ilTorinese

Per la prima volta salvato un bimbo con un rene trapiantato sul pancreas al Regina Margherita

Potrà finalmente andare alla scuola materna e giocare con gli altri coetanei un bimbo di 4 anni di origine marocchina, dopo un ri-trapianto di rene collegato al pancreas, una tecnica mai utilizzata prima al mondo su un piccolo paziente già trapiantato di fegato.

Il piccolo era arrivato al Pronto soccorso dell’ospedale Infantile Regina Margherita della Città della Salute di Torino a 2 mesi di vita per vomito persistente e si era scoperta in quella occasione un’insufficienza renale terminale. Da quel momento non ha più lasciato l’ospedale. I reni erano completamente pietrificati a causa di una rara e grave malattia genetica, la iperossaluria primitiva, che nelle forme più gravi porta a calcificazione renale in poche settimane di vita. Il trattamento di questa malattia è consistito nella dialisi per 5 ore tutti i giorni per evitare che i depositi massivi di ossalato di calcio distruggessero anche gli occhi, le ossa e tutto il corpo, in attesa di un trapianto combinato di fegato (che è la sede del difetto congenito dell’enzima necessario per depurare l’ossalato dall’organismo) e di rene. E’ stato seguito passo passo in ospedale nel suo percorso dalla nascita da Licia Peruzzi(responsabile clinico trapianto renale pediatrico della Nefrologia pediatrica del Regina Margherita, diretta dal dottor Bruno Gianoglio).

Il trapianto di fegato-rene è avvenuto a 15 mesi di vita, ma, nonostante un trattamento depurativo intensivo ed il ripristino della funzione enzimatica, il rilascio in circolo di grosse quantità di ossalato di calcio dai depositi tessutali nei quali si era accumulato ha danneggiato irrimediabilmente il rene trapiantato e reso necessario riprendere la dialisi quotidiana, determinando grosse difficoltà di crescita e di alimentazione, che hanno reso impossibile al bambino anche solo andare a giocare al parco o vedere altri bambini.

La situazione clinica si era progressivamente complicata per la trombosi delle vene iliache e della vena cava, che vengono normalmente utilizzate per eseguire un nuovo trapianto di rene, rendendo così impossibile un approccio chirurgico tradizionale.

Attraverso un approfondito studio vascolare si era evidenziato che l’unica via possibile sarebbe stata quella di utilizzare la vena della milza nel suo decorso dentro il pancreas in direzione del fegato, strada mai percorsa finora al mondo in un paziente portatore di trapianto epatico.

Le migliori competenze della Città della Salute sono state così messe in campo per lo studio della fattibilità del trapianto attraverso una biopsia del fegato trapiantato, le misurazioni delle pressioni nelle vene addominali (ad opera della Radiologia interventistica, diretta dal dottor Dorico Righi), lo studio dell’uretere residuo e degli anticorpi dovuti alle trasfusioni ripetute che fortunatamente hanno dimostrato che sarebbe stato tecnicamente possibile.

Il bambino è stato alla fine di questo percorso iscritto in lista per trapianto renale pediatrico con criteri di urgenza, poiché l’accesso vascolare per la dialisi, a cui era legata la sua sopravvivenza in vita, era l’ultimo possibile.

Dopo soli 20 giorni, grazie al Coordinamento regionale trapianti (diretto dal professor Antonio Amoroso), è arrivato l’organo.

L’intervento, che ha visto la partecipazione di una équipe multidisciplinare formata da Renato Romagnoli (Direttore Centro trapianti di fegato ospedale Molinette) e Francesco Tandoi; Aldo Verri (Direttore Chirurgia vascolare ospedaliera Molinette) e Claudia Melloni; Simona Gerocarni Nappo (Direttore Urologia pediatrica Regina Margherita) e Massimo Catti, coadiuvati dagli anestesisti diretti da Roberto Balagna, è durato circa 6 ore e si è svolto esattamente come pianificato nel pre-operatorio. Il nuovo rene, attaccato alla vena della milza dentro il pancreas in direzione del fegato, ha iniziato a produrre urina già in sala operatoria, senza che vi fosse alcuna sofferenza per il fegato trapiantato tre anni prima.

Il paziente ha potuto essere immediatamente svegliato. Dopo soli due giorni la funzione renale era già normalizzata ed il bimbo ha potuto riprendere ad alimentarsi ed a giocare.

Ora finalmente può andare a giocare al parco, vedere il sole anche al mattino dopo 4 anni di mattinate trascorse in ospedale e passare soltanto a salutare gli amichetti della dialisi.

L’ondata di caldo è già arrivata

La prevista ondata  di caldo africano è già arrivata sul Piemonte, ma le temperature si alzeranno ulteriormente  nella seconda metà della settimana

Potrebbe essere superata anche di quattro gradi la media della stagione. Dopo le precipitazioni nel  Vercellese e Verbano sabato scorso, dove Arpa ha registrato 47 millimetri di acqua in un’ora, ecco il grande caldo, il primo dell’estate, con massime oltre i 32 gradi.

La Regione a sostegno del comparto apistico

In arrivo i bandi 2021 per i contributi alle aziende e alle associazioni dei produttori

La Giunta regionale, su proposta dell’assessore all’Agricoltura e Cibo Marco Protopapa, ha approvato una serie di provvedimenti a favore del settore apistico piemontese per gli anni 2021-2022.

Con 1, 3 milioni di euro di risorse finanziarie assegnate dal Ministero delle Politiche agricole al Piemonte per il periodo compreso tra il 1° agosto 2021 e il 31 dicembre 2022, sulla base della ripartizione alle singole Regioni dei fondi derivanti dall’Unione Europea, l’Assessorato all’Agricoltura predispone l’apertura di quattro bandiche saranno pubblicati sul sito della Regione Piemonte nelle prossime settimane.

I bandi regionali andranno a beneficiare le aziende agricole e le associazioni di produttori che richiedono contributi per assistenza tecnica alle aziende; corsi di formazione, azioni di comunicazione, acquisto dei presidi sanitari e analisi dei prodotti dell’apicoltura; attrezzature per le aziende, attrezzature per il nomadismo e il ripopolamento; ricerca.

Inoltre in attuazione della Legge regionale n.20/1998 in materia di sostentamento e sviluppo dell’apicoltura in Piemonte, la Giunta regionale ha assegnato una dotazione finanziaria di 300 mila euro per la richiesta di contributi da parte delle associazioni apistiche riconosciute dalla Regione per la realizzazione del servizio di assistenza tecnica agli apicoltori, in particolare per affrontare le problematiche inerenti alle patologie e ai parassiti delle api; per la formazione e l’aggiornamento degli apicoltori e dei tecnici apistici; per la promozione e valorizzazione dell’apicoltura e dei suoi prodotti.

