POLITICA- Pagina 590

Di nuovo al voto?

L’Italia è come un malato terminale che non sa di esserlo e non si cura, oppure, sapendolo, ci rinuncia perché tanto tutto è inutile.

Veniamo ai giorni nostri e alle discussioni sul nuovo governo.Ricordo un brillante avvocato albese, ma altrettanto ironico che ad un suo cliente, che gli poneva una domanda stravagante, rispose : “bravo pirla”. L’avvocato non esercita più da alcuni anni, ma la sua frase, a me che cominciavo la professione   (poi abbandonata) rimase impressa, tanto che me la ricordo ancora adesso. L’altro giorno ho sentito uno sfegatato di politica dire la sua: torniamo al voto. Anche a lui si potrebbe rispondere utilizzando le stesse parole; ma a che servirebbero nuove elezioni, se non per arrivare alle stesse conclusioni?. La soluzione possibile sarebbe solo con una nuova legge elettorale che desse a chi vince, anche in termini relativi, la possibilità di governare (bene) senza alleanze, per esempio, anche con lo scarto   di un solo voto. Torniamo a voti ottenuti nelle elezioni appena trascorse. Per i Cinque stelle, forse, i voti sarebbero stati minori, ma è anche vero che chi non li ha votati si è spaventato di un programma tanto mirabolante. Per il Centro destra, invece, i voti sono stati condizionati da un Silvio Berlusconi che non ammalia più, mentre per il PD perché il risultato è stato addirittura migliore delle previsioni perché Matteo Renzi non si è fatto mancare niente per affossarlo. Eppure è stato il politico al quale gli italiani avevano dato un consenso immenso, successivamente sprecato e fautore di una riforma costituzionale, idealmente giusta, che è stata farcita da incongruenze vistose che l’hanno resa invisa alla Gente. Nel frattempo, gli italiani hanno smesso di votarsi a Sant’Arcore, ma anche a Santa Maria Goretti. In attesa che spunti qualche altro santo, gli italiani dovrebbero farsi un esame di coscienza (come per la 104 che è una legge giusta applicata in modo insano, incivile e scandaloso). Se gli italiani sono questi, i politici possono essere meglio? Ebbene sì, i politici, gli imprenditori dovrebbero dare l’esempio di equità, lungimiranza, di buona fede e correttezza e di meno furbizia. Come diceva Eleanor Roosevelt, “le grandi menti parlano di idee, menti mediocri parlano di fatti, menti piccole parlano di persone”. Se invece l’obiettivo è giocare al più furbo, come si uscirà dalla crisi che ci attanaglia e sta portando all’estinzione dell’Italia? C’è speranza? Concludiamo con un inno alla vita, facendo nostro l’aforisma di Karl Barth: “nessuno può tornare indietro e incominciare un nuovo inizio, ma chiunque può partire oggi e creare un nuovo finale”. Auguri Italia!

 

Tommaso Lo Russo

 

Io, ex comunista (dalla parte di Silvio) nell’era degli apprendisti stregoni

Bertolt Brecht scriveva: beati quei popoli che non hanno bisogno di eroi. Noi popolo italiano ora abbiamo bisogno di eroi. Moderni e magari non con grande carisma, eroi moderni, eroi pacati ma pur sempre eroi. Dopo le consultazioni ci possiamo solo appellare al nostro presidente Mattarella. Sperabile che ” tiri fuori dal cilindro il coniglio” per poter fare questo governo. Le nuove elezioni riprodurrebbero una situazione di stallo come l’attuale. Vero che l insieme delle forze politiche non sta dando il meglio di sé… ammesso e non concesso che ci sia, questo meglio. Ora da ex comunista, da chi non ha mai votato e forse non voterà mai Forza Italia, io sto dalla parte di Silvio Berlusconi. Proprio cosi. Le sentenze che lo riguardano non gli impediscono di fare politica. Gli impediscono d essere eletto. E’ un’ altra cosa: non hanno puntato il fucile in testa agli italiani che lo hanno votato. Anche io, se per questo, non capisco quel 33 percento di italiani che vorrebbero Di Maio presidente del Consiglio. Ruolo destinato a chi “conosce” e Di Maio è molto famoso per non conoscere e non sapere. Non sapere di storia, di geografia e di grammatica. Ma e stato votato, tant’è. I pentastellati rischiano di buttate via questa loro maggioranza relativa, questa loro vittoria.  Liberissimi di fare accordi con chiunque ma ricordiamo che per sposarsi si deve essere in due per separarsi é sufficiente uno. La maggiore sfortuna e probabilmente il maggiore limite di Matteo Renzi è di essere un uomo politico non includente, di non accettare mediazioni. O si fa come dico io o tutti a casa. Appunto, é avvenuto questo e il Pd è passato da partito di governo a partito – almeno per ora – di non opposizione, dimezzando i voti in percentuale ed in valore assoluto. Qui non contano le diversità politiche. Fare politica, questo manca. Un sospetto: magari è voluto? Credo di no. Peggio, molto peggio, gli apprendisti stregoni colpiscono ancora. E un conto è far ridere la gente, un altro governare il paese. Prevedo le possibili critiche. La gente avendone le scatole piene ha votato Salvini e Di Maio  e la pochezza di Renzi ha reso tutto possibile. Verissimo. Sottoscrivo pienamente. E poi? Sempre un governo  si deve fare. Proprio perché è inutile rivotare. Ecco che ora abbiamo bisogno di eroi. Abbiamo bisogno di Mattarella.

