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Barriera Design District APS: “diamo nuova luce al quartiere Barriera di Milano a Torino”

“Barriera è una periferia mentale.” Con questa suggestiva affermazione, l’associazione Barriera Design District APS di Torino si propone di ridare nuova luce al quartiere Barriera di Milano, puntando su design, arte e cultura. Lavorando a stretto contatto con imprese, amministrazioni pubbliche e comunità locali, l’associazione mira a ridefinire il posizionamento del quartiere attraverso le idee di chi lo abita e di chi lo abiterà.

Un Progetto di Marketing Territoriale

Il progetto di Barriera Design District è un’operazione di marketing territoriale che, grazie a un piano di comunicazione dedicato, punta alla promozione delle eccellenze locali e allo sviluppo commerciale e immobiliare del territorio. L’obiettivo è arricchire l’offerta culturale e l’appeal del distretto, unendo tradizione e innovazione.

Barriera Design District aspira a diventare un importante distretto multifunzionale, capace di interagire con il tessuto urbano e sociale di Torino. Il quartiere si propone di diventare un punto di riferimento per artisti e designer emergenti, attirando nuovi talenti e puntando sulla creatività come motore di benessere e innovazione visiva.

Eventi e programmazione

La programmazione di eventi, tra cui percorsi espositivi, fiere vintage, workshop di settore e installazioni d’arte pubblica, sarà parte integrante del progetto di rigenerazione. L’obiettivo è creare un forte senso di identità e favorire connessioni tra le attività commerciali, gli abitanti del quartiere e i visitatori.

Una trasformazione innovativa

“Una trasformazione che è un format innovativo e che ha già avuto successo in altre città, da Miami a Milano,” afferma Laura Audi, direttore tecnico di Somewhere Tour Operator. “Ripartiamo dalla Torino post-industriale di Barriera per farla scoprire come hub di design, creatività e turismo.”

Collaborazioni strategiche

Somewhere Tour Operator, storico tour operator torinese, ha raccolto la sfida di rilanciare il quartiere Barriera di Milano.

Questa collaborazione strategica darà respiro nazionale e internazionale al quartiere, anche dal punto di vista turistico, attraverso visite guidate ogni sabato.

Il tour guidato del Barriera Design District porterà i visitatori alla scoperta delle location più affascinanti della Torino post-industriale. Dalla ex fabbrica INCET, ora spazio di design e ristorazione, alla Galleria d’arte Gagliardi Domke, rinata dalla vecchia fabbrica in cui lavorò Primo Levi, fino ai Docs Dora, vecchi magazzini industriali trasformati in hub creativi.

Un brindisi alla creatività

Per celebrare il progetto, è stata creata una lattina di birra in edizione limitata, disponibile presso il birrificio e in punti selezionati del distretto. Il design della lattina, realizzato dall’agenzia di comunicazione Blue, racconta in modo visivo l’energia e la vitalità del nuovo distretto.

Un passo importante per la rigenerazione urbana

Questa collaborazione segna un passo importante nel percorso di rigenerazione urbana del quartiere, confermando la volontà di Edit e di Barriera Design District di contribuire attivamente al rafforzamento dell’identità locale e alla creazione di nuove opportunità di crescita collettiva.

Partner:

  • EDIT TORINO
  • SOMEWHERE TOURS & EVENTS
  • VELVET STUDIO
  • BLUE.
  • THE FLAIRY MARKET
  • DIFFUSISSIMA
  • TO RADIO
  • AD HOC
  • LAZZARI MARZANO AVVOCATI

Barriera Design District è pronto a trasformare il quartiere di Barriera di Milano in un faro di creatività e innovazione, unendo tradizione e modernità per un futuro luminoso e prospero.

Cristina Taverniti

Stella Bolaffi Benuzzi: Il Penny Black e altri racconti marinareschi

Sabato 21 settembre alle ore 17,30 nell’Auditorium “ Baldassarre “della Biblioteca Civica “Deaglio “ di Alassio (piazza Airaldi e Durante, 7)

Il prof. Pier Franco Quaglieni, il dr. Roberto Pirino ed il gen. Franco Odello che coordinera’ l’incontro, presenteranno il libro della nota scrittrice torinese Stella Bolaffi Benuzzi “Il Penny Black e altri racconti marinareschi. Storie e ricordi di avventure in barca a vela”, Salomone Belforte Editore, Livorno. Interverrà il vice Sindaco di Alassio Angelo Galtieri. L’autrice, con la sua consueta verve, offre al lettore, anche a quello non esperto di navigazione a vela, una nostalgica traversata di un’epoca, vissuta da lei e dalla sua famiglia, sulla loro prima barca dedicata al “Penny Black”, il primo francobollo emesso al mondo, non a caso vista la professione di filatelico noto in tutto il mondo del padre Alberto Bolaffi comandante di un una divisione alpina durante la Guerra di Liberazione intitolata alla figlia Stella.

Dove sta la felicità? Proviamo a chiederlo a Platone!

Il filosofo e saggista Simone Regazzoni racconterà questa sera, giovedì 19 Settembre, cos’era l’Accademia di Platone all’interno del programma Building Happiness.

