Di Laura Goria
Cosa si può dire di un uomo meraviglioso che muore a soli 37 anni, lascia una moglie innamoratissima, due figli ancora piccoli e una moltitudine di tifosi affranti?
Il mitico capitano del Toro, Giorgio Ferrini, mancato l’8 novembre del 1976, rivive ora nelle pagine scritte dalla figlia Cristiana; un’intensa dichiarazione di amore al suo “Papitano”, che ha chiuso gli occhi ed è volato via troppo presto.
E sfatiamo subito l’errata idea che sia solo un libro di sport. No! E’ infinitamente di più.
Innanzitutto è la biografia dove sfogliamo la vita semplice –eppure straordinaria- di un uomo con valori solidi, spinto da un’immensa passione, notevoli doti, animo profondamente buono e corretto.
Ma con un tempo breve come un lampo che ne ha fatto leggenda.
Sono memorie preziose, uniche e appassionanti che vi conducono nella quotidianità del campione, scorrevoli come un ottimo romanzo. Soprattutto… distillate dal cuore.
Cristiana è la fotocopia al femminile di “Papitano” Giorgio. Stessi occhi color cielo terso, capelli biondi, cuore sempre spalancato agli amici, inscalfibile senso di lealtà, identica tenacia da mula triestina, di quelle che non mollano mai.
Indossa il cognome Ferrini come seconda pelle ed apre lo scrigno dei ricordi, regalandoci l’essenza di suo papà. Traccia il profilo innanzitutto dell’“Uomo”; prima ancora che del mitico campione granata.
Lo fa con l’emozione di una figlia che nel Dna ha ereditato la capacità di convertire l’impatto del dolore in tempra straordinaria. Oggi è una donna felicemente ancorata alle sue radici; ha volato alto per tornare realizzata, sempre positiva e con una gioia di vivere contagiosa.
Questa intervista è solo la punta dell’iceberg di un intero pomeriggio trascorso insieme. Peccato che le parole sciorinate per iscritto non possano trasmettere pienamente i toni vibranti della sua voce, l’entusiasmo straripante dalle sue parole, la luce che scintilla e diffonde radioso il suo sguardo mentre racconta la genesi del libro che… ci dice:
«E’ dentro di me da sempre. Sono pensieri, frasi, brani di canzoni o un tramonto che mi fanno pensare di raccogliere qualcosa da dedicare a lui. Probabilmente è arrivato il momento maturo in cui sono riuscita a scrivere quello che avevo dentro».
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Giorgio che uomo era?
Innanzitutto una persona per bene, con valori profondi, leale, incorruttibile, giusto, altruista. Buono, ma non debole; non scendeva a compromessi e non aveva mai secondi fini. Un puro, ma anche figura carismatica, un leader che ha portato i suoi valori nello spogliatoio e nella compagnia degli amici. Oggi percepisco dai racconti di chi l’ha conosciuto che era speciale e pieno di qualità. Cosa non scontata.
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Per te chi era l’amato “Papitano”?
Come per le mie amiche, il papà era il principe azzurro, la prima figura maschile di riferimento. Ma penso di avere avuto una fortuna in più; lo chiamavo “Papitano” proprio perché era anche il capitano della mia squadra del cuore. Io ero tifosissima fin da piccola; portata allo stadio dai nonni e dagli zii, casualmente, poi in me è nata la passione.
3) Hai perso il tuo Idolo quando avevi solo 12 anni: come si sopravvive e si supera?
Ci sono rabbia e rancore, poi ho visto la sofferenza di mamma e Amos, e in un pomeriggio sono cresciuta da bambina ad adulta. Ho sentito che dovevo proteggerli. Ero troppo piccola per un dolore così grande, e qualcuno doveva tenere duro. Per salvarmi, ho voluto farne la mia forza e conviverci. Mi sono creata come un film dove lui c’era e questo mi ha sempre aiutata.
4) Come si cresce con il rimpianto?
Io non l’ho lasciato quel giorno; per me era andato via solo il suo corpo. All’inizio, soprattutto nei week end, la sua assenza fisica era sopportabile, come se fosse al solito ritiro. Invece nei momenti importanti, come scelte da prendere, avvertivo terribilmente il vuoto.
5) Che genitore è stato per te e come siete stati educati?