Patrizio Tosetto

Popolari, ora si scenda in campo

di Giorgio Merlo

Cresce il dibattito, e soprattutto la domanda, sul perché i cattolici democratici e i cattolici popolari siano di fatto scomparsi dalla geografia politica italiana dopo il voto del 4 marzo. Ma quello che incuriosisce maggiormente non sono le riflessioni che arrivano dall’area cattolica – il che è abbastanza naturale se non addirittura scontato – quanto dal mondo laico e culturalmente più lontano dalla galassia cattolica. Commentatori autorevoli, politologi di rango e opinionisti prestigiosi sostengono apertamente che senza una ripresa della “cultura di centro” da un lato e, soprattutto, senza un ritorno di una autorevole e qualificata classe dirigente cattolico democratica dall’altra la deriva autoritaria e qualunquistica della nostra democrazia e’ dietro l’angolo. Certo, il tutto avviene dimenticando che abbiamo ascoltato per anni la stanca litania della bontà e soprattutto della utilità della scomparsa del centro a favore della nuova religione bipolare che avrebbe dovuto bonificare il paese dal consociativismo e dall’ingovernabilita’. Come sia finita concretamente la situazione è sotto gli occhi di tutti. Ora, pero’, per tornare alla riflessione iniziale, e’ indubbio che il voto del 4 marzo ha cambiato profondamente la geografia politica italiana. Se da un lato occorre prendere atto che ci troviamo di fronte ad un nuovo bipolarismo, seppur definito “bipopulista”, dall’altro e’ indubbio che questo voto ha segnato la fine, almeno per il momento, della stagione dei “partiti plurali” da un lato e, come evidente, delle correnti cosiddette “identitarie” all’interno di quegli stessi partiti. La secca sconfitta politica ed elettorale del Partito democratico e il superamento di quella concezione di partito plurale che l’aveva più o meno caratterizzato – anche se con la gestione Renzi era diventato a tutti gli effetti un “partito personale” o “partito del capo” – spinge sempre di più quel campo politico adesso a riscoprire le ragioni della sinistra. Sinistra moderna, post ideologica e di governo ma sempre e comunque di sinistra. E il superamento dei partiti plurali si trascina dietro anche l’archiviazione definiva delle correnti o delle aree organizzate all’interno degli attuali partiti. Che ormai sono diventati a tutti gli effetti partiti personali, senza una precisa cultura politica e legati quasi esclusivamente alle fortune del “capo” di turno. Ecco perché sorge, allora, quasi spontanea la domanda: e cioè, se la destra ritorna forte e protagonista, se la sinistra – pur tra mille difficoltà e contraddizioni – si dovrà rimettere in cammino, se l’ideologia populista si sta affermando sempre di più, e’ gioco forza che anche una storica e significativa cultura politica che ha accompagnato lo sviluppo e il consolidamento della nostra democrazia come il cattolicesimo politico italiano si riorganizzi e ritorni in campo. Laicamente e senza arroganza ma con la consapevolezza che questo filone ideale non può più limitarsi a giocare un ruolo puramente testimoniale e politicamente periferico e marginale. Serve, cioè, riaffermare una presenza politica, culturale e programmatica che sappia dar voce e rappresentanza ad un mondo che e’ politicamente afono e che, soprattutto, oggi non è più rappresentato. Certo, e’ un mondo che vota, seppur stancamente e quasi con inerzia, i vari protagonisti in campo ma senza entusiasmo e senza convinzione. Ma per poter rispondere adeguatamente a questa domanda sono necessari alcuni elementi di fondo: va promossa una feconda seminagione culturale, va affinato un “pensiero” e, soprattutto, va favorito un processo di ricomposizione e di riaggregazione dell’area cattolico democratico, cattolico popolare e cattolico sociale attraverso il filo comune di una cultura e di un progetto di società aperti a tutti e capace di assecondare e costruire un vero “bene comune”. Solo cosi’ sara’ possibile rispondere a quella domanda iniziale sulla necessita’ di far ritornare in campo, nell’attuale situazione politica italiana, del pensiero popolare di ispirazione cristiana.

