POLITICA- Pagina 488

L'incognita Tav pesa sulla politica

Siamo oltre l’incompetenza per planare decisamente nella più totale malafede. Il governo si è impegnato. Il  10 gennaio il decreto attuativo per la riforma della legge Fornero e sul reddito di cittadinanza viene rinviato alla prossima settimana. In compenso la bozza della relazione sulla Tav è arrivata sul tavolo del governo. Con una incredibile novità (almeno per il sottoscritto) Successivamente un’ altra commissione valuterà gli aspetti legali, se è possibile rescindere e quanto costa. Follia allo stato puro. O per meglio dire una colossale presa in giro a  360 gradi, con buona pace della ministra grillina inventrice dei 370 gradi. La logica avrebbe voluto che la valutazione fosse unica, possibile conclusione della vicenda delle commissioni. La prima quasi interamente composta da tecnici contrari all’opera suggerisce di fermare i lavori. La seconda : dal loro punto di vista non è opportuno fermarli. Punto e a capo. Vi ricordate Toninelli e Di Maio dopo il crollo del ponte Morandi cosa dichiaravano? Tra 15 giorni revochiamo la concessione delle autostrade agli attuali gestori. Altra balla clamorosa. Oggi con una ulteriore aggravante. Il Presidente del Consiglio Conte che si tira fuori dalla disputa, agnostico. Abbiamo il massimo del governo che non sa Tecnicamente questa si chiama follia istituzionale. Gli schieramenti sono chiari. Se il responso del governo sarà negativo l’ultima carta che si stanno giocando i leghisti sarà il referendum per tutto il Nord. Dove se mai avvenisse l’ esito  positivo per l’opera sarebbe scontato. Insomma: tutta fuffa per arrivare alle elezioni europee ed amministrative di maggio. Ma per qualcuno la decisione sul da farsi è dietro l’angolo.Sono i sì Tav che si sono convocati di nuovo per sabato. Cosa fare concretamente per la prosecuzione dell’ opera? Se fidarsi di chi pur dicendo di essere a favore di fatto fa pastetta con i pentastellati a cui rimane solo come alleanza la sinistra sbrindellata di anarcoidi e centri sociali. Di mettersi in proprio. O di fidarsi del Chiampa. Ho avuto un lungo colloquio con esponenti di articolo UNO: Anche loro non sanno bene che pesci prendere. In generale, s’ intende. In Piemonte finirà che saranno con Sergio Chiamparino. Ovviamente se li vorrà. Oggi sostengono : la vicenda Tav non può e non deve essere dirimente. Scusate, ed allora che cosa dovrebbe essere dirimente? Oggi in Piemonte come per tutto il Nord questa è la questione. Persino il presidente della Lombardia dichiara senza esitazioni : faremo (se necessario) il referendum. Zaia non ha dubbi sull’utilità dell’opera. Forse Di Maio non è molto ferrato in geografia. Ma Salvini avendo studiato qualcosa conosce il Nordest ed anche l’ Emilia Romagna ci sta e se interpellata voterà compatta sì. Dunque, cari Piemontesi, diamoci una mossa. Noi Savoia non possiamo essere da meno degli amici Lombardo Veneti di tendenza austroungarica. La Tav si farà. Speriamo di pagare il meno possibile per la ignavia di questi mesi di pura e semplice follia.
Patrizio Tosetto

