CULTURA E SPETTACOLI Archivi - Il Torinese

CULTURA E SPETTACOLI

Giulio Einaudi e lo Struzzo che non mise mai “la testa sotto la sabbia”

Lo spirito digerisce le cose più dure”, era il motto della casa editrice Einaudi. A raffigurarlo, nella marca editoriale, uno struzzo che stringe un chiodo nel becco e, sullo sfondo, un paesaggio con un castello.

A fondarla, il 15 novembre 1933, l’appena ventunenne Giulio Einaudi. La prima sede era a Torino, al terzo piano di via Arcivescovado 7, nello stesso palazzo che era stato sede del settimanale L’Ordine Nuovo di Antonio Gramsci. Da lì la casa editrice si spostò in piazza San Carlo e, successivamente, al n.2 di via Biancamano. Nato a Dogliani, nella Langa cuneese, patria del Dolcetto ( il padre Luigi , fu il secondo presidente della Repubblica Italiana; il figlio Ludovico è il noto musicista e compositore), Giulio frequentò il Liceo classico Massimo d’Azeglio a Torino, partecipando in seguito alla “confraternita” di ex-allievi fra i cui membri figuravano Cesare Pavese, Leone Ginzburg, Norberto Bobbio, Massimo Mila, Fernanda Pivano, Vittorio Foa, Giulio Carlo Argan, Ludovico Geymonat, Franco Antonicelli e molti altri. Quasi tutti collaborarono e pubblicarono per la casa editrice dello Struzzo, accanto ai nomi più importanti della cultura italiana del ‘900. Fu Einaudi, tra l’altro, a pubblicare nel dopoguerra  i  “Quaderni e le Lettere dal carcere” di Gramsci. Scriveva, Norberto Bobbio: “E’ uno struzzo, quello di Einaudi, che non ha mai messo la testa sotto la sabbia”. E come dar torto al filosofo del dubbio? Dopo più di sessant’anni di lavoro come editore, Giulio Einaudi andò in pensione nel 1997 (morì  due anni dopo, all’età di ottantasette anni) lasciando in eredità un lavoro immane che – nel tempo – ha fatto di Torino una delle capitali europee della cultura. Eppure non c’è un luogo, nella toponomastica della prima capitale d’Italia, che porti il suo nome. Tranne, come ricorda qualcuno, quella “E” sul citofono dell’ultima sua dimora, al n. 8 di via Pietro Micca.

Marco Travaglini

Il marmo di Candoglia e il sigaro del signor Brusa

STORIE PIEMONTESI  a cura di https://crpiemonte.medium.com/

A monte della frazione di Candoglia nel comune di Mergozzo, sulla sinistra del fiume Toce, proprio all’imbocco della Val d’Ossola, si trovano le cave dalle quali proviene il marmo del Duomo di Milano

di Marco Travaglini

L’idea di usare quella pietra bianca, screziata di rosa, al posto del mattone per la costruzione della cattedrale fu di Gian Galeazzo Visconti che, per rifornirsi della materia prima, fondò la “Veneranda Fabbrica del Duomo”.

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Accendersi un sigaro

Il Signore di Milano, affascinato dalla bellezza cristallina del marmo, cedette in uso alla Fabbrica le cave di Candoglia, concedendo altresì il trasporto gratuito dei marmi fino al capoluogo lombardo, attraverso le strade d’acqua. Era il 24 ottobre 1387. E, da allora, per secoli, da quelle cave si è estratto il marmo che è servito a costruire il monumento simbolo del capoluogo lombardo, dedicato a Santa Maria Nascente, sormontato dalla madonnina che venne innalzata sulla guglia maggiore del Duomo negli ultimi giorni di dicembre del 1774.

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Il Duomo di Milano

Si trattava di un lavoro faticoso, ritmato da picconi, mazze, punte, cunei e palanchini. Così, partendo dall’impressionante caverna della cava Madre, la montagna è stata risalita, scavandola nel ventre, tagliando i blocchi di pietra con il filo in metallo. Il trasporto via acqua del materiale avveniva dal Toce al Lago Maggiore, lungo il Ticino e il Naviglio Grande per finire nel cuore della città fino alla darsena di S. Eustorgio, a Porta Ticinese. Così, grazie ad un ingegnoso sistema di chiuse, realizzato dalla “Veneranda Fabbrica”, il prezioso carico arrivava fino a poche centinaia di metri dal cantiere della Cattedrale. I barcaioli, per entrare in città senza pagare il dazio, utilizzavano una parola d’ordine — “Auf” — che in realtà era l’abbreviazione di Ad usum fabricae, cioè ad uso della Fabbrica, con la quale potevano passare senza versare il tributo imposto.

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Il naviglio grande di milano negli anni 50

In Lombardia, e non solo, è rimasta traccia di quell’usanza nell’espressione “A ufo” , intesa come “gratuitamente”. Chissà, poi, perché, a differenza del “gratis”, si è sempre più connotata con un profilo negativo, ma questa è un’altra storia… Il Cavalier Agenore Brusa, grossista di legname, proveniva da una delle famiglie che avevano, per generazioni, fornito il materiale alla Veneranda, un fatto che lo rendeva oltremodo orgoglioso. “Bei tempi quelli, caro Giovanni. Mio nonno, prima, e mio padre poi hanno lavorato per la Fabbrica di Candoglia tutta la vita. E ora, dopo che anch’io ho fatto la mia parte, tocca al mio Giulio tenere alto il buon nome dei Brusa” era solito ripetere all’amico Ambrogini.

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I sigari

Il ragionier Giovanni Ambrogini era il braccio destro del signor Brusa. Da oltre trent’anni, senza mancare un giorno dall’ufficio, teneva con scrupolo la contabilità della “Brusa & Figli”. Era diventato, per Agenore, quasi un fratello. E come tale lo trattava, chiedendo consigli e ascoltandone i punti di vista che, immancabilmente, teneva in gran considerazione. Per il resto, grazie all’impegno di tutti, la “Brusa & Figli” era un’azienda più che solida e al fidatissimo contabile l’anziano titolare garantiva un adeguato stipendio, commisurato ai suoi servigi. Da troppo tempo, per mille ragioni, il signor Agenore non si recava a Milano, in visita al Duomo. L’ultima volta, con uno sforzo di memoria, immaginò fosse stata quand’era nato il piccolo Giulio. Ma da allora, di anni n’erano passati ben trentadue. “Occorre andarci, a Milano”, comunicò al ragioniere. “E ci andremo insieme, caro Giovanni. Così vedrai anche tu come sono conosciuto in quella città. Devi sapere che è proprio grazie alla mia attività al servizio della Fabbrica del Duomo che mi hanno insignito del titolo di Cavaliere del Lavoro”.