Sapere è potere. Quando c’erano i partiti e la politica

Raffronti tra la realtà politica del 1976 e quella attuale. Similitudini: instabilità politica e crisi economica. Finite le similitudini. Tante le diversità. A cominciare dai partiti e dai politici. Allora i partiti esistevano con regole interne . Chi più chi meno ma, appunto esistevano. E poi si correlavano tra loro. Erano un sistema. Sia ben chiaro, erano pieni di difetti. Clientelismo o centralismo democratico erano premessa di voto di scambio o di mancanza di democrazia. Nel Pci erano vietate le correnti. Negli altri le correnti come elementi fondanti. Ex democristiani scrivono tra ricordo e rimpianto sulla storia della Dc. Ex socialisti sul Psi, come ex comunisti sul Pci rimpiangendo e orgogliosamente rivendicano ciò che è stato. Ma confrontare Andreotti, Moro, Craxi, Spadolini o Berlinguer come Ingrao con Renzi, Salvini, Di Maio Berlusconi appare una “bestemmia”. Sacro e profano. Quando fu rapito Aldo Moro votarono il secondo governo Andreotti. Secondo perché il PCI mise in crisi il governo delle astensioni.  I terroristi rossi “portavano l’attacco al cuore dello Stato” ed  Enrico Berlinquer non ebbe esitazione nel votate a favore. Prima volta nella storia repubblicana dopo il ’46. Stragismo fascista e terrorismo rosso erano nemici delle istituzioni. Lo stato borghese si abbatte e non si cambia: stupidaggini pericolosissime. Ed ora desidero raccontarvi come un giovane comunista ha partecipato al congresso della Dc, ovviamente come invitato. Debbo l invito ad una carissima amica giovane democristiana. Siamo nel 1979. Collaboravamo con la  Consulta giovanile del Comune di Torino. Iscritto a Palazzo Nuovo, esame con Gian Mario Bravo. Storia delle dottrine politiche. Pci e Dc a confronto sulle reciproche dialettiche interne. Contrasti tra il centro e le periferie. Nel Pci sempre si affermava il centro. Nella dc esattamente il contrario. Con Donatella mi ero lamentato di non trovare materiale idoneo sulla Dc. Subito mi disse: se riesco a trovarti un invito vieni al congresso nazionale? Assolutamente si. Lei era della corrente di sinistra. Dopo Carlo Donat-Cattin Bodrato e Zaccagnini erano stati i suoi punti di  riferimento. Dunque Roma, pala Eur. Tacquino alla fine fitto d appunti. Un solo indicativo aneddoto. Donatella delegata mi porge un piccolo cannocchiale. Osserva Giulio Andreotti. In tribuna stava scrivendo per il suo intervento. Un delegato voleva parlargli. Lo fece spostare d’orecchio. Voleva sentire chi stava parlando al microfono.
Metto a fuoco e osservo: sta leggendo, scrive e sente in contemporanea due persone. Accidenti, ma è sempre cosi? Sì,  sempre così. Pensa: dorme solo tre ore per notte. Ho assistito a qualcosa di eccezionale. E ho capito la differenza tra avversario politico e nemico politico. Poco più di un anno prima era stato ucciso Aldo Moro.  Massacrata la sua scorta. Prima di quel congresso la Dc e Giulio Andreotti erano nel mio immaginario sopratutto uomini di potere.  Con qualche eccezione, come Benigno Zaccagnigni o Tina Anselmi. Finalmente capivo che erano uomini e donne come eravamo e sono stati nel partito comunista come negli altrui partiti. Che il giusto o l’ingiusto sta in ogni dove.Conoscevo e attraverso la conoscenza imparavo il valore della tolleranza instillando in me il valore del dubbio. Oltre che affrontare l’esame affrontavo facendoli miei questi valori. Crescevo anche in questo e maturavo. Maturità che non vedo oggi in questa classe politica e in parti di società civile. Chi da sinistra sponsorizza un accordo  tra i pentastellati e Pd parla con ammirazione di come si è comportato Enrico Berlinguer nel 1976. Assoluta stima verso il capo del PCI. E’ noto che non agiva ” in un deserto politico”: gli interlocutori erano insomma all’altezza. Sia ben chiaro, ripeto,  non tutto era lineare. Non tutto era perfetto.  Ma sapevano da dove provenivano e dove volevano andare. Discussioni e conflitti. E il conflitto e la contraddizione trovano la sintesi, che per dirla alla Hegel (scuserete la erudita citazione) sintesi come tesi arricchita dalla antitesi.  Non mi sbaglio se sostengo che la media dei parlamentari o senatori non conosce l’esistenza del filosofo idealista tedesco. Mentre sono certissimo che la media dei parlamentari e senatori di una volta la conosceva. Sapere, come si diceva una volta,  è potere.
Patrizio Tosetto