L’incognita Tav pesa sulla politica

Siamo oltre l’incompetenza per planare decisamente nella più totale malafede. Il governo si è impegnato. Il  10 gennaio il decreto attuativo per la riforma della legge Fornero e sul reddito di cittadinanza viene rinviato alla prossima settimana. In compenso la bozza della relazione sulla Tav è arrivata sul tavolo del governo. Con una incredibile novità (almeno per il sottoscritto) Successivamente un’ altra commissione valuterà gli aspetti legali, se è possibile rescindere e quanto costa. Follia allo stato puro. O per meglio dire una colossale presa in giro a  360 gradi, con buona pace della ministra grillina inventrice dei 370 gradi. La logica avrebbe voluto che la valutazione fosse unica, possibile conclusione della vicenda delle commissioni. La prima quasi interamente composta da tecnici contrari all’opera suggerisce di fermare i lavori. La seconda : dal loro punto di vista non è opportuno fermarli. Punto e a capo. Vi ricordate Toninelli e Di Maio dopo il crollo del ponte Morandi cosa dichiaravano? Tra 15 giorni revochiamo la concessione delle autostrade agli attuali gestori. Altra balla clamorosa. Oggi con una ulteriore aggravante. Il Presidente del Consiglio Conte che si tira fuori dalla disputa, agnostico. Abbiamo il massimo del governo che non sa Tecnicamente questa si chiama follia istituzionale. Gli schieramenti sono chiari. Se il responso del governo sarà negativo l’ultima carta che si stanno giocando i leghisti sarà il referendum per tutto il Nord. Dove se mai avvenisse l’ esito  positivo per l’opera sarebbe scontato. Insomma: tutta fuffa per arrivare alle elezioni europee ed amministrative di maggio. Ma per qualcuno la decisione sul da farsi è dietro l’angolo.Sono i sì Tav che si sono convocati di nuovo per sabato. Cosa fare concretamente per la prosecuzione dell’ opera? Se fidarsi di chi pur dicendo di essere a favore di fatto fa pastetta con i pentastellati a cui rimane solo come alleanza la sinistra sbrindellata di anarcoidi e centri sociali. Di mettersi in proprio. O di fidarsi del Chiampa. Ho avuto un lungo colloquio con esponenti di articolo UNO: Anche loro non sanno bene che pesci prendere. In generale, s’ intende. In Piemonte finirà che saranno con Sergio Chiamparino. Ovviamente se li vorrà. Oggi sostengono : la vicenda Tav non può e non deve essere dirimente. Scusate, ed allora che cosa dovrebbe essere dirimente? Oggi in Piemonte come per tutto il Nord questa è la questione. Persino il presidente della Lombardia dichiara senza esitazioni : faremo (se necessario) il referendum. Zaia non ha dubbi sull’utilità dell’opera. Forse Di Maio non è molto ferrato in geografia. Ma Salvini avendo studiato qualcosa conosce il Nordest ed anche l’ Emilia Romagna ci sta e se interpellata voterà compatta sì. Dunque, cari Piemontesi, diamoci una mossa. Noi Savoia non possiamo essere da meno degli amici Lombardo Veneti di tendenza austroungarica. La Tav si farà. Speriamo di pagare il meno possibile per la ignavia di questi mesi di pura e semplice follia.
Patrizio Tosetto

Ora serve un "centro dinamico"

