ilTorinese

Polizia, il sindacato SAP: “A Torino ennesimo corteo violento”

“Ieri a Torino si è tenuto l’ennesimo corteo non autorizzato che è sfociato in episodi di violenza. Continua a essere dimostrato concretamente che la valutazione fatta dalle Autorità di Pubblica Sicurezza rispetto alla pericolosità di certe manifestazioni sino ad ora è stata corretta”. Ad affermarlo è il Segretario Generale del SAP, Stefano Paoloni, precisando che “purtroppo ieri sera anche nel capoluogo piemontese la manifestazione pro Palestina è sfociata in gravissimi episodi di violenza, lancio di oggetti contundenti e bombe carta. Proprio a causa dell’ordigno alcuni colleghi sono rimasti feriti”.

Oltre a esprimere “massima solidarietà ai colleghi feriti”, ai quali il SAP augura una pronta guarigione, Paoloni pone l’attenzione sul “preoccupante innalzamento del livello di violenza. Una violenza che sta crescendo ed è sempre più virulenta. Per questo, servono misure immediate che consentano di ripristinare una condizione di pacifica convivenza e di fermare all’origine le manifestazioni pericolose. In questi ultimi giorni – conclude – non tutti hanno condannato e preso le distanze in modo netto da tali episodi e, pertanto, così si rendono complici e corresponsabili delle violenze”.

La magia del Trail delle Colline

TRA NATURA, PASSIONE ED ENTUSIASMO

La sesta edizione del Trail delle Colline, valevole come Memorial Marino Borca e Pierangelo Berruti, sfiora quota mille iscritti e l’atmosfera di festa di sempre si è diffusa a macchia d’olio sulle colline chivassesi e di Castagneto Po. Le condizioni meteo tipicamente autunnali hanno fatto desistere qualcuno dal presentarsi alla partenza, ma sono stati comunque 971 gli iscritti a questa manifestazione organizzata congiuntamente dalla Hope Running e dagli Amici dei Vigili del Fuoco Volontari di Chivasso insieme al Comitato Organizzatore. Un numero importante, che rende merito agli sforzi profusi negli ultimi mesi e alla decisione di sposare come da tradizione importanti progetti sociali. Nel 2024 la scelta è ricaduta sull’istituire una borsa di studio in ricordo di Fabio Santa, ingegnere chivassese scomparso lo scorso anno, e il ricavato dell’eco-camminata solidale “Un passo verso l’inclusione” – 1° Memorial Fabio Santa servirà proprio a finanziare quest’iniziativa.

 

La cittadinanza chivassese (e non solo) ha ancora una volta risposto alla grande: ben 759 gli iscritti all’eco-camminata, a cui hanno presenziato Paola, Matteo ed Elena, rispettivamente la moglie, il figlio e la sorella di Fabio, oltre a tanti suoi amici e conoscenti.
La grande novità dell’edizione 2024 del Trail delle Colline è stata la presenza tra i partner di Red Bull Italia, brand che all’arrivo ha messo le ali a tutti i finisher dell’evento. Confermatissima, invece, la partecipazione dello staff della Palestra Mirabai di Volpiano a far riscaldare a ritmo di musica i partecipanti all’eco-camminata, così come la collaudata formula dell’evento, incentrata su ben 3 gare competitive.


Nel Tdc Lungo di 28 chilometri, a cui hanno risposto presente 76 atleti, successo per il solito Stefano Chiavarino, cimentatosi per la prima volta qui sulla distanza più lunga: 2h17’59” il suo tempo finale. Alle sue spalle Luca Nada, secondo classificato in 2h21’20”, e Josè Montoya, terzo con il crono di 2h21’26”. In questa gara, da segnalare la presenza di Luca Papi, leggenda vivente
Il trail nel cuore verde delle colline chivassesi e di Castagneto Po ha fatto registrare quest’anno 971 iscritti regalando una giornata di festa e divertimento a tutti senza dimenticare l’aspetto sociale con la raccolta fondi per il 1° Memorial Fabio Santa del trail running, primo vincitore nel 2019 del Tor des Glaciers. In campo femminile a vincere è stata Susanna Flego, trentesima assoluta e la migliore tra le donne in gara con il tempo di 3h11’18”. Sul podio anche Sara Gasco (3h30’39”) e Irene Colletti (3h34’57”).


Nel TdC Corto di 15 chilometri, con 127 atleti al via, vittoria al maschile di Mattia Barlocco, che ha tagliato il traguardo in 1h10’41” precedendo Loris Schina, secondo dopo aver fermato il cronometro a 1h15’08”, e Alessandro Bogino, terzo classificato in 1h23’30”. Tra le donne, Melania Perillo ha staccato le rivali vincendo in 1h40’02” e facendo sua la ventesima posizione assoluta. Dietro di lei Irene Brignolo (1h41’21”) e Sara Rabassi (1h49’11”).
Sulla distanza di 15 chilometri si sono cimentati anche i 9 binomi uomo/cane: tra i maschi successo di Mauro Menozzi con il tempo di 1h13’55; sul podio anche Davide Amore Bonapasta, secondo in 1h26’30”, e Pierluigi Giglio, terzo (1h31’40”). Al femminile affermazione di Sofia Giordano (1h43’38”) davanti ad Alessia Veronese (2h24’24”).
Giovanni Mirabella, presidente del Comitato Organizzatore e della ASD Hope Running APS, realtà che insieme all’Associazione Amici dei Vigili del Fuoco Volontari di Chivasso Onlus ogni anno dà vita a questa bella manifestazione, è soddisfatto: “I sorrisi di tutti i partecipanti e volontari sono la mia più grande ricompensa: il mio grazie va ad ognuno di loro! A differenza del 2023, edizione che ha fatto registrare il record di partecipanti, le condizioni meteo hanno fatto desistere qualcuno dal presentarsi quest’anno alla partenza, ma avevamo un sogno e lo abbiamo realizzato insieme a
tutti voi: raccogliere fondi per istituire una borsa di studio in ricordo di Fabio Santa e il primo importante passo di questo ambizioso progetto è stato compiuto.