Un papà amico, ma severo; con la sua parte di dolcezza e comprensione nei giochi e nei compiti. Poi si sdoppiava e diventava il mio idolo in campo.
In famiglia esistevano delle regole, papà e mamma per noi c’erano sempre ed erano il punto di riferimento. Ci davano la possibilità di sbagliare, ma poi dovevamo crescere e andare con le nostre gambe.
6) I ricordi più belli che hai di lui?
Sono infiniti e continuano a riaffiorare, perché da quando li ho messi nero su bianco, si è scatenato di tutto, tanto da scrivere un altro libro.
7) E con lui?
Un ricordo solo nostro è la nuotata. Esperienza forte e fisica, che facevamo in mare, soprattutto quello scuro e melmoso di Lignano. Mi prendeva sul dorso, ci immergevamo sott’acqua fin sul fondo, e riemergevamo. Poi un’altra spinta e tornavamo giù. Come due delfini sospesi uno sull’altro, staccati, io lo abbracciavo senza bloccarlo e ne imitavo il movimento. Era bellissimo!
E la prima volta nelle acque cristalline della Sardegna è stato pazzesco. Ancora oggi, ogni volta che mi tuffo, innanzitutto, mi immergo allo stesso modo. E quando vado sotto…è quello…il momento in cui forse ci uniamo ancora.
8) Quanto eri una fan sfegata?
La fede granata in me era innata. Adoravo andare allo stadio con papà, che mi guardava perplesso, chiedendomi se non preferissi giocare con le amichette.
Invece sceglievo di fare i compiti sulle gradinate e seguire gli allenamenti. Se il tempo era brutto stavo con la custode del Filadelfia, signora Franca, che mi ha insegnato a cucire e rammendare. Ancora oggi, per me, lì è casa.
Ed è curioso, perché pensa che, paradossalmente, l’unico pallone in famiglia, non l’aveva portato papà dallo Stadio, ma comprato la mamma, supplicata da me e mio fratello.
9) E Amos?
Era più piccolino, i compagni di squadra di papà gli facevano un sacco di scherzi e per lui era una tortura. Fingevano di fargli il gesso, un’iniezione, la doccia fredda. Papà, con intelligenza, aveva capito che il calcio non era il suo sport e, con sensibilità, l’aveva indirizzato verso la vela e il motocross.
10) Tuo fratello assomiglia a Giorgio?
Ha tutta la sua gestualità, che è pazzesca. Ma quanto a carattere, Amos è selettivo. Da un amico pretende tanto, è più esigente; a volte stupito che si comporti con lui in un certo modo. Invece papà di amici ne aveva veramente tanti. Amos no, è un solitario. Ma i principi e i valori che porta avanti sono gli stessi. Gli ho chiesto se voleva scrivere qualcosa e la sua introduzione è davvero bellissima.
11) Cosa ti è mancato più di papà nelle varie fasi della tua vita?
Sono credente e non chiedo mai “Perché non ci sei?”. So che c’è! Lo sento sempre presente e gli chiedo di guidarmi, non farmi sbagliare o fare il passo più lungo della gamba. Come se continuasse un dialogo e un confronto tra me e lui.
Ovvio che nelle scelte di studio e lavoro mi sono confrontata solo con mamma, che è stata bravissima. Ma aveva le sue idee e cercava di proteggerci, era cauta soprattutto se c’erano investimenti da fare. Si, l’opinione di papà sarebbe stata importante.
12) Perché Giorgio, fin da piccolo, pur essendo Triestino, aveva questo amore incondizionato per il Toro?
Non lo sappiamo, ed è inspiegabile, tanto più che all’epoca il calcio non era importante come oggi. Aveva voluto il numero 8 rabberciato col panno lenci su una maglietta. E sua mamma gli aveva anche confezionato un pallone con la gomma piuma, ricoperta di stracci cuciti insieme.
Non si capisce neanche perché proprio l’8 che non era neanche quello di Valentino Mazzola. Forse è il destino.
13) Quando l’aereo con a bordo la squadra del Grande Torino si schiantò a Superga, il 4 maggio 1949, per Giorgio fu straziante. E’ vero che quel dolore contribuì a forgiare il futuro capitano Granata?
