Di Giorgio Merlo
Ricordare il centenario della nascita di Carlo Donat-Cattin significa anche e soprattutto rileggere il magistero politico, sociale e culturale di uno statista che ha segnato con la sua presenza la storia politica italiana
Attraverso la sua collocazione politica nella sinistra sociale della Dc, come esponente di primo piano del cattolicesimo sociale italiano e soprattutto con la sua concreta azione politica e legislativa. Certo, il ricordo di Donat-Cattin e’ molto vasto e articolato ma comunemente e’ conosciuto come il “Ministro dei lavoratori” per il varo di quello “Statuto dei lavoratori” che porta la sua firma nel maggio del 1970 e che ha caratterizzato per molti anni lo status, i diritti e la condizione concreta delle persone nei luoghi di lavoro. Ma sono sostanzialmente 3 gli elementi che, in forma dialettica e viva, hanno alimentato negli anni la sua azione – sindacale, politica, sociale – e che conferiscono spessore culturale ad ogni sua indicazione. Essi sono: a) una forte ispirazione cristiana che, per un verso, arricchisce di significato etico la sua azione politica e che, per l’altro, lo collega organicamente all’insegnamento della dottrina sociale della Chiesa in difesa della dignità e sacralità della persona umana e delle società naturali: la famiglia, la comunità locale e le professionali; b) un saldo radicamento nel sociale e nel mondo del lavoro, sorretto però sempre dalla capacità creativa di ricavare dalla difesa degli interessi più deboli un progetto generale e solidaristico nel quale possa riconoscersi l’intera società; c) una irriducibile fedeltà al metodo democratico ed ai valori dello stato di diritto, nella convinzione profonda che non può esistere autentica emancipazione sociale se non all’interno di solide istituzioni democratiche. Questi 3 elementi nel pensiero politico di Carlo Donat-Cattin non appaiono mai separati l’uno dall’altro ma, al contrario, si integrano e si sorreggono vicendevolmente, conferendo forza morale e coerenza culturale ad ogni suo atteggiamento. Leader indiscusso della sinistra sociale Dc di Forze Nuove per molti anni dopo essere stato dirigente torinese e nazionale della Cisl, e’ stato più volte ministro della Repubblica e parlamentare. Il suo magistero politico, seppur declinato in un contesto storico che va dal secondo dopoguerra alla fine degli anni ’80 – Donat-Cattin muore nel marzo del 1991 – conserva tuttora una bruciante attualità non solo per lo spessore e l’autorevolezza del personaggio ma anche, e soprattutto, per la modernità dei valori a cui si rifaceva e per le concrete scelte politiche che ha compiuto negli anni. Perché Donat-Cattin, come ha scritto recentemente l’ex sindaco di Torino Diego Novelli, “e’ stato sì un anticomunista. Ma un anticomunista che ha sempre difeso e valorizzato i ceti popolari”. Non nei libri, nelle conferenze o nei salotti aristocratici ma nella concreta battaglia politica, nel dibattito istituzionale e nel duro confronto con la piazza.
In attesa della Tav e della Cina capitalista






“In questi mesi siamo sempre stati al fianco dei lavoratori della Blutec, che impiega oltre 300 lavoratori in Piemonte. L’obiettivo del Governo, fin dall’inizio, è stato quello di prorogare la cassa integrazione per il 2019 e dare tempo all’azienda di rilanciarsi con un nuovo piano industriale per salvaguardare tutti i lavoratori. Purtroppo oggi capiamo il perché dei tanti ritardi e dei mancati investimenti da parte dell’azienda: l’arresto dei vertici conferma tutte le perplessità di questi mesi. Per questo la decisione del ministro Di Maio di contattare l’amministratore giudiziario per salvaguardare tutti i livelli
occupazionali rappresenta il primo e fondamentale passaggio per tutelare i lavoratori, le vere vittime di questa storia, che questo Governo non abbandonerà”. Così in una nota Jessica Costanzo, portavoce del MoVimento 5 Stelle in commissione Lavoro alla Camera, impegnata da mesi sulla questione Blutec, che ricorda infine come l’azienda “occupa circa 300 lavoratori tra le sedi di Rivoli, Beinasco e Asti e già verso la fine del mese di gennaio aveva visto scioperi e proteste a causa di problemi nelle tempistiche di pagamento degli stipendi”.



maggio sono una partita che si gioca sulla sanità, sulle politiche industriali, l’organizzazione del trasporto pubblico locale, il sostegno dei comparti turistici, sportivo e culturale. Tutti ambiti dove la sua Giunta di centrosinistra ha raccolto solo insuccessi. Non ci presteremo alla sua azione di distrazione di massa. Le uniche sentinelle Sì Tav siamo noi ed è la nostra coerenza di questi anni a certificarlo”. Ad affermarlo in una nota il capogruppo di Forza Italia in Regione Piemonte Andrea Fluttero e il vice Andrea Tronzano (nelle foto) con i consiglieri regionali Luca Bona, Franco Graglia e Luca Rossi commentando la conferenza stampa organizzata dal presidente Chiamparino per lanciare il referendum sulla TAV.
“Il Premier Giuseppe Conte si è ritrovato al Roxy Bar e ha accusato gli italiani di essere ossessionati dal Tav. Al contrario, lui sostiene di voler ripartire con i cantieri pubblici, ma intende però bloccarne soltanto uno: tra i più grandi e i più strategici, oltretutto finanziato in gran parte dall’Unione europea. Forse a essere ossessionato dal Tav è lui, ma soprattutto il partito che rappresenta”. Roberto Rosso, capogruppo di Fratelli d’Italia in Comune di Torino, interviene sulle ultime dichiarazioni rilasciate da Conte al Roxy Bar di Roma. “Certo, oggi lui è una star, però non può permettersi un discorso così contraddittorio – conclude Rosso – dice di volere i cantieri pubblici, tranne uno al quale è ideologicamente contrario. Stiamo assistendo alla politica dei cantieri pubblici tranne uno, ed è davvero bizzarra. Almeno i proto-grillini erano coerentemente contro ogni cantiere, oggi quello del Tav è soltanto un feticcio per tenere buona la base estremista”.
“Giù le mani dal Regina Margherita!”
Tav, la sintesi tra sì e no non esiste

