DOMENICA 6 DICEMBRE ALLE ORE 21
IN DIRETTA STREAMING LO SPETTACOLO
“TURANDÒ ZONA ROSSA” PER LA RASSEGNA DI EVENTI ONLINE “NEL SALOTTO CON”
Nelle Favole e nel Presente le Principesse si sposano sempre. Turandot, da un favolistico regno cinese, rappresenta un’eccezione: non vuole essere la moglie di nessuno. Costretta dal padre Imperatore, decide di accettare come consorte solo colui che riuscirà a risolvere tre difficili indovinelli. Per chi fallisce c’è la decapitazione. Questa storia comincia con una testa che rotola. L’ennesima. Al fine di raccontare questa favola in chiave musicale, due sovrani del panorama artistico, Petra Magoni e Ferruccio Spinetti, moltiplicano i loro talenti per alimentare il vero soggetto di questo racconto: l’enigma.
Dopo aver dovuto rinunciare ad ospitare la “Turandò” scritta e diretta da Marta Dalla Via per il duo MUSICA NUDA – composto da Petra Magoni e Ferruccio Spinetti – lo scorso 29 febbraio, lo staff del Teatro Superga di Nichelino ha deciso di invitare la compagnia in teatro per una ripresa professionale dello spettacolo, ribattezzato per l’occasione con il nome “Turandò Zona Rossa”. L’esibizione sarà trasmessa in diretta streaming il prossimo 6 dicembre a partire dalle ore 21:00.
L’esibizione sarà trasmessa in diretta al seguente link: https://nelsalottocon.it/
Info e biglietti disponibili qui: https://bit.ly/3maGRu8
Biografia
Un incontro fortuito voluto dal destino quello tra Petra Magoni (voce) e Ferruccio Spinetti (contrabbasso), duo che risponde al nome di MUSICA NUDA. Cantante solista con all’attivo già quattro album, nel gennaio 2003 Petra Magoni aveva in programma un minitour in alcuni piccoli club della “sua” Toscana con un amico chitarrista. Proprio il giorno del loro primo concerto, quest’ultimo si ammala. Petra, invece di annullare la data, chiede a Ferruccio, già contrabbassista degli Avion Travel, di sostituirlo all’ultimo minuto. Il concerto ottiene un tale successo che i due protagonisti di questo “Voice’n’bass” combo, nel giro di qualche settimana, mettono insieme un intero repertorio composto dalle canzoni che più amano e di slancio registrano in una sola giornata il loro primo album “Musica Nuda”, titolo che darà poi il nome anche al loro duo. In sedici anni di intensa attività concertistica in tutto il mondo, Musica Nuda ha collezionato riconoscimenti prestigiosi vantando nel proprio palmarès la “Targa Tenco 2006” nella categoria interpreti, il premio per “Miglior Tour” al Mei di Faenza 2006 e “Les quatre clés de Télérama” in Francia nel 2007. Nel corso degli anni, Ferruccio e Petra hanno portato il loro progetto in giro per il mondo, riuscendo a raggiungere anche spazi prestigiosi tra cui l’Olympia di Parigi, l’Hermitage di San Pietroburgo. Inoltre, sono stati ospiti del Tanz Wuppertal Festival di Pina Bausch e, sempre in Germania, hanno aperto i concerti di Al Jarreau. Nel marzo 2014 sono stati gli unici ospiti musicali della “Giornata Mondiale del Teatro” che si è celebrata all’interno del Senato della Repubblica, alla presenza del Presidente Pietro Grasso. Nel 2015 e 2016, il “Little Wonder Tour” ha ottenuto successi in tutto il mondo, partendo dall’Europa, passando dagli Stati Uniti al Perù, fino ad arrivare in Giappone. Nel 2017 esce “Leggera”, disco di brani inediti a cui seguirà un lungo Tour internazionale. Nel 2018 si esibiscono alla Camera dei deputati in occasione delle celebrazioni per il centenario dell’Aula di Montecitorio. In quasi 18 anni di attività, Petra e Ferruccio hanno realizzato più di 1400 concerti, prodotto otto dischi in studio, tre dischi live e un dvd.