Di Giorgio Merlo
Anche se da molte parti si continua a predicare che destra, sinistra e centro sono categorie ideologiche del passato e quindi da archiviare definitivamente, non passa giorno che molti commentatori ed opinionisti di svariata natura sostengano la necessità, se non l’urgenza, di riavere nella dialettica politica concreta, una cultura di governo e una classe dirigente che sappia interpretarla senza ricorrere alla divisione, alla radicalizzazione dello scontro e alla delegittimazione radicale dell’avversario. Insomma, fuor di metafora, anche in un’epoca come quello contemporanea forse è necessario che faccia irruzione quello che Mino Martinazzoli definiva come “centro dinamico”. Per non citare l’ormai celebre slogan degasperiano del “centro che guarda a sinistra”. Ora, e’ a tutti noto che durante l’intera seconda repubblica il cosiddetto “centro” e’ stato il bersaglio preferito da demolire in ogni modo ed in ogni forma. E questo perché il dogma del maggioritario prevedeva il dio bipolarismo che non tollerava posizioni intermedie. Ovvero, “o di qua o di là” per dirla con i politologi alle vongole che hanno comunque dominato e condizionato l’evoluzione della politica italiana. Salvo poi prendere atto che il bipolarismo, cancellando e ridicolizzando ogni posizione intermedia, finiva inesorabilmente per radicalizzare il confronto politico, distruggere l’avversario rinunciando, al contempo, ad ogni forma di progetto politico a lunga scadenza perché l’unico elemento che contava era quello di avere un voto in più dello schieramento avverso. Con tanti saluti ad una vera e propria cultura di governo dove la costruzione del progetto era sacrificato sull’altare del pallottoliere. Ecco perché oggi, in un clima politico diverso da quello del passato ma altrettanto dominato da una profonda divisione che rasenta l’incomunicabilità, la presenza di una cultura politica che sappia
coniugare cultura di governo, centralità della mediazione, composizione degli interessi, senso delle istituzioni, riconoscimento del pluralismo e della complessità e apertura al dialogo e al confronto, diventa quasi un imperativo morale più che non una esigenza politica. Insomma, una sorta di “centro dinamico”, appunto, che sia in grado di rilanciare la politica senza cadere nel
consociativismo da un lato o nella delegittimazione politica dall’altro di chiunque non condivida la
propria opinione. Una funzione che, in epoca diversa, hanno assolto ed adempiuto forze e
movimenti politici che affondavano le loro radici nella storia, nel filone e nella cultura del
cattolicesimo politico italiano. Ed è proprio questo l’elemento decisivo che oggi porta molti
opinionisti a sostenere che la presenza politica di un partito/movimento politico di centro e
riconducibile alla tradizione del cattolicesimo democratico e sociale, possa essere di grande aiuto
non solo per il futuro di quella corrente ideale ma soprattutto per la salute della stessa democrazia italiana. Per garantire da un lato una vera democrazia dell’alternanza e, nello specifico, per evitare che lo scontro politico permanente crei le condizioni per un indebolimento dello stesso tessuto democratico del nostro paese. Quindi, quando si parla di riattualizzare, riscoprire e rilanciare nella concreta dialettica politica italiana la cultura popolare e cattolico democratica di ispirazione cristiana, non lo si fa solo per rispondere ad un astratto dato di protagonismo ideale o per un testardo attaccamento al passato.

No, oggi serve anche e soprattutto una forza politica che sappia ridare spazio e voce a quella
cultura e a quella prassi che per svariati decenni ha consentito alla democrazia italiana di crescere
e di consolidarsi senza strappi e senza scorciatoie autoritarie. E non sono solo i sondaggi che
possono indurre a rinunciare a questo progetto politico perché, al di là delle intenzioni di voto
momentanee, è indubbio che senza una presenza politica che recuperi il senso delle istituzioni e la
incanali in un solco di autentica cultura di governo, la geografia politica italiana rischia di essere
esposta a tentazioni di ogni genere. E, sotto questo profilo, sarebbe perfettamente inutile, nonché
ormai improponibile, pensare di riportare le lancette della storia indietro nel tempo. Ovvero, di
ridare fiducia a partiti come il Pd e Forza Italia che avendo, di fatto, fallito sul terreno della
progettualità politica, non possono più ambire a giocare un ruolo di reale e credibile alternativa all’attuale maggioranza di governo o, in subordine, alla futura coalizione di centro destra. La fase politica che si è aperta richiede, come ovvio, nuovi soggetti politici e nuovi progetti politici. E un “centro dinamico”, adesso, e’ indispensabile per ridare qualità alla democrazia e un futuro
credibile alla stessa stabilità di governo. Ed è per questo motivo che e’ necessaria e sempre più indispensabile una presenza politica popolare, cattolico democratica e di ispirazione cristiana nel
nostro paese.