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La cava madre del Duomo a Candoglia

Agenore teneva moltissimo a quel titolo e amava, come lui stesso affermava, “vestirsi con l’abito giusto”, quello “da Cavaliere”, una divisa che, per l’imprenditore, equivaleva a pantaloni e giacca di fustagno scuro, camicia bianca e corto cravattino nero, scarpe comode e, in testa, un vecchio “Panizza” di feltro al quale teneva molto, regalatogli dal padre Igino. I due partirono dalla stazione di Verbania-Fondotoce con il treno delle 6,29. Era un sabato e non faticarono a trovare posto a sedere sul treno mezzo vuoto, dato che gran parte dei pendolari che si recavano ogni giorno a Milano per lavoro avevano terminato la loro settimana. A Porta Garibaldi presero la linea verde della metropolitana fino a Cadorna e da lì, con la linea rossa, giunsero a destinazione alla fermata “Duomo”. Uscendo dalla metropolitana, in cime alle scale, si trovarono davanti l’imponente e gotica sagoma del Duomo. “Ah, che meraviglia”, esclamò estasiato il Cavalier Brusa, agitando la mano destra dove, tra indice e medio, teneva l’immancabile sigaro toscano. Il ragionier Ambrogini, estrasse dalla tasca un piccolo bloc-notes , leggendo i suoi appunti. “La quarta chiesa in Europa per superficie, dopo San Pietro in Vaticano, l’anglicana Saint Paul di Londra e la cattedrale di Siviglia ;la più importante dell’arcidiocesi milanese, sede della parrocchia di Santa Tecla..”. Il buon Giovanni, preciso come un ferroviere svizzero, si era documentato ben bene. Al Cavaliere quell’accuratezza, diligente e meticolosa, piaceva molto. In molti consideravano l’Ambrogini un pignolo, persino un po’ pedante, ma ciò che i più consideravano un difetto, per Agenore Brusa rappresentava una qualità. E che qualità: cura, scrupolo e rigore! Il massimo che potesse desiderare dal suo più stretto e fidato collaboratore.

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La Veneranda Fabbrica alle cave di Candoglia

Lo ascoltava, ammaliato, senza dimenticarsi di ricambiare — con un cenno di capo — al saluto che gli era stato rivolto da alcuni passanti. “Ci sono voluti cinque secoli per costruirlo, durante i quali si sono avvicendati nella Fabbrica del Duomo architetti, scultori, artisti e maestranze, provenienti da tutta Europa. Il risultato è un’architettura unica, una felice fusione tra lo stile gotico d’oltralpe e la tradizione lombarda. Con una decorazione impressionante di guglie, pinnacoli, cornici e un patrimonio immenso di oltre tremila statue. E sulla più alta delle 145 guglie, la celeberrima Madonnina che non è d’oro, ma ricoperta di fogli d’oro”. Il ragioniere era, come sempre, sintetico ed esauriente. A quel punto il Cavalier Brusa lo esortò a varcare il doppio portale in bronzo.

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La Veneranda Fabbrica del Duomo

Forza, Giovanni. Andiamo a vedere anche all’interno com’è stato magistralmente lavorato il nostro marmo! A proposito, hai visto che persone ben educate? Salutano, cortesemente. Si vede che anche qui conoscono i Brusa, con tutto quello che abbiamo fatto per Milano, eh?”. Spento il toscano sotto la suola della scarpa e riposto in tasca il resto del sigaro ( Brusa era un parsimonioso e il suo motto era “non si butta via niente”), entrarono in Duomo, rimanendo a bocca aperta davanti alle cinque navate. Quella centrale, poi, era davvero ampia e alta e ai lati si potevano ammirare magnifiche vetrate istoriate che raffiguravano scene religiose. Una di esse, superba, rappresentava il Giudizio Universale. Il Cavalier Brusa, informato dal fedele Giovanni, di ciò che conteneva la teca sopra il coro, voleva a tutti i costi ammirare quel chiodo che si riteneva provenisse della croce di Gesù e si avviò in quella direzione con ampie falcate. Mentre camminava, s’accorse degli insistenti sguardi da parte delle persone che incontrava.

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Una targa commemorativa della visita di Paolo VI alla cava

Alcuni sgranavano gli occhi, altri si davano di gomito. Mentre avanzava impettito, gli venne incontro un sacerdote in chiaro stato d’ansia, visibilmente affannato. Il prelato , rivolto al Cavaliere, ripeteva concitato la stessa breve frase, in milanese: “ Sciur, al Brüsa”, “Sciur, al Brüsa”, “Sciur, al Brüsa”. Agenore Brusa, voltandosi verso il ragionier Ambrogini, disse soddisfatto: “Vedi, Giovanni. Qui mi conoscono tutti”. Solo in quel momento il povero ragioniere s’accorse che la marsina del suo principale stava andando in fiamme. Evidentemente il toscano non era stato spento bene e si era ravvivato nella tasca. Il prete, sicuramente lombardo e certamente alterato, aveva lanciato l’allarme rivolgendosi al Cavaliere in dialetto meneghino e quel “Sciur, al Brüsa”, più che ad una individuazione dell’identità del signor Agenore equivaleva all’allarmante fumo che proveniva dal vestito del medesimo, ignaro, visitatore del Duomo. Così, spento l’incendio, i due lasciarono la cattedrale e Milano, frastornato e ammutolito, Giovanni Ambrogini, contrariato e scuro in volto, il Cavaliere che, una volta tanto e suo malgrado, era stato costretto a venir meno al suo principio del “non buttar via niente”, lasciando in un bidone della spazzatura la giacca bruciacchiata e quel resto di sigaro che aveva tenuto per il viaggio di ritorno.

Un’estate di concerti alla Corte d’Onore di Palazzo Reale

Gioie musicali nella corte del cielo

8 – 22 luglio 2023

 

Nella foto: il Palazzo Reale di Torino (foto ©Andrea Guermani per i Musei Reali)

 

Dall’8 al 22 luglio, a conclusione della Stagione 2023, il Teatro Regio presenta Passaggi d’Estateotto concerti con l’Orchestra, i Solisti del Regio Ensemble e il Coro di voci bianche del Teatro Regio; l’ambientazione è tra le più suggestive della città, la Corte d’Onore di Palazzo RealePassaggi d’Estate si realizza in collaborazione con i Musei Reali di Torino.

Tutti i concerti avranno inizio alle ore 21 e non prevedono intervallo. Per una passeggiata esclusiva e un aperitivo prima dello spettacolo, sarà possibile accedere al Giardino Ducale e al Caffè Reale a partire dalle ore 20, grazie all’apertura straordinaria riservata ai possessori del biglietto per il concerto.

