LIFESTYLE Archivi - Il Torinese

LIFESTYLE

La stagione degli asparagi

La stagione degli asparagi sta finendo. La tradizione torinese degli asparagi di Santena  e di Poirino impone tra pochi giorni di andare a fare l’asparagiata dal mitico “Andrea” che non a caso si è da tempo trasferito da Santena a Poirino  perché Santena è stata letteralmente cementificata  anche sui terreni agricoli dedicati alla coltivazione del l’asparago.
La capitale dell’asparago piemontese e’ oggi Poirino che la sindaca Angelita Mollo  ha saputo promuovere insieme alle tinche, finalmente riabilitate  .  Peccato che i ristoranti torinesi non abbiano mai pensato all’asparagiata, salvo un ristorantino in località Lingotto che offre però  un menu deludente. Anche il “Cambio” ignora  o quasi l’asparago che era nel menu con il grande commendator Parandero. Io ricordo quando mio padre mi portava da Pinin a Santena e in un ristorante di un hotel  di Cambiano purtroppo chiuso da tempo. C’era  anche il “Cigno“ oggi soprattutto pizzeria che ha perso lo smalto antico . Pinin era un personaggio di altri tempi che faceva nella settimana il rappresentante di tessuti e nel fine settimana faceva il ristoratore. Ma i suoi asparagi erano solo alla parmigiana  o alla Bismarck con le uova. Solo Andrea invento’ il menu tutto asparagi. I miei amici maestri tipografi Janni per molti anni mi portavano in omaggio gli asparagi di Santena sempre molto grandi e buoni  e mi consigliarono la trattoria della Pace a Santena  dove si mangiava un’asparagiata eccezionale. Poi la troppa frequentazione ha guastato la trattoria .Anche ad Albenga in provincia di Savona  c’è la specialità degli asparagi violetti , una squisitezza prediletta dai Reali inglesi. Solo Luciano al “Pernambucco” cucina in modo squisito i violetti. E il presidente dell’Accademia italiana della cucina , il medico – umanista Roberto Pirino ha fatto un’opera benemerita per valorizzare il violetto . Petrini penso ‘ di tutelare l’asparago ingauno  quando ormai i migliori terreni erano stati cementificati con l’approvazione del sindaco comunista Viveri . Il presidio di Slow Food si rivelò una beffa affidata ad un anziano savonese, tal  Albertazzi, accusato successivamente di essere un fascistoide. Gli asparagi erano molto amati dal Conte di Cavour  sepolto a Santena.  Ma gli asparagi sono anche coltivati nel Trevigiano e dintorni; sono bianchi, ma meno buoni dei verdi e dei violetti. Io li comprai sulle rive del Piave , ma furono una delusione. La mia amica Luisa mi ha fatto conoscere gli asparagi pugliesi  che piacevano tantissimo al Duca delle Puglie  Amedeo, poi divenuto Duca d’Aosta, l’eroe dell’Amba Alagi. Il suo omonimo nipote che pretese di essere l’erede dei Savoia con il consenso  autorevolissimo di un preside di scuola  saluzzese, non sapeva neppure dell’esistenza  degli asparagi pugliesi. E, in verità, ignorava, poveretto, tante altre cose.
PIER FRANCO QUAGLIENI

Torta delizia campagnola dal cuore morbido

Perfetta in ogni occasione. Un vero peccato di gola

E’ una crostata davvero speciale, un guscio di friabile pasta frolla burrosa dal cuore morbido morbido, ripieno di frutta di stagione, cioccolato e crema pasticcera, un mix di sapori e profumi che la rendono un’ irresistibile delizia. Perfetta in ogni occasione. Un vero peccato di gola.

