POLITICA

AVS: cambiare la disciplina sul gioco d’azzardo

Condividiamo le istanze di Libera, della CGIL e delle associazioni che oggi sono tornate sotto Palazzo Lascaris per sollecitare il Consiglio a cambiare la disciplina sul gioco d’azzardo, come richiesto da oltre 12.000 cittadini e cittadine piemontesi che avevano firmato per la proposta di legge di iniziativa popolare archiviata in dieci minuti dalla destra nella precedente legislatura.
La Giunta Cirio ha cancellato nel precedente mandato la legge regionale sul gioco d’azzardo n. 9 del 2016, l’unica che aveva saputo contrastare il fenomeno, facendo risparmiare ai e alle piemontesi oltre 200 milioni di Euro. La nuova legge approvata nel 2021 è una liberalizzazione di fatto del gioco d’azzardo e un vero e proprio favore alle lobby del gioco.
E’ tempo di rimediare all’errore fatto: le norme attuali stanno creando enormi problemi, economici e di salute a migliaia di persone fragili in Piemonte, ci aspettiamo che la maggioranza non resti sorda a questi problemi e abbia il coraggio di riaprire davvero la partita
Alice Ravinale
Valentina Cera
Giulia Marro

Pompeo (PD): “Approvato ODG per rinnovo convenzione Osservatorio Culturale”

“Un passo importante per la promozione delle attività culturali”

 “E’ stato approvato dal Consiglio regionale, l’ordine del giorno da me presentato che impegna la Giunta regionale a rinnovare la convenzione con l’Osservatorio Culturale del Piemonte e a stanziare le risorse necessarie per il suo funzionamento. Questo non solo consentirà di disporre di dati aggiornati e affidabili, ma garantirà anche una valutazione continua delle politiche culturali in atto, un aspetto particolarmente rilevante alla luce dell’introduzione – da parte della Regione – della programmazione triennale” spiega la Consigliera regionale del Partito Democratico Laura Pompeo.

“Da oltre venticinque anni l’Osservatorio Culturale del Piemonte (OCP) svolge un ruolo cruciale nell’analisi, monitoraggio e promozione delle attività culturali sul territorio. Inoltre, attraverso una partnership pubblico-privata che coinvolge istituzioni, fondazioni, enti di ricerca e associazioni di categoria, offre un supporto tecnico e scientifico fondamentale e la sua attività è stata determinante per lo sviluppo delle politiche culturali della nostra regione, contribuendo a migliorare l’accesso alla cultura per tutte le fasce della popolazione” aggiunge Laura Pompeo.

“Negli ultimi anni – conclude la Consigliera Pompeo – il settore culturale piemontese ha subito significativi cambiamenti, anche a causa degli impatti derivanti dalla pandemia e dalla digitalizzazione, e  l’OCP ha dimostrato di essere un faro di eccellenza, riconosciuto non solo in Italia, ma anche in Europa per la sua capacità di analizzare e monitorare le politiche culturali e per il suo impegno nella promozione della diversità culturale e dell’inclusività. Oggi abbiamo ottenuto un impegno importante da parte della Giunta regionale: la garanzia che l’Osservatorio potrà continuare a svolgere un ruolo di orientamento strategico per le future politiche regionali, promuovendo la valorizzazione e la tutela del nostro patrimonio culturale”.

Fdi, Approvato il Programma della cultura per il triennio 2025/2027

Antonetto, Presidente Commissione Cultura: Un passo avanti importante per dare stabilità e visione al mondo culturale”

Il Consiglio regionale ha espresso parere favorevole sul Programma Triennale per la Cultura 2025–2027, che definisce le linee guida e le priorità degli interventi regionali in ambito culturale per i prossimi tre anni.

Questo nuovo Programma rappresenta un passaggio decisivo verso una politica culturale più stabile, strutturata e capace di rispondere con concretezza alle esigenze del territorio”, ha dichiarato Paola Antonetto, Presidente della Commissione Cultura in Consiglio Regionale. “La conferma della triennalità, già introdotta nel precedente piano 2022–2024, consente agli operatori culturali di progettare sul medio periodo, superando la logica della precarietà annuale e restituendo fiducia e prospettiva al comparto”.

