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CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 566

Un premio per non dimenticare Gian Franco Bianco

Monica Dogliani, presidente dell’associazione Nomen Cultura,  con l’amministrazione di Borgo San Dalmazzo, promuove la seconda edizione del  Premio Gian Franco Bianco, intitolato al giornalista Rai scomparso alcuni anni fa. L’iniziativa si terrà presso l’auditorium civico del comune del Cuneese, il prossimo 29 novembre alle ore 21.

(nella foto la precedente edizione)

 

Il “Pannunzio” 2019 a Ernesto Ferrero

Il Centro “Pannunzio” ha conferito ad Ernesto Ferrero il Premio “Pannunzio” 2019.

Ernesto Ferrero ha lavorato per anni in editoria,  ha diretto il Salone del libro di Torino dal 1998 al 2016. Scrittore affermato, è autore di saggi e romanzi tra i quali ricordiamo “N”, “I migliori anni della nostra vita”,”Primo Levi, la vite e le opere”, “Francesco e il Sultano”. Ha vinto il Premio Strega ed il Premio Campiello.

Quel viaggio di 80 anni fa da Ginevra a Kabul

Il lungo straordinario viaggio è iniziato con una vettura anni Trenta, ottanta anni fa. Era il 6 giugno 1939: due donne giornaliste, scrittrici e fotografe, partivano da Ginevra in auto dirette a Kabul.

Con le loro macchine fotografiche e una cinepresa. Un lunghissimo avventuroso itinerario documentato con due libri, filmati e centinaia di fotografie. Alcune di queste si possono vedere nella sala Athenaeum del Rettorato di via Po 17 a Torino fino al 13 dicembre (dal lunedì al venerdì ore 14-18). Le fotografe sono Ella Maillart e Annemarie Schwarzenbach, già famose per aver scritto in quegli anni inchieste in vari Paesi. Ma questa volta dovevano realizzare servizi fotografici per importanti quotidiani e riviste. E c’è di più perchè il loro viaggio vuole essere anche una fuga spirituale da un’Europa che si stava avvicinando a passo veloce verso un’altra catastrofica guerra mondiale. Scriverà la Maillart: “volevamo andare in luoghi dove la parola divino avesse ancora un senso”. Le foto scattate sono almeno trecento insieme a un filmato su popoli e luoghi visitati utilizzando una pellicola che l’Agfa aveva dato alle due fotografe da sperimentare. Ciò che risalta è un mondo che in gran parte non esiste più, un Afghanistan arcaico, attraversato da tribù nomadi e capi tribali che accolgono le due donne con ospitalità.

Ella Maillart e Annemarie Schwarzenbach documentano il tramonto del mondo antico con le sue tradizioni immutabili da centinaia di anni e l’arrivo della modernità fatta di modesti autocarri, dighe in costruzione, vecchie auto e fabbriche nascenti. Tradizioni che finiscono per far risaltare la stessa condizione miserevole in cui vivevano le donne che peraltro ancora oggi resta un problema irrisolto. Le fotografie, su licenza della Biblioteca Svizzera di Berna, sono riprodotte in grandi pannelli che illustrano anche le figure delle due viaggiatrici con le loro storie personali. In sala vengono proiettati i filmati originali della cineteca Rts, Radio Television Suisse. Per l’Italia si tratta di una prima assoluta mentre le due protagoniste del viaggio sono state negli anni riscoperte con eventi e documentari in Svizzera e in Germania.

Filippo Re

La mostra, organizzata dal Centro Federico Peirone di studi sull’islam, intitolato alla memoria di Federico Peirone, docente universitario a Torino, eminente arabista e sacerdote, è visitabile fino al 13 dicembre al Rettorato di via Po 17, dal lunedì al venerdì ore 14-18.

La Regione per il rilancio di Stupinigi

Rispondendo a un’interrogazione di Diego Sarno (Pd) sulla Palazzina di Caccia di Stupunigi, l’assessore alla Cultura Vittoria Poggio ha preannunciato che la Regione sta individuando i propri rappresentanti nella Fondazione Ordine Mauriziano e nel Comitato di vigilanza.