Voglio ringraziare le amministrazioni comunali di Chivasso e Castagneto Po, la Regione Piemonte e la Città Metropolitana di Torino, rappresentate a San Genesio dall’assessore alle Politiche Sociali Maurizio Marrone e dal consigliere metropolitano Andrea Gavazza, Turismo Torino e Provincia, il Comitato Regionale CSEN Piemonte con in testa il presidente Gianluca Carcangiu, Sport e Salute, il CONI Piemonte, i Comuni di Castiglione Torinese e Gassino per il supporto, gli enti, le istituzioni, il Corpo Militare della Croce Rossa Italiana, i Giovanniti di Moncalieri, l’ANMCRI Piemonte, Radio Manila, l’Ascom Chivasso, tutte le attività commerciali che hanno esposto in questi giorni la maglietta del TdC e che ci sostengono, Acqua San Bernardo, Bottega d’Arte, Civàs Cafè, L’Erbolario Chivasso, Tuttocapsule Chivasso, XXL Cafè, BDV di Vittone Giuseppe, Movim, tutti gli sponsor e i partner che ci supportano, Genea Biomed e Pasticceria Bonfante con i loro stand, le Pro Loco di Castagneto Po e Casalborgone, la LILT di Chivasso e la LILT Città Metropolitana di Torino, la FIDAS ADSP di Chivasso, Castelrosso e Casalborgone, l’Associazione Amici del Po di Chivasso, il Comitato chivassese della Croce Rossa Italiana, la sezione di Chivasso del CAI, l’Ente di gestione delle Aree protette del Po piemontese e le tante associazioni che hanno reso unico questo evento con la loro partecipazione: penso a Volley Fortitudo Chivasso,
Tutte le info relative al 6° Trail delle Colline le potete trovare a questi link:

Boxe Chivasso, Stramandriamo, Boxe Chivasso,
Palestra Mirabai Volpiano, Mi.Gio.Act. Castiglione Torinese e tantissimi altri. Sicuramente
dimenticherò qualcuno, ma il pensiero va davvero a tutti coloro che hanno reso possibile tutto
questo. Un grazie di cuore e un abbraccio va alla famiglia di Fabio Santa che ha accettato il nostro
invito a dare vita al progetto della borsa di studio in suo ricordo e ha partecipato all’eco-
camminata facendoci emozionare. In ultimo, un grande grazie va ai componenti del Comitato
Organizzatore, con in testa i direttori di gara Massimo Bocca e Pasquale Esposito e il responsabile della sicurezza Davide Avanzato, e a tutti i volontari, che con passione, entusiasmo ed energia
hanno dato vita ancora una volta alla magia che accompagna ogni edizione del Trail delle Colline”.

• Sito web ufficiale www.traildellecolline.it
• Facebook: www.facebook.com/traildellecolline
• Instagram: www.instagram.com/tdc_trail_delle_colline • Come donare: www.hoperunning.com/sostienici
• 5×1000: codice fiscale Hope Running n° 91032000019

Semaforo “cadente” in via Stradella

La lettrice Danila Rossetti ci segnala che in via Stradella angolo via Breglio si è staccata una parte di semaforo e ci invia queste immagini. Ci auguriamo che il Comune intervenga al più presto: il pezzo “cadente” è rimasto attaccato a malapena alla struttura e potrebbe rappresentare un pericolo per pedoni e automobilisti.

Taxi elettrico fuori strada: tra i feriti un bimbo di due anni

Per motivi in fase di accertamento un taxi elettrico è finito fuori strada a Lusiglie’. I quattro passeggeri sono stati soccorsi dal  118 e trasportati in codice giallo all’ospedale di Ivrea. Nell’incidente, avvenuto in prossimità di un cantiere, è rimasto ferito anche un bimbo di due anni.

Paolo Rossi inaugura la stagione del Torino Comedy lounge

Il collettivo Torino Comedy Lounge, punto di riferimento in Piemonte e in Italia per la stand-up comedy, inaugura la sua ottava stagione di spettacoli e open mic con un ospite d’eccezione: Paolo Rossi.

 

Il comico, attore, cantautore, regista, conduttore e drammaturgo di Monfalcone sarà sul palco del Cubo Teatro di Off Topic martedì 8 ottobre, alle ore 21, con il suo nuovo monologo, intitolato Pane o libertà (per un futuro immenso repertorio).

 

Lo spettacolo (prodotto da AGIDI) unisce stand-up comedy, commedia dell’arte e commedia greca e, come precisa lo stesso Rossi, trae il titolo “da un libro, ma non vi dico qual è. Lo trovo molto emblematico: si impone la scelta tra mangiare, vivere o avere la libertà. Ma oggi le parole ‘pane’ e ‘libertà’ hanno lo stesso significato di quando quel libro mi capitò tra le mani? Il pane ha lo stesso sapore di quei tempi? E, oggi, una persona è libera di gridare ‘Abbasso la libertà’?”.