 

Il Sovrintendente Mathieu Jouvin dichiara: «Ringrazio i Musei Reali di Torino e la Direttrice Enrica Pagella per questa collaborazione che rinsalda il legame tra le nostre due istituzioni, già legate da un protocollo d’intesa che ha dato vita a splendidi lavori. Ricordo il più recente contributo: la realizzazione della raggiera sull’altare della Cappella della Sindone. Passaggi d’Estate rappresenta la naturale prosecuzione della Stagione 2023, che si conclude con Madama Butterfly di Giacomo Puccini (dal 13 al 27 giugno) e, in attesa della nuova Stagione 2023-2024, ci dedichiamo un mese di musica, con giovani interpreti, la nostra Orchestra e una scelta di programmi musicali che si sposano perfettamente al gusto e all’architettura del Palazzo Reale e della sua Corte d’Onore, uno dei luoghi più affascinanti ed evocativi della città. Otto concerti pensati per un pubblico variegato, che potranno incuriosire sia i cittadini torinesi sia i turisti che sempre più numerosi affollano la nostra città, e con un’attenzione particolare agli under 30, cui è dedicato un biglietto a € 10. Proseguiamo nella direzione di una sempre maggiore apertura agli spettatori di domani, che fin dall’inizio della Stagione in corso, in particolare con le Anteprime Giovani, hanno scoperto il Regio con partecipazione entusiasta. L’invito rivolto a tutti è concedersi il piacere della musica dal vivo in un luogo dove ri-trovarsi, condividere pause di riflessione e di svago, confrontarsi e ascoltare».

 

La Direttrice Enrica Pagella sostiene: «La rassegna Passaggi d’Estate conferma l’intesa tra i Musei Reali e il Teatro Regio, una collaborazione avviata con i Laboratori Artistici nel 2021 per attività di valorizzazione nella Cappella della Sindone, proseguita nel 2022 con la mostra Splendori della tavola, i Concerti d’Autunno e l’esibizione del Coro delle voci bianche per le festività natalizie. Ospitare nuovamente le formazioni musicali del Teatro Regio offre ai Musei Reali la possibilità di aprirsi alla cittadinanza e a nuovi pubblici, riportando la musica nella Corte d’Onore del primo Palazzo Reale dell’Italia unita, in un contesto storico di grande fascino e raffinatezza».

 

«Ho messo a punto un programma classico, che ben si sposa con l’estetica e la natura del luogo che ci ospita – afferma il Direttore artistico Cristiano Sandri – ho pensato di proporre brani godibili, piacevoli e raffinati, per un pubblico non necessariamente di specialisti, e capaci di mettere in risalto le qualità delle compagini artistiche del Regio. Sono molto soddisfatto dell’ottima prova che ha dato il Regio Ensemble e quindi sono contento di poter offrire loro l’opportunità di essere protagonisti della nostra programmazione estiva. Questi giovani artisti, provenienti da tutto il mondo, hanno partecipato con impegno alla Stagione 2023, dando prova di bravura e crescita; ora finalmente il pubblico potrà ascoltarli insieme. Fa parte del Regio Ensemble il maestro Riccardo Bisatti, che dirigerà tutti i concerti con la nostra Orchestra. Abbiamo accolto con gioia la notizia di pochi giorni fa: Fortune Italia ha inserito il giovanissimo direttore nella lista dei “40under40” più influenti della cultura italiana. Siamo fieri di questo riconoscimento che conferma, ancor di più, un talento e una sensibilità artistica fioriti proprio al Regio, e riteniamo giusto dargli la possibilità di esibirsi con l’Orchestra del Teatro, che con lui ha sviluppato una profonda sintonia. Dedichiamo anche un appuntamento speciale con il Coro di voci bianche, nostro fiore all’occhiello. Infine presentiamo un nuovo membro del Regio Ensemble, il giovanissimo tenore sudafricano Lulama Taifasi, che si è formato all’Accademia del Maggio Musicale Fiorentino».

 

Il pianista e direttore d’orchestra Riccardo Bisatti commenta: «Sono molto emozionato e onorato di poter dirigere tre concerti con la straordinaria Orchestra del Teatro Regio di Torino. Saranno proposti tre programmi incentrati sul Classicismo Viennese, con una parentesi schubertiana. Nel primo concerto spicca una delle ultime sinfonie di Mozart, la conosciutissima Sinfonia “Haffner”, posta a confronto con il Divertimento in re maggiore KV251, brano meno conosciuto ma di grande bellezza. Apre il programma la celebre ouverture dell’opera Così fan tutte, capolavoro operistico della trilogia dapontiana. La Sinfonia n. 7 D729 di Schubert, completata dallo scrupoloso e attento lavoro del compositore e direttore d’orchestra Brian Newbould, domina il secondo appuntamento. È l’occasione per riportare in vita una composizione schubertiana incompiuta. Infine, l’Ouverture dalla Clemenza di Tito di Mozart e la Serenata KV100, sempre del salisburghese. Nell’ultima serata, il pubblico avrà l’occasione di ascoltare tutti e tre i musicisti insieme. Il concerto si aprirà infatti con la famosissima Ouverture dalle Nozze di Figaro di Mozart; seguirà la Sinfonia n. 88 di Haydn, meraviglia del grande compositore in cui spicca il vorticoso movimento Rondò finale e infine si chiuderà con la Sinfonia n. 2 di Beethoven, anello di congiunzione tra i lavori giovanili e quelli sinfonici. Il pubblico potrà quindi percorrere un viaggio tra eterni capolavori della musica».

 

Nella foto: Mathieu Jouvin, Stefano Lo Russo e Cristiano Sandri durante la presentazione a Palazzo Reale

 

Sabato 8 luglio si inaugura con un recital dei Solisti del Regio EnsembleIrina Bogdanova e Amélie Hois (soprani), Ksenia Chubunova (mezzosoprano), Lulama Taifasi (tenore) e Rocco Lia (basso), accompagnati al pianoforte dal maestro Giannandrea Agnoletto. Il programma, omaggio alla grande musica italiana dell’800, presenta capolavori di Vincenzo Bellini, Gioachino Rossini, Gaetano Donizetti e Giuseppe Verdi, una selezione di arie d’opera che, per limpida bellezza e forza espressiva, sono impresse, tutte, nella storia della musica come esempi di belcanto. Amori teneri e contrastati, amori che vincono, ma anche amanti straziati di dolore e di malinconico ricordo, per una serata in crescendo emotivo.