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Dai misteriosi “Pedoca” che abitano le cime e le valli segrete ricche d’oro, ai draghi serpentini e alati dalla bocca multilingue che emette fuoco, fino all’ “uomo selvatico” (òm searvy nelle vallate piemontesi), “mezzo uomo e mezzo scimmia” presente dai tempi dei tempi nella cultura popolare di molte regioni alpine e appenniniche: è “un mondo di fiaba che però contiene saggezze remote di cui troppo spesso ci si è dimenticati”, quello tracciato (fra scienza, letteratura e arte) dall’ultimo libro di Donatella Taverna ( torinese, scrittrice, giornalista e nota critica d’arte) che, dopo aver indagato in opere precedenti l’antico mondo del magico femminile, approfondisce ora l’argomento estendendolo ad esseri magici di natura differente nel suo recente “Esseri misteriosi nella tradizione popolare piemontese”. Oltre 200 pagine pubblicate dalla casa editrice “Atene del Canavese” (fondata, con nome altamente impegnativo, nel 2010 da Giampaolo Verga) e accompagnate dalle rigorose illustrazioni di Carla Parsani Motti – con cui la Taverna annovera una lunga storia di collaborazioni – il libro nasce da lontano. “Dall’interesse storico – ricorda la stessa Taverna – per il ruolo femminile nella società e dall’approfondimento su biografie femminili particolari dalla doppia valenza, storica e magica, come quella di Annette d’Alençon o della Regina Giovanna o di Anna di Cipro/Melusina: regine spesso trasformate in fate o in streghe nella legenda popolare e che acquisiscono poteri magici, taumaturgici oppure malefici. In alcune zone, ciò accade perfino a Maria Cristina di Savoia, la prima Madama Reale”. “Era dunque inevitabile, provenendo anche da una formazione postuniversitaria archeologico-antropologica, che mi lasciassi coinvolgere – sottolinea ancora la scrittrice – dalle correlazioni. Come nel caso delle fate che lasciano coppelle sui massi erratici, o di quelle che hanno zampe d’oca, di gallina o di mulo e rievocano tradizioni popolari che sono in realtà travestimenti fiabeschi di un passato
remoto”. “Fate”. E “Pedoca”, “lontane genti di origini misteriose, con donne alte e bionde, bellissime, ma con i piedi palmati, che narrano di un modo mirabile in cui proprio fra le montagne piemontesi fu donata agli uomini una serie di consapevolezze importanti per la sopravvivenza, dalla fabbricazione del formaggio all’estrazione dell’oro”. “Ed é proprio attraverso le affabulazioni legate a questi esseri particolari– continua la scrittrice – che si rivela la civiltà del Piemonte preromano, ricca, straordinaria e complessa, studiata invece per lo più come se esprimesse soltanto rozzi pastori primitivi senza cultura e senza scrittura. Queste ricerche, sviluppatissime in Francia e in altre regioni italiane, in Piemonte sono state intraprese solo approssimativamente e di solito con scarsa cura e scarso approfondimento per le tracce rimaste, lasciando invece spazio a storielle di masche e fuochi fatui o a storie cupe di riti satanici che non hanno dal mio
punto di vista alcun interesse archeologico e culturale, anche perché su questi argomenti si leggono troppo spesso vere e proprie sciocchezze prive di ogni fondamento”. Un libro dunque che intende anche colmare (attraverso la sua veste scientifica, con note e bibliografia in più lingue) spazi e desideri di “verità” storiche trascurate nel tempo. E che, nelle parole dell’autrice, già guarda a ben chiari progetti futuri. “Quelli più immediati – conclude infatti la Taverna – riguardano un ulteriore approfondimento dello studio di quelle genti lontane che precedevano la romanizzazione e che una così vasta e profonda traccia lasciarono nella nostra storia. Ma per creare un po’ di suspense dirò che l’intento è di ripartire dalla chioccia con i suoi dodici (o sette) pulcini d’oro…”. Un piccolo sasso gettato nello stagno delle curiosità. A noi individuare, nei cerchi dell’acqua, il giusto indizio. Per restare in tema di “misteri”.