Ingredienti:
Per la frolla
300gr. di farina
150gr. di burro
80gr. di zucchero
2 tuorli
Un pizzico di sale

Per la farcia:
3 tuorli
80gr. di zucchero
250ml. di latte
25gr. di farina
1 mela – 1 pera
100gr.di cioccolato fondente 70%
Buccia di limone grattugiata
Zucchero a velo per decorare

Preparare la frolla impastando velocemente nel mixer tutti gli ingredienti. Lasciar riposare l’impasto in frigo avvolto in pellicola da cucina per almeno 30 minuti. Preparare la crema pasticcera. Bollire il latte con la buccia di limone, filtrare. In una ciotola sbattere i tuorli con lo zucchero, aggiungere la farina setacciata e il latte caldo a filo. Cuocere per 8 minuti circa sempre mescolando. Lasciar raffreddare. Dividere la frolla in due parti, stenderla con il mattarello, con una parte rivestire una teglia da crostata precedentemente infarinata, bucherellarla e stendere sopra la crema pasticcera. Pelare e affettare la mela e la pera, disporle sulla crema. Far fondere il cioccolato con poco latte e distribuirlo sulla frutta. Coprire il tutto con la frolla rimasta. Infornare a 180 gradi per circa 50 minuti. Lasciar raffreddare e cospargere con zucchero a velo. Deliziosa consumata il giorno dopo.

 

Paperita Patty

 

Frittelle golose con salsa allo yogurt

/

Sempre appaganti e golose le frittelle, a chi non piacciono ?

Sono perfette per ogni occasione, saporite e croccanti stuzzicano l’appetito di tutti. Provatele con la salsina allo yogurt per rinfrescare la vostra cena.

Ingredienti

4 zucchine chiare medie
1 cipolla bianca piccola
3 uova
50gr. Parmigiano grattugiato
poca farina, sale,pepe, prezzemolo
1 vasetto di yogurt naturale
erba cipollina
Olio per friggere

Grattugiare le zucchine e lasciarle scolare per una mezz’ora. Affettare sottilmente le cipolle.
In una terrina sbattere le uova intere con il parmigiano, il sale, il pepe, il prezzemolo tritato, qualche cucchiaio di farina, poco latte. Mescolare bene e aggiungere le zucchine e le cipolle. In una larga padella scaldare l’olio e versare a cucchiaiate l’impasto. Lasciar cuocere e rosolare bene da ambo le parti. Preparare la salsina mescolando lo yogurt con erba cipollina, sale, pepe e poco olio
Servire caldo o tiepido.

Paperita Patty

Le ciliegie “salate”

/

Stavamo bevendo un bicchiere in compagnia quando Giorgio mi rivolse – all’improvviso – una domanda: “Ti ricordi quando andavamo per ciliegie?”.  Ci misi un attimo, giusto il tempo di mettere le mani nel cassetto dei ricordi e – trovato il filo giusto – mi vennero in mente, nitidamente, quei tempi

A Giorgio erano state le amarene rosso scuro che la Maria aveva sistemato nel cestino della frutta ad accendere la “lampadina“. In quell’istante, la nipotina della Maria, ne prese due coppie, tenute insieme dai gambi, e se le appese come fossero orecchini. Ridemmo, entrambi, di quel gesto che, tanti anni fa, avevamo fatto anche noi, scherzando tra ragazzini. All’epoca si andava in “banda” per i poderi a far razzia. Tra la fine di giugno ed i primi di luglio, nei tardi pomeriggi di quelle calde giornate d’estate, si cercavano gli alberi più carichi di ciliegie. Era una “caccia” troppo invitante. Le ciliegie sono frutti allegri, dissetanti. Ci sono quelle dolci, zuccherose, a polpa tenera ( le tenerine) e a polpa più carnosa (i duroni). E poi, le amarene e le marasche. Con gli anni ho imparato altre cose: oltre ad essere buone fanno pure bene. Sono indicate  nella cura di artriti, arteriosclerosi, disturbi renali. Contengono  buone quantità di fibre, potassio, calcio, fosforo e vitamine. Ci si possono produrre sciroppi, marmellate e liquori come maraschino, cherry e ratafià. Insomma, c’è tutto un elenco di cose positive che fanno rima con ciliegia. Ma noi, all’epoca in cui eravamo ragazzi, piacevano soprattutto perché erano il frutto di un piccolo furto e questo fatto, accompagnato dall’avventura, dai rischi e dalla voglia di trasgredire, rendeva le ciliegie il “frutto proibito” per eccellenza. Mario era arrivato al punto di sostenere una tesi tutta sua: Adamo ed Eva erano stati cacciati dal Paradiso non per colpa di una mela colta senza permesso ma di un cestino di ciliegie rosse e carnose. Il rischio più grande era quello di trovarle “salate“.

