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Libri. Alla scoperta di Marcos y Marcos

Marcos y Marcos, casa editrice con sede a Milano, è specializzata nella proposta e riproposta di narrativa italiana e straniera, ma è attiva anche nel settore della poesia. Le loro storie provengono da ogni parte del mondo, rispondendo ai molteplici gusti dei lettori. Libri e non solo, Marcos y Marcos propone ai lettori molteplici iniziative: l’ultima è “un libro per tè” ovvero un gruppo di lettura frutto della collaborazione tra la casa editrice e le librerie di tutta Italia. Durante il mese di lettura i partecipanti ricevono contenuti speciali multimediali dedicati al titolo scelto: curiosità, video, ricette, colonne sonore, percorsi di lettura e perfino di viaggio. Perché ogni libro apre un mondo. Con un catalogo appena rinnovato, libri dai colori più vari e accesi per lettori di tutti i gusti e tante iniziative per grandi e bambini, la Marcos y Marcos si riconferma un caposaldo tra le case editrici in grado di innovarsi e adattarsi ai tempi. Abbiamo letto due proposte considerate tra le novità più interessanti del momento.

Poco mossi gli altri mari- Alessandro della Santunione- a cura di Valeria Rombolà

Immaginate un paese in Italia, uno di quelli in cui tutti si conoscono. Ora provate a pensare ad una grande famiglia che decide di vivere insieme in una casa stretta e sempre uguale a se stessa. Non solo il nucleo famigliare, ma anche tutto il parentato comprensivo di bis-nonni. In quella famiglia, infatti, è da un pezzo che non muore più nessuno ed il tempo si è fermato. L’unico a morire, alla fine, è Dio e con lui anche quel minimo di speranza che era loro rimasta. In questo racconto, Della Santunione descrive una realtà paradossale, ma capace di portare il lettore verso riflessioni profonde e intese: il senso di sé rispetto alla famiglia, la malinconia, il tempo e la fede. Lo stile narrativo ricorda Saramago narrando episodi “insoliti e controversi, cercando di mettere in luce il fattore umano dietro l’evento. Sotto molti aspetti, l’opera potrebbe essere definita allegorica”. Consigliatissimo per chi vuole leggere una storia diversa dalle altre, in grado di far sorridere ed emozionare allo stesso tempo e di farci riflettere sul perché “abbiamo accumulato così tanta rabbia negli anni, a forza di desiderare cose che non si sarebbero avverate?o che comunque non ci avrebbero soddisfatti?”.

Se gli dei ti fanno impazzire- Richard Powell a cura di Francesca Bono

Se gli dei ti fanno impazzire”, di Richard Powell, è un titolo ha un che di Saramago, irrimediabile passione da sempre. Subito la ragazza dello staff presente al Salone del Libro 2023, appassionata almeno quanto me, ci racconta di questa ristampa italiana, la prima dopo tanto tempo, connessa a questo autore.

Con questo romanzo lo scrittore, noto per il grande successo de L’Uomo di Philadelphia del 1956, si distacca dal filo conduttore della tematica poliziesca caratterizzante buona parte della sua attività, per passare a interpretare in chiave del tutto originale un contesto tra lo storico e il mitologico.

La linea della vita di un bambino spaurito e trasportato da eventi che, impercettibilmente, lo trasformano in uomo, traccia la narrazione della guerra di Troia attraverso una prospettiva inedita.

E’ lo sguardo di Helios a catapultare il lettore nella realtà del conflitto fulcro dell’Iliade, regalando, con un linguaggio concreto e diretto, un ritratto personalizzato e senza sconti di attori e contesti. Descrizioni che sono fotogrammi, focus introspettivi sui personaggi, ironia. Questi i semplici e potenti strumenti con cui l’autore stravolge significati e restituisce tratti profondamente umani persino agli eroi cantati dagli aedi. Senza ridondanze né eccessi, l’autore rende quasi breve questo lungo romanzo. Tanto che, di non letto, non resta neppure l’indice.

Due donne si fronteggiano tra la sfida e l’avventura del viaggio

Alessandra Fagioli, arrivando ai sessanta, continua a guardare ai panorami marini della costa nord dell’isola d’Elba, tra il vento e la spuma delle onde, fa capo all’antica casa dei nonni paterni appollaiata a picco sul mare, dove ama trascorrere lunghi periodi, nel borgo antico di Marciana Marina. Le considera le sue terre. Di vita e di scrittura. Ha vissuto anche in altre città, Padova e Torino tra le altre, ma il suo cuore è là. Le sue prime tre passioni rimangono il mare, Shakespeare e la follia, “tra lo spettacolo di una natura agitata, la magia della messinscena del Bardo e il delirio di un ‘mare matto’”. I suoi interessi e il suo lavoro sono gli studi di Antropologia Culturale e il cinema e il teatro, la Storia della Fotografia, frequenta corsi e seminari, corre da Shakespeare alla sessualità di Pasolini, scrive libri e inanella riconoscimenti. Inizia a scrivere i suoi romanzi nel ’96, otto titoli che l’avvicinano anche allo Strega. Padroneggiando la Settima Arte, passa da “Vera Drake” a “Match Point”, da “Babel” a “Vicky, Cristina, Barcellona” a “Hugo Cabret”.

Uno sguardo sfaccettato che spazia, non soltanto nelle differenti discipline. Uno sguardo che spazia nei panorami azzurri (leggi l’intero arcipelago toscano: e ben oltre, si vedrà), che avanza e che ama allo stesso tempo tornare sui suoi passi. Dopo “Scacco all’isola” (2020), la scrittrice affida ancora a Robin Edizioni il successivo “Mistero allo specchio” (2022), confermandoci nell’idea che per dare alle definitive stampe un buon giallo ci vogliono un’impalcatura convincente, un plot inoppugnabile, ben distribuiti colpi di scena che tengano ad ogni istante viva l’attenzione del lettore (giustamente esigente), un pugno di personaggi che non sia facile dimenticare. Tutto questo e molto altro è in “Mistero allo specchio”, proseguo folgorante e appassionato, dove l’azione non poche volte cede il passo alle psicologie cesellate pagina dopo pagina, dove lo studio di passioni e di sconfitte, dell’accanirsi della vita quotidiana e del disgregarsi del nucleo familiare, della necessità di rivalersi su una realtà troppo nemica si fa sempre più concreto, accadimento dopo accadimento. Se “Scacco” guardava ai rapporti tra la protagonista Anna Tesei incaricata di far luce su tre delitti e l’amica d’infanzia Emma Lamon, celebre autrice di gialli e prolifica dispensatrice di preziosi consigli per lo sviluppo delle indagini, in “Mistero” (“a Emma Lamon, perché glielo dovevo”) ogni aspetto è ben diverso.

Anni sono trascorsi da quegli episodi, Anna, ex commissario della squadra mobile di Livorno, è arrivata al comando della Direzione Centrale Anticrimine grazie alla cattura di Emma che sta scontando l’ergastolo nel carcere di Rebibbia, colpevole d’aver commesso sei omicidi premeditati presso diverse località dell’isola d’Elba, in nome di una passione assoluta ed esclusiva per uomini che non hanno voluto condividere con lei né la vita né l’isola. Ogni attimo di vita s’è incrinato, dieci anni hanno lasciato un solco non indifferente. Mentre Emma (“aveva fatto carriera in carcere, non come i criminali incalliti che accrescono il loro potere attraverso vessazioni e minacce: ma come i creativi che si distinguono per il loro talento e arrivano a esercitare un carisma più influente di quello di un boss”) è chiusa nella sua cella con i propri fantasmi (ma ha tempo di coltivare anche personali momenti di cucina, “tra un fiotto di chantilly” e “una pastafrolla”), Anna tenta di ricostruire la propria esistenza (“La verità è che ogni sera le costava sedersi a tavola da sola”), vissuta senza riposo a fare del lavoro l’unico scopo, una vita “interamente spolpata da sentimenti e umanità”, ripensando ad un ex marito, Zeno, paraplegico, che s’è rifatto una vita, lui sì, con un’altra donna, come a quel figlio Rocco che ha sempre coltivato il bullismo e a Tania, la figlia, da sempre vicino agli stupefacenti, entrambi lontani, entrambi assenti, “figli che le erano sfuggiti di mano”.