“È nostra intenzione promuovere e sostenere progetti di valorizzazione della Palazzina mettendo in relazione la Fondazione Ordine Mauriziano con il Consorzio delle Residenze Sabaude, di cui la Regione è socio fondatore, per migliorare l’offerta culturale anche in termini di erogazione dei servizi e per un efficace sistema comunicativo e di marketing” ha sottolineato Poggio.

Sarno, nella sua interrogazione chiedeva come la Regione Piemonte intenda monitorare e sostenere la Fondazione Ordine Mauriziano nella gestione della Palazzina e come verranno utilizzati i fondi per la ristrutturazione dei poderi antistanti. Inoltre ha chiesto di conoscere i progetti specifici del Consorzio delle Regge Sabaude e se per migliorare la fruizione del sito si intenda prolungare la linea tramviaria “quattro”.

Per completare le risposte, la stessa Poggio ha fatto riferimento a due note degli assessori al Bilancio Andrea Tronzano, e ai Trasporti Marco Gabusi.

“Il Parco di Stupingi è stato inserito tra i Poli naturali regionali strategici oggetto di finanziamenti europei per 2,6 milioni di euro, il concentrico di Stupinigi nei Poli culturali d’interesse regionale per i quali l’Europa ha destinato 6,5 milioni” ha comunicato Tronzano.

Per quanto riguarda gli aspetti del collegamento pubblico tra Torino e la Palazzina di Caccia, Gabusi ha spiegato che attualmente il sito è servito dalla linea 41 con il Lingotto stazione strategicamente centrale. “Lo studio effettuato dall’Agenzia per la Mobilità piemontese sulla richiesta di prolungamento della linea 4, ha evidenziato costi di investimento e di gestione eccessivamente elevati” ha aggiunto.

Sono poi state discusse le interrogazioni di Silvio Magliano (Moderati) sugli sviluppi della riforma del Terzo settore (ha risposto l’assessora Chiara Caucino) e di Daniele Valle (Pd) sul contenimento e l’eradicazione della Vespa Velutina (ha risposto l’assessore Marco Protopapa).

Requiem per la Bosnia, doppio appuntamento a Torino e Ghiffa (Vb)

Doppio appuntamento questa settimana con “Requiem per la Bosnia”, il nuovo volume di Barbara Castellaro pubblicato da Infinito Edizioni nella collana Orienti, con l’introduzione e le fotografie di Paolo Siccardi e la postfazione di Marco Travaglini. La prima presentazione è in programma alle 18,30 di giovedì 21 novembre a Torino, presso la libreria Trebisonda di Via Sant’Anselmo 22 in San Salvario. Con l’autrice dialogheranno i giornalisti Fabio Malagnino e Marco Travaglini. La seconda data, alle 17.00 di sabato 23 novembre, vedrà protagonista il libro di Barbara Castellaro presso la sala esposizioni “Panizza” in corso Belvedere 114 a Ghiffa, nel Verbano. L’evento è organizzato dall’ Officina di Incisione e Stampa “Il Brunitoio” e sarà introdotto dalla presidente del sodalizio, Sissi Sardone. Parteciperà con l’autrice lo scrittore Marco Travaglini.