***

Infatti, capitava che i contadini di un tempo, poco inclini a tollerare le nostre scorribande, ci accoglievano con una doppietta caricata a sale grosso, determinati a scoraggiarci con la minaccia di  piantarci due schioppettate nel sedere. All’arrivo dell’estate, immancabilmente, sembravamo due eserciti in assetto di guerra. “Noi“, a gruppi di 4 o 5, lesti a salire sull’albero, cogliere le ciliegie al volo, riempire il sacco di tela o il cestino, cercando di fare il più in fretta possibile. “Loro“, i proprietari dei ciliegi dove cresceva quel ben di Dio, confezionavano cartucce di diverso calibro con sale grosso, in sostituzione dei pallini di piombo. Rinforzavano anche le linee difensive lungo i confini dei frutteti: reti metalliche orlate di filo spinato, staccionate, siepi irte di spine. Era la “guerra delle ciliegie” che, in altre località, si trasformava in una vera e propria “guerra della frutta”. Se i contadini erano i difensori del loro diritto alla proprietà privata noi, gli incursori che negavano questo diritto, sostenendo che la natura non aveva padroni, colpivamo senza pietà, svanendo subito dopo nei boschi e nella campagna circostante, a volte trascinandoci appresso i compagni feriti. “Lo si faceva per fame e per gioco. Per molti di noi era l’unico modo per mettere sotto i denti quella frutta che non potevamo comprare. Ed era una cuccagna perché a casa il cibo era scarso“, rammentava Giorgio. E, come un rosario, sgranavamo i  nomi dei nostri compagni di quella guerriglia senz’armi: io e Giorgio, Mario, Luigino “Trota” – abilissimo nel pescare nei ruscelli e nel fiume -, Remo, Marco ed anche Marina. Era, quest’ultima, una ragazzina sveglia che dava dei punti a tutti noi. Ed era golosissima di ciliegie. Il campo di battaglia più duro era il frutteto del vecchio Roger Zuffoli, detto “il marsigliese“. Aveva un paio d’ettari piantati a frutta dove si trovava di tutto: susine, albicocche, pesche, mele, pere ed ovviamente ciliegie ed amarene. Verso il limite del bosco aveva anche noci e nocciole. Roger, piccolo e secco, vestiva i pantaloni alla zuava e camicie a quadrettoni mentre in testa teneva sempre il suo basco calato sulle “ventitré“. All’epoca poteva avere si e no una settantina d’anni, gran parte dei quali passati a scaricare merci nei porti di Marsiglia e di Tolone. Era tornato a Baveno già anziano perché, diceva, ” dopo tanta acqua salata ho sentito la nostalgia dell’acqua dolce del Maggiore“. In ricordo di quegli anni, al circolo comandava sempre un bicchiere di  “pastis“,  liquore profumato all’anice, tipicamente francese, che allungava con l’acqua di una caraffa dove galleggiavano dei grossi pezzi di ghiaccio. Attaccare le sue piante era molto ma molto rischioso. Raramente riuscimmo a farla franca ed una volta, quasi, ci lasciammo le penne. Quell’episodio, ancor meglio di me se lo ricorda Mario. Stranamente silenzioso, il frutteto pareva incustodito quella sera. Saranno state le diciannove o poco meno. Roger mangiava presto e quindi pensavamo fosse quello il momento giusto per compiere l’incursione. Invece il perfido vecchietto, mangiata la foglia, si era appostato dietro al piccolo fienile con la doppietta in mano.

***

Non facemmo in tempo a renderci conto di quanto stava accadendo che l’eco dello sparo risuonò secco, costringendoci a tappare le orecchie. Colpito al sedere dalla fucilata di sale grosso, Mario cadde dal ramo. Dolorante si rialzò e tutti insieme corremmo a più non posso verso il bosco per far perdere le tracce. Mentre fuggiva a gambe levate, Mario sentiva il dolore delle ferite, poi il bruciore dei grani di sale che si scioglievano nella carne viva. Appena avvistò il ruscello, vinto dal bruciore, si gettò nell’acqua per calmare il fuoco che gli stava divorando il fondoschiena. Ma il rimedio si rivelò peggiore del male: l’acqua , accelerando lo scioglimento del sale, rese insopportabile il bruciore. Remo, appassionato collezionista di francobolli, portava sempre con se una pinzetta e con quella, tra le grida ed i lamenti di Mario, estraemmo i grani di sale, pulendo alla meglio le ferite. Per un po’, da quella sera, gli assalti vennero sospesi per poi, calmate le acque, proseguire per la disperazione dei contadini della zona, compreso Roger. Quella volta però, la “missione” si era conclusa senza il “bottino“. Mario , d’allora, non volle più prendere parte alle nostre imprese. L’invitavamo, lo pregavamo ma lui diceva sempre di no,  opponendo resistenza. Diceva che lui, ormai, non aveva più “il sedere di una volta“. In cuor nostro non ce la sentivamo di dargli torto.