 

Dirompente, agile e sfuggente alle definizioni di genere, nonché duttile nell’allestimento scenicoPane o libertà assume le caratteristiche di un evento, più che di una rappresentazione, e si adatta a qualunque luogo voglia ospitarlo, anche il teatro propriamente detto. Il monologo, infatti, mescola la figura del primo Arlecchino, quello che possedeva il biglietto di andata e ritorno per l’aldilà, con quella che fu, poi, una delle sue evoluzioni, come intrattenitore popolare capace di spaziare dalle stalle al cabaret.

 

Che cosa ci si deve aspettare, dunque? Un teatro d’emergenza? Delirio organizzato? Una serata illegale? Teatro di rianimazione? Non ha importanza: in ogni caso, sarà un teatro di domande.

 

“Giocando con l’illusione di mettermi sul palco – o su ciò che useremo come tale, per bisogno o necessità – sia come attore, sia come personaggio e come persona – spiega Paolo Rossi –, rievocherò i miei sogni lucidi, fatti di storie che aiutano a resistere, a scegliere tra il pane e libertà, o a non scegliere proprio. Vorrei fare qualcosa che dia al mio essere chiamato comico una via di fuga verso un teatro sociale, nella poesia del buffo e della magia. Roba minima. Tanto per alzare le difese immunitarie del pubblico presente.”

 

Complemento essenziale dell’evento è, infine, il sottotitolo dello spettacolo, Per un futuro immenso repertorio: una finestra che si aggiunge a quelle dell’improvvisazione, del coinvolgimento del pubblico, di irruzioni improvvise di ospiti a sorpresa, dove verranno riarrangiati o citati pezzi, monologhi, frammenti e momenti delle origini per farli rimbalzare come nuovi nel presente della serata. Recitando con il pubblico, e non al pubblico, inoltre, ai presenti in sala sarà consentito intervenire, chiedere, interrompere e, soprattutto, restare svegli.

 

«Siamo orgogliosi ed emozionati di inaugurare la nuova stagione con Paolo Rossi: un indiscusso maestro della comicità italiana, che ha cambiato profondamente il modo di fare comicità, appunto, nel nostro Paese”, commenta Antonio Piazza, stand-up comedian e fondatore del TCL.

Attore comico italiano nato a Monfalcone nel 1953, Paolo Rossi è un intrattenitore dalla vena poetica e surreale e dalla comicità aggressiva, oltraggiosa e beffarda a dispetto del fisico minuto da folletto, il quale ha affrontato le più spinose questioni politiche e sociali nei suoi monologhi, assoli scatenati e dissacranti, autobiografie anarchiche e sconclusionate. Di successo anche la sua attività di cantante e di attore cinematografico.

Informazioni

 

La serata inaugurale inizierà alle ore 21 presso il Cubo Teatro di Off Topic, in via Giorgio Pallavicino 35.

 

Lo spettacolo sarà introdotto dagli stand-up comedian del Torino Comedy Lounge.

 

Per cenare, contattare il Bistrò di Off Topic al seguente numero: 388 4463855.

 

Ingresso a offerta libera a sostegno delle attività, fino a esaurimento dei posti disponibili. Prenotazione tramite form qui: www.torinocomedylounge.it.

Cacciatore appostato su albero cade, è grave in ospedale

Un cacciatore di 36 anni, come riportato da La Stampa,  si sarebbe appostato sul ramo di un albero nei boschi di Masserano, nel Biellese. Un ramo  si sarebbe spezzato facendo cadere  l’uomo a terra con numerose fratture. È intervenuto  l’elisoccorso, che lo ha trasportato all’ospedale Maggiore di Novara in gravi condizioni.
NOTIZIE DAL PIEMONTE

Pedonalizzare tutta piazza Castello? La Giunta prende tempo

La proposta di pedonalizzare la parte di piazza Castello dove ancora passano le auto e’ stata discussa ieri in Consiglio Comunale. La discussione iniziata attorno alle ore 17 conclusa dopo circa un’ora ha coinvolto la Sala Rossa sul tema della completa pedonalizzazione di piazza Castello con l’esame di una mozione del consigliere Silvio Viale (+Europa & Radicali Italiani) – emendata dal presidente della Commissione Urbanistica Antonio Ledda (Pd) – che impegna la Giunta a valutare la fattibilità dell’eventuale tram-pedonalizzazione di piazza Castello.


Il completamento della pedonalizzazione – recita il documento – unificherebbe il percorso pedonale e renderebbe omogenea l’area museale centrale caratterizzata dalla forte valenza culturale e turistica. 
L’atto – approvato all’unanimità – era già stato esaminato in Commissione. Ma “è l’inizio di un lungo percorso”, ha concluso l’assessora Chiara Foglietta, che prevede valutazioni con i tecnici e le parti sociali.

La genialità senza tempo di Walt Disney

La mattina del 15 dicembre 1966, dieci giorni dopo il suo sessantacinquesimo compleanno, moriva Walter Elias Disney Junior.