Quello che maggiormente fa sentire abbandonata e sola Anna è il silenzio dell’amica di un tempo: ma l’attesa durerà poco tempo. Emma è evasa, in un racconto d’evasione che raccoglie le più belle e frenetiche pagine del romanzo. E con l’evasione “Mistero” s’ispessisce con uno sviluppo che targa Fagioli come una robusta scrittrice. Al romanzo di Anna s’affianca il romanzo di Emma, i resoconti di misteriosi delitti, sei capitoli e un sottofinale, fogli riposti in buste gialle e la buca delle lettere a fare da ultimo contenitore, distinti anche graficamente, tante tracce e innumerevoli direzioni, “percorsi d’invenzione”, indizi a condurre Anna da un nugolo di isole speciali (isole carcerarie) ad anfratti e grotte, da acquari a dirupi a musei, da una cresta di Montecristo alla presenza di un’allevatrice di orsi o a una fotografa di guerra, a città sparse in tutta Europa, da Barcellona a Marsiglia, da Berna a Monaco di Baviera, da Zagabria a Sarajevo, personaggi (?) femminili che si nascondono sotto antichi nomi, da Andromaca a Ecuba, da Clitennestra a Penelope a Cassandra, ogni parola costruita per illudere l’inseguitrice a scoprire dove la fuggitiva si nasconda. In ultimo la parola chiave, Watteau e “Imbarco a Citera”, in ultimo la resa dei conti (“Cara Anna, se leggerai questa lettera vuol dire che sarai riuscita ad arrivare fin qui”).

La sfida, l’avventura e il viaggio, l’acqua del mare e le grandi città europee, le due solitudini, una donna di fronte all’altra ma anche una donna verso l’altra, una duplice partitura, la padronanza nell’alternare inganno e realtà. Un romanzo convincente e avvincente, in cui, arrivando alle ultime righe sai di trovarti di fronte a una fervida, esatta, splendida e armoniosa scrittura: “Tanto la sera era languida e desolante, quanto il mattino possedeva un’energia incandescente che cresceva con l’elevarsi del sole, sparato sulla città dai primi albori senza alcuno schermo a stemperare le sue imperiosità, da spingere chiunque a trovare riparo nelle più esili ombre…”.

Elio Rabbione

Nelle immagini: la copertina del romanzo “Mistero allo specchio”, Robin Edizioni; due fotografie dell’autrice Alessandra Fagioli.

Bellezza tra le righe

 

Un viaggio attraverso la bellezza dei romanzi e della letteratura in location esclusive, come casa Lajolo a Piossasco, il castello di Miradolo a San Secondo di Pinerolo e il palazzo dei Conti di Bricherasio

 

Bellezza tra le righe 2023 è il titolo della rassegna che, nata nell’estate 2020, proprio poco dopo l’arrivo del Covid, desiderava far parlare una serie di voci autorevoli del presente in location affascinanti come i parchi e giardini di casa Lajolo a Piossasco, il castello di Miradolo, a San Secondo di Pinerolo,  proprio con loscopo di comunicare messaggi di speranza per il domani.

Il primo appuntamento della rassegna dell’edizione 2023 sarà per domenica 25 giugno prossimo e proseguirà fino all’ 8 ottobre,  all’ombra degli alberi secolari di casa Lajolo e di quelli del castello di Miradolo.

La quarta edizione vede aggiungersi  il parco di una nuova dimora ancora tutta da scoprire,  Palazzo Conti di Bricherasio.

Quest’anno la rassegna è  stata inserita nel cartellone “Luci sul Festival”, attività promossa dal Salone Internazionale del Libro per sostenere la diffusione e la conoscenza delle realtà  che risultano legate al mondo dei libri e della lettura.

“Cura” rappresenta la parola chiave intorno al quale ruota il titolo “Maneggiare con cura. Incontri e letture per mettersi in salvo”.

Saranno nove gli incontri che narreranno l’idea della cura da angolazioni diverse.

La cura è  impegno, attenzione, assistenza, diritto, oltreché un’esigenza salvifica che contiene e rassicura, rivolgendosi all’esterno come all’interno, includendo, così, ogni ambito della nostra esistenza.

Gli spunti sono infiniti e vanno dall’indagine al comprendereinsieme per coltivare e condividere percorsi di senso. L’edizione 2023 prevede una novità. In contemporanea a molti degli incontri,  vi saranno dei laboratori gratuiti di lettura per i più piccoli, un modo che consentirà  a tutta la famiglia di fruire di una simile iniziativa.

A curarli la casa editrice Babalibri, che edita libri e giochi per l’infanzia dal 1999.

I laboratori saranno condotti da ABC, acronimo di Anna, Barbara e Cristina, ma anche acronimo di “Art, book and creativity”. Si tratta di un gruppo formato da tre professioniste che da tempo operano nel campo del letteratura per l’infanzia, rivolgendosi soprattutto a bambini di età scarse e prescolare, ma aperti anche a attività e età diverse.

Ogni proposta si articola in un momento di lettura animata dell’albo, e da una seconda fase durante la quale viene offerto un ampio e ricco materiale creativo per liberare la fantasia. I bambini, per esempio, incontreranno Dagfrid, la bambina vichinga,  e faranno scorte di baci con Zeb, immersi nel verde delle dimore storiche.

L’inaugurazione di “Bellezza tra le righe” avverrà in maniera congiunta, con tre appuntamenti tutti domenica 25 giugno.

Alle 11, presso  il Castello di Miradolo, Margherita Oggero presenterà il suo nuovo romanzo ambientato a Barriera di Milano, dal titolo “Brava gente”  (Harper Collins, 2023). Alle 14.30 a palazzo Bricherasio  verrà  presentato il “Diario di un viaggio che cura” con Beppe Pezzetto che parlerà di “Pala e Tequila”, diario di un viaggio in Messico tra luoghi e persone,  ma anche modi di dire e canzoni degli anni Novanta. La giornata in domenica 25 giugno si concluderà con l’appuntamento, alle 18, a Piossasco,  a Casa Lajolo con Daniele Cassioli,  cieco dalla nascita e laureato in fisioterapia, coach e formatore, che ha scritto un manuale dal titolo ‘Insegna il cuore a vedere’.

Il romanzo di Margherita Oggero dal titolo “Brava gente” è  ambientato nella periferia Nord di Torino, a Barriera di Milano  e vi si intrecciano, con un misto di meschineria e generosità, odi e  amori che contraddistinguono persone diverse come Debby, che a quindici anni fa la badante, ma pensa di uccidere il padre, o Florin, camionista che sogna una casa tutta sua, o Vanessa Delice, estetista al soldo di un coiffeur, Alexander The Best.