Domenica 9 luglio il maestro Claudio Fenoglio, direttore e solista al pianoforte, conduce il Coro di voci bianche del Teatro Regio e i Solisti del Regio Ensemble Irina Bogdanova (soprano) e Ksenia Chubunova (mezzosoprano) in un nutritissimo programma che ci permetterà di incontrare generi e stili diversi, composizioni sacre e profane, con musica di autori del passato e brani di compositori contemporanei. Ascolteremo brani di Gioachino Rossini, Gabriel Fauré, Felix Mendelssohn-Bartholdy, Xabier Sarasola, Sergej Rachmaninov, Dmitrij Šostakovič, Leonard Bernstein, Andrew Lloyd Webber, John Rutter, Jacques Offenbach, Giacomo Puccini, Georges Bizet. Questo concerto sarà un’occasione preziosa per ascoltare il Coro dei piccoli e apprezzarne il lavoro e l’eccellente preparazione raggiunti, sempre nella convinzione che il canto corale sia un gioco di squadra, un modo di crescere insieme e di arricchire la propria vita per affrontare insieme sfide e paure.

 

Martedì 11 luglio Riccardo Bisatti sale sul podio dell’Orchestra del Regio per dirigere un concerto tutto mozartiano. Il programma si apre con l’Ouverture da Così fan tutte, il capolavoro della piena maturità composto tra il 1789 e il 1790 dal genio salisburghese; si prosegue con il Divertimento in re maggiore KV 251, che Mozart scrisse nel luglio 1776 per il compleanno della sorella Nannerl che amava i ritmi brillanti, arguti e leggeri; tutto scorre infatti con levità ed eleganza fino alla chiusura, con una Marcia “alla Francese”, detta in tal modo per il particolare carattere del ritmo, molto marcato e meno cantabile della maggior parte dei temi di marcia composti in precedenza da Mozart. Infine, la Sinfonia “Haffner” KV 385, rappresentata per la prima volta nel marzo 1783 a Vienna, che fu commissionata dagli Haffner, un’importante famiglia di Salisburgo, in occasione del conferimento del titolo nobiliare “von Imbachhausen” a Sigmund Haffner.

 

Il concerto si realizza con il sostegno di Banca Patrimoni Sella & C., nuovo Socio Sostenitore del Teatro Regio. Dichiara l’Amministratore delegato Federico Sella: «Arte e cultura sono un presidio fondamentale per una società sostenibile, e chiunque sia impegnato nella loro valorizzazione offre un contributo importante. Per questo motivo, è naturale e coerente che Banca Patrimoni Sella sostenga un’istituzione culturale come il Teatro Regio di Torino radicata nella storia del territorio e nel suo vissuto quotidiano».

 

Sabato 15 e domenica 16 luglio il maestro Bisatti dirige l’Orchestra in un programma altrettanto piacevole, dove protagonisti sono Wolfgang Amadeus Mozart e Franz Schubert: del primo ascolteremo l’Ouverture da La clemenza di Tito e la Serenata KV100; del secondo la Settima Sinfonia. «Noi ammiriamo Mozart – scrisse Luigi Magnani – anche per avere egli trovato per il Tito una musica come quella del Don Giovanni e di Così fan tutte, una musica come quella del Figaro, bensì una musica diversa, adeguata al genere e al testo che gli furono imposti, ispirata all’ideale di classicità, che riviveva in lui per rispondere a una sua nuova esigenza di un’arte più semplice, spoglia e severa, espressione diretta del suo animo distaccato dalla terra, contristato e deluso» («Lo spettatore musicale», Luigi Magnani, 1966). Questo spirito classico è la chiave con cui bisogna entrare nel mondo della Clemenza di Tito, che si manifesta sin dall’Ouverture, aperta da solenni unisoni intervallati da lunghe pause, per poi svilupparsi attraverso un concitato primo tema, un secondo tema di dolce cantabilità e un terzo in tempo fugato. Il brano riflette il clima nobilmente eroico tipico dell’opera seria di stampo settecentesco.

 

Martedì 18 luglio i solisti del Regio Ensemble, accompagnati al pianoforte dal maestro Giulio Laguzzi, si misureranno con un programma dal sapore mitteleuropeo, godibile, di forte impatto e con slanci ricercati. Irina Bogdanova e Amélie Hois (soprani), Ksenia Chubunova (mezzosoprano), Lulama Taifasi (tenore) e Rocco Lia (basso) su musiche di Georg Friedrich Händel, Charles Gounod, Fromental Halévy, Johann Strauss figlio, Camille Saint-Saëns, Wolfgang Amadeus Mozart, Pëtr Il’ič Čajkovskij, Franz Lehár: arie indimenticabili da Messiah a Faust, da Die Fledermaus alla Dama di picche.

 

Giovedì 20 e sabato 22 luglio Riccardo Bisatti sale sul podio dell’Orchestra del Teatro Regio per il gran finale: in programma l’Ouverture da Le nozze di Figaro di Wolfgang Amadeus Mozart, la Sinfonia in sol maggiore n. 88 di Joseph Haydn e la Sinfonia n. 2 in re maggiore op. 36 di Ludwig van Beethoven. Composta dopo la stesura dell’intera partitura, l’Ouverture sembra ispirata, come notato da Otto Jahn, uno dei primi biografi di Mozart, al sottotitolo della commedia francese La folle journée; è infatti una pagina brillante, garbata, raffinata e con un tocco di ironia, che introduce perfettamente il vortice degli eventi. La Sinfonia in sol maggiore è una delle più famose opere di Joseph Haydn: in essa mostra tutta la sua maestria, dallo spumeggiante tema iniziale alla brillantissima coda. Si dice che Johannes Brahms, dopo aver sentito il secondo movimento (lento), avesse osservato: «Voglio che la mia Nona Sinfonia suoni come questo». Composta tra il 1800 e il 1802, la Sinfonia n. 2 in re maggiore op. 36 di Beethoven risente degli influssi della tradizione, soprattutto di Haydn e di Mozart; emana energia e serenità, nonostante nasca in uno dei momenti più dolorosi della vita del compositore, quando l’acutizzarsi della sua sordità lo portò a maturare la decisione di abbandonare la carriera concertistica, e il rifiuto della contessina Giulietta Guicciardi lo avesse deluso sentimentalmente. L’autorevole «Allgemeine Musikalische Zeitung», dopo una esecuzione del 1805 si espresse così: «Il Finale è troppo bizzarro, selvaggio e rumoroso. Ma ciò è compensato dalla potenza del genio che in quest’opera colossale si palesa nella ricchezza dei pensieri nuovi, nel trattamento del tutto originale e nella profondità della dottrina».

 

BIGLIETTERIA E INFORMAZIONI

Sede dei concerti: Corte d’Onore di Palazzo Reale | Piazzetta Reale 1 – Torino

 

Biglietti € 20 – Under 30 € 10

 

Vendita: da sabato 27 maggio alla Biglietteria e on line

 

Biglietteria Teatro Regio | Piazza Castello 215 – Torino

Tel. 011.8815.241 – 011.8815.242 – biglietteria@teatroregio.torino.it

Orario di apertura: da lunedì a sabato ore 11-19; domenica ore 14-18

 

Un’ora prima dei concerti al Golden Box presso la sede dei concerti

 

Vendita on line su www.teatroregio.torino.it e www.vivaticket.it

 

In caso di annullamento del concerto a causa del maltempo, non è prevista una data di recupero.