Era l’uomo dei sogni, l’artista visionario che tutto il mondo conobbe con il nome di Walt Disney, il papà di Topolino e di tanti altri personaggi. Disney amava dire che “l’unico modo per iniziare a fare qualcosa è smettere di parlare e iniziare a fare”. Infaticabile, quarto dei cinque figli di Elias Disney e Flora Call, nato a Chicago ai primi di dicembre del 1901, agli albori del secolo breve applicò questa massima alle sue scelte. L’infanzia fu all’insegna dei trasferimenti con il duro lavoro nei campi del Missouri con il successivo approdo a Kansas City, dove aiutò il padre a consegnare i giornali per poi partecipare a sedici anni (falsificando la data di nascita sul passaporto) alla Grande Guerra come autista volontario di ambulanze della Croce Rossa statunitense in Francia. Al ritorno a Kansas City s’impegnò negli studi d’animazione, realizzando cortometraggi come Il Paese delle Meraviglie di Alice (Alice’s Wonderland). Disney nel 1923 partì alla volta della California con quaranta dollari in tasca, diventando in breve tempo imprenditore, produttore cinematografico, regista e animatore. Con Ubbe Ert Iwerks, bravissimo e straordinario disegnatore, iniziò i primi esperimenti e intuì che, se fosse riuscito a far muovere quei disegni inanimati, avrebbe rivoluzionato il mondo del disegno. Il nome di Walt Disney iniziò a farsi sempre più noto, ma ciò che lo rese davvero celebre, prima negli Stati Uniti e poi in tutto il mondo, fu la creazione delle piccole serie animate dove il protagonista era il coniglio Oswald. Il personaggio, inventato nel 1927,  diventò ben presto un’icona e il suo creatore riuscì a costituire la prima azienda col suo nome: la Walt Disney Company. Narrano le leggende che tutto prese avvio durante un viaggio in treno quando Walt Disney iniziò a disegnare uno schizzo di Oswald, cercando di semplificarne i tratti. La modifica più evidente era quella delle orecchie, che da lunghe diventarono piatte e tonde, decisamente più simili a quelle di un topo. Da quegli schizzi prese forma Mortimer Mouse, il personaggio che mandò in pensione Oswald. Tuttavia la compagnia decise di cambiarne il nome in Mickey Mouse. Ecco quindi Topolino, protagonista del primo film animato sonoro Steamboat Willie, con il famoso topo alla guida di un battello a vapore fluviale. Il cortometraggio ottenne un successo planetario che crebbe a dismisura quando arrivarono anche gli altri protagonisti: Paperino, Pluto, la fidanzata Minnie, Pippo e tutti i personaggi che hanno accompagnato la nostra infanzia.  “If you can dream it, you can do it”, amava ripetere Disney : ”se puoi sognarlo, puoi farlo”. Così nacque l’impero della fantasia e dell’immaginazione: non solo film e fumetti, parchi a tema e prodotti di consumo, ma anche media e spettacolo. Basti pensare al gruppo televisivo Disney-ABC, ai canali sportivi ESPN o agli studios d’animazione della Pixar. Già dal suo primo lungometraggio del 1937, Biancaneve e i sette nani (il primo film d’animazione prodotto in America, il primo ad essere stato prodotto completamente a colori), il mondo intero aveva intuito di aver a che fare con un genio sognatore. Non a caso, il giorno della sua scomparsa, l’allora governatore della California e futuro presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan, in sette parole, diede voce al pensiero di tanti: “Da oggi il mondo è più povero”.

Marco Travaglini

Ritorno in Formazza

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STORIE PIEMONTESI: a cura di CrPiemonte – Medium /   Il regionale 4792 delle ore 15,48, proveniente da Novara, è in arrivo sul binario numero 2. Termine corsa

di Marco Travaglini

Dall’altoparlante la voce gracchiante conferma che stiamo entrando nella stazione di Domodossola. Se non avessi il finestrino abbassato e non stessi qui, con la testa fuori e controvento, non si sentirebbe un granché. Anche perché il frastuono della vecchia locomotiva copre ogni altro suono. Che sia vecchia, nessun dubbio: basta dare un’ occhiata alle macchie di ruggine per capire che questa E.424 marchiata Breda è ormai prossima al pensionamento. Ciò nonostante ha fatto il suo dovere, coprendo i novanta chilometri a binario unico dalla città delle risaie al capoluogo ossolano un poco più di due ore, contenendo in una decina di minuti il ritardo sulla tabella di marcia.

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La stazione di Domodossola

Quasi un record, visti i tempi. Erano più di vent’anni che non tornavo a Domodossola viaggiando in treno e nel frattempo le vecchie macchine diesel erano state sostituite dalle motrici elettriche. Una botta di vita per la vecchia Novara-Domodossola anche se il viaggio attraverso la campagna novarese, la sponda orientale del lago d’Orta e la piana del Toce è stato accompagnato da un intero campionario di rumori, cigolii e sferragliamenti oltre al classico e tradizionale ta- tam, ta- tam, ta- tam. Potevo scegliere di viaggiare in auto ma non mi andava di guidare e volevo ripercorrere a ritroso la stessa strada che facevamo un tempo per raggiungere Novara quando bisognava recarsi in qualche ufficio pubblico, come il catasto, o all’Ospedale Maggiore.