Marco Travaglini

Attenzione agli standard severi

Ognuno di noi si pone degli obiettivi, nella vita intera come pure nel breve tempo, e mette in campo una serie di tecniche, di piani, di modalità per conseguirli.

Può essere l’acquisto di un appartamento, aumentare i propri redditi, ingrandire il giro di affari della propria azienda o, più semplicemente, programmare un viaggio a lungo raggio o organizzare la festa per l’anniversario di nozze.

E’ evidente come la differenza tra i vari obiettivi comporti un conseguente impegno diverso da un obiettivo ad un altro: acquistare un appartamento comporta disporre dei soldi, selezionare la zona, scegliere l’appartamento, predisporre il trasloco e valutare l’impatto sul lavoro della nuova destinazione; una festa per il proprio anniversario comporta sicuramente impegni meno onerosi sia finanziariamente che in termini di stress.

Occorre, tuttavia, valutare bene se si tratti di un obiettivo che, una volta raggiunto, non proseguirà nel tempo (la festa per l’anniversario, per esempio) o se darà luogo ad un cambiamento duraturo (l’appartamento) e valutare, con concretezza e umiltà, se sia un obiettivo raggiungibile e a quale costo o se sia preferibile rivedere i nostri progetti.

In un’epoca nella quale tutti vogliamo tutto, lo vogliamo in fretta, siamo stressati anche senza bisogno di aggiungere progetti o cause di stress e siamo in continua competizione con chi ci circonda, è evidente che porsi obiettivi di difficile conseguimento è sicuramente fonte di stress e di frustrazione quando ci si rende conto di non poterli raggiungere.

Molti di noi hanno, come forma mentis, il doversi sempre confrontare con i vicini o i colleghi o i conoscenti, lasciando che le aspirazioni ed i sogni nascano dall’apparenza più che da una conoscenza reale dei fatti: il mio vicino ha una casa lussuosa e fa l’impiegato? Chi sono io per non poterne avere una uguale?

Magari è un’eredità ma non ce lo ha detto, oppure l’ha comprata all’asta e dentro è tutta da ristrutturare o, più banalmente, è in affitto.

Il mio collega compra un’auto nuova, magari più grossa di quella precedente? Bene, comincio ad informarmi presso i concessionari per comprarne una anch’io; forse ad un’analisi più accurata scoprirei che è portatore di handicap ed ha diritto ad una riduzione dell’IVA (legge n. 104/1992) e magari altri sconti. Sono sicuro che pagherebbe volentieri il prezzo intero se potesse rinunciare all’handicap.

Il filosofo cinese Sun Tzu sosteneva che “Ciò che da valore alla guerra è la vittoria”; se ci si arrende il valore è nullo. Se la guerra è il nostro progetto per giungere ad un risultato e la vittoria è il raggiungimento dell’obiettivo, dobbiamo partecipare ad una guerra solo se siamo sicuri di poter vincere.

Sun Tzu, che oltre ad essere un filosofo era un militare, disse “Vincerà chi saprà quando combattere e quando evitarlo; chi saprà come gestire una forza sia superiore sia inferiore al nemico; vincerà chi al suo interno sarà animato dallo stesso spirito a prescindere dal rango; chi si preparerà adeguatamente e saprà cogliere l’avversario impreparato. Se conosci le tue capacità e quelle del nemico non dovrai temere l’esito di cento battaglie; se conosci te stesso, ma non il tuo avversario, per ogni vittoria subirai una sconfitta, ma se non conosci né la tua forza, né quella del rivale, perderai in ogni battaglia”. Sun Tzu nel VI sec. a.C. sicuramente non si poneva il problema di quale casa comprare e forse non era neppure sposato ma i suoi insegnamenti sono certamente applicabili alla realtà odierna. Oggi alcuni nostri obiettivi prendono il nome di “standard severi” e possono diventare, di fatto, una trappola.