 

Qualora il concerto sia iniziato da almeno 20’ non è previsto il rimborso dei biglietti.

 

Per tutte le informazioni e gli aggiornamenti: www.teatroregio.torino.it | info@teatroregio.torino.it

 

Seguendo la stella

 

Si intitola Seguendo la stella il libro di Federica Mingozzi e Laura Travaini pubblicato da Geo4Map. Un piccolo gioiello editoriale che, avvalendosi della grafica di Mariella Tavarone e delle fotografie di Fabio Valeggia, propone un originale percorso sulle tracce delle Natività nel cuore del Cusio, il più romantico dei laghi italiani, tra l’isola di San Giulio, il Sacro Monte dedicato a Francesco d’Assisi e il borgo di Orta. Le oltre trecento pagine corredate da illustrazioni, foto, disegni e mappe accompagnano il lettore alla scoperta di uno degli angoli più suggestivi del Piemonte, celebrato da poeti, narratori e artisti.  Le sei Natività che si incontrano in questo percorso tra arte e fede sono ospitate in quattro luoghi di culto. La Basilica di San Giulio che la tradizione vuole sia stata la centesima chiesa edificata attorno al 390 dal santo originario dell’isola greca di Egina proprio sull’omonima isola del lago d’Orta, ospita le prime tre Natività: l’affresco datato 1486 con Maria e Giuseppe in atteggiamento orante mentre guardano con devozione il Bambino, adagiato per terra su un lembo del manto della Vergine, vegliato da un angelo e adorato dai pastori; l’affresco del Presepe che risale alla prima metà del XVI secolo e l’adorazione dei pastori, un olio su tela datato XVII secolo di autore ignoto anche se si ipotizza si possa trattare del pittore piemontese Giuseppe Vermiglio o del lombardo Giovanni Mauro della Rovere, noto come il Fiammenghino Maggiore. Nella chiesa della Santissima Trinità, al centro di Orta, si può invece ammirare la Natività di nostro Signore, olio su tela datato XVII secolo , opera attribuita al varesino Federico Bianchi. La quinta Natività si trova nella chiesa di San Bernardino, piccolo scrigno di bellezza nel borgo ortese, e rappresenta la Nascita di Gesù, una ancona lignea policroma datata fine XV – inizio XVI secolo con San Bernardino in ginocchio mentre adora il Bambino. Per vedere la sesta e ultima Natività occorre salire al Sacromonte e visitare la chiesa di San Nicolao che custodice  il dipinto raffigurante la nascita di Gesù, un olio su tela realizzato ante 1618 dal bolognese Camillo Procaccini. In origine l’opera era posizionata sull’architrave della prima cappella del Sacro Monte, dedicata alla nascita di San Francesco, unico caso di dipinto su tela presente in questo percorso devozionale. Ma il volume curato da Federica Mingozzi e Laura Travaini , utilizzando questo percorso d’arte come un filo conduttore dell’anima più vera del progetto, propone anche molto altro con riferimenti letterari, digressioni storiche, suggerimenti per una vacanza intelligente, percorsi in un ambiente unico tra boschi e laghi, curiosità gastronomiche  e culinarie coinvolgendo altri autori. Così si ritrovano, all’inizio di ogni capitolo, le riflessioni di Matteo Albergante e Roberto Cutaia, Alessandro Defilippi, Giovanna Mastrotisi, Gianfranco Quaglia, Bruno Quaranta, e dell’ortese Luisella Mazzetti. Fanno da contorno le osservazioni psicologiche di Maina Mainardi, i vini di Filippo Larganà e di Giovanni Brugo, le cartine artistiche di Patrizia Genta, i presepi di Letizia e Oscar Pennacino, le merende della cuoca JoGuendalina, le indagini tra le memorie rodariane di Barone, le parole spiegate da Elena Mastretta e tanti altri protagonisti. Un insieme che si muove con garbo e misura, in punta di piedi, con ritmi piacevoli come la danza di Selene Bonetti e la musica di Roberto Storace. Così, tutto d’un fiato, l’incidere del viaggio va oltre il Cusio attraversando il Verbano, toccando il Novarese, sfiorando il Piemonte. Come confessa Laura Travaini, scrittrice e vulcanica organizzatrice di eventi letterari e culinari, fondatrice e presidente dell’associazione Scrittori e Sapori “ con uno stile guizzante è nato un libro scintillante di stelle, mosso da piacevolissime onde lacuali, ricco dei colori digradanti delle alture, percorrendo il quale cose rare e preziose potrebbero essere rivelate. Ci sono molti modi per conoscere Orta San Giulio. Uno può essere quello di percorrerne le vie, attraversarne la piazza e le piazzette, raggiungere con un’imbarcazione l’isola, spingersi fino al Sacro Monte seguendo l’itinerario che conduce alla scoperta delle raffigurazioni artistiche di Natività”. Ed è esattamente ciò che propone Seguendo la stella.

Marco Travaglini

La Venezia nascosta di Hugo Pratt

 

Raccontava Hugo Pratt in un’intervista rilasciata all’Europeo all’inizio degli anni ‘70: “A Venezia studiavo, andavo a scuola, dimostravo di essere abbastanza dotato per il disegno, ma il mio scopo principale era di attraversare l’intera città da un tetto all’altro. Vivevo praticamente sui tetti, e, sui tetti, sotto le tegole, tenevo le mie cose, i miei giornali, i miei libri”. Considerato uno dei simboli della venezianità in realtà Hugo Pratt era nato a Rimini nel 1927. Giramondo e irrequieto, a dieci anni fu letteralmente trascinato in Africa dal padre, ufficiale dell’esercito, e restò nel continente nero fino al 1945, per poi vivere in Argentina e sviluppare lì la sua arte grafica e poi, dagli anni ’70 in avanti, sempre più spesso a Parigi e in Svizzera, a Losanna, dove morì nel 1995. Ma a Venezia, che lui adorava e di cui ha saputo esprimere l’essenza come pochi altri, Pratt ha vissuto intensamente tutta l’infanzia e una volta tornandovi si stabilì a Malamocco. “Scarso, Scarso, è pronto lo sfogio per Corto Maltese!”. Con questa battuta contenuta nell’Angelo della finestra d’Oriente, una delle sue storie veneziane, omaggiava la trattoria “da Scarso” a Malamocco, nella parte più meridionale del Lido, sulla laguna. Gestita dall’omonima famiglia, assieme all’annessa locanda, fa parte anch’essa della storia di Venezia. Sui suoi tavoli, a gustare sarde in saòr e baccalà mantecati, fritole e polenta e schie, risi e bisi, fegato alla veneziana, radicchi e ovviamente gli sfogi, cioè le sogliole, oltre all’autore di Corto Maltese si sono alternati tanti personaggi illustri, da Mario Soldati a Federico Fellini