“Con l’attivazione dei bandi 2021 la Regione dà un aiuto concreto al comparto apistico piemontese che sta registrando gravi criticità a causa del cambiamento climatico, come emerso anche dal tavolo regionale che si è tenuto a luglio – sottolinea l’assessore regionale all’Agricoltura e Cibo, Marco Protopapa – Il Piemonte si distingue a livello nazionale per numero di produttori e per la qualità del nostro miele, caratteristiche che vogliamo mantenere e pertanto ho ritenuto che venissero incrementati i contributi in particolare a sostegno della ricerca e a favore del ripopolamento”.

I falsi liberali improvvisati

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

Chi si oppone alla vaccinazione di massa e al green pass invoca spesso argomentazioni apparentemente liberali. Si tratta di una mistificazione ambigua e falsa perché questi signori (sia i politici e che i manifestanti in piazza  sono persone senza la benché minima qualità intellettuale

Gente senza qualità, come diceva Musil. E’ gente che non ha mai letto seriamente un libro in vita sua. Alcuni hanno evidenti  ascendenze neo-fasciste, velocemente e solo  provvisoriamente occultate. Non sanno che la libertà per i liberali è sempre e soltanto libertà responsabile  e che la libertà si è fusa, a partire dal secolo scorso, in modo indissolubile con la democrazia. Non a caso,  nella loro confusione mentale, sostengono  la democrazia illiberale di Orban e di fronte alla pandemia invocano invece in Italia atteggiamenti che ammantano di  un liberalismo di facciata appreso in un corso accelerato al Cepu. Mettersi nelle condizioni di infettare il prossimo è un atteggiamento barbaro, anzi da cavernicoli. Il liberalismo nacque molto dopo e fu una grande conquista civile e culturale sia nella versione inglese, sia nella versione  francese. Anche la versione italiana ha  avuto esponenti del calibro di Croce e di Einaudi che furono  sempre uomini di cultura eticamente responsabili. Oltre ai neofascisti a dare lezioni di liberalismo si aggiunge l’ex comunista Cacciari, del tutto estraneo alla cultura liberale. Da liberale da oltre cinquant’anni, appartenente ad una famiglia liberale che può vantare il nome di Marcello Soleri, sento il dovere di denunciare l’appropriazione indebita di una concezione etico-politica che è del tutto estranea a chi crea confusione e proteste ingiustificate , dicendo di voler difendere la libertà. Lo scrivo a nome di tutti i liberali:  da Cavour a Giolitti, da Croce a Einaudi, da Pannunzio a Malagodi, da Badini Confalonieri a Zanone, da Altissimo a Biondi. I liberali che hanno avuto come simbolo la bandiera tricolore, hanno sempre avuto il senso dello Stato che hanno fondato nel 1861 come stato  liberale di diritto. E hanno avuto sempre la capacità di essere patrioti soprattutto nei momenti più drammatici della storia italiana ed europea. E in momenti tragici  come questi  i patrioti stanno dalla parte di chi vuole una libertà solidale senza ambiguità che si ponga l’obiettivo di salvare vite umane. Che la mia ex allieva Laura Marruccelli nipote dell’eroico generale Giuseppe Perotti capo del comitato militare del CLN piemontese fucilato al Martinetto, abbia fatta la scelta di difendere le ragioni della tutela della salute pubblica è un fatto che mi conforta e mi riempie di orgoglio.
(Immagine tratta da nicolaporro.it)

Tav, Fsp Polizia dopo il vertice: “La montagna ha partorito il topolino”

“Se tavolo tecnico deve essere ci siedano anche i poliziotti”

 

“Fermo restando l’apprezzamento per la visita del ministro Lamorgese nonché del Capo della Polizia a Torino, è impossibile non rilevare che, come si dice, ‘la montagna ha partorito il topolino’! Anni di problemi, un’interminabile scia di sangue dei feriti fra gli operatori impegnati a difendere il cantiere Tav come fosse una zona di guerra, poliziotti esposti agli agguati nella boscaglia, senza mezzi necessari, in una zona territorialmente proibitiva e con regole di ingaggio inadeguate, e cosa emerge da un vertice convocato dopo l’ennesimo attacco terroristico? L’idea di mettere su un tavolo tecnico. Purtroppo non è uno scherzo, questo è il massimo che si è saputo dire e fare. Il ministro Lamorgese ha detto di voler dare una ‘risposta democratica’, senza in verità curarsi di dare risposte concrete alle centinaia di feriti che abbiamo contato da anni nelle nostre fila. E noi siamo d’accordo, purchè risposta democratica non significhi risposta ipocrita. Non ne possiamo più di filosofi della sicurezza che vomitano inutili fiumi di parole mentre i poliziotti si fanno massacrare. Allora, se tavolo tecnico deve essere, ci dovranno sedere anche i poliziotti, per stabilire cosa davvero serve per portare a casa la pelle. Rimane inalterata la considerazione di quanto bislacco sia che in un paese come l’Italia, settima potenza mondiale, un’opera pubblica sia sotto scacco, e il Governo non trovi il modo di affermare la sua ferma autorevolezza di fronte a un manipolo di criminali eversivi”.

Così Valter Mazzetti, Segretario generale Fsp Polizia, dopo il vertice in Prefettura, a Torino, con il Ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, e il Capo della Polizia, Lamberto Giannini, in cui si è discusso soprattutto dei problemi al cantiere Tav, a pochi giorni dagli ultimi attacchi contro le forze dell’ordine.

“Come poliziotti non possiamo che essere d’accordo sui sistemi democratici – afferma il Segretario provinciale Fsp Torino, Luca Pantanella -, ma da 20 anni ad oggi politici e governi di turno non hanno ottenuto nulla, se non lasciare le forze dell’ordine sole a subire gli attacchi di chi non vuole la Tav. Ora basta. Chiediamo al Capo della Polizia che nel tavolo tecnico si parta dalle nostre osservazioni, perché da anni denunciamo postazioni pericolose nel cantiere senza essere ascoltati. Serve inoltre l’apertura di un capitolo economico dedicato poiché chi lavora per la Tav non può ricevere gli straordinari dopo 2 anni, nonché protocolli adatti a tutelare i colleghi, oggi usati come cuscinetto per l’incapacità politica di aiutare il territorio e isolare i violenti”.

“L’orto fascista” Romanzo / 10

ERNESTO MASINA

L’Orto Fascista

Romanzo

PIETRO MACCHIONE EDITORE

 

In copertina:
Breno, Piazza Generale Ronchi, già Piazza del Mercato, fotografia d’epoca.