Comune, Morano: “Qualcosa non torna nel bilancio di previsione”

Ho letto con attenzione la relazione dell’Assessore Rolando, il Bilancio di Previsione 2018-2020 e la relazione del Collegio dei Revisori. In sede di approvazione del Bilancio di Previsione 2017-2020 erano emerse alcune criticità nei rapporti tra l’amministrazione Cinque Stelle ed il Collegio dei Revisori.

In questa occasione mi pare che la relazione fra la Città ed il Collegio dei Revisori si sia svolta in modo istituzionalmente più corretto, anche se restano alcune zone d’ombra e di opacità e soprattutto mi pare che l’attività di controllo sia stata formale e superficiale, senza affrontare seriamente i problemi fondamentali. Lascio ad altri una critica puntuale e politica sulle scelte operate dalla Giunta Cinque Stelle in sede di predisposizione del Bilancio di Previsione e mi limito ad alcune brevi osservazioni e domande.

In data 10 Gennaio 2018 ho formulato una richiesta di Accesso agli Atti indirizzata tra gli altri al Dottor Calvano e al Dottor Pizzichetta finalizzata a conoscere lo stato dei conti delle tre principali fondazioni culturali partecipate dal Comune di Torino. In particolare ho richiesto:

Consistenza della cassa al 31/12/2017;

Dettaglio dei crediti (con indicazione di importo e soggetto debitore) esistenti al 31/12/2017;

Dettaglio dei debiti in essere (scaduti) alla data del 31/12/2017 con indicazione dell’importo, del creditore e della data in cui il debito è scaduto;

Importo dei contributi versati dal Comune di Torino nel 2017 e dei contributi tutt’ora dovuti dal Comune di Torino per l’anno 2017 e per gli anni precedenti e non ancora versati.

A questa richiesta ha dato risposta solo la Fondazione Torino Musei precisando con riferimento all’ultima domanda che il credito della Fondazione Torino Musei nei confronti del Comune di Torino alla data del 31 Dicembre 2017 ammontava ad Euro 5.726.894. Il Teatro Regio ha risposto in data 29 Gennaio 2018 testualmente: “Trattandosi di una elaborazione complessa che richiede l’ultimazione dei conti necessari per la chiusura del Bilancio 2017 riteniamo poter far pervenire quanto richiesto entro la data del 31 Marzo 2018”. Detta data è passata, nessuna informazione è stata fornita dal Teatro Regio e tantomeno dalla Città di Torino.

Analogamente in data 5 Febbraio 2018 il Direttore della Fondazione Teatro Stabile ha richiesto al Presidente del Teatro Stabile una proroga del termine in quanto l’amministrazione del Teatro Stabile stava effettuando le operazioni di chiusura del 2017 e nelle more alcuni dati contabili potevano subire sensibili variazioni.

La proroga non è stata concessa, ma nessuna informazione è stata fornita. Vale la pena sottolineare che nemmeno la Città di Torino ha fornito risposte in merito e ciò appare grave soprattutto per quanto attiene ai rapporti con le Fondazioni. Tralasciando il fatto che le risposte alle richieste di Accesso agli Atti devono essere fornite nel termine di 30 giorni, mi chiedo e chiedo all’Assessore al Bilancio, al Sindaco e al Collegio dei Revisori quale grado di attendibilità ha il Bilancio di Previsione Finanziaria 2018-2020 se non si ha conoscenza dei debiti della Città nei confronti delle fondazioni culturali?