 

. Tra calli, campielli e fondamenta della Serenissima Pratt amava perdersi, girovagando e incontrando il gruppo di amici storici che lui chiamava “i bighelloni di Venezia”, ritrovando il suo dialetto, rimanendo sempre fino al midollo un venessian. Del resto non fece mai mistero di considerare Venezia “il centro del mondo”, prediligendone le parti nascoste, quelle più intime e al di fuori dei classici itinerari dei turisti, dove stanno le corti sconte, quelle piazzette al riparo dallo sguardo indiscreto dei foresti. Raccontava, parlando della sua infanzia: “Avevo quattro o Cinque anni, forse sei, quando mia nonna si faceva accompagnare da me al Ghetto Vecchio di Venezia. Andavamo a visitare una sua amica, la signora Bora Levi, che abitava in una casa vecchia. A questa casa si accedeva salendo un’antica scala di legno esterna chiamata scala matta oppure scala delle pantegane, o ancora scala turca…andavo alla finestra della cucina e guardavo giù in un campiello erboso con una vera da pozzo coperta di edera. Quel campiello ha un nome: Corte Sconta detta Arcana. Per entrarvi si dovevano aprire sette porte, ognuna delle quali aveva inciso il nome di un shed, ossia di un demonio. Ogni porta si apriva con una parola magica”. In Favola di Venezia, venticinquesima avventura di Corto Maltese, ambientata nella Serenissima tra il 10 e il 25 aprile 1921, ci narra una storia che si svolge prevalentemente di notte, in equilibrio tra sogno e realtà, tra oriente e occidente, tant’è che nel fumetto compare anche il titolo in arabo del racconto ( Sirat Al Bunduqiyyah ). Nel finale, una rivelazione: “Ci sono a Venezia tre luoghi magici e nascosti: uno in calle dell’amor degli amici; un secondo vicino al ponte delle Meravegie; un terzo in calle dei marrani a San Geremia in Ghetto. Quando i veneziani (e qualche volta anche i maltesi..) sono stanchi delle autorità costituite, si recano in questi tre luoghi segreti e, aprendo le porte che stanno nel fondo di quelle corti, se ne vanno per sempre in posti bellissimi e in altre storie”. Nomi fantastici, luoghi magici, come maggior parte delle centinaia di ponti e calli nei rioni di Venezia dove, tra le ombre umide delle case strette sui rii silenziosi o sotto le logge dei grandi palazzi signorili, si svelano le trame di storie e racconti di epoche vicine o lontane. Come se tutto ciò non bastasse, Hugo Pratt si divertì un mondo a inventare nomi per i luoghi frequentati dal suo marinaio. Seguendo questa toponomastica fantastica si scopre che il ponte della Nostalgia è il ponte Widmann, nei pressi della Chiesa dei Miracoli, a Cannaregio o che il sotoportego dei Cattivi Pensieri in realtà corrisponde al Sotoportego dell’Anzolo che dà sulla Calle Magno, verso l’Arsenale, nel sestiere di Castello.

Il campiello de l’Arabo d’oro è in Corte Rotta a San Martino, nelle vicinanze di Campo Do Pozzi mentre la Corte del Maltese equivale a Corte Buello nei pressi di Corte Nova e  la Calle dei Marrani si trova in Salizada Santa Giustina, vicino a Campo San Francesco della Vigna, tutti nel sestiere di Castello. La famosa e già citata Corte Sconta detta Arcana è la Corte Botera  che deve il proprio nome ad una bottega di botteri, cioè di fabbricanti di botti, nei pressi della basilica dei Santi Giovanni e Paolo (detta San Zanipolo in dialetto veneziano) mentre nel citato racconto Pratt scelse l’abitazione di Tiziano come domicilio di Corto Maltese, nella corte che porta il nome del pittore, a Cannaregio. Negli ultimi suoi anni Hugo Pratt rammentava con un velo di tristezza il legame con la città sulla laguna, quasi parafrasando in maniera più o meno inconsapevole il testo della bella e triste canzone che Francesco Guccini ha dedicato alla città (“Venezia che muore, Venezia appoggiata sul mare, la dolce ossessione degli ultimi suoi giorni tristi Venezia, la vende ai turisti, che cercano in mezzo alla gente l’ Europa o l’ Oriente”). Quindi, per finire, è necessario ricorrere ancora alle parole del grande disegnatore: “Vado e vengo per il mondo, quasi senza meta. Ma a Venezia ci torno sempre. Cammino per le sue calli, attraverso i canali, mi fermo sui ponti e osservo che sulle rive non ci sono più i granchi che al pomeriggio se ne stavano pigramente a prendere il sole. Non ci sono più da tanti anni. Cerco i posti di quando ero bambino ma molte volte non li riconosco. La scala matta non c’è più e non più neppure la signora Bora Levi. Le finestre della sua casa sono murate, la fisionomia del luogo è cambiata. Quando chiedo non mi sanno rispondere. Gente giovane che non sa, oppure qualche vecchio che non vuole ricordare”.

Marco Travaglini

Chieri, un talent a cielo aperto per gli artisti locali

Mercoledì 21 giugno 2023

Piazza Cavour – ore 17.00

CHIERI SCOUTING FEST – OPEN STAGE

Otto talenti emergenti si esibiscono in piazza Cavour

tramite un totem tecnologico

 

Un vero e proprio talent a cielo aperto che sposa musica e innovazione tecnologica.

Mercoledì 21 giugno, in occasione della Festa Internazionale della Musica, 8 talenti emergenti si esibiscono in piazza Cavour, a Chieri, a partire dalle ore 17, alla presenza di professionisti del mondo musicale delle più importanti case discografiche.

Lo Scouting Fest è un evento speciale organizzato da Open Stage per dare nuove opportunità a giovani artisti del territorio, offrendo loro una modalità innovativa di emersione del talento. L’iscrizione è aperta fino al 9 giugno tramite la compilazione del form online: https://www.comune.chieri.to.it/portale-giovani/call-for-artists-chieri-scouting-fest

Open Stage è un totem tecnologico dotato di diffusori audio, mixer, luci led e sensoristica intelligente che si può prenotare e sbloccare attraverso una App, che consente agli artisti attraverso il loro smartphone di prenotare gratuitamente la loro esibizione in uno spazio pubblico cittadino, in questo caso piazza Cavour.