 

XL

Quando il prete apparve in cima alla scala, tra i 18 imprigionati serpeggiò la paura. Se avevano man-
dato un prete per confortarli e, eventualmente, somministrare i sacramenti, era perché il loro destino era stato deciso e la loro esecuzione vicina.
Don Pompeo capì al volo la situazione e, con un sorriso non troppo ampio dato il momento tragico, disse ad alta voce perché tutti lo sentissero:
“Allegri, sono qui non per darvi l’estrema unzione o per ascoltare i peccatacci che avete sicuramente commesso. Sono qui perché hanno pensato che anche un prete possa essere loro nemico e che è bene quindi tenerlo al fresco.” Continuò quindi raccontando l’incontro avuto con lo Sturmbannführer, guardandosi bene dal far capire che era tutta una bufala: tra i 18 ci poteva essere anche una spia dei tedeschi. Meglio essere assolutamente cauti.
Gli imprigionati non erano sicuramente in buone condizioni dopo tante ore di detenzione, ma si sentirono un po’ più sereni quando ascoltarono il racconto del prete. Se i tedeschi avessero scartato l’ipotesi politica, la loro reazione, forse, sarebbe stata meno violenta.
Non era stato dato loro né un goccio d’acqua né, tanto meno, da mangiare. Per i loro bisogni avevano usato un tubo di cemento rotto che spuntava a livello del pavimento in terra battuta e non si sapeva dove finisse. Purtroppo non avendo una sufficiente inclinazione gli escrementi ristagnavano e nell’ambiente aleggiava un’orribile puzza di urina.
Lo scantinato era diviso in tre locali senza porte: solo due ricevevano una scarsa illuminazione da una finestrella vicina al soffitto. Poiché lo scantinato era quasi completamente interrato, le finestrelle dovevano essere all’altezza del giardino che circondava la casa. A quell’ora la luce cominciava a scarseggiare e gli ambienti erano pratica- mente al buio.
“Non voglio sfruttare la mia posizione di prete” disse don Pompeo cercando di mantenere un tono il più scherzoso possibile, “e non voglio fare neppure il rompi- balle” continuò. “Ma, data la situazione nella quale ci troviamo, pregare un po’ il nostro Dio, sperando che ci dia una mano, non farà sicuramente male a nessuno. Io inizio a recitare il rosario, chi ha piacere risponda. Gli altri sono solo pregati di non disturbare”. Ma tutti, credenti e no, questi ultimi dapprima stentatamente, rispo- sero alla preghiera.
Alle diciassette la porta fu violentemente aperta. Una SS scese rumorosamente la scala e, preso per un braccio don Pompeo, lo spinse verso il piano superiore pronunciando in tedesco parole incomprensibili, ma che suonarono a tutti minacciose. Ritornando poi nello scantinato si guardò intorno ed indicato uno dei presenti, scelto a caso, lo invitò con un gesto a dirigersi verso la porta che aveva lasciato aperta.

Fausto Domeneghini, il figlio del pasticcere del paese, un uomo di circa 40 anni timido e introverso, che sicura- mente non aveva mai fatto male a nessuno, si trovò così a essere la prima vittima del furore tedesco. Insieme al sacerdote fu portato, da due SS grandi e gros- se, in una piccola stanza del primo piano. Una stanza desolatamente vuota ad eccezione di due sedie, una sistemata in un angolo e l’altra al centro della stanza. Sulla prima fu fatto sedere don Pompeo, al quale furono legate le mani dietro la schiena e le caviglie alle gambe della sedia. Sulla seconda il Domeneghini, al quale fu riservato lo stesso trattamento. Quando i due furono sistemati, la porta si aprì ed entrò lo Sturmbannführer, seguito da una pallida e tremante Annetta.
Questa, evidentemente sollecitata dall’ufficiale tedesco, chiese ancora al Parroco se intendeva o meno rivelare i nomi dei due assassini. Don Pompeo, pur preso da un attacco di panico, negò ancora la sua disponibilità. Annetta tradusse la nuova lunga frase che il Comandante le aveva detto, con voce quasi piangente
“Voi, don Pompeo, non sarete toccato, nessuno vuol prendersi la responsabilità di farvi del male. Ma il Fausto sarà picchiato sino a quando non cambierete parere. Ci pensi, per favore” soggiunse con fervore. Uno dei militi della SS si tolse la giacca, indossò un gros- so grembiule che chissà dove aveva trovato e che lo rendeva ancora più minaccioso, strinse nella mano destra un tirapugni in metallo, che si era tolto da una tasca dei pantaloni, e cominciò a colpire il Domeneghini che, tenuto dall’altra SS per i capelli, era costretto a mantenere il capo eretto.
Pugni violenti al viso, allo stomaco, alle spalle, alle gi- nocchia. Uno dietro l’altro, senza un disegno preordinato ma che erano mirati a fare più male possibile. L’uomo iniziò a urlare, mentre il viso diveniva una maschera di sangue perché il ferro del tirapugni lacerava i tessuti. Annetta, sempre più pallida, dopo poco si precipitò fuori della stanza e vomitò rumorosamente.
Don Pompeo più che impaurito era incredulo allo spettacolo che stava avvenendo sotto i suoi occhi. Urlò anche lui, pregò che smettessero, li maledisse ma non ottenne nulla.
Allora si mise a pregare Dio, lo chiamò in causa perché intervenisse a fermare un simile obbrobrio. Quando la SS si fermò pensò di essere stato ascoltato. Ma quando questa, ripreso fiato, ricominciò nella sua azione distruttiva rimase muto, incapace di fare nulla.

Per fortuna il Domeneghini, non sopportando ulterior- mente il dolore, perse i sensi. Se non fosse stato trattenuto, sempre per i capelli, sarebbe caduto in avanti procurandosi altre lesioni. Il viso si stava gonfiando, l’occhio sinistro era scomparso sotto uno strato di sangue e neppure si vedeva se esistesse ancora. Ferite sulla fronte e sulle guance. Pure le ginocchia, colpite più volte, si vedevano sanguinare attraverso i buchi e gli strappi dei pantaloni. I due vennero liberati dalle sedie alle quali erano stati legati e trascinati nuovamente in cantina. Nessuno dei due si reggeva in piedi. Non il Domeneghini che non aveva ancora ripreso i sensi, ma che comunque non avrebbe potuto camminare soprattutto per i pugni ricevuti alle ginocchia; non il Pompeo che, come paralizzato dallo shock, non riusciva a muovere né le braccia né le gambe. Quando arrivarono in cantina e furono buttati sul pavimento, il terrore invase la mente di tutti i presenti. Erano talmente impressionati dalle condizioni del Do- meneghini che nessuno, per minuti, riuscì a muoversi per dargli aiuto. Un aiuto difficile da fornire, essendo to- talmente privi di acqua o di qualsiasi liquido per pulire e medicare le ferite.