Ora serve un “centro dinamico”

Di Giorgio Merlo

Anche se da molte parti si continua a predicare che destra, sinistra e centro sono categorie ideologiche del passato e quindi da archiviare definitivamente, non passa giorno che molti commentatori ed opinionisti di svariata natura sostengano la necessità, se non l’urgenza, di riavere nella dialettica politica concreta, una cultura di governo e una classe dirigente che sappia interpretarla senza ricorrere alla divisione, alla radicalizzazione dello scontro e alla delegittimazione radicale dell’avversario. Insomma, fuor di metafora, anche in un’epoca come quello contemporanea forse è necessario che faccia irruzione quello che Mino Martinazzoli definiva come “centro dinamico”. Per non citare l’ormai celebre slogan degasperiano del “centro che guarda a sinistra”. Ora, e’ a tutti noto che durante l’intera seconda repubblica il cosiddetto “centro” e’ stato il bersaglio preferito da demolire in ogni modo ed in ogni forma. E questo perché il dogma del maggioritario prevedeva il dio bipolarismo che non tollerava posizioni intermedie. Ovvero, “o di qua o di là” per dirla con i politologi alle vongole che hanno comunque dominato e condizionato l’evoluzione della politica italiana. Salvo poi prendere atto che il bipolarismo, cancellando e ridicolizzando ogni posizione intermedia, finiva inesorabilmente per radicalizzare il confronto politico, distruggere l’avversario rinunciando, al contempo, ad ogni forma di progetto politico a lunga scadenza perché l’unico elemento che contava era quello di avere un voto in più dello schieramento avverso. Con tanti saluti ad una vera e propria cultura di governo dove la costruzione del progetto era sacrificato sull’altare del pallottoliere. Ecco perché oggi, in un clima politico diverso da quello del passato ma altrettanto dominato da una profonda divisione che rasenta l’incomunicabilità, la presenza di una cultura politica che sappia
coniugare cultura di governo, centralità della mediazione, composizione degli interessi, senso delle istituzioni, riconoscimento del pluralismo e della complessità e apertura al dialogo e al confronto, diventa quasi un imperativo morale più che non una esigenza politica. Insomma, una sorta di “centro dinamico”, appunto, che sia in grado di rilanciare la politica senza cadere nel
consociativismo da un lato o nella delegittimazione politica dall’altro di chiunque non condivida la
propria opinione. Una funzione che, in epoca diversa, hanno assolto ed adempiuto forze e
movimenti politici che affondavano le loro radici nella storia, nel filone e nella cultura del
cattolicesimo politico italiano. Ed è proprio questo l’elemento decisivo che oggi porta molti
opinionisti a sostenere che la presenza politica di un partito/movimento politico di centro e
riconducibile alla tradizione del cattolicesimo democratico e sociale, possa essere di grande aiuto
non solo per il futuro di quella corrente ideale ma soprattutto per la salute della stessa democrazia italiana. Per garantire da un lato una vera democrazia dell’alternanza e, nello specifico, per evitare che lo scontro politico permanente crei le condizioni per un indebolimento dello stesso tessuto democratico del nostro paese. Quindi, quando si parla di riattualizzare, riscoprire e rilanciare nella concreta dialettica politica italiana la cultura popolare e cattolico democratica di ispirazione cristiana, non lo si fa solo per rispondere ad un astratto dato di protagonismo ideale o per un testardo attaccamento al passato.


No, oggi serve anche e soprattutto una forza politica che sappia ridare spazio e voce a quella
cultura e a quella prassi che per svariati decenni ha consentito alla democrazia italiana di crescere
e di consolidarsi senza strappi e senza scorciatoie autoritarie. E non sono solo i sondaggi che
possono indurre a rinunciare a questo progetto politico perché, al di là delle intenzioni di voto
momentanee, è indubbio che senza una presenza politica che recuperi il senso delle istituzioni e la
incanali in un solco di autentica cultura di governo, la geografia politica italiana rischia di essere
esposta a tentazioni di ogni genere. E, sotto questo profilo, sarebbe perfettamente inutile, nonché
ormai improponibile, pensare di riportare le lancette della storia indietro nel tempo. Ovvero, di
ridare fiducia a partiti come il Pd e Forza Italia che avendo, di fatto, fallito sul terreno della
progettualità politica, non possono più ambire a giocare un ruolo di reale e credibile alternativa all’attuale maggioranza di governo o, in subordine, alla futura coalizione di centro destra. La fase politica che si è aperta richiede, come ovvio, nuovi soggetti politici e nuovi progetti politici. E un “centro dinamico”, adesso, e’ indispensabile per ridare qualità alla democrazia e un futuro
credibile alla stessa stabilità di governo. Ed è per questo motivo che e’ necessaria e sempre più indispensabile una presenza politica popolare, cattolico democratica e di ispirazione cristiana nel
nostro paese.