Tra i punti salienti del documento: il consolidamento delle convenzioni triennali con gli enti culturali partecipati, l’apertura a convenzioni con soggetti pubblici per obiettivi strategici, l’aumento dei bandi triennali, e un rinnovato impegno sul fronte della semplificazione amministrativa, con l’obiettivo di snellire procedure e liberare risorse per la progettazione.

Semplificare vuol dire valorizzare il lavoro degli operatori culturali, permettere loro di concentrarsi su ciò che sanno fare meglio: costruire contenuti, creare reti, dialogare con i territori. È una richiesta che arriva forte dal basso, e a cui abbiamo voluto dare una risposta concreta” ha aggiunto Antonetto.

La Presidente ha inoltre espresso un sentito apprezzamento per il lavoro dell’Assessore alla Cultura, Marina Chiarelli, e per l’impegno complessivo della Giunta regionale, che ha saputo costruire un Programma solido, orientato alla visione, ma anche capace di offrire risposte operative e misurabili.

L’attenzione mostrata dall’Assessore Chiarelli e dalla Giunta nei confronti del comparto culturale è stata chiara e concreta. Il lavoro di squadra tra assessorato e Commissione ha prodotto un documento equilibrato, ambizioso e vicino ai territori. È questo il metodo giusto per rafforzare la cultura in Piemonte” ha rimarcato Antonetto.

Il Programma dedica inoltre particolare attenzione ai territori meno serviti dalla programmazione culturale, come le aree montane e i piccoli comuni, e premia i progetti capaci di integrare inclusione sociale, sostenibilità ambientale e partecipazione attiva.

La cultura deve essere accessibile e capillare. Con questo Programma ribadiamo che nessun territorio è marginale e che ogni progetto culturale può essere uno strumento di crescita, coesione e innovazione” ha concluso la Presidente Antonetto.

Il Programma Triennale 2025–2027 rappresenta dunque una cornice strategica per rafforzare il ruolo della cultura come leva di sviluppo sociale ed economico per l’intera comunità piemontese.

Addio a Varacalli, consigliere della 4

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Lutto nel mondo politico torinese. È mancato Federico Varacalli, Consigliere della Circoscrizione 4 a Torino, di  50 anni. Era al secondo mandato in Circoscrizione, eletto nel Movimento 5 Stelle. Era stato colpito da un male incurabile.

Capire prima di giudicare. La lezione della storia

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

In momenti come quello che viviamo,  i commentatori devono essere responsabili e avari di giudizi personali. La tendenza  predominante  è invece  oggi quella di commentatori più o meno esperti che generano ansia e non aiutano a capire una situazione cruciale. Quasi una ripetizione di quello che accadde all’epoca del Covid: ai medici virologi  si sono sostituiti politici e generali in pensione.
L’ipotesi di abbattere il regime iraniano  con le bombe appare un punto  molto debole  e controverso della strategia israeliana. La storia recente dimostrerebbe che la fine di regimi come quello iracheno e libico non hanno rappresentato una liberazione, ma hanno generato il caos e fomentato il terrorismo. La democrazia non si esporta e non si può imporre. L’Islam e la democrazia, anche quella illiberale, sono incompatibili. I talebani restano un esempio forse troppo facilmente  dimenticato.  L’Isis è nata dalle ceneri del regime di Saddam Hussein. Non è detto che la storia serva a capire il presente. La storia non si ripete mai. Ce lo insegna Guicciardini. Abbattere il regime potrebbe provocare contraccolpi imprevedibili. Ma questa riflessione non giustifica certo la difesa della sopravvivenza  dell’Iran, animata da un astioso  antisemitismo inestinguibile che vede in Israele il male assoluto. Nella storia non ci sono mali assoluti, ma solo mali relativi. E il male più grave è oggi l’Iran del regime komeinista  barbaro e soffocatore di ogni libertà. Di fronte ad un’ Europa imbelle ed un’Onu impotente vanno viste le ragioni di Israele come ipotesi almeno  degne di essere considerate con  un distacco non ideologico preconcetto. Certo in un clima di guerra come quello attuale il pericolo di una sua estensione  è reale. La pace resta un valore assoluto di fronte alla guerra nucleare che potrebbe significare la fine della nostra  stessa vita. Bobbio resta il profeta inascoltato della pace. Ma non va sottovalutata l’ipotesi di un opportuno  intervento chirurgico preventivo di Israele, volto ad impedire all’Iran di giungere al nucleare. Il pericolo di una guerra nucleare appare una inquietante  realtà dell’Iran  che viene sottovalutata da chi rivela un odio anti-  israeliano che impedisce di capire la complessità degli eventi. Il manicheismo non aiuta a capire, anzi è un approccio sbagliato che ci allontana dalla comprensione dei fatti, per dirla con Bloch: capire prima di giudicare e non viceversa.