L’aneddoto ce lo raccontò nonna. Papà, appena apprese la notizia corse via disperato; senza dirle niente, mentre lei stava allattando zio Bruno, di 10 anni più piccolo.
Inconsolabile, camminò da solo, lungo il mare fino a notte fonda, mentre tutti lo cercavano preoccupati.
Quando tornò, il padre non ebbe cuore di punirlo perché, guardandolo negli occhi, lo vide talmente sconvolto che lo mandò a dormire.
Al mattino gli chiesero spiegazioni e lui angosciato…«Ma sono morti tutti i miei eroi, volete capirlo!», poi aggiunse «Io diventerò il capitano!».
14) Giorgio era molto umile e semplice, come fu la sua infanzia?
E’ cresciuto in casa Ferrini dove c’erano molto amore, gioia, allegria, armonia… e la povertà del dopo guerra. Ma affrontata con lo spirito tipico dei triestini che sono goderecci e sanno far festa in modo sano e con poco. Si riuniscono, cantano e si divertono. Uova sode e sale, sedie a sdraio in macchina e per loro è vacanza.
Poi c’era il palazzo, con tutte le porte aperte, un modo per dire che esisteva condivisione tra le famiglie: gioie, dolori, chi aveva una patata la passava all’altro, nella corte i bambini giocavano insieme, una mamma li controllava e loro si guardavano tra loro. L’ultima volta che sono andata a Trieste l’ho visitato; c’è ancora, riammodernato, in lontananza il mare e l’Istria.
15) Passò dai banchi di scuola direttamente all’età adulta. Come arrivò la svolta dell’ingaggio granata?
Conclusa la scuola dell’obbligo lavorò in una fabbrica di scarpe americana; perché doveva già contribuire al bilancio familiare e per i nonni era l’avvio di un impiego sicuro con probabile assunzione all’orizzonte.
Dopo gli esordi a pallacanestro, era passato al calcio e uscito da lavoro si allenava e giocava nella squadra di Trieste, la Ponziana, dove era stato notato. Già allora aveva una marcia in più.
Dal Toro arrivò il dottor Motto, che poi ho conosciuto, e mi ha raccontato come i nonni lo ricevettero a casa con educazione, ma anche ostilità. Quando propose un contratto, il nonno rispose che a lui interessava solo quello con la fabbrica.
Nonna, invece, quasi bisticciando, si impose e disse «No, Giorgio va! Farà sempre in tempo a tornare, ma se non prova, ci chiederemo tutta la vita se abbiamo sbagliato. E poi chi siamo noi per dirgli di no!».
16) In parte, dunque, si deve a tua nonna l’arrivo di Ferrini 15enne al Toro, che donna era?
Tostissima, lungimirante, molto moderna, intelligente. Sicura, forte, coraggiosa, tipica donna giuliana, di confine. E ti dico anche che, finché c’è stata, è la persona alla quale ho sempre chiesto un consiglio e lei me l’ha dato ogni volta lucidissimo. Su qualsiasi cosa, a partire dal fidanzatino, mi diceva «no, non è giusto…», oppure «Cri, aspetta, sei frettolosa, lascia un attimo che le cose si calmino, cerca di ragionare…»
17) L’amore tra tua mamma Mariuccia e Giorgio sbocciò con un candore di altri tempi. Corteggiamento e timidezza…direi…a ruoli invertiti…
Lo raccontavano insieme ridendo e mamma ne ha riparlato a Natale.
Papà era timidissimo e complessato per l’acne; lei invece per niente e spigliatissima. Arrivava dalla Val Sugana che le stava stretta, e a Varese era cassiera in un bar. Bella e parecchio corteggiata, era però incuriosita da quel giovane sempre a testa bassa. Quando un amico le svelò che a Giorgio piaceva molto, prese in mano la situazione e organizzò un pomeriggio danzante col jukebox.
Arrivato da solo, papà si mise dietro la console, mamma andò a chiedergli di cambiare musica e lo invitò a ballare. Ha fatto tutto lei.
Peccato che i nonni avessero mandato zia Sandra, più piccola di 10 anni, per riportare a casa la sorella. E che papà abbia sentito il commento della ragazzina “Ma con tutti i ragazzi belli che ci sono ti sei messa a ballare proprio col più brutto”.