Qual è il prezzo che dobbiamo pagare per raggiungere e mantenere quello standard? Siamo sicuri che gli sforzi (mentale, fisico, economico) messi in pista per raggiungere ciò che ci siamoprefissati non siano eccessivi? Che il nostro obiettivo sia raggiungibile anche se dovessimo rinunciare a qualcosa? In tal caso questa rinuncia sarebbe fattibile?

Il primo parametro da valutare è perché vogliamo raggiungere quello standard: reale necessità, voglia di migliorare, sfizio?  Poi, non da meno, per raggiungere l’obiettivo prefissato potrei dover rinunciare a qualcosa: ne vale la pena? Sono pronto a tale rinuncia? Sono sicuro che ciò che vorrei raggiungere sia realmente ciò che desidero o che mi serve?

Non stiamo evidentemente parlando di cose banali; prendetevi il tempo necessario, documentatevi ovunque sia possibile e con chiunque sia in grado di fornirvi pareri competenti e imparziali e poi rivalutate. Se ci credete ancora procedete, altrimenti non vergognatevi a ridimensionare il sogno o a modificare il vostro obiettivo.

Errare è umano, perseverare nell’errore è degli stolti.

Sergio Motta

Menta e Rosmarino torna sul lago d’Orta

Undicesima edizione

10-11 giugno 2023

Villa Nigra, Miasino (Lago d’Orta, NO)

Sabato 10 e domenica 11 giugno torna Menta e Rosmarino, il celebre evento multidisciplinare dedicato a piante, fiori e cultura organizzato da Associazione Asilo Bianco nel parco della storica Villa Nigra a Miasino (NO), sulle colline che si affacciano sul Lago d’Orta in Piemonte.

L’undicesima edizione continua a confrontarsi e interrogarsi sul fondamentale e indissolubile legame tra uomo e ambiente. I protagonisti sono come sempre vivaisti ed esperti di giardino: un grande percorso a cielo aperto tra natura, ambiente, cultura, arte, riciclo, ecologia, giardino, design, disegno e paesaggio. Ma anche conferenze, passeggiate, approfondimenti e laboratori per grandi e piccoli.

Nelle sale affrescate al piano nobile di Villa Nigra sarà visitabile la mostra “Oltre il Giardino” a cura di Ilaria Macchi, dedicata alla relazione tra essere umano e natura (dal 27 maggio al 23 luglio, giovedì-domenica, 14:30-18:30), con opere di Linda Carrara, Matteo Giuntini, Lorenzo Gnata, Leila Mirzakhani, Barbara Stimoli e Titta C. Raccagni.

Quest’anno Menta e Rosmarino, con una trentina di espositori, sarà non solo nel parco di Villa Nigra, ma anche in quello di Palazzo Sperati, sede del Comune di Miasino e direttamente collegato alla Villa. L’evento è come sempre aperto a tutti e a ingresso gratuito.

Confermati il sabato pomeriggio il laboratorio per bambini sul libro Rosmarina a cura di Maddalena Garavaglia per Letture Amene e la conferenza Il giardino che accoglie con Maria Cristina Pasquali e Carola Lodari, in collaborazione con Editoria e Giardini.

Domenica mattina in programma la conferenza Pollici verdi con il Floral & Garden designer David Zonta: la conoscenza del verde in casa in relazione al prendersi cura di sé stessi e del pianeta in cui abitiamo. Nel pomeriggio di domenica, “Germogliano storie”, secondo laboratorio di Letture Amene a cura di Pigi.

Come sempre, in programma anche visite guidate ai beni storico-artistici di Miasino con la guida Cosetta Dal Cin, l’apertura del Giardino dei semplici, delizioso giardino che raccoglie circa 100 piante usate nella medicina popolare, passeggiate guidate tra Ameno e Miasino (a offerta libera) a cura di Monterosa Promotion per collegare Menta e Rosmarino a Letture Amene, Festival della natura, degli albi illustrati e delle arti.

Sarà inoltre possibile seguire il percorso del sentiero Carlo Nigra, tracciato da Itinerarium, che connette i luoghi del Nigra tra Orta San Giulio, Ameno e Miasino.