Chi Inventa, Comanda: La Vera Partita tra USA e Cina

IL PUNTASPILLI di Luca Martina

Gli Stati Uniti accusano la Cina di avere sfruttato una posizione di vantaggio nei suoi confronti e minacciano nuove pesanti tariffe. Sono fondate le accuse rivolte da Trump? Quale sarebbe la strategia più corretta da adottare?

Il libero mercato ha dimostrato di essere il motore della crescita (anche cinese) e continuerà ad esserlo anche nella sua versione 2.0 che passa attraverso la supremazia tecnologica: la tecnologia (come la conoscenza) è fluida e non si può certo contenere con le barriere doganali.

La Cina ha senza alcun dubbio beneficiato enormemente della globalizzazione ma potrà forse sorprendere come l’importanza degli Stati Uniti, sul totale dell’export cinese, si sia ridimensionata proprio negli anni successivi al 2001, l’anno della discussa ammissione della Cina al WTO, con il beneplacito statunitense.

Da un picco del 22% sul totale delle importazioni statunitensi, toccato nel 2002, è iniziata infatti una discesa costante fino al 13% toccato nello scorso dicembre: un calo del 41%.

Considerato che nel 2024 le importazioni USA erano pari al 12% del PIL, questo significa che la porzione cinese corrisponde a circa l’1.6% del PIL nazionale (al suo massimo era arrivata a superare di poco il 2.5%).

Il trade deficit con la Cina corrisponde, invece, all’1% del PIL USA, in calo del 50% rispetto ai massimi del 2% raggiunti nel 2018.

Anche in rapporto al PIL cinese l’export negli USA si è più fortemente ridimensionato passando dal 7% del 2005 al 2,6%.

Insomma, emerge chiaramente come non sarebbe corretto sostenere che sono stati gli Stati Uniti a trainare la crescita cinese né che il trade deficit abbia provocato significativi svantaggi a quella americana.

Per meglio comprendere come si è evoluta la situazione occorre però distinguere almeno tre fasi nella storia recente dei rapporti commerciali con la Cina.

1- La prima fase di espansione delle esportazioni (1978-1989):

Questo periodo fu avviato dalle riforme economiche e dalle privatizzazioni introdotte da Deng Xiaoping a partire dal 1978, sotto lo slogan a lui attribuito: “Arricchirsi è glorioso.” Le riforme agricole e industriali, insieme all’istituzione delle Zone Economiche Speciali (ZES) volte a liberalizzare l’economia cinese, stimolarono una rapida crescita delle esportazioni. Tra il 1978 e il 1989, le esportazioni passarono dal 4,5% al 14% del PIL.

L’espansione impetuosa delle esportazioni trascinò il PIL in una crescita a doppia cifra che, fatalmente, produsse squilibri provocando così diffusi disordini sociali che sfociarono nella dichiarazione della legge marziale, il 20 maggio 1989, e, qualche giorno dopo, nella violenta soppressione della protesta di piazza Tiananmen.

Il massacro che ne seguì non interruppe però le riforme economiche che, anzi accelerarono specie dopo il “Southern tour”, intrapreso dall’ ormai ottantottenne Deng Deng Xiaoping nel 1992 per spiegare l’importanza delle sue riforme, e la successiva ulteriore apertura agli investimenti stranieri. L’accelerazione del PIL fu ancora una volta trainata dalle esportazioni il cui peso sul Pil arrivò al 20% nel 2001.

2- Ingresso della Cina nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) e sua integrazione nel commercio internazionale (2001–2005):

Nel 2001 la Cina viene ammessa nel WTO, con il voto e l’approvazione decisivi degli Stati Uniti, ed inizia una nuova, breve ma fortissima, fase di crescita delle esportazioni, il cui valore raggiunge in soli quattro anni il 38% del PIL.

