A CURA DI TORINO STORIA
Le grandi aree verdi fuori della cinta daziaria. Nella prima si ricordano i caduti delle Guerre Mondiali, sotto il Faro della Vittoria. La Pellerina nasconde le macerie dei bombardamenti del 1942-43
Due dei maggiori parchi di Torino, quello della Pellerina e quello della Maddalena, sono figli dell’espansione della città oltre la cinta daziaria, regolamentata dai piani regolatori del 1906 e del 1913. La crescita dell’area urbana e l’aumento progressivo degli abitanti (che avrebbe conosciuto il suo apice alcuni decenni dopo) imponeva la razionalizzazione degli spazi e la destinazione di alcune aree a verde pubblico.
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Maddalena e Pellerina, i due parchi di Torino oltre le barriere
Una sezione della mostra fotografica, curata da Garen Kokcijan in collaborazione con il Centro Federico Peirone e la Fondazione Donat-Cattin, presenta fotografie e drammatiche testimonianze della deportazione della popolazione armena cristiana realizzate da Armin Wegner, ufficiale medico dell’esercito tedesco, alleato degli Ottomani, che documentò, rischiando la vita, il genocidio turco degli armeni nel 1915 mentre era in servizio nei territori dell’Impero. Le sue fotografie sono una chiara e drammatica testimonianza di quel che accadde all’inizio della Prima guerra mondiale in Asia Minore. Un milione e mezzo di armeni, e forse anche di più, furono sterminati dai turchi. Nella seconda parte della rassegna viene raccontata la storia dell’Armenia, si vedono monasteri e chiese armene, la natura selvaggia del Caucaso e gli antichi khachkar, croci di pietra dichiarate Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco. L’esposizione è stata organizzata in occasione del Giornata della Memoria Armena che ogni anno viene celebrata il 24 aprile. Gli armeni l’hanno chiamato il Grande Male (Metz Yeghern) ed è la storia del genocidio turco degli armeni che tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento fece sparire oltre un milione e mezzo di armeni cristiani colpevoli solo di appartenere ad un’etnia diversa e a una religione di minoranza.
Mostra assolutamente doverosa, a cavallo di quel 25 aprile, Festa Nazionale della Liberazione, che dopo circa ottant’anni, ancora non è riuscita (con l’indispensabile neutralità critica) a mettere in piena luce il ruolo determinante del “Regio Esercito” ai fini della Liberazione dell’Italia a fianco delle Armate anglo-americane. Organizzata dall’“ANARTI-Associazione Nazionale Artiglieri d’Italia” in collaborazione con il “Museo Storico Nazionale d’Artiglieria”, la rassegna “1943-1945. Dai Gruppi di Combattimento al nuovo Esercito Italiano” vuole essere un racconto per immagini, testi, curiosità varie e reperti d’epoca di un importante capitolo della nostra Storia, dal 25 luglio 1943 al maggio 1945, per il quale ancora manca una valutazione storica corretta rispetto al generoso impegno delle nostre Forze Armate che, dopo l’Armistizio di Badoglio dell’8 settembre e per 19 lunghi mesi di guerra, diedero prova di grande coraggio e amor patrio “da protagonisti e non da gregari” combattendo a fianco degli Alleati contro i tedeschi fino alla Liberazione del Paese. Inaugurata il 22 aprile scorso (relatori gli storici Gianni Oliva e Pier Franco Quaglieni), la mostra è ospitata, fino alla prossima domenica 1° maggio, presso il “Mastio della Cittadella” di corso Galileo Ferraris ed è curata dal giornalista Pier Carlo Sommo. Dall’armistizio badogliano fino al contributo delle Forze Armate alle formazioni partigiane e a quello prestato dai soldati prigionieri negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, l’iter espositivo racconta di guerre, di sacrifici umani e atti eroici, spesso ancora oggi trascurati e molto poco conosciuti. “Oltre ai significativi fatti – si è sottolineato – della difesa di Roma e di Cefalonia, ve ne furono molti altri, in Italia e all’estero, che sono stati dimenticati, come la cacciata dei tedeschi dalla Corsica
rivendicata dai francesi, nonostante il loro ruolo marginale”. “L’8 settembre 1943 fu una tragedia nazionale– hanno ribadito i relatori – ma anche, e principalmente, un punto di svolta in una situazione bellico – politica disastrosa che, per l’Italia, proseguendo invariata, avrebbe portato ad un disastro materiale e istituzionale totale come quello poi subito nel 1945 da Germania e Giappone”. E ancora: “Molto si è discusso sul trasferimento del Re e del governo a Brindisi. È doveroso dire che sul piano politico fu una scelta corretta, in quanto preservare l’operatività del governo legittimo era politicamente giusto, ma il tutto fu fatto in modo maldestro, senza coordinamento né nel lasciare Roma né nell’insediarsi a Brindisi. Il principe ereditario Umberto con coraggio personale e consapevolezza delle proprie responsabilità istituzionali richiese al padre di lasciarlo a Roma per organizzare la resistenza. Vanamente. Questo fatto lese la sua immagine poi spesso collegata a eventi negativi che fu costretto a subire, nonostante il suo coraggioso impegno con l’Esercito che risalì la penisola”. E le immagini raccolte al “Mastio” ben testimoniano lo sforzo incredibile dei soldati italiani nella Campagna d’Italia, a Montelungo, a Monte Marrone, a Filottrano o lungo la “Linea Gustav” (o Linea Invernale”), organizzati – proprio per il loro coraggio – in sei “Gruppi di Combattimento” attrezzati con armi e divise inglesi e in otto “Divisioni Ausiliarie” e tre di “Sicurezza Interna”, che divennero – con ingenti tributi umani- essenziali quando sette Divisioni (tre statunitensi e quattro francesi) furono rimosse dalla penisola per partecipare, il 15 agosto del ’44, allo sbarco nella Francia meridionale. Di rilievo anche la partecipazione dei militari nelle missioni speciali nel Nord Italia. Circa 80mila militari operarono nelle unità partigiane. In totale furono oltre 500mila i militari di tutte le armi e gradi che parteciparono alla Lotta di Liberazione. “Al termine della
guerra – ricorda Pier Carlo Sommo – quel rinnovato ‘Regio Esercito’ fu il nucleo fondante dell’ ‘Esercito Italiano’ che abbiamo oggi”. “La Guerra di Liberazione fu un momento di aggregazione intorno al ricostituito Esercito e riflettere sul sacrificio dei soldati che combatterono per la libertà del Paese con risorse limitate ed un futuro di incognite ha da essere oggi di stimolo a operare con tenacia e al meglio per il bene del Paese”. Così insegna la Storia. La Buona Storia. Spesso inarrivabile alle ottuse orecchie del Potere. A ingresso libero, la mostra ospiterà sabato prossimo 30 aprile un dibattito finale tenuto dallo storico Aldo Alessandro Mola e dai generali Giorgio Blais e Antonio Zerrillo.
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