COMBA (FDI): “NON SOLO TORINO-LIONE. TONINELLI DIA RISPOSTE SUL COMPLETAMENTO DELLA ASTI-CUNEO”

“Nel panorama delle infrastrutture necessarie allo sviluppo territoriale la Asti- Cuneo è la grande incompiuta. Se ne parla da decenni ma l’opera deve essere ancora ultimata per circa 10 chilometri. Questo tratto mancante relega nell’isolamento un’area tra le più produttive del Piemonte, costretta a rimanere tagliata fuori dalla rete autostradale e dai collegamenti veloci con il resto della Regione e del Paese”. Così Fabrizio Comba, coordinatore regionale di Fratelli d’Italia, ha commentato l’annosa questione del completamento della bretella autostradale Asti- Cuneo. “È inammissibile – ha proseguito Comba – il silenzio assordante da parte del ministro alle Infrastrutture e Trasporti, Danilo Toninelli, alle richieste del territorio. Fratelli d’Italia chiede che il ministro, nel comunicare l’esito dell’analisi costi-benefici sulla Torino – Lione, dia al tempo stesso una risposta chiara e definitiva ai Comuni e al tessuto economico e sociale del Cuneese e dell’Astigiano, sulle modalità e sui tempi di completamento dell’arteria autostradale”. Fratelli d’Italia sostiene inoltre la petizione a favore della Asti-Cuneo promossa da Roberto Russo, ex assessore della Provincia di Cuneo, e dall’ex sottosegretario Bartolomeo Giachino. “Il futuro delle aziende e dell’occupazione – ha concluso Comba – si gioca infatti in gran parte sulla realizzazione di una rete infrastrutturale moderna e competitiva”.

Tav, Forza Italia: “Pronti alla ‘Piemontexit’ delle infrastrutture”

“Confidiamo che il Governo si degni di comunicare prima o poi l’esito definitivo e possibilmente positivo di questa analisi costi-benefici che consideriamo comunque inadeguata allo scopo di valutare in modo completo un’opera di questo tipo. In ogni caso grazie alla proposta del nostro gruppo, approvata dal Consiglio negli scorsi mesi, il Piemonte ha già deciso che se per il Governo l’opera non sarà strategica lo sarà per la nostra Regione. In sede di trattativa sulla autonomia differenziata chiederemo mani liberare per onorare gli impegni internazionali assunti dall’Italia, ma anche dal Piemonte, con l’Europa. Sicuramente non staremo a guardare mentre si mina la credibilità della nostra Regione. Se sarà no siamo pronti alla ‘Piemontexit’ delle infrastrutture”. Ad affermarlo in una nota il capogruppo di Forza Italia Andrea Fluttero, il vice Andrea Tronzano (nella foto) il vicepresidente del Consiglio regionale Franco Graglia e i consiglieri Luca Bona e Luca Rossi.

AUTOSTRADA A32, BATZELLA (MLI): “SOSPENDERE I RINCARI PER 6 MESI E’ UN ALTRO BLUFF DI TONINELLI PER NON PERDERE VOTI IN VAL DI SUSA”

“GLI AUMENTI DEVONO ESSERE ANNULLATI”

