l’abuso subito, ma non si può nascondere una ferita così profonda come la violazione dell’animo umano. Allora leggiamo di suicidi, di “contro violenze”, di gesti apparentemente gratuiti, che ledono la figura dell’altro, di sfruttamento da parte di familiari verso componenti della loro stessa famiglia, sangue contro sangue, beh è importante sapere che il rapporto di parentela non determina l’affettività, ma sentenziare su una vittima di abuso, di qualunque natura sia, indubbiamente non migliora le cose, anzi dona ancora più forza e legittimità a chi compie gesti inumani solo perché non piace la spazzatura dentro casa, sul marciapiede, nel palazzo accanto. Fa paura sapere e prendere consapevolezza che l’uomo può arrivare a compiere infime atrocità, poiché siamo tutti esseri umani. Spaventa essere accumunati biologicamente ad un altro essere cattivo al punto tale da mostrarsi feroce e folle, “puzza” tutto ciò, poiché ricorda di cosa possiamo essere in grado di fare. E allora ne parliamo solo quando capita? No! Parlate di quello che vi succede, raccontate quello che vi accade, il pregiudizio o il timore di essere giudicati non sono atteggiamenti sani, non lasciate che vinca il qualunquismo o la pena per certe cose che accadono. Non siamo tutti uguali, non la pensiamo tutti allo stesso modo. Non omologate un vostro pensiero di sensibilità. Nessuno merita di subire prepotenze e chi ne rimane vittima deve sapere che non c’è vergogna nell’essere stati soggetti in un momento di offesa. Togliamo la maschera ai comportamenti scorretti, alla luce sarà più facile affrontarli e faranno meno paura. Facciamo prendere aria alla stanza della nostra intimità, il sapore e l’odore delle emozioni è il nostro, non di qualcun altro, la vergogna blocca, la condivisione libera e di qualsiasi cosa si tratti, farlo sotto la luce del sole renderà tutto meno buio di quello che è. Nessun sopruso deve impedire a qualcuno di smettere di volersi bene. Vogliatevi bene, è un obbligo emotivo.
*Dott. Davide Berardi, Psicologo – Psicoterapeuta
Psicologo, Psicoterapeuta ad Indirizzo Relazionale Sistemico, Docente Corsi di Accompagnamento al parto, Psicologo della riabilitazione e del sostegno nella terapia individuale e familiare, Terapeuta del coraggio emotivo.
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