Premio coraggioso, di vasto riconoscimento internazionale, che anche in questo ansiogeno periodo di emergenza sanitaria ha deciso di non fermarsi, per continuare a proporsi come “progetto culturale e didattico di promozione alla lettura e di diffusione della letteratura contemporanea, in particolare fra i giovani”. In gara troveremo, anche quest’anno, autrici e autori italiani e stranieri, con opere di narrativa pubblicate in Italia fra il gennaio 2020 e il gennaio 2021. Il bando di partecipazione scade il 31 gennaio 2021 ed è scaricabile, con tutte le informazioni sulle modalità di partecipazione, da parte delle case editrici sul sito www.fondazionebottarilattes.it. La cinquina dei romanzi finalisti selezionati da una Giuria Tecnica, presieduta da Gian Luigi Beccaria (linguista, critico letterario e saggista) sarà annunciata mercoledì 14 aprile 2021 a mezzo stampa, sul sito e i canali social della fondazione di Monforte d’Alba. La parola passerà quindi ai giovani, che continuano a essere i veri protagonisti del Premio. Tra aprile e settembre 2021 i cinque romanzi finalisti saranno letti e discussi dai 400 studenti delle 25 Giurie Scolastiche, una all’estero e ventiquattro in Italia, che variano ogni anno, “per dare la possibilità al maggior numero di ragazze e ragazzi di confrontarsi con la lettura di autori contemporanei e con l’espressione e l’affinamento del giudizio critico, utile a sapere meglio interpretare le tante complessità del mondo”. Sabato 2 ottobre 2021 ragazze e ragazzi esprimeranno in diretta il loro voto per proclamare il vincitore nel corso della cerimonia di premiazione in cui saranno presenti i finalisti al Teatro Sociale di Alba. Scrittrici e scrittori in gara terranno inoltre un incontro con gli studenti delle scuole del territorio cuneese. Lo stesso giorno il vincitore del “Premio Speciale Lattes Grinzane” ( assegnato dalla Giuria Tecnica a un’autrice o ad un autore internazionale che nel corso del tempo si sia dimostrato meritevole di un condiviso apprezzamento di critica e di pubblico) terrà una lectio magistralis, aperta al pubblico, su un tema letterario a propria scelta e sarà insignito del riconoscimento. I due appuntamenti saranno inoltre trasmessi in diretta streaming sul sito e sui canali social della Fondazione Bottari Lattes, permettendo così di raggiungere pubblici diversi e lontani e mettendo a disposizione di tutti importanti contenuti della grande narrativa contemporanea. Nella scorsa, decima edizione, del Premio ad aggiudicarsi il podio d’onore è stata la scrittrice turca, residente a Londra, Elif Shafak con il romanzo “I miei ultimi 10 minuti e 38 secondi in questo strano mondo” edito da Rizzoli, mentre il Premio Speciale è andato alla Protezione Civile, come apprezzamento per il grande impegno profuso nell’affrontare l’emergenza sanitaria. A ritirarlo è stato lo stesso Angelo Borrelli, Capo della Protezione Civile.