Protagonisti di “Requiem per la Bosnia” sono le persone incontrate dalla scrittrice canavesana nell’unico Paese europeo con una forte radice musulmana, mescolata alla cultura slava e mitteleuropea e con una millenaria storia di contatto tra le tre religioni monoteiste: l’ebraica, la musulmana e la cristiana. Barbara Castellaro è riuscita nel non facile compito di trovare le parole più adatte per descrivere paesi e persone, storie individuali e collettive di un paese che era il cuore profondo della terra degli slavi del Sud, martoriato dai conflitti a cavallo del millennio, nell’ultimo decennio del “secolo breve”. Un tempo di guerre e dissoluzione che ha lasciato tracce profonde, forse ineliminabili, che viene raccontato alla luce di quanto è accaduto dopo, della vita di tutti i giorni, delle paure e delle aspettative, dei sogni e degli auspici di tante e tanti che non hanno inteso chinare la testa di fronte al destino. Sono queste donne e questi uomini che Barbara Castellaro ha incontrato, comunicando emozioni e pensieri che aiutano a formare un’opinione di chi legge quelle pagine, incoraggiandolo ad approfondire le vicende, conoscere le persone, visitare quei luoghi. E’ un invito a farlo a occhi aperti, senza retorica e senza consolazione. Le stesse immagini di Paolo Siccardi, importante e sensibile giornalista, accompagnano il libro raccontando questi stati d’animo, i contrasti tra la vita di tutti i giorni, l’eredità di un pesante passato, l’incertezza del domani. Basterebbe riguardare le immagini dei clandestini che negli anni novanta,per sfuggire alle guerre,attraversavano come oggi quelle frontiere per vedere gli stessi volti. Fermati dalle polizie, schedati e rimandati ai loro paesi di origine, lasciando per terra lungo le maglie bucate delle reti le proprie memorie, i ricordi, le fotografie dei propri cari, i documenti, gli oggetti personali per non essere identificati dalle autorità di frontiera. Quelle reti diventavano la porta per l’Europa di Schengen come ieri il passaggio a nord di Subotica o la nuova rotta balcanica che attraversa il cuore della Bosnia e porta migliaia di migranti nel cuore di Sarajevo. C’è chi, descrivendo il ‘900, ha scritto che molto della storia di quel secolo inizia e finisce lì. E che molto di intuisce e capisce in quelle terre. Basta avere voglia di tenere gli occhi aperti e la mente e il cuore sgombri da pregiudizi, come fa con grande umanità e forza il racconto di Barbara Castellaro.

Sfumature vocali con “Jazz Man Voice”

Si terrà mercoledì 20 novembre dalle ore 21:30 al Jazz Club di Torino in Piazza Valdo Fusi il concerto del quartetto “Jazz Man Voice” formato da Valerio Vigliaturo alla voce, Giuseppe Trivigno al piano, Matteo Piras al contrabbasso e Fabrizio Fiore alla batteria.
 
Il repertorio, dedicato alla voce maschile nel jazz e alle sue sfumature timbriche e improvvisative, è composto da standard blues, swing, be bop, bossa nova e latin di Duke Ellington, Dizzie Gillespie, Thelonious Monk, Carlos Jobim, Horace Silver, Dave Brubeck, Wayne Shorter e Miles Davis, nelle versioni interpretate dai grandi crooner e vocalist come Tonny Bennet, Jon Hendricks, Eddie Jefferson, Jamie Davis, Mark Murphy, Al Jarreau, Kevin Mahogany e Kurt Elling.

La realtà e le apparizioni, arrivano i “Giganti” di Lavia regista felliniano

Il mito pirandelliano in scena al Carignano sino a domenica 1 dicembre

 

 

Su quel grido lacerato – “Io ho paura! ho paura!” – si arresta lo spettacolo che Gabriele Lavia (con grande spiegamento di forze, vi concorrono la Fondazione Teatro della Toscana, il Teatro Stabile di Torino e il Teatro Biondo di Palermo) ha ricavato dall’incompiuto testo pirandelliano dei Giganti della montagna (anche a chiudere una terna di successo, dopo i Sei personaggi e L’uomo dal fiore in bocca): incompiuto sì, ma pure ricco di suggestioni e delle annotazioni che avrebbero interessato “l’azione del terzo atto (IV “momento”)” che l’autore quasi dettò al figlio Stefano “durante tutta la penultima nottata della Sua vita”, l’offerta degli ultimi “fantasmi”. Lavia, e con lui il resto della compagnia, s’atterrisce al rumore terrificante e sordo dei giganti, al prevaricare della materia sulla poesia, non cerca sviluppi, non poggia come Strehler su di un palcoscenico spoglio, ultimo brandello di autenticità, la carretta dei comici perché un sipario di ferro la schiacci: il teatro in rovina (un teatro all’italiana, in una attualità che sconcerta), su una terra sospesa, inventato nella scena di Alessandro Camera, sfatto e distrutto nei tre ordini di palchi, cancellato nei marmi e nei propri rilievi barocchi, polveroso dei calcinacci, rimane immutabile ed eterno.