“L’aumento del 6,71% del pedaggio sull’autostrada A32 Torino-Bardonecchia, entrato in vigore il 1° gennaio, non è tollerabile perché penalizza sia i lavoratori che quotidianamente utilizzano questa tratta, sia il sistema economico della Valle di Susa, perché i turisti non saranno incentivati a raggiungere le nostre montagne. Nel 2018 l’aumento era stato del 5,71%, mentre nel 2016 e nel 2017 non c’erano stati rincari. Ho presentato, quindi, un’interrogazione in Consiglio regionale per domandare alla Giunta se intenda attivarsi con la Sitaf, la società che gestisce l’autostrada, e con il Governo per chiedere l’annullamento dell’aumento dei pedaggi”. Lo afferma la consigliera regionale di Movimento Libero Indipendente, Stefania Batzella. “Il ministro dei Trasporti – aggiunge – aveva annunciato che il 90% dei pedaggi delle autostrade italiane non avrebbe subito rincari. Peccato che il Piemonte sia stata la Regione più penalizzata, con aumenti del 2,22% anche sull’A6 Torino-Savona”. Dopo le molte proteste da parte dei cittadini, dei sindaci della Valle e dell’Uncem, il Governo ha fatto una mezza marcia indietro e ha chiesto ai concessionari di sospendere per sei mesi l’aumento. L’assessore ai Trasporti, spiega Batzella, “rispondendo alla mia interrogazione ha riferito di aver sentito il presidente della Sitaf S.p.a. per chiedere quali margini ci siano per annullare o ridurre l’aumento. Il Consiglio di amministrazione della società gli ha riferito di essere disponibile ad accogliere la richiesta del Governo di sospendere per sei mesi i rincari ed è in attesa di una convocazione da parte del ministero dei Trasporti per definire le modalità. Al termine dei sei mesi, però, tutto tornerebbe come prima e, anzi, gli aumenti sarebbero ancora più alti, per recuperare il periodo di mancati introiti. E’ ovvio che si tratta di una mossa puramente propagandistica da parte del Governo. L’obiettivo del ministro Toninelli è quello di rimandare la questione degli aumenti dopo le elezioni amministrative ed europee. E’, quindi, un palese bluff per non perdere i voti degli elettori”. “Il Governo – prosegue la consigliera Batzella – non ha fatto nulla per impedire i rincari, eppure ne aveva la possibilità, rinunciando almeno alla sua quota parte delle spettanze. La Torino-Bardonecchia, infatti, è una delle poche autostrade italiane a maggioranza pubblica, in quanto il 51% di Sitaf è di proprietà dello Stato. Dare il via libera agli aumenti dal 1° gennaio e poi sospenderli è come lanciare il sasso e ritirare la mano. Troppo comodo agire così. Intanto a farne le spese sono e saranno, come sempre, i cittadini”.

AUTOSTRADA A32, BATZELLA (MLI): "SOSPENDERE I RINCARI PER 6 MESI E’ UN ALTRO BLUFF DI TONINELLI PER NON PERDERE VOTI IN VAL DI SUSA"