“ Pala e Tequila” rappresenta il diario-viaggio, una missione in Messico con una pala e una bottiglia di tequila nello zaino, da seppellire in un luogo spirituale e significativo, per compiere un gesto scaramantico, che rappresenterà  il passaggio dalla gioventù  all’età adulta.  L’autore, avvertendo la necessità di mettere ordine nella propria vita,  seppur ricca di esperienze e di amici, sente l’esigenza di guardarsi indietro per fissare un punto di riferimento, purché  individuabile, su una mappa.

Questo viaggio presenterà  stimoli per pensare alla  propria esistenza in modo diverso.

Per gli altri appuntamenti si prevede domenica 16 giugno  a Casa Lajolo un incontro su “Musica e cura: suoni, testi, illustrazioni” a cura di Maria Luce Possentini, che presenterà il volume “La cura”, editore Einaudi Ragazzi 2022.

Domenica 30 luglio a Palazzo Bricherasio si parlerà  di un viaggio interiore come cura propria e Bruna Macaluso presenterà il volume “La rotta migratoria dell’anima”.

Domenica 10 settembre alle 17, a casa Lajolo incontro sul tema  “Di umore, amore e cure possibili”, con Massimo  Vitali che presenterà il testo “Il circolo degli ex”( Sperlimg  Kupfer 2022).

Domenica 24 settembre duplice incontro, alle 15 , a Miradolo sul tema della “Scrittura e cura: voci femminili che cambiano il mondo” con  la scrittrice Vera Gheno che presenterà “Parola d’altro genere. Come la scrittrici hanno cambiato il mondo”.

Nella tenuta Calleri di Sala, a palazzo Bricherasio, lo scrittore Mark Mc Candy,  pseudonimo di Marco De Candia, parlerà  dei post ironici per curare la quotidianità, essendo la sua opera una silloge di post e frammenti tratti dalla quotidianità.

Presenterà  il suo ultimo libro dal titolo “De rebus brevi”, edizioni Radici Future, 2022.

Il viaggio nelle bellezze letterarie si concluderà domenica 8 ottobre, con la partecipazione della sociologa Chiara Saraceno,  che presenterà, alle 15, presso Miradolo, “Cura con un intervento inedito di Elena Pulcini”, insieme a Roberto Burlando e Adriano  Mione.

MARA MARTELLOTTA

L’isola del libro

RUBRICA SETTIMANALE A CURA DI LAURA GORIA

 

Romolo Bugaro “I ragazzi di sessant’anni” -Einaudi- 16,00

Forse non è un caso che Romolo Bugaro i 60 anni li abbia compiuti da poco; sembra attingere anche dal suo ingresso in questa fase della vita per imbastire la trama del romanzo che è un ritratto generazionale, con sconfinamenti lievi e acuti in studio socio-antropologico.

L’autore è nato nel 1961 a Padova, dove vive e lavora, ed è autore di svariati romanzi.

Qui in 135 scorrevolissime pagine punta con ironia lo sguardo su una precisa stagione della vita; sviscera sentimenti, stati d’animo, delusioni, speranze, modi di affrontare l’esistenza, ed annovera episodi vari che animano il romanzo.

Occorre precisare subito che “I ragazzi di sessant’anni” è il nome del protagonista, un plurale singolare che simbolicamente include il capitolo di vita dei 60enni. E’ sposato con Stefania, ha due figli, un buon lavoro. Nato nei primi anni Sessanta è il prototipo emblematico di chi è cresciuto nella fase del boom economico, ha attraversato oltre mezzo secolo, ed ora è un professionista disincantato, a tratti cinico.

Lui e la moglie vivono a Padova dove frequentano sempre meno gli amici, lottano contro l’incedere del disfacimento degli anni facendo ginnastica e cyclette, consci che la vecchiaia e la morte siano dietro l’angolo.

L’esperienza e le disillusioni li hanno resi quello che sono. Sentono il tempo incalzare e ora più che mai sono attanagliati dall’ansia di fare, vedere, provare più possibile, vivere l’attimo fuggente finché c’è vita.

Insieme a loro seguiamo le vicende di un corollario di umanità varia.

Inquilini anziani pieni di manie che possono rendere la coesistenza molesta; ma anche divertente se si guarda con la lente dell’umorismo e si avverte il paradosso sul quale sorridere.

Dal vicino di casa che immancabilmente alle 3 di notte scatena un putiferio di rumori, alla ragazzina che rischia di sbandare nella vita.

E ancora, i rovesci del destino; come la vicenda del notaio Spadaro che, per un passo falso, si vede ipotecare tutto il successo e i beni racimolati nel corso di una vita di lavoro, fatica e ambizione.

In scena c’è proprio la vita, vari episodi e personaggi che i ragazzi di sessant’anni affrontano con malinconia; ma anche pagine esilaranti e comiche.

Perché in fondo, bilanci, esperienze e magagne varie a 60 anni rendono più fragili e al contempo più saggi….e poi del domani non c’è certezza. Tanto vale prenderla con filosofia e ironia…. qui ce n’è parecchia.

 

Pascal Mercier “Il peso delle parole” -Fazi Editore- euro 20,00

Le parole sono le vere protagoniste di questo corposo romanzo dell’autore che ha ottenuto un enorme successo con il precedente “Treno per Lisbona” (da cui è stato tratto anche l’omonimo film).

Pascal Mercier è lo pseudonimo adottato da Peter Bieri negli anni Novanta per iniziare la carriera di romanziere. E’ un filosofo svizzero nato a Berna nel 1944, ricercatore scientifico con studi di filosofia della psicologia, gnoseologia e filosofia morale. Le oltre 500 pagine di questo libro sono un elogio alle emozioni suscitate dalle parole, dai libri e dai pensieri profondi.

Dalla bellezza delle parole è affascinato il personaggio centrale di Simon Leyland che, grazie alla passione trasmessagli dallo zio Warren Shawn, ha deciso di imparare tutte le lingue parlate nel Mediterrano e di diventare traduttore.

La sua vita si divide tra Londra e Trieste, città per eccellenza scrigno di varie culture, etnie e lingue, e dove si è trasferito a vivere con l’amata moglie Livia. Lei era una brillante giornalista, erede di una raffinata piccola casa editrice fondata dal padre. Il matrimonio di Simon e Livia è durato 24 anni e benedetto dalla nascita dei figli Sidney e Sophia.

Ora da 11 anni Livia è morta, una dipartita improvvisa e straziante che ha tranciato la vita di Simon in due. A lenire il dolore dell’assenza però ci sono le parole, il suono della voce della moglie che gli riecheggia dentro.

Simon pensa continuamente a lei e continua a scriverle bellissime lettere in cui riversa la sua anima, ripercorre le tappe del loro amore, riflette sull’essenza della vita, sulla possibilità di nuovi inizi derivanti da ogni cambiamento.

Le parole sono l’ancora di salvezza a cui ricorre Simon nelle traversie della sua esistenza, inclusa una diagnosi terribile, un tumore al cervello che non darebbe scampo…poi scopriremo che le cose stanno diversamente. Ma nel frattempo Mercier ci conduce nei meandri di un uomo tormentato che nelle parole trova un valore salvifico.

 

 

Blake Bailey “Philip Roth. La biografia” -Einaudi- euro 26,00

Philip Roth, nato nel 1933 e morto nel 2018, è un pilastro della letteratura americana, direi anche di quella mondiale. E questa monumentale biografia di Blake Bailey è il risultato portentoso di 10 anni di incontri, ricerche, centinaia di ore di interviste.

Blakey ripercorre con empatia la vita di uno dei maggiori romanzieri contemporanei a partire dalle origini: i genitori ebrei immigrati, l’infanzia trascorsa nel New Jersey, poi gli studi all’Università e la passione per il baseball, l’amore per la letteratura e il sesso.