Un progetto di innovazione culturale e sociale realizzato da Officine Buone e finalizzato a creare una community di artisti, offrendo loro concrete connessioni con il mondo della musica professionale e favorendo la condivisione di cultura, arte e spettacolo.

Le esibizioni inizieranno il 21 giugno alle ore 17, sono previsti 8 slot da circa 30 minuti ciascuno. Saranno presenti esperti musicali di Warner Music Italy e Sugar Music. Sempre il 21 giugno, alle 11, è prevista una writing session con gli artisti selezionati per comporre insieme a dei professionisti i testi delle loro canzoni (sarà anche possibile assistere come spettatori).

Il totem Open Stage rimarrà installato temporaneamente in piazza Cavour anche per le giornate di sabato 24 e domenica 25 al fine di dare la possibilità anche ad altri artisti che si prenoteranno tramite l’App di esibirsi. L’attività si svolge grazie alla collaborazione del servizio di educativa di strada BroOut coordinato dalla Cooperativa Valdocco.

Dichiara l’assessore ai Giovani, Tempo libero e Associazionismo Paolo Rainato: «Chieri Scouting Fest sarà una sorta di talent a cielo aperto, dove la musica si sposerà con una tecnologia innovativa, permettendo ad artisti locali di suonare e cantare in pubblico, facendo conoscere i loro talenti ed entrando in contatto con professionisti del mondo discografico».

Il Comune di Chieri ha stanziato per l’iniziativa un contributo di 7.500,00 euro.

 

L’angolo della poesia: Giorgio Caproni, la vita e le opere

Di Gian Giacomo Della Porta e Mara Martellotta

 

“Ah mia famiglia, / mia famiglia dispersa/ come quella dell’Ebreo/ nel nome del Padre, del Figlio (nel mio nome)/ ah mia casata infranta- mia lacerata/ tenda volata via/con il suo fuoco e il suo Dio”

Giorgio Caproni, poeta, critico letterario, traduttore e scrittore italiano, nacque a Livorno nel 1912 da padre sarto e madre guardia doganale. Si pensa che un suo lontano parente, Bartolomeo Caproni, fosse un “contadino e consulente linguistico” di Giovanni Pascoli.

Ebbe un’infanzia travagliata, soprattutto quella compresa tra il 1915 e il 1921 definita dal poeta come “anni di lacrime e miseria nera” in cui, dopo la chiamata alle armi del padre, ebbe una vita nomade, alla ricerca di una situazione che gli conferisse serenità.

Caproni imparò a leggere da solo a quattro anni sulle pagine del Corriere dei Piccoli. Fu in quegli anni, precisamente durante la seconda elementare che scoprì tra i libri del padre un’antologia dei Poeti delle Origini (i siciliani, i toscani) di cui si appassionò. Seguì la lettura della Commedia dantesca che il padre comprava a dispense in edicola. Risale a quegli anni quello che egli stesso definì  “il baco della letteratura”, ovvero la necessità percepita di lettura e scrittura. Crescendo studiò da violinista, carriera che decise di troncare perché la sentiva lontana dal suo temperamento. Ritornò così alla sua passione originale per la poesia attraverso lo studio dei testi di Ungaretti, Montale, Cardarelli e Sbarbaro.

La prima raccolta intitolata  “Come un’allegoria” risale al 1936, seguita da “Ballo a Fontanigorda” del 1938, entrambe edite dall’editore genovese Emiliano degli Orfini.

Seguirono anni di silenzio dovuti al servizio militare e alla guerra che lo vide al fronte con il 42esimo reggimento fanteria di stanza a Sanremo.

La raccolta successiva, dal titolo “Il passaggio di Enea”, viene pubblicata nel 1956 e riflette la sua esperienza di combattente durante la seconda guerra mondiale e la Resistenza, oltre a una selezione di poesie appartenenti alle precedenti raccolte.

Nella sua poetica tratta temi ricorrenti quali la città natale, la presenza della madre, il viaggio e il linguaggio.

Non di rado Caproni utilizza assonanze per creare giochi di parole, ad esempio nel verso “Non si prega perché Dio esiste, ma perché Dio esista”.

Unisce una raffinata perizia metrico stilistica a un’immediatezza e chiarezza dei sentimenti.

Nel corso della sua produzione si concentra maggiormente sulla forma metrica spezzata e sul sonetto, utilizzando rime interne con enjambements (consiste nell’alterazione tra l’unità del verso e l’unità sintattica, ovvero è una figura retorica di sintassi o sintagma causata dall’interruzione del verso, la quale introduce un prolungamento del periodo logico oltre la pausa ritmica).

L’ultima fase della sua poesia insiste sul tema del linguaggio come strumento incompleto a rappresentare la realtà.

“Concessione / Buttate pure via/ ogni opera in versi o in prosa./ Nessuno è  mai riuscito a dire/ cosa è, nella sua essenza, una rosa”.

Sebastiano Vassalli e le sue terre d’acque

Il 26 luglio di otto anni fa si spegneva dopo una malattia fulminante e incurabile, avvolta nel più stretto riserbo, lo scrittore Sebastiano Vassalli.