Quell’archeologia teatrale è l’immagine della villa La scalogna, dove un deus ex machina, il mago Cotrone (un raisonneur tutto pirandelliano, uno fra i tanti in quel lungo ventennio fitto di titoli, ma anche un ordinatore come poteva essere il Prospero shakespeariano, ancora un mago, attraverso i panorami della propria isola), con il suo rosso copricapo alla turca, ha ospitato i suoi attori, i suoi mimi, le sue maschere (il lavoro di Andrea Viotti è una delle componenti più belle e convincenti della serata, la fantasia che viene invasa dai colori dei costumi, ricchi e abbaglianti, i grumi vivificati che si muovono attraverso la scena: come le maschere di Elena Bianchini), un trovarobato appoggiato alle pareti, le casse, un pianoforte, le quinte, teli bianchi e sipari, ombre e luci in lontananza, tutta la vita autentica del palcoscenico, una vita che può ancora mescolarsi con la favola. A fronteggiarsi con lui giunge la contessa Ilse, come un’Erinni pronta a vendicare l’opera di un poeta che la amò e che per lei compose La favola del figlio cambiato, la ricerca continua di una messinscena a causa della quale la donna ha sperperato ogni bene del consorte, un uomo avvilito e stanco che tenta ancora ad ogni istante di riconquistarla. In un mondo parallelo, fatto di sogni e visioni, di esseri che si animano, di fantocci che all’improvviso cessano di essere massa per sciogliersi e zigzagare attraverso lo spazio, spiriti dai grandi occhi e dalle movenze metalliche che s’umanizzano; e poi apparizioni, come quella dell’angelo Centuno che la Sgricia cattura al ricordo e porta in scena attraverso le parole del suo racconto. Ilse non arretra dalle sue decisioni, sorda alle parole e agli inviti di Cotrone a rappresentare il suo dramma soltanto davanti agli abitanti della villa, lei andrà nel mondo, sfidando quanti peccheranno d’insensibilità e forse di ferocia: quel galoppo che riempie la scena avanzando dalla platea, al cui interno siamo noi pubblico, corresponsabili della tragedia, la minaccia che occupa gli spazi del sogno, è il segnale dell’arrivo dei Giganti, del loro non-vivere, della rozzezza che li definisce, del deserto aspro in cui hanno ritrovato il proprio regno. Un regno opposto all’idea di Cotrone e del suo autore, alla poesia, e quel corpo di Ilse deposto sul carretto e trascinato via dagli attori, stabilito da Pirandello nelle sue ultimissime invenzioni di moribondo, sarebbe stato il marchio della sconfitta.

Lavia, attore pronto a immergersi appieno nelle parole del suo mago e regista multicolore che non disdegna di inondare questi Giganti di palpabile allegria, confinando con un mondo tutto felliniano (non a caso la musica di Antonio Di Pofi ha tanto spazio nello spettacolo, come potevano fare Rota o Piovani nei titoli del riminese), stoppa l’azione e lascia prima dei molti applausi un angolo di speranza. Governa i suoi 22 attori, una compagine come raramente se ne vedono oggi nelle nostre sale teatrali, con un carico d’invenzioni davvero invidiabili, la realtà, i sogni, le apparizioni, i movimenti, la gestualità, tutto nello svolgersi dell’azione diviene protagonista, importante, immediato. Forse non tutti i suoi compagni affondano gli artigli nelle parole dell’autore, forse il Conte di Clemente Pernarella meriterebbe maggior convinzione nei propri slanci e una più ragionata sensibilità, forse la Ilse di Federica Di Martino non riesce a recuperare tutto lo strazio che sta nel cuore di quella donna e avanza istintivamente, quasi a improbabili scatti. Ma certe figurine da presepe come la Sgricia o Mara-Mara con il suo ombrellino sempre in bella vista o Quaqueo o Milordino sono resi con una amara dolcezza che incanta: anch’essi contribuiscono all’ottima riuscita dello spettacolo. Repliche al Carignano di Torino fino a domenica 1 dicembre.