Cinquantacinque anni di carriera, il via con i primi racconti e romanzi, poi il salto con “Il lamento di Portnoy”, personaggio sessuomane al centro di un libro ritenuto scandaloso, che gli procurò accuse di misoginia e antisemitismo. Lo marchierà per sempre, ma lo ha anche trasformato in autore da milioni di copie vendute e uno dei grandi mostri sacri delle lettere.

Emerge l’uomo traditore seriale, esploratore del desiderio sessuale raccontato senza pudore, tra acrobazie dei corpi e dei sentimenti, ma con arte sopraffina. Due i matrimoni finiti male. La prima moglie Maggie che si finge incinta per farsi sposare; legame dettato dal senso di colpa che si infrange in un divorzio astioso. Poi la morte di lei in un incidente stradale; per lui quasi un sollievo perché non deve più versarle gli alimenti.

Il secondo matrimonio con l’attrice Claire Bloom, la vita condivisa tra Londra e America, fino alla rottura definitiva e il memoir della donna che fa a pezzi l’ex marito. E nel frattempo sempre numerose amanti. Alcune ne usciranno invelenite; altre, invece, come Lisa Halliday, ne racconteranno la generosità e le varie premure.

La biografia di Bailey ci restituisce l’immagine dell’uomo, oltre che dello scrittore, lo coglie nell’amata casa nel Connecticut. Un Roth caleidoscopico: nevrotico, ambizioso, umorale, generosissimo, vendicativo, ammaliatore, machiavellico e parecchio ossessionato dal sesso con una predilezione per quello clandestino.

E non manca l’acuta analisi anche della sua opera, con la svolta narrativa verso la fine degli anni Novanta di “Pastorale americana” che gli valse il Premio Pulitzer nel 1998, mentre il Nobel non lo afferrerà mai.

Gli ultimi anni, fiaccato dagli acciacchi dell’età, si rifugia nella fattoria del Connecticut che ha studiato su misura per lui e prende l’abitudine di scrivere in piedi davanti a un leggio. Queste quasi 1000 pagine ci raccontano tantissimo del gigante letterario e dell’uomo contraddittorio e affascinante oltre ogni dire.

 

Lisa Halliday “Asimmetria” -Feltrinelli- euro 10,00

Lisa Halliday è una scrittrice americana che da anni vive a Milano, questo suo libro è stato tradotto in italiano e pubblicato nel 2018; ne parlo perché è collegato a Philip Roth, col quale la Halliday ebbe una relazione poi declinata in amicizia fino alla morte dello scrittore.

Il libro è diviso in 3 parti, la prima narra della 25enne Alice Dodge che a New York lavora in una casa editrice. Caso vuole che un giorno mentre legge sulla panchina di un parco il destino metta sul suo cammino nientemeno che Ezra Blazer, ultrasessantenne Premio Pulitzer della letteratura e in attesa di Nobel. Lui è molto più vecchio di lei, eppure tra il grande scrittore e la giovane in cerca della sua strada nasce una storia d’amore.

L’asimmetria è ovunque nel loro legame. Lui è un uomo maturo e carico di esperienza, famoso, ricco, travolgente, un mito; lei è giovanissima, non è nessuno, è alla ricerca della sua strada ed intanto si adatta a vivere attimo per attimo la vita. Eppure -tra letture, discorsi, gelati, incontri e passeggiate- la loro storia inizia e prosegue per un certo tempo.

La vicenda è ambientata negli anni Novanta e trae ispirazione dall’esperienza dell’autrice, che all’epoca era una editor 20enne spiantata, realmente rimasta affascinata dall’anziano mito letterario Philip Roth. Tra i due nacque un flirt, e l’Ezra del romanzo richiama parecchio di Philip, così come l’asimmetria del titolo rappresenta il loro rapporto sperequato.

Seguono altre due parti, con il racconto lungo “Pazzia” che inanella un altro caso di asimmetrie: la contrapposizione tra occidente e oriente. Protagonista un economista iracheno-americano, Amar Jaafari, che in viaggio per andare a trovare il fratello viene bloccato all’aeroporto di Heatrow, e interrogato come individuo sospetto. Nel week end in cui si trova costretto a restare in aeroporto ha l’occasione di ripensare alla storia della sua famiglia e ai suoi tentativi di conciliare i due mondi tra i quali vive sospeso.

Infine il terzo capitolo, la trascrizione di un’intervista dell’anziano scrittore Ezra Blazer alla Bbc.

Silvia Pizza: “Basta che mi prendi la mano e tutto si aggiusta”

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Una storia non più rinviabile nel tempo: sarà solo da scoprire e da assaporare giorno per giorno, con tante vicende esilaranti, schermaglie puntigliose e divertenti e colpi di scena che terranno col fiato sospeso, fino all’ultimo…

 

L’AUTRICE

Silvia Pizza è nata a Lucca e vive a Pescia, nella provincia pistoiese.

Scrittrice, poetessa e divulgatrice di ottimismo, di resilienza, di saggezza.

Ha esordito con tre romanzi, cinque sillogi di poesie e tre antologie tra saggi, riflessioni e divagazioni d’impronta psicologica.

Racconta di sé con un lessico schietto, esplicito, profondo e, dal 2018 trasmette questa passione letteraria sui canali social, postando tanti componimenti inediti e pensieri oculati sull’introspezione, sulla psicologia femminile, sull’adolescenza, sulle relazioni umane e sui conflitti esistenziali.

Nel 2016 esordisce con il romanzo “Mi scordo di dimenticarti”, nel 2017 con un altro romanzo “Memorie di un amore folle”, poi con la silloge “Urlo nelle stanze infinite dei miei pensieri” e infine con una raccolta di riflessioni, e-mail e liriche, intitolata “Un’icona su WhatsApp”.

Nel 2018 pubblica un’antologia di saggi intitolata “Perle di Primavera” e nel 2022 ritorna a scrivere le divagazioni senza filtro presenti in Autenticità”, scegliendo un approccio franco, incisivo, intenso sui canali social perché finalmente ha imparato a esporre la sua scrittura, senza confini, senza prevenzione, senza freni. Tutte le pubblicazioni sono edite con la Booksprint.

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IL LIBRO

È un romanzo rosa che desidera infondere e trasmettere tenerezza, sorrisi, leggerezza e buonumore.

In esso si ritrovano tanti sentimenti di complicità emotiva, di coesione di intenti e buoni propositi, di incredulità e di conferme per le tante sensazioni evocate nell’amore maturo.

Si tratta di una storia d’amore delicata e genuina, dove alcune brevi e sporadiche parentesi d’intimità, anche se descritte in modo esplicito, non intaccano la purezza dei sentimenti vissuti e degli accadimenti.

Entra in gioco il destino in più fasi temporali come a dominare gli avvenimenti remoti e futuri, tanto da offrire ai miei personaggi la grande occasione di un amore maturo, appagante, consolidato da tanta esperienza nel vissuto di ognuno.

Ma l’imprevedibilità del fato rimetterà tutto in discussione, tanto da porre Giada innanzi ad un’ulteriore prova esistenziale … e sarà da scoprire leggendo il libro.

Di sicuro emergono tanti concetti profondi ispirati alla dedizione, alla cura e all’affiatamento nella coppia con tutte le connotazioni che la maturità intellettiva attribuisce a viversi appieno e in serenità nell’oggi, nel qui ed ora, ma anche in qualsiasi domani che ci è concesso.