 

XLI

Il fatto che il Parroco non avesse partecipato ai Vespri senza averlo avvertito preoccupò molto don Arlocchi. Infatti tutte le volte che don Pompeo non aveva potuto intervenire a una cerimonia per una qualsiasi ragione, si era sempre premurato di avvisare il suo coadiutore. Finita la recita del rosario aveva affidato la chiusura della chiesa al Silestrini, il sacrista, e si era diretto alla casa par- rocchiale per avere notizie del suo superiore. Probabil- mente non stava ancora bene: alla mattina quando lo aveva incontrato, anche se pieno di verve, era pallido e visibilmente stanco.
Quando arrivò in parrocchia gli aprì l’Elvira. Neppure lei aveva notizie di don Pompeo ed era preoccupata an- che perché era la prima volta che il Parroco non le aveva dato le solite precise istruzioni per la cena. “Fammi sapere, per favore, quando torna e come sta. La cosa è strana e sono veramente preoccupato. Chissà che cosa gli è successo?”
Si diresse verso la sua povera casa cercando, tra sé e sé, di trovare una spiegazione plausibile, ma non gli veniva in mente nulla di accettabile. Entrato nel portico si trovò improvvisamente davanti a una persona che, al momento, non riconobbe. Era una donna che, tenendosi stretta al corpo una pelliccia, tremava visibilmente.
Capì infine che era l’Annetta, la bella figlia dell’avvocato Duchi. “Cosa ci fai qui sulle scale? Cosa è successo?” le chiese calmo perché stava iniziando ad abituarsi alle visite strane in ore altrettanto strane. La donna si alzò in piedi e gli si buttò tra le braccia piangendo. “Ma cosa è successo, benedetta ragazza? Calma, calma vieni di sopra e raccontami tutto” e presala per un braccio la guidò verso il suo appartamento. In cucina la fece sedere, riempì un bicchiere d’acqua e glielo porse. Si tolse il tabarro, la sciarpa di lana ruvida che gli aveva fatto la sua perpetua ed una specie di papa- lina che portava sempre all’aperto, estate e inverno. “Bevi un sorso d’acqua. Se vuoi ti scaldo un caffè. Ma calmati, benedetta ragazza, che mi metti in confusione. Ci mancava anche questo, con tutti i pensieri che ho già per la mente”. “Li ammazzano tutti di botte, li ammazzano don Arlocchi. Oggi hanno picchiato a sangue il Faustino, il figlio del pasticcere, lo conosce, vero? Forse è morto” balbettò tra i singhiozzi la donna. “Ma chi, ma cosa? Io non capisco. Oh povero me, Signore Gesù, Madonna santa, aiutatemi, io non ce la faccio più. Calmati, prendi fiato e raccontami tutto se vuoi che capisca” e anche lui si lasciò cadere su una seggiola.

Annetta si asciugò gli occhi, si soffiò il naso e, dopo aver tirato un paio di lunghi sospiri, raccontò tutto quello che era successo in sua presenza. Ogni tanto veniva interrotta, per chiarire qualche particolare, da un don Arlocchi sempre più agitato e che aveva iniziato a sudare abbondantemente. Quando Annetta arrivò a raccontare che il Parroco aveva riferito ai tedeschi di aver confessato due uomini di un paese vicino che si attribuivano la responsabilità di aver ucciso il soldato tedesco, don Arlocchi fece un salto sulla seggiola rimanendo con la bocca spa- lancata. Alla fine del lungo racconto il povero prete non sapeva più a che santo votarsi. Com’era il fatto che due persone avevano confessato al Parroco di aver ucciso il soldato tedesco se a lui lo avevano raccontato due perso- ne diverse? Ma quanti erano quelli che avevano fatto l’at- tentato? E perché avevano arrestato il suo Parroco se que- sti non aveva agito diversamente da quanto avrebbe fatto un altro sacerdote?
Le idee in testa si ingarbugliavano e lui cominciò a pas- seggiare avanti e indietro per la piccola stanza, bronto- lando tra sé e sé e cercando di mettere in ordine i fatti. – Un padre, un fratello, il Russì, il farmacista Temperini. Ma non è che Annetta aveva capito male? Il Russì e il far- macista non avevano sorelle ma, se per questo, non ave- vano neppure più un padre. E se uno dei due fosse anda- to a confessarsi anche da don Pompeo? Ma con quale scopo? Lui non aveva negato l’assoluzione, l’aveva solo rimandata. E poi di quelle cose così delicate meno gente ne sapeva meglio era. Ma se anche fosse andata così, il padre da dove spuntava? Oh Signore, io ti ringrazio per avermi fatto arrivare alla mia età senza dover affrontare grossi problemi. Ma negli ultimi tempi non è che stai un po’ esagerando? A me, un povero prete di campagna, non è possibile dare tutte queste responsabilità. Io non ce l’ho l’esperienza. A ognuno la sua croce, va bene. Io se devo portarla la porto, ma per dare aiuto agli altri in certe situazioni si deve avere o la predisposizione o l’e- sperienza. E io non ho né l’una né l’altra. Oh Signore e adesso io cosa faccio? Guidami tu, ti prego. Diciotto parrocchiani in carcere che rischiano di essere uccisi e con loro il mio Parroco. No, scusami Signore, ma è troppo. Madonnina, anche tu, dai, non negarmi il tuo aiuto. – “Annetta, vai cara, adesso tu vai a casa. Io mi metto a pregare e qualche soluzione la trovo, vedrai. Se è possibile te lo faccio sapere. Non dire niente a nessuno, per ora. Un segreto tra noi due. Se lo sanno in paese chissà cosa può succedere. Prendiamo tempo sino a domani mattina. E se puoi datti malata e non frequentare più quelle belve. Va’, va’ adesso. E prega anche tu per me che ne ho bisogno”. Così dicendo l’accompagnò alla porta che poi chiuse a chiave. La prima idea sensata che venne a don Arlocchi fu quel- la di avvisare il Vescovo di Brescia. Era un atto dovuto che permetteva anche di diminuire tutte le sue responsabilità. Mettersi nelle mani di un superiore, ascoltare i consigli, eventualmente eseguire gli ordini era la cosa migliore. E poi del Vescovo si diceva un gran bene. Era ostile ai tedeschi ma era riuscito a farsi rispettare e, in alcune occasioni, anche a farsi ascoltare. Dicevano avesse salvato molte persone da morte certa. Ma queste noti- zie si bisbigliavano solo tra amici perché non si poteva dire liberamente che i tedeschi uccidessero gli italiani.
Aveva ancora davanti mezz’ora prima della chiusura del centralino. Doveva fare in fretta, perché alle 20 le linee venivano interrotte d’ufficio e le comunicazioni cessavano. Si rivestì velocemente, prese quei pochi soldi che aveva dal cassetto della scrivania e corse verso l’ufficio postale, all’interno del quale vi era un piccolo spazio con il tavolo per la centralinista e due cabine telefoniche insonorizzate alla bell’e meglio. La centralinista, che era occupata a quell’ora a soddisfare, con le poche linee esistenti, le tante richieste di utenti che volevano telefonare, per un buon cinque minuti non diede retta al prete. Poi, senza neppure salutarlo, rispose alla sua richiesta di chiamare l’Arcivescovado di Brescia dicendo che se lui non aveva il numero neppure lei lo conosceva.
“E’ una cosa estremamente urgente, cara signorina” disse con un tono di voce e un cipiglio anche a lui sconosciuto “O lo cerca lei sull’elenco o mi dà l’elenco e lo cerco io. Tutto questo con estrema sollecitudine, per favore”. La donna, che conosceva il prete come una persona timi- da e introversa, fu colpita dal suo modo di fare e capì quanto la cosa fosse grave. Dopo pochi minuti disse: “L’arcivescovado di Brescia è in linea sulla due” riferendosi alla cabina numero due. Don Arlocchi, preso sempre più dai propri pensieri, ai quali si aggiungeva il disagio di dover parlare direttamente con il suo Vescovo, non capiva. Allora la centralinista gli fece cenno con la mano e il prete entrò nella cabina.
“Scusate il disturbo. Mi spiace tanto disturbare, davvero. Ho bisogno con urgenza di conferire con sua Eccellenza il Vescovo. E’ una cosa così importante, sa? Deve proprio passarmelo”.
“Le passo il Segretario. Aspetti!” rispose una voce sgarbata ed asettica. Dopo un tempo che a don Arlocchi sembrò lunghissimo, una voce da bambino malato chiese: “Chi vuol parlare con Sua Eminenza a quest’ora? Soprattutto per quale motivo?” e ribadì “A quest’ora”. Co- me per dire: ma dovete proprio disturbare in questo momento quando stiamo andando a cena?
“Sono un prete, sa, il coadiutore del Parroco di Breno, signor Segretario mi dispiace, sa, ma devo proprio parlare con Sua Eminenza. E’ una cosa grave e riservata”.