Prima o poi una domanda ce la dovremo fare. Al di là delle visioni e di ogni giudizio, bello o brutto che sia, confortante o negativo. Perché, pur nel rispetto della preziosa esistenza, e delle scelte effettuate, il clima d’angoscia dei dodici titoli in concorso, coniugato in differenti direzioni? Frutto inevitabile di un’attualità che sembra a tutti i costi soffocarci e non permetterci vie di fuga? Perché le nuove generazioni cinematografiche, quelle che intraprendono con positivi risultati o con immaturità, incertezze, pallide vanità un nuovo percorso, scelgono o trovano rifugio, ai loro occhi più sicuro (la descrizione della realtà), nel mondo di oggi, nella società con i suoi mali? Da quanto tempo qualcuno non gira completamente pagina e ci regala una commedia (non uno di quei troppi titoli che ci sforna, a tratti con grande povertà, il cinema di casa nostra – e non è che per i titoli che ci arrivano dal resto d’Europa e oltre l’erba del vicino sia sempre più verde -, ma una di quelle che potrebbero trovar posto in un luogo cinematografico per eccellenza, una rassegna, un festival, una mostra, definitelo voi, una di quelle che magari un tempo venivano definite “sofisticate”, fornendo eleganza e humour: a memoria frettolosa, da quelle parti, di divertimento e di bella scrittura, l’edizione 37 del TFF sfornò Il grande passo con Fresi e Battiston, nel 2017 Armando Iannucci presentò il suo Morto Stalin, se ne fa un altro), dalla sceneggiatura significativa soprattutto, tutta sorrisi o risate e dialoghi brillanti come non se ne sentono da tempo? Non significherebbe girare la testa dall’altra parte, per qualcuno potrebbe segnare l’occasione per affrontare molti degli stessi problemi con un filo di vivifica ironia. L’approccio di Pif al mondo della mafia dovrebbe aver insegnato qualcosa. Eravamo nel 2013. E’ un mondo difficile da affrontare, pieno di timori per le radici leggere, guardato con la convinzione dell’inattualità forse, di situazioni e svolgimenti che non farebbero più presa sul pubblico.
Pertanto, per quanto riguardo l’edizione numero 38, noi ci siamo sciroppati sniffate che nemmeno il più provetto pusher ha mai distribuito in simile quantità, identità sessuali irrisolte, famiglie in lotta dove uno fisicamente e non solo è lontano dall’altro, assassini da compiersi come bere un bicchier d’acqua, animali martoriati e immediatamente sepolti, comunità e povertà difficilmente recuperabili, il cattolicesimo chiuso e gli insegnamenti dell’imam, mestieri con cui sbarcare il lunario che rendono poco o nulla, attentati e morti che richiamano il Bataclan, padri e madri assenti mentre i figli s’arrangiano come possono, inciampando magari ad ogni passo, i nonni di cui prendersi cura o ancora capaci di badare ai nipoti e regalare un sorriso, la fuga sognata da molti per la tanta voglia di scorgere un futuro, la ricchezza a lungo sospirata e che il più delle volte non ripaga, la Storia da riscoprire, quella di oggi dolorosissima e quella di ieri che ha visto inganni e guerre e vittime. Di questo panorama pressoché privo di luci, nulla di nuovo con il brasiliano Casa de Antiguidades di Joao Paulo Miranda Maria, fatto di magia e di realtà, la storia del vecchio Cristovam, un uomo di colore originario delle zone rurali del nord del Brasile trasferitosi al sud per lavorare in una fabbrica di latte. Una vita che deve fare i conti con le frange xenofobe, con la solitudine, con le privazioni di ogni giorno. Riscoprendo un’antica sala abbandonata e ritrovando all’interno vecchi oggetti che lo riportano indietro negli anni, l’uomo troverà la forza di sopravvivere. Un percorso che si riempie di momenti irrisolti, di figure tratteggiate in modo approssimativo, di sogni o vaneggiamenti, di maschere e di un pallido horror lungo cui con qualche difficoltà lo spettatore riesce ad avanzare. Mentre Regina diretto da Alessandro Grande, unico titolo italiano in concorso, ambientato tra angoli bellissimi della Calabria, farebbe ben sperare nella sua prima mezz’ora descrivendo il rapporto stretto, all’indomani della scomparsa della madre, che s’è venuto a stabilire tra un padre e una figlia quindicenne, motivo primo quel gran desiderio di lei di fare la cantante, per nulla ostacolata anzi spinta a provini e prime serate, magari addolciti con qualche presente verso chi organizza. Ma un giorno, mentre sono su una barca a motore sulla distesa d’acqua di in lago della Sila, un incidente, la morte di un sub, viene a capovolgere le loro esistenze e lo stesso rapporto. Per il padre è stato un incidente, Regina si lascia travolgere dai sensi di colpa. Di qui ha inizio una giravolta verso un debole thriller che abbandona la vecchia strada, non da corpo alla vicenda e soprattutto cancella in sé l’analisi genitore/figlia che aveva fatto ben sperare in una qualche riuscita.