I miei personaggi hanno imparato ad amarsi, perché hanno capito dopo tante batoste vissute che si devono tanto amore arretrato … Tutto quello di cui hanno bisogno ed è stato negato oppure non si sono donati a loro stessi. In un certo senso il romanzo lascia intendere che è necessario ed essenziale amare noi stessi in primis e poi si è pronti per amare la vita e chi vorremo al fianco o accanto.

Edoardo è uno dei protagonisti del romanzo che stupisce in positivo Giada e attira la sua attenzione in modo carismatico, da emozionarla fino a farle intuire che forse Edoardo è proprio quell’opportunità che le mancava da vivere. O forse non ci sperava più che potesse capitarle.

In effetti Edoardo è un partner molto speciale … È un ritorno di fiamma che Giada non si sa spiegare dopo ben 35 anni … A dire il vero è abbastanza paradossale un evento del genere!

È un qualcosa di folle e al contempo di straordinario nella tempistica della vita.

Come se la resa dei conti per i protagonisti del romanzo non virasse del tutto in negativo, ma volesse aggiustare il tiro, con un regalo inaspettato: ovvero un incontro voluto dal destino.

Eppure Edoardo si mette in gioco per la sua donna e non ha intenzione di farsela scappare.

Quest’ultima capisce che vale la pena di rischiare per Edoardo, pur di vivere un amore serio, che sa di meritare. La loro storia non è più rinviabile nel tempo, ma sarà solo da scoprire e da assaporare giorno per giorno, con tante vicende esilaranti, schermaglie puntigliose, divertenti e colpi di scena che terranno col fiato sospeso fino all’ultimo.

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Dietro le quinte del libro …

Nell’ultimo anno ho scelto di scrivere questo romanzo, cavalcando l’onda delle emozioni o meglio della passione autentica che realmente Giada ha vissuto nella realtà. Sono del parere che bisogna dedicarsi a ciò che accende il buonumore, la psiche e anche il sorriso. Ho assecondato la mia voglia di scrittura, senza tralasciare gli obblighi professionali, i doveri familiari e il privato residuo.

Scrivere questo romanzo ha comportato tuttavia un incastro pazzesco, a tratti imprevedibile, utopistico e in altri momenti finalmente un fluire libero e snello di emozioni, di scrittura creativa e di motivazione giusta.

Ho seguito una scaletta complessa, da maggio scorso fino a tutto aprile di questo 2023.

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SINOSSI

Quando Giada viene contattata su Facebook da un ex-fidanzatino della sua adolescenza crede che si possa trattare di uno strano scherzo del destino.

Almeno sul principio, quando lo stupore è davvero incontenibile e non lascia pensare a qualcos’altro.

Non lascia supporre chissà quale sorpresa, con l’affiorare dei ricordi, lontani ben trentacinque anni prima, precisamente dell’estate del 1986.

E invece è uno di quei momenti strabilianti che Giada non si sa spiegare. Quasi utopia, perché rivedere Edoardo in poco tempo, di fatto, le dà l’impressione di conoscerlo da una vita.

Non c’è imbarazzo, non c’è esitazione, non c’è alcun freno inibitorio da parte di entrambi.

E quello che succede a Giada e a Edoardo accade solo perché è del tutto un incastro spontaneo, naturale, come è giusto che sia, tra adulti consapevoli e liberi.

Giada avverte che l’essersi ritrovata con Edoardo non è proprio un caso, ma bensì un paradosso, un qualcosa di folle e, al contempo, di straordinario nella tempistica della loro vita.

Come se la resa dei conti, per Edoardo e Giada, non virasse del tutto in negativo, ma volesse aggiustare il tiro, con un regalo … ovvero un inaspettato ritorno di fiamma.

E Giada sa come si sente quando Edoardo l’abbraccia.

Capisce che vale la pena di rischiare con Edoardo pur di vivere un amore maturo che sa di meritare. Così, dall’altro canto, Edoardo si mette in gioco per Giada e non se la vuol far sfuggire un’altra volta.

Questa storia non è più rinviabile nel tempo, ma sarà solo da scoprire e da assaporare giorno per giorno, con tante vicende esilaranti, schermaglie puntigliose e divertenti e colpi di scena che terranno col fiato sospeso, fino all’ultimo.

Giulio Einaudi e lo Struzzo che non mise mai “la testa sotto la sabbia”

Lo spirito digerisce le cose più dure”, era il motto della casa editrice Einaudi. A raffigurarlo, nella marca editoriale, uno struzzo che stringe un chiodo nel becco e, sullo sfondo, un paesaggio con un castello.

A fondarla, il 15 novembre 1933, l’appena ventunenne Giulio Einaudi. La prima sede era a Torino, al terzo piano di via Arcivescovado 7, nello stesso palazzo che era stato sede del settimanale L’Ordine Nuovo di Antonio Gramsci. Da lì la casa editrice si spostò in piazza San Carlo e, successivamente, al n.2 di via Biancamano. Nato a Dogliani, nella Langa cuneese, patria del Dolcetto ( il padre Luigi , fu il secondo presidente della Repubblica Italiana; il figlio Ludovico è il noto musicista e compositore), Giulio frequentò il Liceo classico Massimo d’Azeglio a Torino, partecipando in seguito alla “confraternita” di ex-allievi fra i cui membri figuravano Cesare Pavese, Leone Ginzburg, Norberto Bobbio, Massimo Mila, Fernanda Pivano, Vittorio Foa, Giulio Carlo Argan, Ludovico Geymonat, Franco Antonicelli e molti altri. Quasi tutti collaborarono e pubblicarono per la casa editrice dello Struzzo, accanto ai nomi più importanti della cultura italiana del ‘900. Fu Einaudi, tra l’altro, a pubblicare nel dopoguerra  i  “Quaderni e le Lettere dal carcere” di Gramsci. Scriveva, Norberto Bobbio: “E’ uno struzzo, quello di Einaudi, che non ha mai messo la testa sotto la sabbia”. E come dar torto al filosofo del dubbio? Dopo più di sessant’anni di lavoro come editore, Giulio Einaudi andò in pensione nel 1997 (morì  due anni dopo, all’età di ottantasette anni) lasciando in eredità un lavoro immane che – nel tempo – ha fatto di Torino una delle capitali europee della cultura. Eppure non c’è un luogo, nella toponomastica della prima capitale d’Italia, che porti il suo nome. Tranne, come ricorda qualcuno, quella “E” sul citofono dell’ultima sua dimora, al n. 8 di via Pietro Micca.

Marco Travaglini

Le terre blu di Nico Orengo

Vengo da un paese di mare; un paese che si confonde e affonda in quel giardino”. Con queste parole lo scrittore Nico Orengo si presentava nel suo racconto Terre blu.