Il Segretario, probabilmente offeso dal fatto che lo si volesse saltare per una “cosa grave e riservata” – lui che del Vescovo godeva grande fiducia – avendo anche saputo degli arresti avvenuti a Breno, perdonò il suo interlocutore. “Vedo di fare quello che posso sperando di rintracciare Sua Eminenza” come se non sapesse che il prelato si era appena accomodato a cena nella grande sala da pranzo del palazzo vescovile. “Sono il Vescovo” arrivò alle orecchie di un tremebondo don Arlocchi il suono caldo e suadente del prelato “Sia lodato Gesù Cristo. Cosa posso fare per voi, figliuolo?” A questo punto, trovandosi in comunicazione con un personaggio così importante che lui aveva solo visto, e ammirato, a distanza, e con il quale non era mai riuscito a parlare né l’unica volta che era stato in Arcivescovado, né durante le visite pastorali a Breno per la somministra- zione delle cresime – tenuto sempre a debita distanza dal Parroco che voleva, solo lui, apparire al Vescovo – il cervello del povero prete andò, letteralmente, in acqua. “Sia lodato anche Lei Santità, no, scusate, Sua Eminenza. Mi prostro e bacio l’anello a Sua Eccellenza. Mi deve tanto scusare se la disturbo. Ma sono… in ambasce, sì, credo si dica così. Insomma non so proprio come dire. Ma qui a Breno stanno succedendo cose enormi, incredibili. Sì, proprio un’Apocalisse. Il Parroco è stato arrestato dai tedeschi perché ha detto che in confessione un padre ed un figlio hanno ucciso un soldato tedesco. Non so se sa. L’attentato lo chiamano. Ma io non so, perché io so che l’attentato lo hanno fatto altri due che hanno confessato a me, e la donna… non si sapeva nulla di una donna messa incinta, con rispetto parlando, Sua Eminenza. Sa io di queste cose non so, non capisco nulla. E adesso li vogliono ammazzare, tutti e 19, perché sono 18 più il Parroco. Vogliono ammazzare a bastonate i tedeschi. Ma no, cosa dico, oh Signur aiutami tu! Sono i tedeschi che vogliono ammazzare a bastonate i 18 che sono poi 19 perché c’è anche il Parroco don Pompeo Cappelletti, che Lei Eminenza sicuramente conosce. Io non so cosa fare. Mi aiuti Sua Eccellenza, mi aiuti, la prego”.
Il Vescovo che aveva cercato più volte di fermare lo sproloquio di don Arlocchi senza riuscirvi, in un momento di pausa, che il coadiutore si era preso per tirare il fiato, riuscì a intervenire. Con un tono fermo ma dolce, come se parlasse ad un bambino, riuscì a dire:
“Si fermi, figliuolo. Glielo ordina il suo Vescovo. Non parli e mi ascolti. Io non ho capito nulla di quanto ha cercato di dirmi. Ora io le farò delle domande ben precise e lei mi risponderà con calma e con precisione. I fatti, solamente i fatti e nulla di più. Ha capito?”
“Oh Sua Eccellenza, sì, ho capito, credo di aver capito. Sa io sono un povero prete ignorante di campagna e mi confondo quando parlo con Sua Eminenza. Che poi non è che ci sono abituato, che è la prima volta. Comunque mi domandi, per favore ed io, prostrato davanti a Sua Eccellenza, cercherò di rispondere nel modo migliore”. Il Vescovo iniziò a fare semplici domande precise e a ricevere risposte semplici e coerenti. Dopo dieci minuti era riuscito a rendersi conto della situazione e, non lasciando trasparire la rabbia che lo aveva assalito per il comportamento dello Sturmbannführer, cercò, prima di sa- lutare l’Arlocchi, di rassicurarlo promettendogli che non sarebbe stato lasciato solo. Non prendesse nessuna iniziativa prima che il suo Segretario, che avrebbe raggiunto Breno con il primo treno dell’indomani mattina, non si fosse messo con lui in contatto.
Solo dopo il termine della telefonata il Vescovo si rese conto di non aver neppure chiesto il nome al suo inter- locutore.