Tutti gli aggiornamenti e le informazioni utili sono disponibili sul sito asilobianco.it e sui canali social dell’associazione. Per restare aggiornati su tutte le iniziative ci si può iscrivere alla newsletter qui: http://eepurl.com/gjEklf

La squadra di Asilo Bianco indosserà i grembiuli di Il Grembiale Milano, realizzati con materiale ottenuto dal riciclo di bottiglie di plastica. Per tutti le originali caramelle e tisane dal potere rivitalizzante delle erbe alpine svizzere Ricola, partner della due giorni. Si ringraziano per il sostegno Immobiliare Ortalloggi, Le Camion Chef à Porter, La Genzianella, Taverna Antico Agnello, Agenzia Turistica Locale della Provincia di Novara, Prodotto Ambiente.

Villa Nigra, Piazza Beltrami 5, Miasino (NO)

asilobianco.it

IG Asilo Bianco

FB Asilo Bianco

Menta e Rosmarino è possibile grazie alla collaborazione con il Comune di Miasino, al progetto Lago d’Orta Moving Connections finanziato da Fondazione Cariplo e al percorso Interreg Italia-Svizzera Di-Se – DiSegnare il territorio che vede coinvolti, insieme ad Asilo Bianco, Associazione Musei d’Ossola e Museumzentrum La Caverna di Naters.

Asilo Bianco è una piattaforma di lavoro nata nel 2005 sul Lago d’Orta, in Piemonte, un gesto creativo dell’artista Enrica Borghi. Da anni lavora per rigenerare luoghi dimenticati e per far germogliare la cultura di un territorio attraverso i semi dell’arte contemporanea. Asilo Bianco promuove una programmazione di corsi e workshop online e in presenza (Asilo Bianco Academy) ed eventi culturali interdisciplinari. Quello dell’associazione è un impegno che guarda all’arte, all’architettura, al design, al cinema, alla letteratura, alla fotografia, al sociale, all’ambiente – asilobianco.it

Arrigo e “I Trambusti”, tra fiori e balere

Arrigo Molinetti, di professione fiorista, cantava sempre.Ogni occasione era buona per allenare l’ugola: sia che stesse recidendo i gambi delle rose per una composizione a beneficio di una coppia d’innamorati, sia che stesse legando con il fil di ferro i garofani a una corona funebre.

Prima di scoprire d’avere il “pollice verde” era stato per una decina d’anni impiegato – come tornitore – in una ditta metalmeccanica di Omegna, sul lago d’Orta. Ma tra un mestiere e l’altro, non aveva mai smesso di coltivare la sua grande passione per la musica. Il suo idolo era Enzo Jannacci. Si era talmente immedesimato nell’interpretazione del repertorio del cantautore e cabarettista milanese che, per amici e conoscenti, era ormai diventato lui stesso lo “Jannacci“. Smesso di fare l’operaio e aperto il negozio di fiori sul lungolago, aveva deciso di dedicare più tempo alla sua passione. Posate le forbici e levati i guanti si chiudeva alle spalle la saracinesca e, chitarra in spalla, correva ad esibirsi nelle balere, nei circoli e anche per strada. Capitava di incontrarlo, tutto trafelato, mentre inforcava la sua lambretta per andar a fare il “cantante“. Salutava tutti con un “Oilà.. Si parte! Stasera facciamo muovere le gambe ai ballerini“. E si riferiva agli amanti del ballo in piazza a Cesara e aNonio, ai “danceur” del circolo di Luzzogno o delle sale da ballo del borgomanerese. Parlava al plurale, riferendosi al sodalizio che aveva stretto con Virgilio Galaverna, l’altro componente della sua band, “I Trambusti“. Quest’ultimo era un suo “pari”, anche se di ceppo più nobile. Il Galaverna, infatti, era giardiniere all’isola Madre, situazione che – come potete ben capire – comportava una certa responsabilità. Sulla più grande delle “Borromee” aveva a che fare con un patrimonio botanico di tutto rispetto. L’isola, larga 220 metri e lunga 330, é occupata soprattutto da giardini. Discendente di una delle famiglie più celebri  di quegli hortolani che , dal ‘500, accudivano quel ben di Dio che aveva  nel romantico giardino all’inglese la sua perla più rara e invidiata, era anch’esso un musicomane. Potava, piantava, travasava, innaffiava e innestava ma soprattutto cantava. Accompagnandosi con la sua Soprani classica, una signora fisarmonica, dava il ritmo alle canzoni del Jannacci.  I Trambusti, sul palco, perdevano quella timidezza che li contraddistingueva quando maneggiavano i fiori e avviavano il concerto seguendo, da consumati professionisti, la scaletta del loro “borderò” , partendo – immancabilmente – da ” El portava i scarp da tennis” .