 

Elio Rabbione

 

Le immagini dello spettacolo sono di Tommaso Le Pera

Gli “Omaggi” di venti artiste ai Maestri del passato

Nelle sale della galleria “Arte per Voi” di Avigliana, fino al 15 dicembre

Venti donne, venti artiste che hanno la pittura, l’acquerello e la ceramica nel cuore, ripensano ai maestri di un tempo, lasciando spazio alle loro scelte personali, ai sentimenti, alla passione che le guida. Ed ecco Omaggi, a cura di Giuliana Cusino e Luigi Castagna, nelle sale della galleria “Arte per Voi” di Avigliana (piazza Conte Rosso, 3), fino al 15 dicembre, visite il sabato e la domenica dalle 15 alle 19. Espongono Silvana Alasia, Susy Ardengo, Franca Baralis, Tiziana Berrola, Ines Daniela Bertolino, Luciana Bevilacqua, Cetty Boniello, Nadia Brunori, Enrica Campi, Antonella Castrignano, Ilaria Chiocchi, Luisella Cottino, Giuliana Cusino, Maria José Etzi, Renata Ferrari, Lucia Galasso, Sonia Girotto, Elena Monaco, Elena Piacentini e Serena Zanardo.

In piccolo formato, giocando tra l’acquerello e la foglia d’oro, ai minuziosi intarsi floreali di Klimt e alla distribuzione dei suoi colori si dedica Silvana Alasia, rivisitando favolistiche atmosfere e drappeggi coloratissimi, mentre l’Ardengo con la ceramica raku ricorda le frammentazioni di Mastroianni. Se omaggio deve essere, ecco che Franca Baralis si riappropria della memoria di Cesare Pavese e tra terre vicentine e smalti cattura volti ed espressioni, tumulti e sensualità di un intero universo letterario, posto tra la realtà irrisolta e un mito che ci arriva di lontano. Nella pura dolcezza di sempre, la Bertolino si affida al mondo acquatico di Monet, al gioco rosato delle sue ninfee, Luciana Bevilacqua al mondo fantastico di Paul Klee, ai maestri del Futurismo gli oli di Cetty Boniello. Come Nadia Brunori sceglie la rivisitazione geometrica degli studi di Antonio Sant’Elia, una precisione affidata ai pastelli, alla china e all’acquerello. È poi un “bacio” del nuovo millennio quello che la Castrignano ci offre ripensando, pure lei, a Klimt mentre Enrica Campi scomoda Leonardo per riproporre spiritosamente la Dama con ermellino e Luisella Cottino rivisita le atmosfere brumose, quasi liquide di un maestro come Turner, in un susseguirsi di sapienti sfumature e, con Giungla, Giuliana Cusino omaggia Max Ernst.

La Etzi tenta di cogliere lo sguardo semplice e misterioso allo stesso tempo della Ragazza con l’orecchino del secentesco Vermeer e Renata Ferrari, attraverso la propria continua ricerca sul corpo umano, guarda con esattezza al Pensatore di Rodin, giungendo ad una intrigante composizione di forme. L’ormai riconosciuta bravura di Elena Monaco mescola i geni – Ed io tra di voi – di Michelangelo, Caravaggio e Lucien Freud, in un gioco a specchio di particolari, di mondi ed epoche diversi seppur umanamente prossimi, consanguinamente legati. E da citare infine La grande onda con cui Elena Piacentini s’appropria dell’arte di Katsushika Hokusai, un acquerello che è maestosità, irruenza, idillio fantasioso e prepotente.

 

Elio Rabbione

 

Nelle immagini:

Silvana Alasia, “Giardino prospero” (omaggio a Gustav Klimt), acquerello e foglia oro, 25 x 25, 2019

Luisella Cottino, “Una città” (omaggio a William Turner), acquerello, 23 x 23, 2015

Elena Piacentini, “La grande onda” (omaggio a Katsushika Hokusai), acquerello su carta arches, 56 x 75, 2004

L’arte di Penagini in mostra a Omegna

Dal Piemonte

Domenica scorsa, al Forum di Omegna, sul lago d’Orta, è stata inaugurata la mostra “Il valore umano e poetico nell’arte di Siro Penagini”, realizzata dall’Associazione “I Lamberti“ e patrocinata dall’Amministrazione comunale del capoluogo cusiano.

