Il gruppo britannico , fin dai mitici anni ’80, ha saputo intercettare le frustrazioni degli adolescenti metropolitani traducendo i tempi moderni in musiche dal ritmo gelido, tipiche dei ciclici tentativi di rivoluzioni generazionali

Grande attesa in città per il concerto dei Depeche Mode, il prossimo 18 febbraio al Palaolimpico. Il gruppo britannico , fin dai mitici anni ’80, ha saputo intercettare le frustrazioni degli adolescenti metropolitani traducendo i tempi moderni in musiche dal ritmo gelido, tipiche dei ciclici tentativi di rivoluzioni generazionali. I Depeche Mode di Dave Gahan (voce), Andy Fletcher , Vince Clarke, Martin Gore (tastiere) nacquero nel mix di romanticismo e futurismo di quell’epoca.
Musiche orecchiabili e pronte da ballare, ma forse proprio perché senza troppe pretese, di grande successo. Ancora oggi i nostalgici li adorano. Personal Jesus è probabilmente il loro brano più incisivo, mentre Il rock di Songs Of Faith And Devotion (Mute, 1993) è una chiara ispirazione allo stile degli U2, dei quali hanno imitato anche la mimica sul palcoscenico.
Depeche Mode – 18/02/2014, ore 20.30
Palaolimpico, Corso Sebastopoli, 123 – Torino

Facciamo subito chiarezza sul titolo della mostra. In giapponese il termine onna significa “donne” e per onnagata, termine in uso dal Seicento, si intendevano, sempre nel “Paese del Sol Levante”, “attori maschi” travestiti con indumenti e sembianze femminili. Il titolo, dunque, dato alla nuova rotazione di kakemono (dipinti o calligrafie giapponesi su seta, cotone o carta a forma di preziosi e fragili rotoli da appendere in verticale) proposta, fino al 17 aprile del prossimo anno, dal MAO di Torino, chiarisce subito l’obiettivo di un evento espositivo teso ad invitare il visitatore a esplorare la varietà dell’universo femminile giapponese: dalle divinità alle dame di corte, dalle danzatrici alle popolane fino agli onnagata e senza dimenticare la simbologia di fiori e uccelli correlati alla femminilità. Discorso alquanto complesso. Fino al VI secolo circa, la società giapponese era infatti una società che manteneva ancora elementi di tipo tribale e una forte impronta matriarcale: grazie anche allo shintoismo, che attribuiva grande considerazione alle donne per la loro capacità di generare la vita, in Giappone non mancavano sacerdotesse, regine e dee. Con l’arrivo del buddhismo e del confucianesimo le cose cambiarono drasticamente: la donna perse gradualmente il suo ruolo sociale e fu obbligata all’obbedienza all’uomo, padre, fratello o marito. Eppure, nonostante il ruolo di subordinazione a cui le si volle relegare, le donne, in particolare quelle appartenenti all’aristocrazia o alla corte imperiale, continuarono a godere di stima, rispetto e anche di una parziale libertà, soprattutto in ambito amoroso. Ed è proprio, sottolineano al MAO, “grazie all’amore, ai diari e ai carteggi fra amanti, che nacque la letteratura giapponese: se i contratti e i documenti ufficiali erano appannaggio maschile, le opere letterarie presero vita dall’ingegno femminile”. Attorno all’anno Mille, videro la luce opere che hanno attraversato i secoli e dettato le regole della letteratura nipponica, fra cui i celeberrimi “Genji Monogatari” e “Makura no Soshi”, le “Note del guanciale”. Per non dire del teatro. All’epoca della sua fondazione da parte di Izumo no Okuni, una ballerina itinerante, il teatro tradizionale kabuki era una forma d’arte esclusivamente femminile. Gli spettacoli riscuotevano enorme successo presso tutte le classi sociali e cominciarono ad essere emulati persino nei bordelli, tanto che lo shogun (i dittatori militari che governarono il Giappone fra il 1192 ed il 1868) decise di vietarli. Per questa ragione, attorno al 1630, le onna, termine giapponese – come detto – per “donne”, furono rimpiazzate in scena da ragazzi, gli onnagata (letteralmente “a forma di donna”), uomini travestiti con abiti femminili e, da quel momento, il teatro fu considerato un luogo disdicevole, non adatto alle donne.