“Si è accorto che dovrebbe cancellare decreto firmato da leghista Roberto Castelli?”
Tre giorni fa il Ministro dell’Interno Matteo Salvini ha presentato in pompa magna, assieme ai capigruppo leghisti di Camera e Senato, un disegno di legge che, così ha dichiarato, “abolirà la modica quantità” di sostanza detenuta, che rappresenta il confine fra consumo personale e spaccio.
Siamo ancora in attesa del testo del provvedimento. Non è una cosa seria.
Avanziamo due ipotesi sul ritardo. La prima è che qualcuno abbia
informato Salvini di due fatti accaduti negli ultimi 30 anni: la
“modica quantità” è stata abolita 29 anni fa dalla legge n. 162/1990
sedicente “Iervolino/Vassalli/Craxi”; attualmente è in vigore in
materia un decreto dell’11 aprile 2006 del ministro della Salute di
concerto con il ministro della Giustizia, che ha fissato il “limite
quantitativo massimo riferibile ad uso esclusivamente personale” (le
quantità – in principio attivo – sono stabilite in 500 mg per la
cannabis, 250 mg per l’eroina, 750 mg per la cocaina); oltre quel
limite si è considerati spacciatori e si deve provare in tribunale di
non esserlo (cosiddetta “inversione dell’onere della prova.
Il grosso problema per Salvini è che l’11 aprile 2006 il ministro
della Salute era Silvio Berlusconi (che svolgeva le funzioni sia di
premier che, ad interim, di ministro) e che il ministro della
Giustizia era il leghista Roberto Castelli.
Quindi, se Salvini vuole abolire il “limite quantitativo massimo”
attualmente in vigore, deve sconfessare l’operato di un governo di
centro-destra di cui faceva parta a pieno titolo la Lega.
La seconda ipotesi, che può essere complementare alla prima, è che
Salvini si sia accorto, seppure in ritardo, che in Italia fare il
“campione della lotta alla droga” (qualunque cosa significhi) porta
sfiga. Ha portato sfiga a Bettino Craxi, responsabile del
peggioramento della legislazione proibizionista alla fine degli anni
‘90 del secolo scorso (in parte mitigato dal referendum radicale del
1993); ha portato sfiga a Gianfranco Fini e Carlo Giovanardi,
responsabili dell’ulteriore peggioramento attuato con la legge n.
49/2006 (fatta passare in Parlamento in modo surretizio, ben nascosta
in un decreto-legge dedicato alle Olimpiadi Invernali di Torino), in
parte mitigato dalla sentenza della Consulta n. 32 del 12-25 febbraio
del 2014. Sotto a chi tocca …
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Giulio Manfredi (Giunta Radicali Italiani)


Quagliuzzo è un comune, della Città Metropolitana di Torino, sito in Pedanea, a pochi chilometri da Ivrea. Con i suoi 340 abitanti appartiene alla fascia dei piccolissimi comuni con tutte le problematiche che li accompagnano
Il sindaco Ernesto Barlese, alla guida del paese dal 10 giugno dello scorso anno ha scritto al ministro dell’Interno Matteo Salvini per rappresentagli quello che è un problema per tanti enti locali delle sue dimensioni, il taglio dei trasferimenti dallo Stato. Questi sino al 2013 ammontavano a circa 126mila euro, nel 2018 il trasferimento di risorse è sceso drasticamente giungendo a quota 66mila. “Tale situazione – scrive il primo cittadino di Quagliuzzo – ha creato non poche difficoltà, in quanto è aumentata notevolmente la burocrazia, come pure gli adempimenti degli uffici, mentre il costo non si è certo ridotto e le esigenze del territorio e dei cittadini sono aumentate”. Barlese, fatta questa premessa, evidenzia che non avendo altre risorse a disposizione, se non i tributi locali, in quanto il territorio ha una vocazione agricola e non sono presenti attività imprenditoriali “ci ritroviamo in serie difficoltà per amministrare al meglio la nostra realtà”. I 40mila euro concessi quest’anno, vincolati per interventi in materia di messa in sicurezza, sono stati certamente una boccata di ossigeno, ma le problematiche rimangono sul tappeto. “I piccoli comuni – dice ancora Barlese – sono importanti presidi del nostro territorio nazionale, hanno alle spalle una storia ed una cultura millenaria e costituiscono l’ossatura portante delle tradizioni, dei valori e della qualità del vivere, cosa che nelle grandi città si è persa”. D qui l’interrogativo rivolto ‘all’inquilino del Viminale’ se si può sperare in un sostegno, materiale ed istituzionale nei prossimi anni per i piccoli e piccolissimi comuni.
Massimo Iaretti