Genovese di nascita (con madre toscana e padre lombardo) e novarese d’adozione, nella “terra d’acque” (come s’intitola anche uno dei suoi romanzi) ambientò alcune delle sue opere più significative, come Cuore di pietra, romanzo storico pubblicato nel 1996 da Einaudi nella collana Supercoralli, dove la maestosa casa del conte Basilio Pignatelli s’intuisce essere la novarese Villa Bossi, splendida dimora sul baluardo Quintino Sella, all’angolo con via Pier Lombardo. Laureatosi in Lettere con una tesi sull’arte contemporanea e la psicanalisi con Cesare Musatti ( il controrelatore fu Gillo Dorfles),Vassalli è stato uno dei più grandi scrittori italiani. Tra le sue opere, tradotte in molti paesi, una in particolare gli consentì di conoscere un importante successo nel 1990 quando gli venne assegnato il Premio Strega per La chimera, romanzo storico ambientato nella campagna novarese del Seicento. Il libro narra la storia di un processo (un episodio realmente accaduto) a una strega nella Milano dei Promessi Sposi, risalente al 1628. E la “chimera” altro non era che il monte Rosa per come appariva allo sguardo dei contadini che, tormentati dall’afa e chini sulle risaie del novarese, alzavano gli occhi verso l’orizzonte e vedevano stagliarsi lontano il massiccio della montagna innevata. Nelle opere di Vassalli la componente territoriale ha sempre avuto una rilevanza particolare, con la cornice del Piemonte e in particolare delle “terre del riso” nelle pianure a nordest. Nel 2011, Franco Esposito (poeta, direttore della rivista Microprovincia di Stresa) curò la monografia “La parola e le storie in Sebastiano Vassalli”. Un modo intelligente per festeggiare l’autore di tanti libri importanti da Abitare il vento a La notte della cometa ( romanzo sulla vita del poeta Dino Campana) , ai già citati Cuore di pietra e La chimera fino agli ultimi, molto belli, Le due chiese, Terre selvagge , Il confine e Io, Partenope. In quel numero della rivista, unendo gli sforzi editoriali delle Edizioni Rosminiane a quelli della novarese Interlinea, vennero proposti testi dello stesso Vassalli, belle foto e disegni oltre agli scritti di una lunga serie di intellettuali e letterati come Giorgio Bárberi Squarotti, Roberto Cicala, Franco Cordelli, Fulvio Papi e altri. Dalla prima stagione di Vassalli e dall’esperienza con la neoavanguardia del “Gruppo 63” all’originalissima cifra della sua opera letteraria, dal suo grande amore per la poesia alla fedeltà rara alla Einaudi (la casa editrice dello Struzzo) scorrendo le pagine di Microprovincia si intravvedeva tutta la complessità di questo scrittore straordinario. Una figura importante per la letteratura ma anche per il giornalismo al quale dedicò molte collaborazioni con le principali testate, da La Stampa, il Corriere della Sera e La Repubblica. Vassalli, uomo estremamente riservato, nel tempo aveva stretto un rapporto molto personale con la seconda città del Piemonte, il suo dialetto appartenente al ramo occidentale della lingua lombarda, il carattere degli abitanti e i luoghi novaresi. La cascina Marangana di Biandrate era il suo rifugio letterario,un buen retiro immerso tra le risaie a una dozzina di chilometri da Novara. Sulla porta d’ingresso di questa ex canonica trasformata in abitazione campeggia una scritta lapidaria, che vale più di tanti discorsi: i soli stanno soli e fanno luce. Vassalli sosteneva che “il mestiere dello scrittore consiste nel raccontare storie“. E aggiungeva: “Così era ai tempi di Omero e così è ancora oggi. È un mestiere antico come il mondo, che risponde a una necessità degli esseri umani, a un loro bisogno fondamentale: quello di raccontarsi. Finché ci saranno nel mondo due persone, ci sarà chi racconta una storia e ci sarà chi la ascolta“. La casa è ora un museo grazie al progetto dell’archivio Sebastiano Vassalli. Una felice intuizione tesa a costituire un centro di consultazione pubblica, a beneficio di studiosi e di quanti vorranno consultare il patrimonio culturale di questo grande scrittore.

Marco Travaglini

I segreti della Sindone nel libro di Paolo Antinucci

“Vedere la Sindone”, autore Paolo Antinucci, è il titolo del volume che verrà presentato al Circolo dei Lettori lunedì 12 giugno prossimo, presso la Sala della Musica

 

Lunedì 12 giugno prossimo, alle 18, al Circolo dei Lettori, si terrà la presentazione del volume “Vedere la Sindone” JouvenceMimemis Edizioni. Il sottotitolo è “Indagini sul suo vero autore”.

Il volume è  a firma di Paolo Antinucci, studioso di Estetica e di Ermeneutica, autore di studi sui linguaggi artistici e gnoseologici, curatore di mostre e convegni. Con l’autore dialogheranno Andrea Nicolotti e Rodrigo Boggero.

La Sindone è da sempre stata oggetto di mistero.  Ciò appare all’autore incontestabile e, anzi, la maggior parte di coloro che la studiano ne alimentano ancor più il mistero. Si sono tramandate e dette molte falsità sulla Sindone. L’autore si chiede perché l’uomo continui a guardare la Sindone e cosa cogliamo quando la guardiamo.

Oltre un secolo di speculazioni sulla sua autenticità ne hanno disinnescato il reale potere e la vera funzione. Demolendo e svelando queste argomentazioni storiche e scientifiche, o pseudoscientifiche, l’autore ne elabora una concenzione nuova, ben lontana da uno sterile scetticismo, per la quale la Sindone ha valore proprio perché  falsa. Ha un potere in sé e per sé, in quanto oggetto artistico e non reliquia. Il suo fascino è potentissimo, il suo magnetismo forte e innegabile e l’assurdità della sua stessa concezione risiedono nella sua artisticità e non autenticità. Secondo Paolo Antinucci la Sindone è  un oggetto estetico per eccellenza, un artefatto, non una frode.

L’autore si interroga su chi possa esserne stato il misterioso creatore di cui si vagheggia già a partire dai documenti più antichi. Dall’indagine emerge prepotentemente un nome che getta una luce nuova sul Medio Evo.

MARA MARTELLOTTA

I giovani protagonisti dell’Unione Musicale

Presentata la nuova Stagione dell’Unione Musicale 2023/2024. La principale novità di questa nuova edizione è quella di far esibire in maniera massiccia musicisti under 35 per l’esattezza 135. Il direttore artistico Antonio Valentino, si è mostrato entusiasta di questa scelta innovativa. Ad inaugurare la Stagione l’11 ottobre, sarà l’immenso Quartetto Emerson, impegnato nel suo ultimo tour europeo con quasi 50 anni di attività. Gli appuntamenti dedicati a violino e pianoforte da non perdere saranno la coppia Gil Shaham (violino) e Gerhard Oppitz (pianoforte), Gianluca Cascioli con la violinista Sayaka Shoji, il duo Kit Armstrong (pianoforte) e Fabrizio von Arx (violino), Patricia Kopatchinskaja (violino), e Polina Leschenko (pianoforte). Nutrito anche il numero dei pianisti a cominciare dal mitico Grigory Sokolov (concerto in collaborazione con Lingotto Musica), Alexander Gadijev, Filippo Gamba, Igor Levit, Gabriele Carcano, Pietro De Maria (che chiude il ciclo delle sonate di Beethoven  con l’op 106). Una nuova serie (Green Notes), riservata agli under 35 dove, “ci piacerebbe  che venisse un pubblico che non ha mai assistito a un concerto di musica classica” ha detto il direttore artistico Valentino. Il concerto durerà 45 minuti eseguito da giovani musicisti. Dopo ci sarà un aperitivo analcolico e la possibilità di chiacchierare,  confrontarsi, far domande agli artisti e si spera in un pubblico minorenne. Tra gli ospiti del Teatro Vittoria  ci saranno la violinista Letizia Gullino e il pianista Luca Troncarelli il violoncellista Jaemin Han e il pianista Claudio Berra , il Faccini Piano Duo, il Trio Pantoum, l’arpista Claudia Lucia Lamanna. Riconfermati “L’altro Suono”, “Solo per le tue orecchie”, “Didomenica”. Importanti anche i concerti Discovery dedicati alla World Music.

Pier Luigi Fuggetta