In breve snocciolavano a perdifiato  le canzoni dei primi tempi come Andava a Rogoredo, La luna è una lampadina, T’ho compràa i calzett de seda , Faceva il palo, Ho visto un Re, Giovanni telegrafista e la celeberrima  Vengo anch’io. No, tu no. La seconda parte era tutta una tirata a perdifiato con Mexico e nuvole, Ci vuole orecchioSilvano, Bartali, Soldato Nencini eQuello che canta onliù . Se gli chiedevano il bis, cosa che accadeva molto spesso, i due si lasciavano andare ad una terna di canzoni ad effetto: Veronica, L’importante è esagerare e L’Armando.Erano ricercatissimi e nel tempo, dopo aver battuto in lungo e in largo la zona del lago d’Orta e del Mottarone, la bassa novarese e persino il Verbano su fino alla sbarra doganale con la Svizzera, arrivarono a sconfinare in terra lombarda, sulla sponda magra del Maggiore, suonando nelle sale da ballo e in qualche “pub” di Angera, Laveno, Luino e Maccagno. Quando passavo davanti al negozio dell’Aristide, in via Mazzini, a fianco dell’Albergo Croce Bianca, mi salutava intonando a voce piena“..Che scuse’ ma mi vori cuntav d’un me amis.. el purtava i scarp de tennis,  el parlava de per lu e rincorreva gia’ da tempo un bel sogno d’amore..l’avea vista passa’ bianca e rossa che pareva il tricolore..”. Questo accadeva nei giorni feriali perché se lo incrociavo la domenica mattina, mentre usciva da messa ( era un praticante molto devoto e pur di non mancare alla funzione festiva era disposto a tradire anche la passione per la musica), mi salutava con un“Forza,maestro, tira fuori la voce che  cantiamo insieme” e, senza attendere la mia risposta, attaccava con “L’Armando“: “..Tatta tira tira tira tatta tera tera ta .Era quasi verso sera  se ero dietro, stavo andando che si è aperta la portiera è caduto giù l’Armando”.  I Trambusti sono andate avanti per quasi vent’anni. Poi al Galaverna è venuta un’artrite alle mani. Colpa dell’umidità, dello stress e dei veleni dei diserbanti. Non riusciva più a farle correre sulla tastiera della “fisa” e così, immalinconito e giù di corda, aveva smesso di suonare. L’Arrigo “Jannacci“, senza la sua spalla, ripose nell’armadio la chitarra e si limitò a fischiettare le sue canzoni lavorando in negozio. Con i concerti non avevano tirato su più di tanto. Per le loro prestazioni non chiedevano mai somme di denaro ( “il soldo fa arrugginire le corde vocali. Se lo dovessi fare per denaro non riuscirei più ad intonare un fico secco“, diceva Molinetti, gonfiando il petto con un moto d’orgoglio). Accettavano solo pagamenti in natura. Un pollo, un coniglio nostrano, mezzo tacchino arrosto, un “cavagnin” di prodotti dell’orto, marmellate fatte in casa e, qualche volta, i baci carnosi di qualche bella ostessa, ben felice di provare a vedere se quelle labbra erano poi così morbide e dolci come le parole di alcune canzoni.

Marco Travaglini

Vino, Piemonte sotto i riflettori con Cascina delle rose

IL RITORNO DEI VINI NATURALI, 10 ANNI DOPO: 

Il Gambero Rosso di giugno rilancia a dieci anni di distanza la vecchia provocazione 
con una nuova storia copertina: a rispondere anche Vinicio Capossela. 
Tra i pionieri e 10 nuovi riferimenti da non perdere, con 22 bottiglie da mettere in cantina, 
la cantina del cuneese con i suoi barbaresco

 