Come avete determinato infatti i residui passivi presunti al 31 Dicembre 2017 se non siete stati in grado di rispondere ad una specifica domanda in merito? Un secondo punto che non appare chiaro è quello concernente i rapporti tra GTT, Infra.To e Comune di Torino. Ed infatti come più volte ho avuto modo di sottolineare o si salva GTT o salta l’intero sistema. Ma anche in questo caso qualcosa non torna nel Bilancio di Previsione 2018-2020.

Nel Piano Industriale di GTT approvato anche dalla Città di Torino si precisa, alla pagina 56, che il Canone dei Parcheggi 2018 dovuto da GTT al Comune pari a 17,4 milioni di Euro sarà pagato per Euro 10 milioni al termine del Piano Industriale e quindi nel 2022 e per Euro 7,4 milioni in dieci anni a partire dal 2021 al pari degli altri debiti di GTT nei confronti del Comune di Torino e di FCT ammontanti a complessivi 92 milioni di Euro.

Questo è quanto scrive GTT, con l’approvazione del Comune di Torino (si veda lettera del Sindaco Appendino del 12/01/2018) ed è confermato anche dalla lettera inviata da Peat Marwick a Deloitte e GTT in data 11 Dicembre 2017, ma ciò non trova conferma nel Bilancio di Previsione ove si fa riferimento unicamente all’importo di 7,4 milioni di Euro (il cui pagamento avverrà peraltro in dieci rate annuali a partire dal 2021). Forse che il principio di competenza rafforzata utilizzato per giustificare la contabilizzazione del debito Ream non trova applicazione per i crediti?

Ed ancora, nel Bilancio di Previsione come sono contabilizzati i debiti del Comune nei confronti di GTT ed Infra.To per l’anno 2018 pari a complessivi 31 milioni di Euro (7 milioni GTT e 24 milioni Infra.To) oltre a 6,4 milioni dovuti a GTT ed Infra.To per i debiti pregressi (risultanti dalle bozze di accordo approvate dal Consiglio Comunale nel Settembre 2017 e confermati anche alle pagine 53-55 del Piano Industriale di GTT) per un totale di 37,4 milioni di Euro?

In particolare, sembrerebbe che nel Bilancio di Previsione manchino circa 18 milioni di Euro essendo stanziati solo 6 milioni di Euro per GTT e 13,5 milioni di Euro per Infra.To. Tutto ciò che impatto ha sul Piano di salvataggio di GTT? Ricordo al Sindaco e all’Assessore al Bilancio (ma anche al Collegio dei Revisori) che il Piano di Salvataggio di GTT è stato approvato dalla Città e deve essere riflesso nel Bilancio di Previsione.

Ed ancora perché nell’individuare il perimetro di consolidamento della Città di Torino, per quanto riguarda GTT si riporta il dato 2015(utili di 200.000 Euro) e non quello del 2016 risultante dalla bozza di Bilancio approvata dal Consiglio di Amministrazione (perdita di 63 milioni di Euro) come sarebbe stato più corretto? In ultimo, nella nota integrativa e nei dati di sintesi si parla di dismissioni di immobili per 42 milioni di Euro, di avvio della procedura di vendita delle partecipate e si dà per scontato l’esito positivo della vendita di azioni Iren. È vero che stiamo parlando di un Bilancio di Previsione e quindi il grado di attendibilità non deve essere alto, ma:

Quante possibilità concrete vi sono di vendere immobili per 42 milioni di Euro entro fine anno e qual è lo stato concreto delle procedure di vendita oggi in essere; Dopo la dilettantesca gestione della vendita del Caat di cui abbiamo avuto notizie ieri, quante possibilità vi sono che la partecipata più appetibile venga effettivamente venduta;

E per finire, Iren: cosa succederà se alcuni azionisti di minoranza (fondi o piccoli comuni) si rivolgeranno a Consob lamentando un cambio di controllo e la Consob formulerà osservazioni sulla Bozza del Patto Parasociale approvata qualche giorno fa dal Consiglio Comunale o attiveranno la procedura per fare accertare la violazione del Patto Parasociale oggi in essere; siete sicuri di dar corso alla scissione e alla vendita entro l’anno?