Quel giardino” dove si sentiva a casa erano i Giardini Botanici Hanbury che si distendono dal promontorio della  Mortola verso il mare di Ventimiglia, a pochi chilometri dal confine francese. Diciotto ettari sull’estrema punta del Ponente ligure al quale dedicò la sua opera letteraria, ambientando racconti e poesie. Un gioiello naturalistico prezioso, uno dei giardini di acclimatazione più belli e preziosi d’Europa e dell’intero bacino mediterraneo. Orengo raccontava che sono blu le terre della Liguria quando fioriscono i carciofi, quando il mare “rimbalza il suo colore sotto i pini, quando si alza il fumo degli sterpi sulle fasce, quando la campanula buca i rovi e quando la bungavillea e il glicine sui muri incontrano il tramonto”. In questo modo il blu si imprime indelebilmente nella memoria, trasformandosi nel colore del ricordo e della terra. Quella terra “aspra e dolce della Liguria di Ponente che da Imperia a Ponte San Luigi corre anguillesca sul mare e su, verso l’interno di paesi d’incanto, umidi e solari”. Con Terre blu Nico Orengo raccontava una geografia sospesa tra la realtà e l’immaginazione come può essere solo quella di “un viaggiatore che ritorna sui suoi passi per constatare che c’è un albero in più e una pietra in meno, che il pollaio è una villetta, o che quel tal orto si è fatto casa”. Alla terra di confine dove ambientò quasi tutti i suoi romanzi Nico Orengo rimase sempre legatissimo. La sua Liguria non era solo uno spazio naturale pieno di odori e colori, suggestioni straordinarie sospese tra il blu del mare e i colori forti dell’entroterra  ma anche un luogo della memoria, degli anni della giovinezza e dell’adolescenza. Un mondo intero dove si intrecciavano indimenticabili ricordi che rievocò nei suoi romanzi (Dogana d’amore, Il salto dell’acciugaLe rose d’EvitaLa guerra del basilicoRibesLa curva del latte) con la sua scrittura lieve e ironica. Nel suo penultimo romanzo, Hotel Angleterre, accompagnò i lettori in un viaggio della memoria rimescolando ricordi, rievocando la figura della nonna paterna, la contessa Valentina Tallevitch, che, nelle fredde sere invernali, mentre gettava bucce di mandarino nel fuoco acceso nel camino, narrava ai nipoti vecchie storie della nobiltà russa in Costa Azzurra e nella Riviera di Ponente, a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento. Nell’ultimo, Islabonita, ambientato a metà degli anni Venti, usa l’espediente narrativo del bestiario e di una figura antropomorfica di anguilla voyeur, per raccontare un epoca che stava per lasciare una traccia dolorosa e indelebile sulla pelle della nazione. Spesso nei suoi libri riecheggia l’amarezza per il  tramonto della società contadina e il declino dei suoi umanissimi valori a scapito  del rapido imporsi del modello industriale e urbano che il boom economico avrebbe poi codificato nell’avvento della società dei consumi. E la natura e l’ambiente, entrambi da difendere e tutelare, rappresentano desideri che emergono in molti racconti come Gli spiccioli di Montale dove, in un tratto di mare al confine con la Francia, un uliveto che rischia di scomparire, provocando uno strappo violento nella memoria, quasi come se un ricordo venisse rubato. Ci restano in eredità i suoi versi, le filastrocche ( A-ulì-ulè ) , i racconti, le battaglie contro la speculazione edilizia e per la salvaguardia dell’ambiente e delle tradizioni culturali, il bellissimo ritratto delle langhe fissato nelle pagine del romanzo Di viole e liquirizia. Nico Orengo morì a Torino, nella mattinata di sabato 30 maggio 2009, all’ospedale delle Molinette dove era stato ricoverato dopo una crisi cardiaca. Aveva 65 anni. Al capoluogo piemontese ( vi era nato il 24 febbraio del 1944)  era legato per l’intensa collaborazione con Einaudi e la lunga direzione di Tuttolibri, il settimanale letterario de  La Stampa, quotidiano per cui scriveva. Non casualmente scelse come ultima e definitiva dimora il piccolo cimitero dei Ciotti tra La Mortola e Grimaldi, aggrappato alla roccia e affacciato sul mare blu cobalto. Come scrisse lui stesso nell’agosto  del 2000, lo scenario non poteva che essere quello di “ una Liguria favolosa di sapori, fico polveroso e gelsomino stordente, di buganvillea e cappero, di garofano, calendula e rose, mirto e rosmarino”Un buon modo di ricordarlo è quello di leggere le sue opere magari accompagnandone il piacere con un buon bicchiere di vino, preferibilmente rossese o vermentino, secondo le antiche ricette della cucina ligure.

Marco Travaglini

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

 

Mazo de la Roche “I frutti di Jalna” -Fazi Editore- euro 19,50

E’ il quinto capitolo della monumentale saga canadese che la scrittrice Mazo de la Roche scrisse tra 1927 e 1960, con al centro le vicende della tenuta della famiglia Whiteoak (di origini inglesi), nella natura selvaggia dell’Ontario, e dei suoi abitanti che si succedono negli anni.

Il racconto riprende da dove si era fermato nel precedente “Il padrone di Jalna”, ora la famiglia cresce, mentre i rapporti tra i suoi membri, tra ritorni e partenze definitive, sono sempre complicati.

Tanti capitoli che ci aggiornano sull’evoluzione di tensioni che già abbiamo conosciuto nei volumi precedenti e che qui si sviluppano ulteriormente.

Renny e Alyne all’inizio del quinto capitolo sono ai ferri corti per il tradimento di lui con Clara, che però è pronta ad andarsene visto che Renny non le offre un futuro insieme.

Alyne -che di Whiteoak ne ha sposati ben due (Eden, prima del fratello Renny)- capisce di non appartenere veramente alla famiglia e se ne va a New York presso una zia, decisa a voltare pagina e mettere una distanza definitiva tra lei e Jalna.

Renny rimane con la piccola figlia Adeline da crescere.

Il piccolo di casa, Wakefield, ora maggiorenne, nel passaggio dall’adolescenza alla maturità rompe il fidanzamento con Pauline per farsi monaco, una decisione radicale e inaspettata per la famiglia.

L’altro Whiteoak, Finch, nonostante il successo come pianista ottenuto in Europa, lascia Parigi e torna a Jalna con la moglie Sarah.

La coppia è in crisi e minaccia di travolgere gli equilibri familiari. Inoltre si presenta con una sorpresa; ha con se Patience, la bambina che Eden aveva avuto da Minnie, ma ora non può occuparsene perché è ricoverata in un sanatorio svizzero.

E vedremo se andrà a fare compagnia alla viziata e coccolata Adeline.

Dunque personaggi che abbiamo già seguito nei romanzi precedenti, ma anche interessanti new entry, come Sarah la moglie di Finch, e Miss Archer, la zia newyorkese presso la quale Alyne si è rifugiata…. con in serbo pure una sorpresa….

Dunque lo scorrere complesso della vita, tra pressanti preoccupazioni economiche e il timore costante di perdere la casa e con essa le radici della famiglia, tempeste affettive con fughe, fidanzamenti in frantumi e nuove nascite…..la vita che va avanti.

 

Annalena Benini “Annalena” -Einaudi- euro 17,50

E’ una figura monumentale quella di Annalena Tonelli, missionaria laica che ha dedicato la sua vita agli ultimi della terra, per 30 anni in Africa, uccisa da un commando nel 2003.

A ricostruire la sua vita, unica e incredibile, è la giornalista, autrice televisiva e scrittrice Annalena Benini, nuova direttrice del Salone del Libro di Torino. Stesso nome e un legame di parentela con la sua lontana cugina.

Le due non si sono mai incontrate, ma la Benini sembra essere entrata nella testa e nell’anima della sua omonima, che porge al lettore un ritratto a tutto tondo di una donna che ha dedicato ogni sua fibra al prossimo, fino al sacrificio estremo.

Annalena Tonelli nasce a Forlì il 2 aprile 1943, seconda di 5 figli. E’ bella, intelligente, studiosa, vince una borsa di studio in America a 19 anni. L’aspetta una vita formidabile, ma non nel senso comune.

Non aspira all’amore di un uomo, né di una famiglia e dei figli.

La sua è una visione più ampia, una vocazione assoluta che la conduce a rinunciare a tutto per mettersi al servizio di chi non ha nulla. Il suo è amore cosmico per l’umanità e i suoi figli sono tutti i disperati della terra.