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Una vecchia corriera

La corriera, in attesa sul piazzale della stazione, a pochi metri da quella grande “D” di Domodossola, non è certo un esempio di modernità ma in quattro e quattr’otto si è lasciata alle spalle Crevoladossola, Oira, Crodo e Baceno. Ansima un po’, sbarellando nelle curve, ma “tiene” bene la strada e l’autista , decano di questa tratta, non tocca più il bicchiere da una quindicina d’anni. Un tempo la sua guida era da brivido, complice l’abitudine di alzare il gomito e l’audacia nel pigiare il pedale dell’acceleratore. Mai un incidente, per carità, ma si arrivava sul pianoro sopra la salita delle Casse con lo stomaco in gola e la tremarella nelle gambe. Oggi invece, nonostante l’età, viaggia tranquillo. Passata S.Rocco di Premia, sulla sinistra, vedo la strada che conduce a Salecchio, il nido d’aquile dei walser, un tempo raggiungibile a fatica e con gran dispendio di sudore. Mi è stato detto che oggi una strada facilita molto la salita a quel che resta del bellissimo insediamento alpino dove ogni anno, la prima domenica di febbraio, si festeggia la Candelora. Da Rivasco al ponte sul Toce saliamo i nove tornanti delle Casse che precedono Fondovalle. Sul dolce falsopiano il motore della corriera tira il fiato e in pochi minuti, attraversate le frazioni di Chiesa e Valdo, si ferma al capolinea, davanti al vecchio municipio di Ponte.

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Ballo in costume walser

La casa dei miei, affittata solo d’estate, da metà luglio alla fine d’agosto, mi accoglie silenziosa. Raccoglie sotto un unico tetto , come tutte le antiche case rurali dei walser, l’abitazione, la stalla e il fienile. Il nonno e i suoi fratelli l’hanno costruita con maestria su tre piani. Sul seminterrato, in muratura di pietre, è posata la struttura lignea dell’abitazione con la stalla, un angolo dedicato al soggiorno, la cucina e un angusto bugigattolo dove ricoverare gli attrezzi. Al primo piano le due camere da letto — una grande e l’altra più piccola — e sopra il fienile e la stanzetta per la conservazione di segale, patate, formaggi, carne secca e mele. Il nonno era un giramondo e, curioso come pochi, aveva studiato le abitazioni valsesiane fino al punto di imprimerne alcuni dei caratteri architettonici alla sua. Da lì è venuta l’idea dell’ampio loggiato che la circonda, consentendo a fieno, segale e canapa di seccare all’aperto, evitando che la pioggia le bagnasse. Orientata con il fronte principale rivolto a sud, in ogni sua parte il legno e la pietra le danno un senso di solida unità e di equilibrio con i monti e i boschi che stanno attorno. Il nonno, del resto, ci teneva tanto alla sua “radice” vallesana e come i suoi antenati svizzeri e tedeschi amava testimoniare il fatto di essere felicemente ordinato. Nel letto di rovere ho dormito come un ghiro e dopo un giro a salutare i pochi, vecchi amici che mi rammentano gli anni della gioventù, mi incammino a ritroso nel tempo discutendo con Walter. Ormai in pensione, dopo una vita passata a controllare quadri elettrici e prese d’acqua per conto dell’Enel sui bacini di Morasco e dei Sabbioni, Walter non perde l’occasione di rievocare insieme gli anni felici della nostra gioventù. Complice una bottiglia di Gattinara che ho acquistato per celebrare l’occasione, si sciolgono i ricordi. In poco tempo torniamo agli anni di scuola, d’inverno.

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Benvenuti in Formazza

Rammenti l’inverno del 1959?”, dice Walter. Eccome, se lo rammento. Quell’inverno di neve ne era già venuta giù molta. Anche troppa. E non finiva mai. Asciutta e morbida, continuava a cadere. Una spessa e soffice coltre bianca si era depositata ovunque. Sul tetto della baita di Joseph, sul fienile di Marianna, sul sagrato della chiesa . Ogni cosa cambiava forma e aspetto, sotto la neve. “Per fortuna il raccolto della segale e delle patate è andato bene e la caccia autunnale ci ha riservato delle buone soddisfazioni”, diceva mastro Peter, schiacciando il tabacco nel fornello della pipa di radica che s’era comprato all’emporio di Briga. Era lui, con il suo aspetto severo di vecchio montanaro che sapeva come far rendere la terra a quell’altitudine, l’anima della comunità. Capace di buoni consigli e di sagge decisioni, mastro Peter stava per compiere ottant’anni ma ne dimostrava venti di meno. Alto, dal fisico asciutto, i capelli corti e radi ed un viso segnato da alcune profonde rughe, incuteva rispetto e un po’ di soggezione. La nostra piccola comunità walser viveva d’agricoltura di montagna, di allevamento e del lavoro che i componenti maschi più giovani prestavano nelle cave di serizzo o nei cantieri dell’Edison.