 

Alberto Morano

 Lista Civica Morano

(INTERVENTO CONSIGLIO COMUNALE 10 APRILE 2018)

CAPUTO – APPIANO (PD) “E’ RIPRESA L’ATTIVITA’ DEL REPARTO DI OFTALMOLOGIA. IMPEGNO MANTENUTO”

“Esprimo soddisfazione per la ripresa ufficiale con il primo intervento, dell’attività del reparto di Oftalmologia del San Luigi di Orbassano” ha dichiarato la Consigliera regionale del Partito Democratico Valentina Caputo.

“Il Gruppo del Partito Democratico – ha proseguito Valentina Caputo – si era impegnato, anche attraverso un ordine del giorno da me presentato e condiviso dall’Assessore Saitta, a fare in modo che venissero riprese, presso il nosocomio di Orbassano, sessioni di interventi chirurgici oculistici, un servizio importante per tutto il territorio e per i cittadini. Oggi, ottemperate le formalità burocratiche, l’impegno è stato mantenuto. Dal Pd e dalla Giunta Chiamparino fatti e non parole”.

 “Una notizia positiva – ha commentato il consigliere regionale Andrea Appiano – Ora ci sono gli spazi per implementare le attività del San Luigi e di altri ospedali, un altro segnale di rinascita dopo l’uscita dal commissariamento della nostra sanità regionale”

BATZELLA, ASL TO3 – “SERVONO ASSUNZIONI, DIALOGO E CONFRONTO PER IMPEDIRE LA PRIVATIZZAZIONE DEI SERVIZI SANITARI”

In Commissione Sanità si è svolta l’audizione dei rappresentanti sindacali della CGIL-Funzione Pubblica, per far luce sulle problematiche che hanno indotto lo stato di agitazione del personale di comparto dell’ASL TO3. Stato di agitazione che si è protratto dal gennaio scorso fino alla fine marzo, quando di direttore generale, dopo il secondo incontro in Prefettura, avrebbe promesso che nel 2018 investirà 4 milioni di euro per l’assunzione di personale sanitario. Tre gli argomenti posti sul tavolo della Commissione: il piano assunzioni, il partenariato pubblico-privato, la riorganizzazione della rete dei servizi territoriali con l’istituzione delle Case della Salute. I rappresentanti sindacali sostengono che l’Asl To3 nel 2016 abbia risparmiato 5 milioni di euro sull’assunzione del personale, in particolare quello di comparto. Un risparmio ingiustificato, sia perché ormai la sanità è uscita dal piano di rientro, ma soprattutto perché la pianta organica è molto al di sotto del previsto (3.222 unità il personale in servizio, a fronte di una pianta organica di 3.398 operatori). Altra criticità denunciata è il progressivo ricorso all’esternalizzazione dei servizi: non solo la fornitura di apparecchiature biomedicali, ma anche la gestione delle stesse con personale “a noleggio”, al posto di dipendenti Asl. Un esempio eclatante è quello dell’apertura del punto di prenotazione esami e ritiro referti nel centro commerciale “Le Gru”: al posto di rinforzare i Cup dell’Asl To3, il servizio è stato esternalizzato, affidando a personale messo a diposizione dal centro commerciale il trattamento di dati sensibili. Infine, è stato denunciato il mancato confronto con la direzione aziendale sulla riorganizzazione dei servizi territoriali, in particolare le Case della Salute: l’unico incontro si è svolto nel febbraio 2017. Vorrebbero chiarezza sugli accordi con i medici di famiglia, le risorse, il personale, i servizi. In attesa dell’audizione in Commissione, su mia richiesta, del direttore generale dell’Asl To3, esprimo forte preoccupazione per la progressiva privatizzazione dei servizi sanitari, che devono rimanere pubblici: il privato può essere integrativo ma non sostitutivo.

Stefania Batzella

Consigliera Regionale Movimento Libero Indipendente

Popolari, adesso basta con i “partiti plurali”