Austria/Belgio firmata da Evi Romen, di ambientazione altoatesina, ovvero la storia di Mario, ballerino e cuoco, tossicodipendente, per cui la danza non sarà mai una professione fissa. Quando perde in un attentato ad opera degli integralisti – restandone lui illeso – l’amico Lenz a Roma, dove è andato nella speranza di un provino, la sua vita rimane sconvolta, al paese tutti lo guardano con indifferenza, le condoglianze ai genitori del morto, produttori vinicoli, non sono affatto gradite: mentre si fa avanti Nadim che lo introduce nella esigua schiera dell’imam e degli altri affiliati. Un mondo nuovo in cui trovare i mezzi per abbandonare il prossimo? Senza spiegazioni o partorendo idee e ripensamenti, Mario cambia abiti e mente. Sfugge la strada che ha seguito, forse soltanto la danza gli indicherà una più sicura indicazione verso il futuro. Più duro, lineare, compatto, saggiamente esplicativo Poppy field. Dove Cristi (Conrad Mericoffer che è un macigno, possibile migliore attore?), poliziotto abituato a vivere quotidianamente con dei colleghi per cui l’unico credo è essere uomini e machi senza se e senza ma, tenta di tenere nascosta la sua esistenza di omosessuale. Un giorno è chiamato a intervenire con i compagni ad una manifestazione in cui un gruppo omofobo ha fatto interrompere in un cinema un film dai contenuti lgbtqi: i toni già aspri s’inaspriscono allorché uno dei manifestanti minaccia di smascherare Cristi. Per la durata di gran parte dei complessivi 81 minuti, si intrecciano rabbia, sguardi, parole urlate, colleghi che insinuano e momenti di dura difesa, violenza, decisi ricatti, verità che possono da un momento all’altro venire a galla. Jebeleanu racchiude il racconto con estrema tensione nel chiuso della sala cinematografica, dentro il rosso delle poltrone, chiedendosi altresì se quel machismo imperante non sia anche capace di fare sessualmente altre scelte.
Su uno dei gradini più alti dei premi, vorremmo vedere quello che maggiormente ci sembra meritare attenzione, Botox dell’iraniano Kaveh Mazaheri, ovvero la parabola da giustiziere delle sorelle Akram (l’attrice la interprete possibile migliore attrice?), che alterna momenti più o meno lucidi ad altri decisamente di povertà mentale, e Azar, che serve in un istituto dove ricche signore, con il botox, vanno per ringiovanire. Con loro vive un fratello, allegro, uomo tuttofare, di quelli con la battuta pronta che a volte offende inconsapevolmente. Akram, un mattino, offesa per l’ultima volta, lo scaraventa giù dal tetto dove sta lavorando. Se ancora ci fosse qualche dubbio sullo stato comatoso dell’uomo, Azam accelera la fine con un sacchetto di plastica. Mentre le sorelle diffondono sempre più la voce che il congiunto se ne sia andato inaspettatamente in Germania (del resto lo sentivano tutti che stava studiando il tedesco): proprio mentre Azim ha bisogno di riposte definitive alla sua intenzione di coltivare e commerciare certi funghi magici. Audace, a tratti folle nelle visioni e nei monosillabi rotti di Akram, pronto ad affidarsi al sogno e alla speranza più sconquassata, costruito sugli sprazzi di humour nero e dentro una geometria sapientemente portata avanti, chiuso nelle strette mura di casa del trio per aprirsi su quel lago gelato entro cui – un pezzo bellissimo e maturo di cinema – scompare la vittima all’interno della sua auto, Botox riserba un finale a sorpresa, che nasce nella mente delle due donne, un piccolo inatteso capolavoro, scoppio ultimo di un film che si spera possa trovare posto sui nostri schermi abituali, in tempi decisamente normali, culturalmente più liberi e aperti.
Walter Morando, artista di livello internazionale, considerato da importanti critici il maggior esponente italiano vivente che tratta la tematica del mare e dei porti, è attratto da tutto quanto è memoria storica, artistica, ambientale, antropologica che egli trasfigura in iconografie simboliche 