Dopo la laurea in Giurisprudenza (presa per accontentare i genitori) nel 1970 punta dritta verso l’Africa, nel Nord ovest del Kenya.

Nel deserto del Wajir inizia innamorandosi degli ammalati di tubercolosi delle tribù nomadi. La sua vita è decisa. Rinuncia a qualsiasi comodità, dorme per terra come i poveri che aiuta, mangia poco nulla e dedica tutte le sue energie a curare, istruire, costruire scuole e ospedali.

E’ inarrestabile, per 30 anni salva vite umane rischiando la propria e fa un lavoro immenso, impedisce massacri, tra Kenya e Somalia, e ovunque l’Africa abbia bisogno di lei.

Una vita di felicità assoluta perché dedicata a chi non ha nulla e appagata dal condividere le loro vite di stenti. Dedizione assoluta, sprezzo dei pericoli che corre; è stata maltrattata, rapita, picchiata, diffamata e odiata.

Ma il suo era un disegno molto più grande di tutto questo: era madre, sorella, figlia, medico, maestra, al servizio di quelli che chiamava brandelli di umanità ferita, amati da nessuno, se non da lei.

La sua vita quasi mistica viene fermata da proiettili vigliacchi alla nuca, a Borama, il 5 ottobre 2003 prima di riuscire a vedere completata la nuova ala dell’ospedale per malati di tubercolosi.

Non temeva la morte e ora le sue ceneri sono sparse intorno all’eremo di Wajir, in Kenya, dove sognava di tornare e dove ora starà per sempre.

 

 

Mavie Da Ponte “Fine di un matrimonio” – Marsilio- euro 19,00

E’ il primo romanzo della spumeggiante giovane scrittrice italo francese dal profilo Instagram con 35mila followers, e due anni fa ha aperto un blog letterario in cui pubblica racconti brevi. E’ subito chiaro che la sua passione è scrivere, tra Parigi e Bari che è casa sua. Ora ha appena pubblicato un corposo romanzo in cui narra il terremoto emotivo di un divorzio.

Berta è una donna prossima alla cinquantina che ha una galleria d’arte, è sposata da 15 anni con il ginecologo Libero; non hanno figli, bensì il loro consolidato tran tran quotidiano che però sta per finire. Una sera lui arriva e senza tanti giri di parole le dice di avere un’altra donna e di volere il divorzio.

Mai fulmine fu più a ciel sereno e per Berta è come ricevere uno schiaffone che la manda al tappeto. E’ l’inizio di un viaggio nell’inferno interiore tra delusione, senso di solitudine, metabolizzazione di un tradimento, rimessa in discussione della propria vita. Tutto avviene senza scenate o recriminazioni; lei reagisce quasi in silenzio, ripensando alla sua vita, a quel matrimonio appena sfracellatosi, e soprattutto a come ricostruirsi una vita.

Mavie da Ponte ha scelto di raccontare in modo estremamente lineare come una donna di 47 anni si trovi sull’orlo di un gigantesco burrone.

Cade, si spezza e si piega, poi scatta la volontà ferrea di risalire la china.

Rispolvera -anche se a fatica e sbagliando strada facendo- le dinamiche di un nuovo amore al quale dare la possibilità di una storia nuova.

Il romanzo racconta proprio il nuovo inizio che la protagonista si costruisce a piccoli passi, con coraggio e tenacia, cercando di stare bene…. anzi, possibilmente, meglio di prima.

 

 

Costanza DiQuattro “Arrocco siciliano” -Baldini+Castoldi- euro 18,00

Ha un po’ il sapore di altri tempi l’ultimo romanzo della talentuosa scrittrice siciliana (nata a Ragusa nel 1986) che oltre ad averci regalato altri libri bellissimi (il primo “La mia casa di Montalbano” nel 2019) dal 2008 si occupa anche del Teatro Donnafugata. Teatro di famiglia che dopo un lungo restauro è tornato in attività grazie a lei.

E la passione teatrale fa capolino anche in “Arrocco siciliano” che vanta uno scorrevole ritmo perfetto per una pièce sul palco.

La vicenda è ambientata nell’incanto barocco di Ibla, paesino siciliano dove si conoscono tutti e la vita scorre con una lentezza antica.

Pochi avvenimenti eclatanti e la consolidata abitudine di ruotare intorno a due luoghi di ritrovo prediletti, in cui incontrarsi e spettegolare di piccole cose del quotidiano.

Sono il Caffè 900 e la farmacia del paese, dove più che per pillole e sciroppi si va per curare anche l’anima con i rimedi forniti dalla saggezza del farmacista, personaggio strategico e punto di riferimento della comunità.

Il romanzo inizia nel 1912 proprio con il funerale dello storico farmacista Filippo Albanese che era stato l’uomo più affidabile del paese, stimatissimo e amato, al quale i compaesani avevano confidato segreti e stati d’animo da sempre.

Il dolore per la perdita accompagna la vedova, ma quello che più cattura l’attenzione dei compaesani è l’arrivo inaspettato di un giovane napoletano mai visto prima, Antonio Fusco, che il defunto avrebbe designato come suo successore.

Partono immediati curiosità, commenti, diffidenza, ipotesi e tanto altro riguardo al forestiero. La vedova Albanese lo accoglie come il figlio che non ha mai avuto, fiduciosa della saggezza delle disposizioni lasciate dal marito.

Ben diverso è l’approccio dei notabili del paese e dei cittadini che lo mettono sotto una spietata lente di ingrandimento… e si scatenano in pettegolezzi e illazioni.

Chi sia Antonio Fusco lo scoprirete poco a poco e con continue sorprese dosate con maestria dalla scrittrice, che mette in scena un certo clima di provincia, e ci svela per gradi la storia di quell’uomo in fuga dal suo passato, i suoi errori e debolezze.

Ancora una volta Costanza DiQuattro fa centro con un romanzo che scava sotto la superficie delle convenzioni e mette a nudo anfratti dell’anima.

 