“GLI AUMENTI DEVONO ESSERE ANNULLATI”
“L’aumento del 6,71% del pedaggio sull’autostrada A32 Torino-Bardonecchia, entrato in vigore il 1° gennaio, non è tollerabile perché penalizza sia i lavoratori che quotidianamente utilizzano questa tratta, sia il sistema economico della Valle di Susa, perché i turisti non saranno incentivati a raggiungere le nostre montagne. Nel 2018 l’aumento era stato del 5,71%, mentre nel 2016 e nel 2017 non c’erano stati rincari. Ho presentato, quindi, un’interrogazione in Consiglio regionale per domandare alla Giunta se intenda attivarsi con la Sitaf, la società che gestisce l’autostrada, e con il Governo per chiedere l’annullamento dell’aumento dei pedaggi”. Lo afferma la consigliera regionale di Movimento Libero Indipendente, Stefania Batzella. “Il ministro dei Trasporti – aggiunge – aveva annunciato che il 90% dei pedaggi delle autostrade italiane non avrebbe subito rincari. Peccato che il Piemonte sia stata la Regione più penalizzata, con aumenti del 2,22% anche sull’A6 Torino-Savona”. Dopo le molte proteste da parte dei cittadini, dei sindaci della Valle e dell’Uncem, il Governo ha fatto una mezza marcia indietro e ha chiesto ai concessionari di sospendere per sei mesi l’aumento. L’assessore ai Trasporti, spiega Batzella, “rispondendo alla mia interrogazione ha riferito di aver sentito il presidente della Sitaf S.p.a. per chiedere quali margini ci siano per annullare o ridurre l’aumento. Il Consiglio di amministrazione della società gli ha riferito di essere disponibile ad accogliere la richiesta del Governo di sospendere per sei mesi i rincari ed è in attesa di una convocazione da parte del ministero dei Trasporti per definire le modalità. Al termine dei sei mesi, però, tutto tornerebbe come prima e, anzi, gli aumenti sarebbero ancora più alti, per recuperare il periodo di mancati introiti. E’ ovvio che si tratta di una mossa puramente propagandistica da parte del Governo. L’obiettivo del ministro Toninelli è quello di rimandare la questione degli aumenti dopo le elezioni amministrative ed europee. E’, quindi, un palese bluff per non perdere i voti degli elettori”. “Il Governo – prosegue la consigliera Batzella – non ha fatto nulla per impedire i rincari, eppure ne aveva la possibilità, rinunciando almeno alla sua quota parte delle spettanze. La Torino-Bardonecchia, infatti, è una delle poche autostrade italiane a maggioranza pubblica, in quanto il 51% di Sitaf è di proprietà dello Stato. Dare il via libera agli aumenti dal 1° gennaio e poi sospenderli è come lanciare il sasso e ritirare la mano. Troppo comodo agire così. Intanto a farne le spese sono e saranno, come sempre, i cittadini”.

CIC. VIGNALE (MNS): “L’INTERRUZIONE DEL CONTRATTO CON CSI METTE A RISCHIO I LAVORATORI”

“BLOCCA I SERVIZI INFORMATIVI REGIONALI. COSA FA LA REGIONE?”

La questione del CIC, Consorzio per l’Informatizzazione del Canavese, e con essa il problema del futuro degli 60 dipendenti oggi in essere, torna in Consiglio Regionale grazie ad un’interrogazione urgente di Gian Luca Vignale, presidente del gruppo consiliare Movimento Nazionale per la Sovranità. Il contratto in essere tra i due consorzi terminava infatti il 31 dicembre scorso e il CSI Piemonte non ha provveduto a prorogarlo “né ad affidarlo a terzi – tuona Vignale – con l’unico risultato che i servizi regionali affidati tramite il CSI al CIC sono sospesi e i dipendenti del consorzio canavesano impegnati a rispondere al numero verde della Regione o gestire alcuni applicativi regionali si trovano dall’oggi al domani con la scrivania vuota. Poiché era tutto ampiamente prevedibile un’amministrazione lungimirante avrebbe dovuto evitare questa situazione. Ora l’augurio è che si riesca, anche con nostra sollecitazione, a prorogare il servizio e a risolvere questa situazione paradossale”. Il CIC è un’azienda consortile costituitasi nel 1985 con l’intento di erogare servizi ITC a enti e aziende pubbliche, venduta, ad una cifra simbolica, nel 2015 al CSP, che si impegnava a farsi carico dei debiti in essere, dei lavoratori e a mantenere la sede della società nel canavese, ottenendo in cambio commesse pubbliche garantite fino al 2018. Tra queste anche il contratto di servizio con il CSI Piemonte, che prevedeva l’erogazione, per conto della Regione Piemonte, di alcuni servizi di contact center informativo e di servizi di trattamento dati per la tassa automobilistica, di assistenza applicativa in ambito lavoro e formazione professionale, agricoltura e finanziamenti FEASR, energia, edilizia, bandi e campagne ad hoc indette dalla Regione Piemonte.

“Ora queste commesse sono scadute – spiega Vignale – ma mentre alcuni enti, come l’ASL e il Comune di Ivrea, hanno deciso di prorogare di due mesi il contratto, il CSI nulla ha fatto lasciando che il servizio venisse interrotto, non curandosi dei piemontesi né dei dipendenti della società di Banchette. Un atto ingiustificato e che dimostra ancora una volta l’incapacità e la disattenzione dei vertici regionali”.