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Case walser a Salecchio

Noi si andava a piedi a scuola. Con il bello o il brutto tempo, raggiungevamo la scuola elementare di Ponte dove ci attendeva, dai primi d’ottobre alla metà di giugno, la maestra Rosamaria con le sue lezioni d’italiano e matematica, storia e geografia. E di tutto il resto, compreso le ore dedicate alla nostra lingua. La pronuncia era quella che era. Impacciata, claudicante e soprattutto troppo marcata da quell’inflessione francese che ne tradiva le origini valdostane prima ancora che dichiarasse il suo cognome: Jannod. In Formazza era stata mandata per sostituire la vecchia maestra Hilde Brunner, troppo anziana per tenere a bada la pluriclasse. Doveva essere un affidamento temporaneo. Almeno così le avevano detto al Provveditorato agli studi di Novara per “indorare la pillola” della cattedra assegnata all’estremo nord della provincia, a ridosso con il confine svizzero. Ed invece rimase lì con noi. Se all’inizio si riteneva fortunata per non avere ancora una famiglia tutta sua, Rosamaria — con il tempo che passava e con quell’incarico provvisorio che come tutte le cose provvisorie era ormai da considerarsi definitivo — una famiglia pensò di farsela . Sposò Piero Locker, un boscaiolo alto e biondo, appartenente ad una delle più antiche famiglie walser formazzine. La classe che gli era stata affidata risultava composta da ragazzini intelligenti, vivaci. Avevamo tutti una gran fretta d’imparare. Ascoltavamo la maestra in religioso silenzio, divorando ogni testo ci passasse tra le mani. Eravamo attratti dalla storia e, tra i vari episodi, uno in particolare ci incuriosiva: la vicenda di Annibale, il grande generale cartaginese. “Maestra, e gli elefanti?”. Iniziava Giosuè, detto “pel di carota” per i capelli fulvi ed il volto coperto di lentiggini.

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Case walser in Formazza

Voleva che Rosamaria parlasse di Annibale e della sua impresa più straordinaria: l’attraversamento delle alpi con il suo esercito composto da 50.000 fanti , 90.000 cavalieri e una quarantina di elefanti. Si, gli elefanti. Animali enormi dalla grande memoria, probabilmente scelti da Annibale con l’intento di farli restare nella memoria, appunto, consegnando alla storia un’impresa che pareva impossibile tanto era collocata oltre ogni ragionevole immaginazione a quell’epoca. Come se lui sapesse, e forse proprio per questo, che dopo la sua impresa qualsiasi altro esercito si fosse trovato sulle Alpi non avrebbe fatto lo stesso effetto. Tant’è che , qualche anno dopo il suo passaggio, la stessa via venne ripercorsa da suo fratello Asdrubale senza che nessuno ne porti il ricordo, nonostante avesse con se il doppio di elefanti e avesse subito molte meno perdite. Dopo di lui a tutti gli altri — Giulio Cesare, Carlo Magno, Napoleone, gli Alpini ed i Kaisershutzen — non restò che il ruolo di imitatori di un’idea. Ogni qualvolta s’accennava ad Annibale i ragazzi ascoltavano attentissimi, mostrando curiosità mista ad interesse. E la maestra non si faceva pregare.“ Il condottiero cartaginese, tra il 218 e il 216 avanti Cristo, marciando dalla Spagna, attraverso i Pirenei, la Provenza e le Alpi scese in Italia, dove sconfisse le legioni romane in tre grandi battaglie: quelle della Trebbia, del lago Trasimeno e — la più famosa — di Canne. Sconfiggendo le tribù montane, sfidando le difficoltà del terreno, intemperie e tempeste di neve, inerpicandosi su strettissimi tornanti e scendendo in gole impervie a filo degli strapiombi, Annibale ha compiuto una delle imprese militari più memorabili del mondo antico. Trovò persino un metodo geniale per spaccare le rocce che impedivano il passaggio: riscaldava la roccia e una volta che questa si raffreddava, la spezzava dopo averla ricoperta di aceto. Il prezzo fu altissimo .Non si contarono le perdite tra gli elefanti e gli uomini dell’esercito, nonostante ciò Annibale riuscì nel suo intento di ridiscendere i monti e affacciarsi sulla Pianura Padana”.

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La cascata del Toce

Che ricordi. Belli, lontani. Eravamo ragazzini e c’era l’entusiasmo di conoscere tutto, la curiosità delle domande che bruciavano le risposte. E la fame di futuro. Ed ora? Ora con Walter, in questa serata, tra un bicchiere e l’altro, si rievoca un po’ tutta l’infanzia. Intanto, lenta e silenziosa, fuori la neve sta cadendo. Gli parlo dell’incontro avuto poche ore prima con padre Giacomo, che mi ha procurato una forte emozione. Non ci vedevamo da una vita ma entrambi non abbiamo avuto esitazione alcuna nel riconoscerci quando ci siano trovati, uno davanti all’altro, di fronte all’entrata del negozio della signora Hilde, dove si può comprare il miglior Bettelmatt di tutta la valle. Un energico abbraccio e un paio di bicchieri di rosso davanti al banco da mescita di Liborio, hanno colmato in un attimo quasi quarant’anni. “Caro Marco, ne sono passate di stagioni, eh? Io ormai sono vecchio ma tu non sei tanto cambiato da quand’eri ragazzo. Sì, ora sei quasi calvo e hai messo su un po’ di pancetta, ma quella luce che ti brilla negli occhi è la stessa di quando venivi all’Oratorio a discutere con me di ogni cosa ti capitasse per la testa. Ricordi? Eri curioso, intelligente ma anche un gran testardo e non c’era verso di farti cambiare idea quando te ne infilavi una in testa e ci attaccavi anche il cuore”. Giacomo, pur essendo di vent’anni più anziano, è sì un prete ma è anche un amico. Uno dei più cari tra gli amici.