Penagini,nato a Milano nel 1885 e morto a sessantasette anni a Solcio di Lesa sul lago Maggiore dove è sepolto nella cappella di famiglia nel piccolo cimitero locale, autore tra le sue tante opere anche del noto affresco che ritrae Mosé e le tavole della legge presso il Palazzo di Giustizia del capoluogo meneghino, è uno degli artisti italiani più importanti del secolo scorso. La mostra che gli è stata dedicata dall’associazione che si ispira alla memoria e alle opere di Gianni Rodari, resterà aperta fino al 1 dicembre, dal martedì alla domenica, dalle 15.00 alle ore 18.00. Il   titolo scelto per la mostra riassume più di ogni altro il senso del lavoro artistico di Siro Penagini, un artista da annoverare tra i grandi maestri del 900 italiano. “La sua pittura   – scrivono i critici Roberto Ripamonti e Giulio Martinoli che ne hanno curato la biografia – va osservata con occhio attento e indagatore, lo sguardo deve soffermarsi sia sul segno sia sul colore per far emergere tutti i suoi segreti e la straordinaria bellezza di cui ogni opera è intrisa”. Al catalogo della mostra ha collaborato il critico d’arte Marco Di Mauro, indagando e ricostruendo il percorso artistico di Penagini e i suoi vari spostamenti: da Caravate a Monaco, da Roma a Terracina, da Positano alla Sardegna, fino all’ultimo periodo di Solcio di   Lesa. Inoltre   il prof. Di Mauro   ha messo   in   risalto   i   contatti   dell’artista   con   le esperienze   più   all’avanguardia   dell’arte   europea   del   suo   tempo   e   i   suoi momenti evocativi. Nel catalogo è stato inserito l’articolo di Giovanni Testori apparso sul Corriere della Sera nel 1985 in occasione della mostra allestita al Museo del Paesaggio di Verbania,   in   cui   si  sottolinea   le   responsabilità   degli   storici   dell’arte   e   del mercato per le ingiustizie verso alcuni artisti del XX secolo e in primo luogo Siro Penagini, che, pur avendo dalla sua critici devoti come Raffaele De Grada, Mario De Micheli, Marco Rosci e   lo   stesso   Testori,   rimane   totalmente   e   dolentemente rilegato nell’ombra.

Prova ne è la recente mostra tenutasi a Palazzo Reale a Milano, dedicata a Margherita   Sarfatti – sottolineano Martinoli e Ripamonti – dove   Penagini   è stato   completamente   omesso,   senza tener conto che la stessa Sarfatti avrebbe voluto a suo tempo inserirlo nel Gruppo del 900 accanto a Sironi, Carrà, Funi, Bucci, Dudreville, Oppi e Marussig. Ma Penagini   rifiutò,   sia   per   il   suo   carattere   schivo   e   riservato   sia   perché   non voleva avere obblighi e scadenze. Inoltre non manifestò mai simpatie verso il regime, da cui avrebbe potuto trarre dei vantaggi. Sicuramente il suo voler essere e restare indipendente non   ha giovato alla sua carriera, nonostante abbia partecipato a dodici Biennali di Venezia”. Sara Rubinelli, dinamica assessore alla Cultura del comune di Omegna, all’inaugurazione dell’evento ha posto in evidenza l’importanza di “poter ammirare la bellezza dei quadri attraverso una mostra che li esibisce in modo curato, studiato ed esperto. Ritrovare o scoprire la bellezza dell’arte vuol dire investire in un tempo che ci arricchisce e che ci ispira a relazionarci con sguardo nuovo a un presente che trova nello studio e nella contemplazione del passato il senso della sua evoluzione”.

M.Tr.