Papà sparì e mamma per riconquistarlo iniziò a comprare i giornali sportivi per capire chi fosse. Chiaro che lei non ne sapeva molto, ma lo provocò dopo un’espulsione; e lui risentito “Prima di fare queste battute vieni a vedermi”. Non se lo fece ripetere due volte e la storia si sbloccò.
Lei iniziò a seguire tutte le partite e a fare il tifo: lui a dare il meglio di sé in campo per piacerle.
18) Davvero un amore candido…
La storia poi è cresciuta, ma nel massimo rispetto delle regole. Entrambi lontani da casa, alloggiavano nella stessa pensione, dove si dormiva con le porte aperte e se avessero voluto…avrebbero potuto fare tutto quello che volevano, come tanti altri. Ma loro invece no! Mamma dice che erano due imbranati. Si limitarono a baci, carezze e abbracci e non superarono mai il limite prima del matrimonio. Lei tenne fede al diktat di sua madre che le aveva detto: “La reputazione, stai attenta, mai rovinartela. Lo ami, però aspetta”.
19) Che marito è stato?
Lui in casa era una bella figura, non dominava mamma, avevano i loro ruoli. Erano scherzosi, soprattutto ancora molto innamorati, avevano appena 34 e 37 anni e ancora tanto da darsi.
Li ricordo soprattutto sul divano abbracciati e giocosi: mamma che lo scompiglia tutto, lui che la lascia fare, con sguardi pieni di amore. Oppure giocare a cuscinate sul lettone tutti e quattro insieme; iniziavano sempre loro due, poi ci buttavamo anche io e mio fratello.
Non era mai per cose gravi, ma papà odiava le discussioni, mamma il contrario e quando qualcosa la infiammava, lui faceva muro; ogni tanto diceva “Rossa, basta!”, poi usciva e andava dai vicini Mori, o a camminare. Quando tornava, mamma avrebbe voluto riattaccare, ma ormai non era più il momento.
20) A voi che esempio è arrivato?
Direi perfetto. Amos ed io in casa avevamo un clima sereno e siamo cresciuti con un fortissimo senso della famiglia, dei suoi valori fondamentali. Ci sono entrati sottopelle grazie all’esempio e ai comportamenti quotidiani di mamma e papà, come si muovevano, come erano. E se pensi che da lui ho assorbito un segno così forte in soli 12 anni, l’esempio era davvero alto; certo poi portato avanti da una mamma eccezionale.
21) Quanto costava a lui e a voi il tempo sottratto alla famiglia per la squadra.
La normalità era che andava e veniva. Ma quando c’era, esisteva la qualità! Siamo cresciuti sapendo che nostro papà aveva semplicemente ritmi diversi. Certo, quando riuscivamo a godercelo più a lungo era una gioia enorme. Credo che per lui fosse un sacrificio molto meno che per noi, perché stava facendo quello che amava. Allora i calciatori il lunedì sera andavano nei Toro Club con la famiglia e neanche questo per lui era faticoso.
22) Giorgio era di poche parole, ma i suoi gesti e silenzi quanto erano intensi?
Gli occhi e il gesticolare erano il suo parlare. Con lo sguardo comunicava con me, gli amici e gli altri. A volte bastava che ci guardassimo da lontano come sapevamo fare noi…e non doveva dire nulla, lo sguardo bastava.
Ho ancora nitido il ricordo di quando era l’ora di andare a letto dopo il mitico carosello; mi guardava semplicemente indicando direzione zona notte. La magia era tutta negli occhi e nella gestualità.
23) La prima parola che ti viene in mente quando pensi a tuo papà?
I suoi occhi! Pace!
Cristiana Ferrini: “Mio Padre, Il Capitano dei Capitani. Giorgio Ferrini, una storia granata” Cairo Editore
PS. Il libro offre anche la possibilità di rivedere immagini della vita di Giorgio Ferrini, molte inedite, e ricordi vari della carriera del capitano. Erano conservati in un baule che ora Cristiana mette a disposizione di tutti.
Basta inquadrare con la fotocamera del vostro cellulare il QR code che trovate sul risvolto di copertina. Vi collega alla pagina Instagram Giorgio Ferrini 8, dove Cristiana carica costantemente materiale prezioso.
CONTINUA…….