Roma, giugno 2023 – Rimanda a Giorgio Gaber la nuova provocazione lanciata da Vinicio Capossela sull’ultimo numero del Gambero Rosso, il primo sotto la nuova direzione di Marco Mensurati: i vini naturali sono di destra o sono di sinistra? La risposta per Capossela è chiara: sono di sinistra e sono talmente buoni da annebbiare le menti degli elettori, allontanandoli dalla politica come Calypso con Ulisse. In Vinicio veritas: “Amore e vino sono due forze che si alimentano” racconta Capossela. “L’amore come la vite ha bisogno di essere guidato, ha bisogno del sostegno per sollevarsi in alto, per arrivare alla luce e prendere forza dalla terra. L’intreccio degli amanti rimanda un po’ a quello della vite che produce frutto”. E a domanda se vino naturale o vino convenzionale risponde: “È un po’ come contrapporre il vinile alle piattaforme digitali. La grande massa del mercato è fatta dai vini convenzionali e non potrebbe essere altrimenti. Un vino naturale non può essere prodotto in grandi quantità e con costi competitivi. E di sicuro non può piacere a tutti. Il vino naturale richiede anche una capacità di accogliere il difetto che fa parte della natura. Il grande Gianni Mura mi disse una volta: ma sei matto a bere vini naturali? Non lo sai che il vino naturalmente diventa aceto? E in effetti spesso c’è una spunta acetosa in questi vini di “fiore e feccia”. Mi rendo conto che ci vuole una abitudine e forse anche una rieducazione al gusto, ma una volta che ci si è abituati non si riesce più a tornare indietro. O almeno a me non è riuscito più”.

 

A dieci anni da un editoriale che infiammò il settore, la bibbia dei tre bicchieri torna a rifare il punto su un movimento che ha avuto una forza dirompente, anticipando tempi e temi. Il vino naturale è ovunque, anche se per legge non esiste: per il sentire comune indica un vino prodotto da viticoltura biologica o biodinamica, fermentato con lieviti indigeni, vinificato nella maniera meno interventista possibile nel rispetto della sua unicità con una dose minima di solforosa in fase di imbottigliamento.  E la sua storia l’hanno fatta etichette coraggiose e visionarie come Radikon, Gravner, Cornelissen, Occhipinti, Rinaldi, Bellotti, Pepe, Maule, Morganti e Foradori. A loro, che hanno aperto una via maestra al naturale, si aggiungono oggi dieci nuove stelle emergenti, dove il Piemonte brilla con Cascina delle Rose, azienda che Gambero Rosso racconta così: ”Riccardo e Davide hanno dato un bel carico di energia a questa bella cantina, fortemente voluta e resa celebre da Giovanna Rizzolio, fautrice dell’estrema naturalità dei vini e da sempre ostile alla chimica in vigna. Le uve coltivate rappresentano le tre tipologie classiche della zona, con dolcetto e barbera a fare da spalla al preponderante nebbiolo, da cui nascono i due Barbaresco: Rio Sordo e Tre Stelle. La filosofia aziendale si richiama alla classicità della tradizione, interpretata con eleganza e fedeltà al territorio”.

 

Azienda famigliare nata nel 1948, Cascina delle Rose prende avvio nell’immediato dopoguerra quando i nonni di Giovanna, Beatrice e Ferdinando Rizzolio, si innamorano di una casa e della sua vista sullo spettacolo naturale delle colline fino alla cornice delle Alpi: siamo nella sottozona del Rio Sordo dove si trovano terreni a stratificazione fitta e diversificata: dalle marne blu tufacee a terreni calcarei dove la notevole componente minerale dona un risultato finale di grande carattere e finezza alle preziose etichette di una cantina amata e apprezzata in tutto il mondo per il suo fortissimo legame con il territorio.

 

Travellers’ Choice Hotel Best of the Best 2023: 2° posto per il Turin Palace Hotel

Sale sul podio del Travellers’ Choice Best of the Best 2023 il Turin Palace Hotel che conquista la seconda posizione in Italia e la 24esima in Europa.

Il premio viene conferito agli hotel che non solo raccolgono un elevato numero di recensioni e opinioni eccellenti della community di Tripadvisor per un periodo di 12 mesi, ma soddisfano anche i rigorosi standard di fiducia e sicurezza richiesti dal canale.

Degli 8 milioni di profili presenti su Tripadvisor, meno dell’1% riceve infatti l’Award che diviene rappresentazione del più alto livello di eccellenza nel settore dell’ospitalità.