Per affrontare il problema Vignale ha presentato un’interrogazione urgente che sarà discussa nel Consiglio Regionale di domani. “Chiediamo alla giunta – conclude – di attivarsi non solo per garantire ai piemontesi un servizio efficiente ma anche per salvare l’occupazione di decine di dipendenti. Un modo sarebbe quella di prorogare per altri tre mesi il servizio e contemporaneamente chiedere agli Enti che hanno commesse in essere con il CIC di inserire la cosiddetta “clausola di salvaguardia” nei nuovi bandi, che imporrebbe ai nuovi fornitori di utilizzare i lavoratori del consorzio canavesano impegnati sulla commessa”.

 

CIC. VIGNALE (MNS): "L’INTERRUZIONE DEL CONTRATTO CON CSI METTE A RISCHIO I LAVORATORI"

“BLOCCA I SERVIZI INFORMATIVI REGIONALI. COSA FA LA REGIONE?”

La questione del CIC, Consorzio per l’Informatizzazione del Canavese, e con essa il problema del futuro degli 60 dipendenti oggi in essere, torna in Consiglio Regionale grazie ad un’interrogazione urgente di Gian Luca Vignale, presidente del gruppo consiliare Movimento Nazionale per la Sovranità. Il contratto in essere tra i due consorzi terminava infatti il 31 dicembre scorso e il CSI Piemonte non ha provveduto a prorogarlo “né ad affidarlo a terzi – tuona Vignale – con l’unico risultato che i servizi regionali affidati tramite il CSI al CIC sono sospesi e i dipendenti del consorzio canavesano impegnati a rispondere al numero verde della Regione o gestire alcuni applicativi regionali si trovano dall’oggi al domani con la scrivania vuota. Poiché era tutto ampiamente prevedibile un’amministrazione lungimirante avrebbe dovuto evitare questa situazione. Ora l’augurio è che si riesca, anche con nostra sollecitazione, a prorogare il servizio e a risolvere questa situazione paradossale”. Il CIC è un’azienda consortile costituitasi nel 1985 con l’intento di erogare servizi ITC a enti e aziende pubbliche, venduta, ad una cifra simbolica, nel 2015 al CSP, che si impegnava a farsi carico dei debiti in essere, dei lavoratori e a mantenere la sede della società nel canavese, ottenendo in cambio commesse pubbliche garantite fino al 2018. Tra queste anche il contratto di servizio con il CSI Piemonte, che prevedeva l’erogazione, per conto della Regione Piemonte, di alcuni servizi di contact center informativo e di servizi di trattamento dati per la tassa automobilistica, di assistenza applicativa in ambito lavoro e formazione professionale, agricoltura e finanziamenti FEASR, energia, edilizia, bandi e campagne ad hoc indette dalla Regione Piemonte.

“Ora queste commesse sono scadute – spiega Vignale – ma mentre alcuni enti, come l’ASL e il Comune di Ivrea, hanno deciso di prorogare di due mesi il contratto, il CSI nulla ha fatto lasciando che il servizio venisse interrotto, non curandosi dei piemontesi né dei dipendenti della società di Banchette. Un atto ingiustificato e che dimostra ancora una volta l’incapacità e la disattenzione dei vertici regionali”.

Per affrontare il problema Vignale ha presentato un’interrogazione urgente che sarà discussa nel Consiglio Regionale di domani. “Chiediamo alla giunta – conclude – di attivarsi non solo per garantire ai piemontesi un servizio efficiente ma anche per salvare l’occupazione di decine di dipendenti. Un modo sarebbe quella di prorogare per altri tre mesi il servizio e contemporaneamente chiedere agli Enti che hanno commesse in essere con il CIC di inserire la cosiddetta “clausola di salvaguardia” nei nuovi bandi, che imporrebbe ai nuovi fornitori di utilizzare i lavoratori del consorzio canavesano impegnati sulla commessa”.