 

XLII

“Quel don Cappelletti, devo dire, non mi è mai piaciuto. Sempre sfuggente, un po’ viscido, mai un sorriso, con quel suo tono di voce monocorde…” stava dicendo al suo Segretario, dopo una parca cena consumata velocemente. “Ma, devo ammettere, una persona decisamente furba. Ha messo in scacco i tedeschi. O quanto racconta è vero e allora non possono né costringerlo a parlare, né possono uccidere degli uomini per pura vendetta e non quale ritorsione, trattandosi di un comune delitto, o si è inventato una grossa menzogna. Ma anche qui i tedeschi non possono fare nulla contro la popolazione. Si verrebbero a conoscere le parole del Parroco, i tedeschi sarebbero anche accusati di stupro e, dal punto di vista strettamente politico subirebbero una grande debacle. Sicuramente anche i fascisti non sarebbero d’accordo e la frattura già esistente tra loro e gli alleati tedeschi si amplierebbe a dismisura”.
“Don Mandelli, desidero che lei vada domani mattina a Breno, prima possibile. Non in auto perché apparirebbe una visita ufficiale. Può prendere il primo treno. La dispenso, data la gravità del fatto, di dire messa. Arrivato lassù contatti quel buon uomo del coadiutore”. “Si chiama don Arlocchi, Eminenza” lo interruppe il Segretario.
“Ecco, bene contatti don Arlocchi e poi, con le sue riconosciute abituali cautele, si informi presso la popolazio- ne. Quali sono state le reazioni agli arresti, quali i pensieri su don Cappelletti… beh, lei sa bene come fare in questi casi. Più si sa e meglio è. Rimanga a Breno tutte le ore necessarie, ma se ritiene vi sia qualcosa che devo sapere mi telefoni immediatamente. Mi pare io non ab- bia impegni fuori dall’Arcivescovado domani. Controlli, per favore. Anzi, mi lasci la lista delle cose che devo fare e delle persone che devo incontrare. A meno che la situa- zione di Breno si aggravi e allora saltino tutti i programmi. Un’ultima cosa, amico mio. Io intendo incontrare questa sera stessa il Comandante della Gendarmeria tedesca per riuscire a capire se e quali decisioni hanno preso. Lei mi accompagnerebbe? So che è molto stanco e che domani mattina dovrà alzarsi all’alba, ma abbiamo dedicato la vita a Dio e, quando è necessario, non possiamo risparmiarci”.
“Sempre a Sua disposizione, Eminenza. E’ solo un gran- de piacere poter collaborare con Lei e soddisfare i suoi desideri”.
“Ecco, bravo, troppo buono. Chiami i tedeschi, chieda del Colonnello Von Prisch e, se glielo passano, gli dica che voglio, meglio desidero, incontrarlo. Se è così gentile, olio, mi raccomando olio, di accettare ci andiamo subito e lei viene con me. Voglio un testimone… anzi, prenda appunti di quello che dirò. Potrebbe sempre servire a rinfrescarmi la memoria in caso di necessità”.
Quando la telefonata giunse al Comando tedesco, il Colonnello Von Prisch era in una concitatissima riunione iniziata alle 18 quando era giunta da Breno, portata da un motociclista, la dettagliata relazione dello Sturmbannführer. Von Prisch si era reso subito conto della gravità della situazione e aveva convocato nel suo ufficio il capo locale delle SS, il responsabile della polizia politica e i suoi collaboratori diretti.

La situazione in Italia era sempre più complicata. Il nu- mero dei partigiani aumentava di giorno in giorno, la popolazione italiana era sempre più ostile e gli alleati an- glo-americani, anche se bloccati temporaneamente all’al- tezza di Cassino, non erano sicuramente intenzionati a diminuire i loro sforzi di raggiungere velocemente il nord. Von Prisch, come tanti degli ufficiali tedeschi, aveva capito che la guerra per loro era persa e che bisognava pensare al dopo, evitando di creare nuovi motivi di rea- zione da parte della popolazione italiana.
Mettersi apertamente contro il Vaticano, poi, pretendendo da un sacerdote di tradire il suo mandato in un momento così delicato, sarebbe stato un nuovo passo falso. Chiaramente le SS, tanto invaghite del loro Führer da non capire che ormai erano pura follia le sue azioni asse- tate di sangue, pretendevano che venisse compiuta un’a- zione punitiva nei confronti degli arrestati. Anche senza una prova della loro colpevolezza. Per fortuna il peso del pensiero delle SS nei comandi militari diminuiva conti- nuamente. Venivano considerati dei rompiballe, anche se dei temibili rompiballe. All’arrivo del Vescovo il colonnello fece uscire tutti dal suo ufficio. Spalancò le due finestre per liberare la stanza dal fumo dei sigari e delle troppe sigarette che i mili- tari avevano nervosamente fumato nel corso delle 3 ore di riunione. Fece accomodare il prelato su una delle due comode poltrone Frau che si era portato con sé nel corso dei numerosi spostamenti e alle quali non voleva rinunciare per nessuna ragione. Quando vi si sedeva a riposa- re – e la cosa avveniva sempre più raramente – si sentiva un po’ a casa sua. Gli erano state, infatti, regalate da frau Angela, la sua adorata moglie che non vedeva ormai da oltre un anno, per arredare il suo vero primo ufficio a Karlsruhe quando, promosso al grado di Haupmann, era stato mandato a comandare quel distretto.Prese posto nell’altra lasciando che il Segretario usasse una sedia alle spalle del Vescovo.