La Fondazione Bottari Lattes premia la “Traduzione”

Al via la prima edizione del nuovo Premio, dedicata per il 2020 ai romanzi tradotti dalla lingua araba

Scadenza del bando, il 10 gennaio 2020

 

Il Premio avrà cadenza biennale e “nasce dalla consapevolezza del fondamentale ruolo dei traduttori nella diffusione della letteratura e del loro impareggiabile contributo nell’avvicinare popoli e culture differenti, abbattendo muri ideologici, creando ponti culturali e favorendo il dialogo”: spiega così Caterina Bottari Lattes, presidente dell’omonima Fondazione (nata nel 2009 a Monforte d’Alba, per commemorare la figura di Mario Lattes, noto editore, pittore, scrittore e intellettuale di primo piano del nostro Novecento, scomparso nel 2001) , l’idea di indire il nuovo Premio Biennale Mario Lattes per la Traduzione, in collaborazione con l’Associazione Castello di Perno, già un tempo “filiale” cuneese – gemella della sede centrale di via Biancamano a Torino – della Casa Editrice Einaudi, attualmente di proprietà di Gregorio Gitti e sulla via giusta per tornare ad essere “casa per la cultura”, con particolare attenzione alle arti contemporanee.

La prima edizione 2020 del Premio sarà dedicata alla Letteratura Contemporanea in lingua araba e aperta alle opere di narrativa tradotte ed edite in Italia tra il 2017 e il 2019, che dovranno essere inviate alla Fondazione Bottari Lattes (in via Marconi 16, a Monforte d’Alba, Cuneo) entro il 10 gennaio 2020.  Il bando è scaricabile sul sito www.fondazionebottarilattes.it

La Giuria Stabile del Premio individuerà cinque opere finaliste selezionate tenendo conto della capacità del traduttore di rendere in italiano la qualità letteraria del testo.

Della Giuria fanno parte i traduttori e i docenti: Anna Battaglia (ha insegnato Lingua francese all’Università di Torino e tradotto, tra le diverse opere, “Oiseaux” di Saint-John Perse), Melita Cataldi ( ex docente di Letteratura anglo-irlandese all’Ateneo torinese, al suo attivo traduzioni dall’antico irlandese, William Butler Yeats e poeti del Novecento come Hutchinson e Heaney), Mario Marchetti (traduttore di lungo corso dal francese e dall’inglese per le case editrici Einaudi e Bollati-Boringhieri, presidente del Premio Italo Calvino, autore di saggi e recensioni), Antonietta Pastore (scrittrice e traduttrice dal giapponese, alla quale si deve la traduzione di numerose opere di Haruki Murakami e di autori come Soseki Natsume, Kobo Abe, Yasushi Inoue) e Fabrizio Pennacchietti (orientalista, già docente di Filologia Semitica all’Università Ca’ Foscari di Venezia e all’Università di Torino, oggi membro dell’Accademia delle Scienze di Torino).

Alla Giura Stabile sarà affiancata, per ogni edizione, una Giuria Specifica per la lingua oggetto del Premio, che valuterà la cinquina e decreterà il vincitore. Per la prima edizione gli altri giurati, esperti di lingua araba, sono: Isabella Camera d’Afflitto (fra i massimi studiosi della lingua araba, nonché docente di Lingua e Letteratura Araba alla Sapienza di Roma e all’Orientale di Napoli), Manuela Giolfo (arabista presso l’Università di Genova), Claudia Tresso (docente di Lingua Araba all’Università di Torino).

La cinquina dei traduttori finalisti sarà resa nota entro la fine del mese di maggio 2020. Il nome del vincitore sarà annunciato nel corso della premiazione che si svolgerà sabato 20 giugno 2020 al Castello di Perno.

Mantenendo fede all’attenzione costante che la Fondazione Bottari Lattes rivolge ai giovani, il Premio Traduzione coinvolgerà anche studenti e neolaureati in Lingua Araba delle Università italiane, mettendoli in contatto con i professionisti del settore e facendoli incontrare con vincitori e finalisti in un appuntamento a loro dedicato.

Il vincitore riceverà un premio di 3.000 euro. Ai quattro finalisti è riconosciuto un premio di 500 euro.

 

Per info:

Fondazione Bottari Lattes, via Marconi 16, Monforte d’Alba (Cuneo); tel. 0173/7892412 – 011/19771755 o book@fondazionebottarilattes.it, eventi@fondazionebottarilattes.it, WEB fondazionebottarilattes.it | FB Fondazione Bottari Lattes | TW @BottariLattes | YT FondazioneBottariLattes

g. m.

 

Nella foto: Caterina Bottari Lattes