Di Giorgio Merlo

Il tramonto dei partiti plurali – nello specifico il tramonto del modello originario e del profilo politico del Partito democratico – ci pone di rivedere lo stesso modello di partecipazione politica nel nostro paese. Se la prima repubblica era caratterizzata dai cosiddetti “partiti identitari”, cioè da soggetti politici, popolari e di massa con una definita cultura politica, e’ pur vero che da tempo ormai assistiamo ad un confronto politico dove le categorie culturali del passato sono state definitivamente archiviate. E i “partiti plurali”, almeno nella loro intenzione originaria, dovevano essere funzionali a ridefinire la dialettica democratica superando le vecchie impostazioni. Ora, dopo la sconfitta storica del Partito democratico, dopo il fallimento politico ed elettorale del partito di Grasso – cioè della sinistra nel nostro paese – e il conseguente affermarsi dei 5 stelle e della Lega, noi abbiamo la conferma che si è chiusa una fase politica e se ne è aperta una nuova, ancora inedita e difficile da decifrare. Tranne su un punto: e cioè, se quasi il 33% degli italiani votano un partito che si definisce “oltre la sinistra e oltre la destra”, e se il partito plurale per eccellenza, Il Pd, subisce una debacle di dimensione epocale, forse è arrivato anche il momento per riscoprire, seppur aggiornandole, le culture politiche del passato. Intendo quelle culture politiche costituzionali che hanno contribuito alla costruzione e al consolidamento della nostra democrazia. E questo non per un richiamo del passato o, peggio ancora, per una tentazione nostalgica. Ma per la semplice ragione che solo attraverso la riscoperta delle nostre radici culturali sarà possibile ridare dignità e qualità alla stessa politica. Uscendo dagli slogan, dalla pura demagogia e dal becero qualunquismo in cui siamo precipitati. A cominciare, appunto, dalla riscoperta della cultura “popolare di ispirazione cristiana”. Tocca ai cattolici democratici, ai cattolici popolari e ai cattolici sociali contemporanei il compito di non contribuire, seppur inconsapevolmente, ad archiviare un pezzo significativo della storia democratica del nostro paese. E questo non attraverso la riproposizione di un ennesimo partitino ma, al contrario, dando vita ad un movimento culturale che abbia come “ragione sociale” la riattualizzazione di un “pensiero” andato smarrito in questi anni di qualunquismo politico, di spietata personalizzazione della politica e di cancellazione radicale di tutto ciò che si richiamava al passato. Certo, poi verrà, e quasi sicuramente, il tempo della presenza politica organizzata. Del resto, le mode politiche nel nostro paese non durano a lungo. La stella renziana, per fermarsi al solo Pd, sembrava inarrestabile e destinata a durare per almeno 20 anni. Dominava incontrastato il partito di riferimento e il paese. Nell’arco di un biennio questo dominio si è trasformato in un disastro elettorale prima e in una sconfitta storica e politica poi. Al punto che oggi in quel partito si parla già apertamente di “derenzizzazione”. E, come sempre capita in politica quando domina il contingente e il solo potere, i più scatenati in questa rimozione politica e personale sono proprio coloro che per 2/3 anni si spellavano le mani con un tifo da stadio in ogni pubblica occasione in cui appariva e parlava il “capo”. Ecco perché, forse, si tratta adesso di voltare pagina. Almeno da parte di coloro che non si sono mai rassegnati ad una semplice politica spettacolo e al partito del “capo” e, soprattutto, da parte di quelle persone che continuano a pensare che non esiste la politica senza un “pensiero”. Cioè senza una cultura politica di riferimento. Il tutto anche in un contesto dominato dal qualunquismo e dalla più squallida demagogia . Tocca, quindi, ai cattolici popolari e ai cattolici democratici adesso battere un colpo. E sono convinto che nelle prossime settimane partirà un segnale forse, coraggioso e determinato in questa direzione.