Si tratta del periodo più tumultuoso e che pose delle basi alle odierne criticità.

  1. Graduale Normalizzazione e Diversificazione (2006–2024):

A partire dalla metà del primo decennio di questo secolo il peso dell’export inizia rapidamente a scendere per ritornare al 20% nel 2024, la stessa traiettoria subita dalle esportazioni cinesi negli Stati Uniti.

Di fronte a quanto sopra descritto potrà apparire strano l’inasprirsi della guerra commerciale avvenuto nell’ultimo decennio.

La spiegazione non ha dunque a che fare solamente con la dimensione del deficit commerciale ma è strettamente legata con la qualità dell’export cinese.

Per meglio comprendere, possiamo ricorrere all’ Economic Complexity Index (ECI), elaborato dall’ Harvard Growth Lab’s Country Rankings, che si ripropone di “Valutare lo stato attuale delle conoscenze produttive di un Paese. I Paesi migliorano il loro Indice di Complessità Economica (ECI) aumentando il numero e la complessità dei prodotti che riescono a esportare con successo”.

Il cambiamento intervenuto negli ultimi decenni appare così in tutta la sua evidenza: la Cina ha migliorato la sua classifica ECI dalla 38a posizione, nel 1995, alla 16a mentre nel frattempo gli Stati Uniti sono scesi dalla 10a alla 15a (The Atlas of Economic Complexity ).

Per semplificare il concetto possiamo dire che oggi le merci che arrivano dalla Cina hanno una qualità e un livello tecnologico che è pressoché pari a quello statunitense e poco importa se le sue dimensioni relative (rispetto al PIL americano) si sono ridimensionate negli ultimi anni.

Il dominio esercitato oggi nei settori più importanti e strategici dalla Cina, sia in termini di produzione assoluta che di specializzazione della propria struttura industriale, è dimostrato anche dall’ “Hamilton Index” prodotto dall’ITIF (Information Technology & Innovation Foundation).

Per valutare la performance relativa delle nazioni in settori strategicamente importanti, l’ITIF utilizza una statistica analitica nota come “coefficiente di localizzazione” (LQ, Location Quotient, The Hamilton Index, 2023: Data Visualization for Industries | ITIF), che misura il livello di specializzazione industriale di una determinata nazione rispetto al resto del mondo.

Il LQ si calcola come la quota di un settore sull’economia nazionale divisa per la quota dello stesso settore sull’economia globale.

Un LQ maggiore di 1 indica che la quota del paese nella produzione globale di un determinato settore è superiore alla media mondiale.

L’indice dimostra come la Cina sia superata solo da una manciata di Paesi per specializzazione industriale (indice LQ) e sia al vertice in sette dei dieci più importanti settori strategici.

Un’ulteriore chiara conferma di questo è la forte crescita cinese della spesa in ricerca e sviluppo, che oggi eguaglia a parità di potere di acquisto quella americana, e della sua quota mondiale nella registrazione di nuovi brevetti (Was Made in China 2025 Successful? – Rhodium Group ).

La situazione rischia di essere ancora peggiore se si tiene conto di Taiwan, il cui futuro cinese è ritenuto pressoché ineluttabile (non sappiamo quando ma ci sono pochi dubbi sul se).

Le importazioni statunitensi da Taiwan sono, infatti, più che raddoppiate negli ultimi due decenni e si tratta per lo più di prodotti ad elevata complessità tecnologica (Taiwan è al quarto posto del ranking ECI).

Ma se la leadership tecnologica USA è chiaramente a rischio la risposta non possono certo essere i dazi che, al contrario, potrebbero spingere Paesi emergenti come il Vietnam a riorientare i propri commerci, e non solo, verso la Cina.

L’unico modo per rispondere alla crescita del gigante asiatico dovrebbe essere, invece, quello di puntare con forza su tutto ciò che ha consentito agli Stati Uniti di generare l’ambiente ideale per innovare, favorendo la nascita e lo sviluppo delle maggiori società tecnologiche al mondo: un’economia aperta e terra di grandi opportunità, grazie alla libertà di fare impresa, ed un sistema di istituzioni universitarie di assoluta eccellenza.