Chiacchiere tra cadaveri etnicamente diversi

Quando la guerra bussa alla tua porta, non sai mai cosa potrà accadere. Lo scoprirai solo strada facendo. Forse lo potrai raccontare, se saprai sopravvivere all’orrore”. Così inizia la nota in quarta di copertina di Chiacchiere tra cadaveri etnicamente diversi ( Infinito edizioni, 2023), l’ultimo libro di Luca Leone, giornalista e scrittore tra i più attenti e profondi conoscitori della Bosnia e dei Balcani occidentali. Un libro diverso, una silloge poetica composta da versi asciutti, duri, essenziali dove pare che l’autore abbia scelto di riversare le emozioni e i ricordi di trent’anni di viaggi e di incontri nel cuore dell’Europa di mezzo, soprattutto in terra bosniaca ed erzegovese dove tutto sembra impastato con il sangue di un popolo martoriato da un conflitto che non ha mai cessato di produrre sofferenze e dolore anche dopo che le armi hanno taciuto. In Chiacchiere tra cadaveri etnicamente diversi sono i sommersi e i salvati della decade malefica dell’ultimo scorcio del secolo breve che animano le trentaquattro poesie, riesumando e rianimando storie di persone e paesi che hanno conosciuto guerre e violenze, fame e morte sotto il tiro dei cecchini, amputazioni per gli scoppi delle granate, la pazzia e l’odio del nazionalismo portato agli eccessi e la pulizia etnica, terribili miserie umane e incredibili lampi di generosità e condivisione. Una realtà che pesa come una sorta di maledizione per un paese, la Bosnia, tanto bello quanto disgraziato. Ha ragione Andrea Cortesi quando, nella sua presentazione, afferma che questo è forse “il più intimo, personale e sofferto libro che Luca Leone abbia mai scritto”. In poemi come E’ tempo si condensa la storia recente del paese che rappresentava il cuore più jugoslavo della Jugoslavia, una storia di conflitti e di terribile pace segnata anche dal fallimento dell’Occidente e dell’Europa, dove “i fantasmi del ’93 cercano attoniti un ponte che non c’è. A Mostar l’aria è grave d’esplosioni d’intonaci e tetti saltati e sbriciolati. Volano, danzano schivando granate che piovendo dilaniano popoli alla fame. A Mostar la Neretva è rosso sangue d’un odio sconosciuto ma eccitante. E gridano esaltati i generali: crepino i cattolici, schiattino i musulmani. E scannano sedotti i militari: a morte gli ortodossi, nel fiume i musulmani. E’ tempo di distruzione. Giacciono nuvole di sporco in superficie, gelide osservano le alte ciminiere. A Zenica è di nuovo blu la Bosna ma il cielo è un coperchio che isola e sconforta. Tremano le anime di donne oltraggiate, vittime impotenti di guerre programmate. Assolti e affrancati, soldati e mercenari banchettano coi corpi di civili ignari. Gridano assetati i generali: stuprate i cristiani, violentate i musulmani. E’ tempo di distruzione, di utile disperazione, di nuovi ricchi, di chierici contenti. E’ tempo di trasformazione, di nuova occupazione, di bui nazionalismi, di mafia e di fascismi”. La poesia di Luca Leone, come scrive Silvio Ziliotto nell’introduzione, è una risposta a un malessere quasi fisico, a un dolore morale lancinante dovuto ad anni di narrazione, confronto, scontro, denunce, amarezze, tante altrui bassezze nel raccontare e capire la Bosnia Erzegovina. Per questo si può comprendere perché i versi sembrano di carta vetrata, stridenti anche quando esprimono sarcasmo e sconcerto o diventano un urlo strozzato che cerca di riscattare le vittime di quella come di tutte le guerre. Un libro diverso ma non meno importante di Srebrenica, i giorni della vergogna, Višegrad o La pace fredda, dove ancora una volta si chiede e si reclama giustizia perché un popolo torni a sperare, per risollevare cuori intimoriti, per riprendere a vivere e a progettare il futuro. Una giustizia che deve partire dal cuore di ciascuno senza coprire quel sangue con lo sporco dei nazionalismi, dell’indifferenza, della distrazione, dell’oblio. Un compito difficile ma necessario perché come scriveva Predrag Matvejević, uno dei più grandi intellettuali jugoslavi del XX secolo, “i tragici fatti dei Balcani continuano, non si esauriscono nel ricordo, come avviene per altri. Chi li ha vissuti, chi ne è stato vittima, non li dimentica facilmente. Chi per tanto tempo è stato immerso in essi non può cancellarli dalla memoria”.

Marco Travaglini

Seguendo la stella

 

Si intitola Seguendo la stella il libro di Federica Mingozzi e Laura Travaini pubblicato da Geo4Map. Un piccolo gioiello editoriale che, avvalendosi della grafica di Mariella Tavarone e delle fotografie di Fabio Valeggia, propone un originale percorso sulle tracce delle Natività nel cuore del Cusio, il più romantico dei laghi italiani, tra l’isola di San Giulio, il Sacro Monte dedicato a Francesco d’Assisi e il borgo di Orta. Le oltre trecento pagine corredate da illustrazioni, foto, disegni e mappe accompagnano il lettore alla scoperta di uno degli angoli più suggestivi del Piemonte, celebrato da poeti, narratori e artisti.  Le sei Natività che si incontrano in questo percorso tra arte e fede sono ospitate in quattro luoghi di culto. La Basilica di San Giulio che la tradizione vuole sia stata la centesima chiesa edificata attorno al 390 dal santo originario dell’isola greca di Egina proprio sull’omonima isola del lago d’Orta, ospita le prime tre Natività: l’affresco datato 1486 con Maria e Giuseppe in atteggiamento orante mentre guardano con devozione il Bambino, adagiato per terra su un lembo del manto della Vergine, vegliato da un angelo e adorato dai pastori; l’affresco del Presepe che risale alla prima metà del XVI secolo e l’adorazione dei pastori, un olio su tela datato XVII secolo di autore ignoto anche se si ipotizza si possa trattare del pittore piemontese Giuseppe Vermiglio o del lombardo Giovanni Mauro della Rovere, noto come il Fiammenghino Maggiore. Nella chiesa della Santissima Trinità, al centro di Orta, si può invece ammirare la Natività di nostro Signore, olio su tela datato XVII secolo , opera attribuita al varesino Federico Bianchi. La quinta Natività si trova nella chiesa di San Bernardino, piccolo scrigno di bellezza nel borgo ortese, e rappresenta la Nascita di Gesù, una ancona lignea policroma datata fine XV – inizio XVI secolo con San Bernardino in ginocchio mentre adora il Bambino. Per vedere la sesta e ultima Natività occorre salire al Sacromonte e visitare la chiesa di San Nicolao che custodice  il dipinto raffigurante la nascita di Gesù, un olio su tela realizzato ante 1618 dal bolognese Camillo Procaccini. In origine l’opera era posizionata sull’architrave della prima cappella del Sacro Monte, dedicata alla nascita di San Francesco, unico caso di dipinto su tela presente in questo percorso devozionale. Ma il volume curato da Federica Mingozzi e Laura Travaini , utilizzando questo percorso d’arte come un filo conduttore dell’anima più vera del progetto, propone anche molto altro con riferimenti letterari, digressioni storiche, suggerimenti per una vacanza intelligente, percorsi in un ambiente unico tra boschi e laghi, curiosità gastronomiche  e culinarie coinvolgendo altri autori. Così si ritrovano, all’inizio di ogni capitolo, le riflessioni di Matteo Albergante e Roberto Cutaia, Alessandro Defilippi, Giovanna Mastrotisi, Gianfranco Quaglia, Bruno Quaranta, e dell’ortese Luisella Mazzetti. Fanno da contorno le osservazioni psicologiche di Maina Mainardi, i vini di Filippo Larganà e di Giovanni Brugo, le cartine artistiche di Patrizia Genta, i presepi di Letizia e Oscar Pennacino, le merende della cuoca JoGuendalina, le indagini tra le memorie rodariane di Barone, le parole spiegate da Elena Mastretta e tanti altri protagonisti. Un insieme che si muove con garbo e misura, in punta di piedi, con ritmi piacevoli come la danza di Selene Bonetti e la musica di Roberto Storace. Così, tutto d’un fiato, l’incidere del viaggio va oltre il Cusio attraversando il Verbano, toccando il Novarese, sfiorando il Piemonte. Come confessa Laura Travaini, scrittrice e vulcanica organizzatrice di eventi letterari e culinari, fondatrice e presidente dell’associazione Scrittori e Sapori “ con uno stile guizzante è nato un libro scintillante di stelle, mosso da piacevolissime onde lacuali, ricco dei colori digradanti delle alture, percorrendo il quale cose rare e preziose potrebbero essere rivelate. Ci sono molti modi per conoscere Orta San Giulio. Uno può essere quello di percorrerne le vie, attraversarne la piazza e le piazzette, raggiungere con un’imbarcazione l’isola, spingersi fino al Sacro Monte seguendo l’itinerario che conduce alla scoperta delle raffigurazioni artistiche di Natività”. Ed è esattamente ciò che propone Seguendo la stella.

Marco Travaglini