Dopo i primi convenevoli, il colonnello si alzò, prese una scatola di sigari – conosceva l’unica debolezza del Ve- scovo – la porse all’ospite che, con un ampio sorriso, di- mostrò la sua riconoscenza. Ignorando poi il Segretario, ne scelse a sua volta uno e si rimise a sedere.Sembrava un normale incontro tra amici. Mancava solo un bicchiere di un buon vino d’annata o un sorso di brandy per renderlo più piacevole. Ma il colonnello era diventato drasticamente astemio dopo che il padre, alcoolizzato, era morto di cirrosi epatica. Due uomini di azione, come erano i nostri, non potevano perdersi in lunghi convenevoli. Il primo a introdurre lo scontato argomento fu il Vescovo.Con parole durissime condannò il modo di agire di questi giovani ufficiali.“Non dico solo tedeschi sa, caro colonnello. I giovani d’oggi sono tutti cresciuti nutrendosi di materialismo e la parte spirituale dell’esistenza, che dovrebbe essere la predominante, è misconosciuta, dimenticata e calpestata”. Tornando ai fatti specifici, dichiarò inaccettabile che un sacerdote fosse stato incarcerato unicamente perché si rifiutava, secondo le regole canoniche, di infrangere il segreto della confessione.
“Non ho ancora riferito nulla alla Santa Sede ma sarò costretto a farlo se niente avverrà entro 24 ore. Non vuo- le essere un ricatto, caro colonnello, ma anch’io ho dei superiori ai quali sono tenuto a riferire”. Con grande meraviglia del Vescovo e del suo Segretario la risposta di Von Prisch fu pronta e chiara. Riteneva il giudi- zio del Vescovo sui giovani un po’ troppo severo ma condivideva la preoccupazione che le nuove generazioni non crescessero più con quei principi e quella cultura che erano sempre stati il vanto di nazioni come l’Italia e la Germania. “Mala tempora currunt” continuò il colonnello, “e quando è in pericolo la sopravvivenza, la parte spirituale della vita, inevitabilmente, passa in secondo piano”. Al colonnello, che parlava un italiano fluente, piaceva mettere in evidenza la sua cultura e, quando aveva avuto occasione di incontrare il Vescovo, gli aveva confessato, un po’ vantandosene, un po’, da uomo di preparazione militare, vergognandosene, di aver effettuato profondi studi di filosofia all’università di Bamberg.“Ma veniamo ai fatti di oggi” proseguì il Colonnello. “Io sono d’accordo con Lei che la cosa è stata mal gestita, lo stavo proprio sostenendo poco fa con i miei aiutanti. Sono lieto della sua visita perché ho l’occasione per chiederLe di collaborare perché tutto venga messo a tacere. Noi rilasceremo gli uomini arrestati e il suo sacerdote. Il suo sacerdote non comunicherà a nessuno quanto ha saputo in confessione. Lei quindi non ha saputo nulla e tanto meno il Vaticano. Affossiamo tutto”.
“Mi sembra un accordo ragionevole, signor colonnello” rispose il Vescovo che non aveva sperato tanto e cercava di nascondere la gioia che lo aveva invaso.
“E come faccio ad essere sicuro che verrà rispettato?” “Promissio boni viri est obbligatio, ammesso che Lei mi ritenga un uomo onesto”.
“Certo, lo penso. Anzi ne sono sicuro” rispose il Vescovo. “Abbia la compiacenza di attendermi un attimo. Ho un motociclista che deve rientrare a Breno e devo comunicargli le nostre decisioni. Poi finiremo, in santa pace – mi passerà questo termine signor Vescovo – i nostri sigari”. “Sa, quasi quasi gli chiedevo se il motociclista non potesse dare a lei un passaggio sino a Breno. Poi mi è sembra- to sconveniente, non per lei, ma per il colonnello” disse il Vescovo, che era preso da un’incontrollabile allegria dopo la tensione di tutte le ore precedenti, mentre lui e il suo Segretario rientravano in arcivescovado. Il Segretario non capì lo scherzo e rimase in silenzio a testa bassa. “Domani mattina però, la prego, vada ugualmente a Breno. Magari non con il primo treno, ma presto comunque, per controllare che tutto si risolva, effettiva- mente, nel migliore dei modi. Mi spiace di non poter avvisare io il povero don… come si chiama, ah sì, Arlocchi, ma se il motociclista arriva per tempo e l’ordine viene eseguito subito, in paese si farà sicuramente festa e anche lui vi parteciperà”.

(continua…)

 

 

”L’aggressione al lavoro e gli inauditi profitti al tempo di Stellantis”

A sentire Stellantis, addio alle promesse di sviluppo occupazionale degli stabilimenti italiani. Lo sviluppo dovrà tener conto solo del tornaconto aziendale. In un documento, non ancora pubblico, il colosso dell’auto, nato dalla fusione di Fca e Peugeot, quantifica il numero dei tagli di personale da fare nelle fabbriche italiane da qui al 2024. Un taglio drastico di 12 mila dipendenti, tra operai e impiegati, sui 66 mila attualmente in forza alla Stellantis, pari al 18 per cento dell’intera forza lavoro. Si noti bene, il piano di ristrutturazione in itinere va di pari passo ai conti record dell’azienda comunicati pochi giorni fa.

Solo nel primo semestre di quest’anno Stellantis vanta ricavi di 75 miliardi e un utile operativo di 8,6 miliardi. Una montagna di soldi che sarà distribuita in dividendi agli azionisti e andrà a rimpinguare i già enormi guadagni dei top manager. “Sono un manager molto felice”, questo il commento a caldo dell’amministratore delegato Carlos Tavares dopo l’’ufficializzazione di questi dati strabilianti. Non c’è da dubitare che felici saranno anche gli altri grandi azionisti a cominciare dalla famiglia Agnelli detentrice del 14,4 per cento del capitale.

Di tutt’altro segno i pensieri e i sentimenti di decine di migliaia di lavoratori ancora una volta nel mirino dei piani di ristrutturazione aziendali. Piani basati come sempre su una filosofia sfrontata della lotta di classe condotta dai padroni: i profitti hanno il sacrosanto diritto di crescere a dismisura a spese dell’occupazione, dei salari e dei diritti, perché è così che si rafforza la competitività globale. Gli stabilimenti italiani devono produrre profitti, punto e basta. Se invece qualcuno ha la pretesa di mettere in primo piano questioni che attengono alla redistribuzione della enorme ricchezza prodotta, alla riduzione del tempo di lavoro a parità di salario, all’occupazione, ai diritti del lavoro, in una parola che attengono alla produzione di plusvalore, questo qualcuno è messo fuori gioco come nemico dell’economia, della crescita.

Il fatto è che questa filosofia della lotta di classe ha sempre goduto di grandi sponde politiche. Le forze politiche e di governo non hanno mai trovato nulla da ridire sui progetti Fiat, Fca, Stellantis, anzi li hanno generosamente accompagnati e foraggiati. Progetti a senso unico, senza contropartite in termini occupazionali e salariali. Non solo. Lo stesso confronto tra impresa e sindacato – pensiamo in particolare all’attendismo o collaborazionismo dei sindacati gialli – è avvenuto in questi anni sulla base di tempi, modalità, piani stabiliti dai vertici aziendali. Un motivo in più di soddisfazione a sentire Tovares: ”la qualità del dialogo con il sindacato e governo è molto alta”.

Checché se ne dica è ora di dire basta a questo gioco a perdere prima che sia troppo tardi. Nulla giustifica il gigantesco spostamento che è avvenuto della ricchezza prodotta dalle tasche dei lavoratori a quelle degli azionisti di Stellantis. Nulla giustifica l’ulteriore riduzione dell’occupazione e del monte salari a vantaggio dei profitti e delle rendite. Propositi semplicemente scandalosi. Oggi più che mai occorre tornare a parlare di lavoro non solo di mercato. Il mercato è cieco, totalmente disinteressato alla vita delle persone se non per farne oggetto di sfruttamento. Ed ancora, più che mai, occorre tornare a lottare se si vuole ricomporre la solidarietà e  le tutele collettive che sono state compromesse dalla precarietà e dalla concorrenza coatta tra lavoratori ridotti a merce.

Ezio Locatelli, segretario provinciale di  Rifondazione Comunista di Torino

 

 

Centro, le novità dopo le amministrative

Le prossime elezioni amministrative saranno uno spartiacque importante per la politica italiana nel suo complesso.