La fede nel libero mercato ha da sempre consentito lo sviluppo delle aziende migliori e con le maggiori capacità di competere al mondo ma questo non sarebbe stato certo sufficiente senza un sistema universitario in grado di attrarre professori e studenti eccellenti da tutto il mondo (secondo “Times Higher Education World University Rankings 2025”, World University Rankings 2025 | Times Higher Education (THE) sette delle migliori università mondiali sono statunitensi).

Nello scorso anno scolastico 2023/24 gli studenti stranieri negli USA hanno toccato il loro massimo, a 1,126 milioni con quasi 299.000 nuovi arrivati.

Una quota molto importante è rappresentata da cinesi, 25%, e indiani che, proprio l’anno scorso, sono diventati la comunità studentesca internazionale più importante con il 29% del totale.

Ma attrarre studenti può non essere più sufficiente.

Diventa, infatti, sempre più importante la capacità delle università americane di sfornare laureati STEM  (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica), i più richiesti dal mercato, risorse umane indispensabili per supportare la crescita delle aziende tecnologiche.

Da questo punto di vista lo sforzo cinese sta iniziando a produrre i suoi effetti.

Dalle università del gigante asiatico escono annualmente più di 3,5 milioni di laureati STEM, dati 2020, contro gli 820.000 degli Stati Uniti.

E non è solo il numero assoluto che deve fare riflettere ma anche la percentuale STEM sul totale dei laureati: in Cina è superiore al 40% contro il “solo” 20% statunitense.

Se poi concentriamo l’attenzione sui dottorati STEM (Phd), con specializzazioni avanzate basate sui loro progetti di ricerca, la Cina è prevista produrne quasi 80.000 nel 2025 contro i 40,000 degli Stati Uniti.

Occorre inoltre considerare che il 40% del totale degli STEM Phd americani (16 su 39.000), saranno studenti stranieri, in buona parte cinesi, sempre più orientati a rientrare in patria al termine degli studi all’estero (privando le aziende USA di importante linfa vitale).

Gli Stati Uniti hanno dunque una forte necessità di riorientare i propri studenti verso i percorsi di studio STEM, fondamentali per mantenere la propria leadership nei settori strategici, e di continuare ad essere una destinazione privilegiata per i migliori studenti (e professori) internazionali.

Naturalmente il presupposto per una buona riuscita deve essere costituito da un sistema universitario eccellente, con una naturale vocazione all’innovazione ed una crescente attenzione agli investimenti in ricerca e sviluppo.

Gli ultimi segnali provenienti dalla Casa Bianca non sembrano andare in questa direzione e potrebbero rendere vani gli sforzi tesi a perseguire l’obiettivo, del tutto condivisibile anche da parte dei Paesi europei, di respingere la sfida all’ultimo chip proveniente da oriente.

La versione originale di questo elaborato è stata pubblicata, in due articoli separati, ai seguenti indirizzi: How China went from low-cost exporter to tech rival and why tariffs won’t save the day – IREF Europe EN e The Chinese educational system has been the key to China’s technological rise. Tariffs will not change the picture – IREF Europe EN  dall’Institute for Research in Economic and Fiscal Issues (IREF)

“DELPHI. Ecosistema democratico”, una scuola di consapevolezza politica

Fondazione di studi storici Gaetano Salvemini, Prossima democrazia e Polo del ‘900
Con il sostegno della Fondazione Compagnia di San Paolo nell’ambito delle Linee Guida per il sostegno a scuole di politica.
 4, 5, 6 luglio 2025
 Polo del ‘900 – Torino
La Fondazione di studi storici Gaetano Salvemini e l’APS Prossima Democrazia presentano “DELPHI. Ecosistema democratico”, una scuola di consapevolezza politica rivolta a giovani cittadini attivi, militanti e amministratori locali, che si terrà dal 4 al 6 luglio 2025 presso il Polo del ‘900 di Torino.
La scuola nasce con l’obiettivo di esplorare, comprendere e sperimentare nuove forme di partecipazione politica, andando oltre il voto e i tradizionali meccanismi rappresentativi, per integrare strumenti di democrazia partecipativa, diretta, deliberativa e civica.
Attraverso un approccio multidisciplinare e laboratoriale, DELPHI propone un percorso formativo di tre giorni, articolato in 11 laboratori, che spazieranno dalle assemblee dei cittadini estratti a sorte ai referendum, dal bilancio partecipativo alla disobbedienza civile e alla nonviolenza, con ospiti e docenti di respiro nazionale e internazionale.
L’obiettivo è formare una nuova generazione di “ambasciatori democratici”, capaci di promuovere, praticare e diffondere un approccio ecosistemico alla democrazia nei propri contesti di vita, lavoro e impegno politico.
La partecipazione è gratuita, comprensiva dei pranzi durante i tre giorni. La call è rivolta a 30 giovani under 35, che potranno iscriversi fino al 25 giugno 2025.
Al termine della scuola, verrà rilasciato un attestato di partecipazione.