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La chiesetta di Riale

Mi vuol bene anche se le mie idee e le scelte che ho fatto in seguito non sono mai state le sue. Però, e di questo gli devo merito, non ha mai cambiato il suo atteggiamento nei miei confronti, rispettando anche ciò che non condivideva. E’ con lui che abbiamo imparato — io, Walter e tanti altri — a conoscere quel sentimento religioso che ha accompagnato, nel tempo, la vita quotidiana della nostra gente. “Ti ricordi, Walter? E’ lui che, insieme al suo sacrestano, il vallesano Berti, ci ha insegnato la formula di ringraziamento con la quale i walser di Formazza invocavano la protezione di Dio per le persone e i loro cari defunti, quel “Färgalts Gott tüsuk Maal, tresch gott un ärlesch Gott di Abkschtorbnuseela” che significava Ti ricompensi Dio, mille volte, consoli Dio e liberi Dio le anime dei tuoi morti”. Con lui si giocava a calcio nel prato di Valdo e s’andava sugli alpeggi dove, dopo il tramonto, il casaro e i pastori recitavano il Vangelo di San Giovanni affinché gli spiriti maligni non andassero a molestare gli animali. Padre Giacomo ci spiegava che dall’allevamento e dai prodotti derivati dal latte dipendeva buona parte dell’economia della valle e che le preghiere ( qualche volte accompagnate da veri e propri rituali di esorcismo) servivano a “scacciare il male” dalle stalle. Ricordo a Walter, che annuisce, quando — all’inizio di una estate — a Foppiano, nel giorno di San Giovanni, che cade il 24 giugno, assistemmo alla benedizione dei gigli rossi i cui petali erano stati messi ad ardere in un braciere insieme all’ulivo benedetto, affumicando la stalla del papà di Martino, allo scopo d’allontanare ogni influsso negativo.

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Merenda a Formazza

Quanti ricordi, E i fratelli Arnold e i loro cugini Berger? Da bambini accompagnavano al pascolo le mucche fin su nel pianoro di Riale e si divertivano con un gioco, ”Z Hêmmelfarä” che significava ”correre in Paradiso”, seguendo tutte le fasi che portavano dall’Inferno al Purgatorio e da lì al sommo dei cieli , e quindi alla vittoria, aiutandosi con un legnetto che veniva lanciato in aria. Con Giacomo abbiamo anche ricordato mia nonna, Helga. Mi portava spesso ai due santuari dedicati alla vergine Maria, ad Antillone e a Brendo, il suo preferito, dove si venerava Maria del monte Carmelo. Una volta si mise in testa di condurmi in pellegrinaggio, ovviamente a piedi. Era indecisa sulla meta: Sion, Reckingen o Einsiedeln? Mia madre Maria, sua figlia, sfruttando quell’indecisione riuscì a convincerla che non era il caso di farmi fare una sfacchinata del genere e così, pur contrariata e a malincuore, la nonna s’arrese. All’interno di casa, nell’angolo della Stube, tra le due finestre, teneva un grande crocifisso di legno e le statuette di San Teodulo e di San Nicola, i suoi ( e nostri) santi protettori. Mi fece un grande effetto quando mi toccò, a meno di dieci anni, fare la dolorosa scoperta del significato della piccola finestrella, sormontata da una croce, aperta sulla facciata della casa dei nonni.