I “giocatori di poker” alimentano la vocazione al suicidio del Pd

STORIE DI CITTA’ di Patrizio Tosetto
La vocazione al suicidio del Pd si è fatta sistema. Unica giustificazione: l’ indeterminatezza regna sovrana. Continuano i giocatori di poker che nelle loro dichiarazioni dicono di avere carte vincenti che non hanno. Del resto poco ci si poteva aspettare da chi ha vinto le elezioni sulla base di menzogne. Con promesse elettorali irrealizzabili. Demagogia assoluta che non rende meno gravi gli errori del Pd renziano. Rimane la garbata pazienza del nostro Presidente della Repubblica che invitando alla calma cerca nel tempo la possibilità di dare al paese un governo. Necessità sollecitata anche dall’ Europa.  Staremo a vedere, ma il malato più grave continua ad essere chi ha perso le elezioni. La gravità della malattia impone scelte radicali di rottura con il passato. Mi sembrava che la proposta di Chiamparino su nome di Salizzoni andasse in questa direzione. Ma ecco le contestazioni. Il Senatore Mauro Laus non ci sta e contesta il metodo di scelta. Strano, é tra i pochi appagato della sua elezione a Senatore. Da oltre 20 anni il suo principale obiettivo in politica. 20 anni e lui sa aspettare cogliendo il momento propizio.  A chi gli chiedeva: quando a Roma? Rispondeva: a tempo debito. Grande lavoratore. Pensate che immigrato e laureato il suo primo lavoro nella coop Rear assunto come portalettere e uomo tutto fare. Base elettorale lucana, proprio uno che si é fatto tutto da solo. Con i suoi vezzi. Vestiti confezionati da artigiani sarti della sua regione, la Basilicata. E persino uscito indenne da un apposita commissione regionale che doveva appurare se il suo ruolo di presidente della coop Rear fosse incompatibile con il ruolo di consigliere Regionale. Superata questa prova si dimette da presidente ma i bene informati fanno notare che al suo posto sono stati eletti amici e “parenti” . All’ufficio del lavoro si ricordano di lui e della coop, era il più gettonato per cause di lavoro. Ma lui va avanti. 3 volte eletto in consiglio regionale diventa presidente dell’Assemblea. Lascia parte dei suoi sodali lucani e diventa fassiniano doc. Il resto è storia recente. E il Chiampa è infastidito, anzi proprio arrabbiato. Ma qui c’è, almeno per il sottoscritto, la prima vera sorpresa. Telefono e messaggio chiedendo a politici pd nostrani: che succede ? Pensando che le risposte fossero a favore di fatto del Chiampa. Errore. Grande rispetto per la risorsa politica del governatore uscente ma non é più tempo di scelte fatte in solitaria. Insomma Mauro Laus ha ragione. Bene, facciano loro che sono del Pd. Ma quando un’ azienda é sull’orlo del fallimento chiede il concordato preventivo e  il commissario scelto ha ampi poteri. Superata l’ emergenza si può tornare ad una dinamica normale. Penso che non ci sia in tutta la storia repubblicana un caso come quello del Pd che nel giro di 4 anni passi dal 40 % delle Europee al 18 delle politiche. La proposta di Salizzoni era una proposta ottima. Vediamo perché. Innanzitutto perché non è del Pd e non è mai stato del Pd. Secondo, è un luminare, come dimostrato da ciò che ha fatto come chirurgo. Ha rifiutato per tutta un vita offerte a 100 mila dollari ad operazione. Ha rifiutato per essere coerente con i suoi ideali di eguaglianza sociale. Onestà intellettuale e morale. Mi sembrano qualità non da poco. Un azzardo? Fosse anche é ciò d cui ha bisogno un partito che si autodefinisce di sinistra, seppur con venature di centrismo.  E nell’ azzardo ci sono rotture con il passato. Basta con le nomenclatura. Basta con la casta. Un sospetto. Laus è diventato amico politico di Gariglio che ha mal ha digerito la defenestrazione da segretario regionale? Se fosse vero muoia Sansone con tutti i filistei. Un altro sospetto. Molti sostengono che Renzi é pronto e con i fedelissimi farà un altro partito di centro. Del resto fanno notare i cattivi: i democristiani e gli ex democristiani non sanno stare lontano dal Potere.  Il dissolvimento è dietro l’ angolo. Poco importa perdere le elezioni regionali. E dunque poco importa proporre candidati credibili. Oramai a pochi importano le sorti del Pd.
(foto: il Torinese)

Caso FinPiemonte, Ghigo: “Chiamparino tragga le sue conclusioni”

di Enzo Ghigo

Quando ero presidente della Regione, nel malaugurato caso di arresto di una persona da me nominata ai vertici di una importante società regionale, avrei tratto le mie conclusioni politiche. Mi sarei assunto la responsabilità di avere scelto una persona rivelatasi sbagliata: in politica anche le intuizioni errate costituiscono grave peccato. Che succederà ora, dopo l’arresto dell’ex presidente di FinPiemonte, scelto dalla Giunta di centrosinistra? Non oso immaginare cosa sarebbe accaduto se in questo guaio fosse incappato un governo regionale di centrodestra. Qui si parla dell’ammanco di milioni di euro di denaro pubblico, voglio ricordare che per molto meno – un paio di boxer verdi – il presidente Cota come Martin perse la cappa, con dosi abbondanti di gogna mediatica. Mi auguro che le attuali forze di opposizione in Regione ora facciano sentire la propria voce.