Dopo il referendum in difesa della Repubblica parlamentare

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

Le riflessioni che ho scritto sul referendum e sul quorum da rispettare e non raggiunto sono state autorevolmente confermate sul “Corriere della sera” da Sabino Cassese, il principe dei costituzionalisti in un mondo di improvvisatori che interpretano e distorcono la Costituzione, non più la più bella del mondo, come vogliono, in misura del loro tornaconto politico e della loro ignoranza giuridica. Cassese evidenzia come i quesiti referendari siano stati considerati  talmente negativi da non meritare neppure la partecipazione al voto. E’ un’ipotesi che ha trovato conferma nel non voto. Il giurista inoltre riflette sulle ragioni che portarono i costituenti a scegliere il quorum per i referendum abrogativi ( in assenza di quorum una minoranza di votanti avrebbe potuto smentire la maggioranza parlamentare che aveva legiferato) , creando la regola della maggioranza degli aventi diritto al voto (il 50 % più 1) a tutela della fondatezza dello strumento referendario che non può essere posto in mano ai primi che capitano: la democrazia è una cosa seria e solo Mussolini parlava di <<ludi cartacei>> . Cassese inoltre ribadisce l’intangibilità del quorum che non può essere abbassato a piacimento dei demagoghi che hanno tentato di usare il referendum per scopi impropri come quello di abbattere il governo in carica. Ci sono tuttavia due riflessioni da aggiungere:  la necessità di aumentare il numero di 500mila firme per richiedere il referendum, un numero equo nel 1948, oggi nella società della comunicazione di massa e dei social assolutamente ridicolo. Ma l’assurdo è giunto quando si è consentita la raccolta per via informatica, mentre il voto continua a dover essere espresso di presenza. Quella raccolta si è rivelata una passeggiata  che non ha trovato conferma nel non voto degli italiani . Le spese sostenute per i referendum falliti andrebbero addebitati ai proponenti che nel caso di raggiungimento del quorum avrebbero avuto diritto ai rimborsi. Il  danno erariale appare evidente e gli unici ad avere diritto al rispetto sono i cittadini, non gli attivisti accorsi a votare.
Ma il referendum rivela un altro aspetto scandaloso: che votano all’estero dei finti italiani che non sono contribuenti in Italia e che hanno reciso ogni legame con la madre patria dove al massimo vengono a volte in vacanza. La legge sul voto degli italiani all’estero voluta dai missini si è rivelata sbagliata. Gli eletti in Parlamento all’estero non sono mai stati trasparenti, volendo usare un termine gentile nei loro confronti. Gente che non sa quasi nulla dell’Italia e non parla più neppure italiano non può avere diritto di votare né al referendum né alle elezioni politiche, decidendo sul futuro di un Paese che non è più il loro. E’ urgente abolire la legge Tremaglia sul voto all’estero che può inquinare l’esito elettorale. La democrazia va tutelata e il voto e il non voto sono cose serie. Questa visione anche etica ce la impongono i padri costituenti da De  Gasperi a Togliatti, da Croce ad Einaudi, da Lucifero a Covelli,da Scelba a Moro e tanti altri. Forse non potrebbe essere citato tra i padri veri Dossetti, che già allora voleva un costituzionalismo creativo che è riapparso oggi. La Repubblica parlamentare va difesa con intransigenza e cultura giuridica adeguata dagli  avvocati che si auto definiscono del popolo e dai loro amici.