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Nevicata

Quando nonna Helga , a causa di una brutta febbre, stava per morire, la finestrella — che era sempre stata chiusa — venne aperta affinché la sua anima potesse trovare il passaggio per uscire e andare in cielo, per essere poi richiusa subito dopo la morte, impedendole di rientrare. La “finestrella dell’anima”, la “Seelenbalgenn”, pensavo m’avesse rapito la nonna e io piangevo, piangevo disperato e non mi davo pace. Toccò proprio a Giacomo, a quell’epoca appena ordinato prete, trovare le parole giuste per consolarmi. E, con grande pazienza, vi riuscì. Per questo oggi, da ateo qual sono diventato, mi spiace avergli fatto un così grave torto. Lui, però, con quel sorriso aperto che il tempo non ha cambiato, mi ha confidato di non aver abbandonato la speranza in un mio ravvedimento. E così, tra una chiacchiera e l’altra, amico mio, abbiamo fatto scorrere le ore fino al vespro quando l’anziano prete mi ha salutato con un abbraccio ed è andato a dir messa. Sull’uscio, girandosi, mi ha rivolto un ultimo sguardo, dicendomi: “Oh, Marco. Mi raccomando. Non far passare ancora troppo tempo nel tornare qui a casa perché non posso garantirti che mi troverai ancora qui ad aspettarti. E chi ti confesserebbe, a quel punto, per darti assoluzione da tutti i tuoi peccati?”. Così mi ha detto ,con il suo sorriso. Poi, con un cenno della mano, mi ha salutato e, lentamente, se n’è andato verso la chiesa di Santa Caterina. Ma gli incontri non sono finiti qui. In questo mio peregrinare tra le vie ho incontrato anche Edith e Ingrid, le due sorelle Meier. Entrambe vedove, le ho trovate ancora in gamba, nonostante l’età: la prima ha novantasette anni e la seconda solo due di meno. Sarà il freddo dei lunghi inverni o l’aria buona che scende dalle vette a conservarle così arzille? Se io, tu e tanti altri come noi, cresciuti qui in valle, ci siamo nutriti a pane, formaggio e leggende, è grazie a loro. Le due Meier, originarie della valle di Goms, con il loro italiano indurito dalla pronuncia tedesca, nelle sere d’inverno quando tra una casa e l’altra c’era tanta, troppa neve e ci si doveva aprire dei varchi spalando di gran lena, invitavano amici e parenti nella loro grande casa e lì, con in mano una tazza di tisana alle erbe raccolte tra il lago Kastel e il Toggia, raccontavano delle storie incredibili. Rimaste vedove ancor giovani, avevano deciso di rimanere qui in Formazza, dove mandavano avanti la loro attività di sarte. Sia io che Walter ricordiamo bene quelle sere. Del resto le leggende hanno sempre avuto una grande importanza, occupando un posto di primo piano nella cultura walser perché nel racconto si mescolano i desideri, le convinzioni, le gioie e le paure insieme ai fatti della vita quotidiana e ai personaggi. Un nostro coetaneo, Aldo Svillar, che noi chiamavano “kartoffen” vuoi perché aveva un gran naso a patata, vuoi perché di quei tuberi faceva grandi scorpacciate, era sempre in prima fila, con la bocca aperta. Silvia, la figlia del sindaco, una bella morettina tutto pepe che aveva anch’essa più o meno la nostra età, gli dava delle botte terribili sotto il mento, facendogli mordere la lingua, dicendo al povero Aldo: “Chiudi quel forno, altrimenti la strega di Morasco ti mangia la lingua”. E noi giù a ridere. Ridevamo tutti, tranne il malcapitato, cioè lui.. Quando però le Meier iniziavano i racconti, non volava nemmeno una mosca. Le leggende erano ambientate tra i monti, in sperdute valli e isolati alpeggi dove la natura selvaggia era popolata da streghe, diavoli, folletti e nani. Dai Pubrina di Salecchio, uomini selvatici o esseri mostruosi che fossero, che portavano i bambini ( le cicogne non c’erano e sotto i cavoli non si trovavano neonati ) ma che al tempo stesso erano il terrore dei piccoli quando questi facevano i capricci, al pari dell’uomo nero, agli Zwärgji, eccentrici burloni che abitano i boschi, bassi di statura e coperti di stracci e foglie, sempre pronti a divertirsi alle spalle degli alpigiani, vittime dei loro dispetti. A differenza delle streghe che fanno malefici al bestiame o che mandano in malora il latte e il formaggio, gli Zwärgji avevano insegnato ai nostri avi come fare il bucato con la cenere o lavorare il latte. Forse per farsi perdonare gli scherzi, forse per evitare che pastori e i casari, stanchi di esser presi in giro, se ne andassero via, abbandonando gli alpeggi formazzini. Nei racconti di Edith e Ingrid le valanghe, le bufere di neve, i movimenti dei ghiacciai, il sibilare del vento erano ricondotti al mistero delle tante creature fantastiche che vivevano la montagna. Lo scricchiolio dei ghiacciai del Sidel o dei Camosci era interpretato come lamento delle anime. “Sì, perché Edith, alzando l’indice minaccioso, ci ammoniva sul fatto che i ghiacciai fossero il purgatorio dove i defunti scontavano i loro peccati”, dice Walter. “E noi zitti, con il cuore in gola e i brividi lungo la schiena. In fondo, lo capimmo più tardi, la morte, per chi viveva in condizioni così difficili, era una componente non così estranea o distante dalla vita di tutti i giorni”. Oltre alle vicende dei morti, alle loro inquietanti processioni e alle streghe dal brutto carattere, alle sorelle Meier piaceva raccontare la leggenda di un uomo della valle che, per sfuggire alle vessazioni di un signorotto, decise di passare il confine, emigrando in Alta Val Bedretto, a Ronco, dove fu bene accolto al punto da metter su famiglia. Da quell’avvenimento, dicevano le sorelle, discendeva il diritto che veniva riconosciuto alla gente di Ronco di andare a far legna sul territorio di Formazza, in nome di quell’antica discendenza che accomunava le due valli, comprovata anche da alcuni documenti.

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Val Formazza

Ma la leggenda più bella era quella della valle perduta. Te la ricordi, Marco?”, dice Walter. Eccome, se la ricordo. In ogni villaggio walzer sgorga una sorgente d’acqua proveniente dalla valle perduta, la nostra terra d’origine, dove tutto è iniziato. Dai padri ai figli, per generazioni, dalla notte dei tempi si parla di questo luogo meraviglioso. Un vero paradiso, verde d’erba e alberi, ricco di pascoli e boschi, nascosto tra ghiacciai e nevi eterne. Una leggenda che, per molti secoli, ha aiutato la nostra gente ad affrontare asprezze e difficoltà con il miraggio di poter raggiungere un giorno la straordinaria, fertile e mite “valle perduta”. Così, tra un sorso e una scheggia di formaggio stagionato, abbiamo tirato tardi. Fuori la nevicata si è fatta più intensa. E’ ormai buio e attorno alle luci fioche dei lampioni i fiocchi disegnano traiettorie leggere, sospinti dall’aria. Alcuni finiscono sui vetri della casa, disegnando arabeschi di gelo. Viene giù che è un piacere, secca e soffice. Ancora un paio di giorni e mi raggiungerà anche Carla. Nella vecchia casa dei nonni addobberemo l’abete che mi ha regalato Walter. A Natale e a fine anno sarà una festa. Si canterà Stille Nacht, in tedesco. Per chi non ha dimestichezza con la lingua dei vecchi padri, la tradurremo in italiano, nell’Astro del Ciel. Ci augureremo che l’anno nuovo sia migliore di quello che ci lascia. E le fiammelle compariranno sulle finestre, tremolanti. Come un tempo.

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