E questo non solo perchè è tradizione italiana che anche quando si vota in una manciata di comuni disseminati lungo lo stivale diventa immediatamente un test per la politica nazionale. Ma per il semplice motivo che questa importante consultazione, che vede protagoniste tutte le principali città del nostro paese con il rinnovo dei rispettivi consigli comunali, è l’ultima che precede le elezioni politiche generali. E quindi diventa decisivo capire da un lato gli equilibri delle varie forze in campo, misurare il peso e la solidità delle rispettive coalizioni e, soprattutto, individuare le debolezze che emergeranno nella capacità di saper intercettare pezzi di società. E quindi pezzi di elettorato. In altre parole, dopo le amministrative capiremo quali forze/soggetti/liste nasceranno in vista delle elezioni politiche. Perchè un fatto è chiaro e forse anche irreversibile. L’alleanza tra il partito riformista per eccellenza, cioè il Pd, e il partito populista per antonomasia, cioè quello di Conte e di Grillo, lascia poco spazio e poco ruolo a partiti/liste/movimenti di centro che hanno come obiettivo prioritario quello di declinare una “politica di centro”. E quindi su questo versante è abbastanza probabile che possano decollare forze in grado di farsi carico, appunto, di un elettorato altrimenti non rappresentato. Come sul versante del centro destra è inevitabile che la forza dirompente della Meloni e, comunque sia, la tenuta – almeno stando sempre ai sondaggi di opinione – della Lega di Salvini comprime sempre di più chi, sul versante del centro moderato e riformista, pensa di riconoscersi in quell’area politica. Anche da quelle parti, com’è ovvio e scontato, la presenza di una lista/movimento/forza di centro si imporrà. A prescindere da quelle sigle con percentuali di consenso da prefisso telefonico che non sono destinate a passare alla storia. Nè politica e nè elettorale.
Ecco perchè le elezioni amministrative saranno un autentico banco di prova politico da un lato e innescheranno un processo, forse l’ennesimo, funzionale alla formazione di una nuova e rinnovata presenza politica dall’altro. Questa volta, però, non all’insegna del populismo anti politico, demagogico e qualunquista. Quell’area è già fortemente rappresentata, soprattutto nel campo della sinistra. Ma anche, seppur in minor misura, nell’area politica alternativa. No, questa volta le novità arriveranno sul versante del “centro”. L’appuntamento, quindi, è dopo il voto di ottobre. Ballottaggi compresi.

Giorgio Merlo

La Città assume 100 funzionari con contratto di formazione

La Città di Torino nel giugno scorso ha presentato alla Regione Piemonte il progetto formativo per l’assunzione dei primi 100 Funzionari (cat D) con contratto di Formazione e Lavoro della durata di 24 mesi. Il progetto è stato approvato dalla Regione il 29 luglio e quindi è iniziata la procedura per le assunzioni.

 

Il Comune sta definendo con Formez Pa, con cui è associato, le specifiche tecniche dell’avviso di selezione che verrà pubblicato al più presto, presumibilmente nel mese di settembre.

 

Le nomine riguarderanno diverse specializzazioni necessarie per far fronte alle progettualità previste dal PNRR.

 

Tra le figure ricercate vi sono esperti in rendicontazione, esperti giuridici ed in contabilità pubblica, analisti informatici, ingegneri strutturisti, esperti in valutazione ambientale strategica e bonifiche, pianificatori urbanistici, tecnici esperti in ambito energetico e in trasporti e mobilità.

Bra, Raschera e Toma piemontese in alta quota

Il Bra, il Raschera e la Toma tornano protagonisti durante una serata in cui le montagne saranno il teatro perfetto per ospitare le tre perle lattiero casearie.

Avrà infatti luogo martedì 10 agosto a Bardonecchia la “Cena sotto le stelle”, un’occasione speciale per poter degustare questi formaggi d’eccezione tra una stella cadente e l’altra. Organizzata in collaborazione con Arpiet e nell’ambito del progetto cofinanziato dalla Regione Piemonte, si preannuncia un evento ricco di sapori e seducenti abbinamenti culinari, completamente immersi in un’atmosfera speciale.

“Sfortunatamente, l’emergenza legata al Covid ci ha impedito di ripetere l’organizzazione di alcuni momenti in cui i Consorzi erano presenti sulle piste da sci più rinomate del territorio – spiega Franco Biraghi, presidente dei Consorzi di tutela di Bra, Raschera e Toma Piemontese, evidenziando come questa assenza sia stata “un vero peccato dal momento che si trattava di occasioni utili a far conoscere i nostri prodotti in contesti diversi e che avevano riscosso in passato un grande successo”.

A Bardonecchia non saranno più le piste innevate, ma i colori brillanti dell’estate a fare da scenografia alle tre Dop, per le quali l’estate ha significato una ripresa di quei momenti volti a far conoscere ancora di più le loro peculiarità. Complice l’estrema versatilità che rende il Bra (nella duplice versione Tenero e Duro), il Raschera e la Toma perfetti sia come formaggi da tavola che come comprimari all’interno di svariate ricette, quella del 10 agosto ha tutte le carte in regola per rivelarsi una serata in cui il contesto dialoga alla perfezione con il gusto: “Che sia quello più sapido del Bra Duro, dolce del Raschera, delicato della Toma Piemontese o morbido del Bra Tenero, questi aromi inconfondibili si armonizzano gradevolmente tra loro, impreziositi da una cornice d’eccezione – commenta Marco Quaglia, vicepresidente dei Consorzi di Bra, Raschera e Toma Piemontese -. L’evento del 10 agosto è l’occasione ideale per consentire a questi prodotti di dare il meglio di sé, anche in alta quota – in un contesto in cui l’atmosfera fa la differenza e rinforza ancora di più la potenza di simili formaggi”.

La fonduta al Raschera, il risotto mantecato al Bra Duro o la polenta con la Toma Piemontese rappresentano, infatti, alcuni capisaldi del ristoro invernale, ma queste eccellenze sanno offrire il meglio di sé anche in versione estiva. Ed ecco che se la neve lascia il posto al verde dei prati, le Dop si uniscono con il Salame Piemonte in un tagliere dai gusti tradizionali, lasciandosi degustare in purezza o mettendosi nelle mani di chef che conferiranno ulteriore risalto all’unicità del loro gusto. Quest’ultimo è diventato, nel corso dei secoli, un punto di riferimento inalterato sulle nostre tavole, creando un connubio quanto mai consolidato con quella genuinità che deriva da un’artigianalità antica e da una maestria che non è mai venuta meno alle aspettative.

“Sono formaggi che ci rendono ogni giorno più orgogliosi – conclude Mario Cappa, vicepresidente dei Consorzi di Bra, Raschera e Toma Piemontese -. Con la loro garanzia di qualità sono considerati eccellenze di cui il nostro territorio non può che andare fiero. Ecco perché la loro presenza a eventi enogastronomici è sempre più richiesta: dopo la Cena sotto le stelle sarà, infatti, la volta della Sagra del Peperone di Carmagnola”. La celebre manifestazione che si terrà dal 27 agosto al 5 settembre sarà un’ulteriore occasione per gustare Bra, Raschera e Toma all’interno di ricette pensate ad hoc per l’occasione