Ritorna Building Happiness, il progetto ideato dalla Fondazione per l’Architettura di Torino che indaga sul binomio Architettura & Felicità volto a capire e a creare delle linee guida che permettano di progettare case e città felici. L’evento di questa sera è una lectio o forse una chiacchierata più o meno informale che vedrà Platone come protagonista. A spiegarci cosa era la sua accademia e come possiamo sperimentare gli effetti e la pratica, ci sarà il Professor Simone Regazzoni, filosofo, saggista e docente universitario. L’ho incontrato per parlare di felicità.

 

Buon pomeriggio Professore, partiamo dalla definizione di fisolosia. Che cos’è e cos’è la filosofia di massa, che lei insegna.

Dare una definizione di filosofia dipende da come la viviamo, perché ce ne sono moltissime. Se uno chiede che cos’è la sociologia o che cos’è la critica letteraria, ci sono delle risposte molto precise, sulla filosofia ne abbiamo tante quante sono i filosofi. Io condivido quella che era l’idea della Grecia antica, fondamentalmente di Platone, per cui la filosofia è un’arte della vita, è per me la definizione più bella e completa. Non è un discorso tecnico teorico su una questione specifica che ha un linguaggio tecnico per comunicare questa questione, è un modo di vivere, come intendi la vita e come l’affronti, sia dal punto di vista del pensiero, ma anche dal punto di vista proprio del rapporto tra pensiero e quello che fai quotidianamente e riguarda anche il tuo corpo.

Per la grecia antica, la filosofia è allenamento, al contempo, della mente e del corpo.

Ricorda molto la psicoanalisi, sembra quasi uno strumento terapeutico.

Ecco, è una terapia nel senso che riguarda il modo migliore per affrontare i colpi che arrivano dalla vita. Platone, e ne parleremo proprio domani, decide di aprire la sua scuola, che era la palestra dove si allenava da ragazzo. Lui era un atleta, non lo ricordiamo mai, ma lui era un atleta che ha vinto le Olimpiadi nella lotta e domani al Circolo dei lettori andremo anche a vedere fisicamente come era questo luogo.

 

Però non sveliamo troppo.

 

Allora la questione appunto è del parare i colpi della sorte, cioè essere allenati del corpo e dell’anima, perché è evidente che quando ci capitano delle cadute, dei fallimenti, o dei disamori, non sono questioni che ci colpiscono da un punto di vista puramente intellettuale. Le sentiamo nei sentimenti, quindi le sentiamo nel corpo, nello stomaco.  Platone direbbe che è come un pugno che ci prende allo stomaco, quindi non possiamo affrontarle solo teoricamente. Cercare di lavorare su tutte le parti di noi stessi è un modo per affrontare la vita nella maniera migliore possibile, e in questo senso la filosofia è terapeutica. Ci dà una certa forza, ma non la forza di non cadere, o la forza di non subire i colpi, ma la forza di rialzarsi.  Per Platone, come per altri filosofi antichi, non c’è modo per evitare né il male, né le sciagure, però ecco, la filosofia fa il punto su come come le affronti, e in questo senso allora sì è terapeutica, ma non è mai consolatoria.

Ma esiste la felicità?

La felicità è qualcosa di cui noi facciamo esperienza, ma il punto è che non ce ne accorgiamo.  E questa è la grande questione.  La poniamo sempre come la ricerca, qualcosa a cui agogniamo, e in realtà la felicità è una cosa molto più semplice. Diremmo, nel modo greco, sentire che la vita è un bene e che quel bene ci appartiene. Questa è per me la definizione della felicità, ed è una formula di Aristotele. Il problema è che noi spesso ci dimentichiamo di sentire la vita. Siamo talmente affaccendati a fare duemila cose, a procurarci oggetti, a interrogarci su come raggiungere una condizione migliore, che ci scappa dalle mani il filo della vita.

E si tratta di sentire quell’intensità del vivere, che può capitare anche in un momento di difficoltà. Basta un attimo, un raggio di sole che entra dalla finestra, e illumina un pezzo di pane sul tavolo, in un piatto, e tu esclami: che è bello!  Senti in quel momento qualcosa di positivo, senti la vita. Il punto è fare attenzione a tutto questo. Quando un grande pittore come Cézanne dipinge un oggetto di questo tipo, due persone al tavolo, un uomo con un bicchiere, ci sta dipingendo quello che è la felicità. Di tutto questo te ne accorgi quando la vita sta per finire. Allora, cosa rimpiangi? Non è che rimpiangi qualcosa di particolare, rimpiangi quel sentire lì. Ecco, per me la felicità è in quella misura del sentire e dell’essere consapevoli.

 

Building Happiness indaga su cosa rende felice una città. Se lei dovesse dirmi 3 elementi che contribuirebbero alla definizione di una città felice, quali sarebbero?

Anzitutto il verde. Viviamo in città sempre più fatte di ferro e pietra,  che tendono a espungere la vita vegetale. La città è uno spazio che lascia fuori, tra virgolette, la natura per essere uno spazio culturale. eppure sappiamo oggi quanto sia essenziale, per esempio, per le temperature, per la qualità dell’aria, ma anche per il nostro benessere psichico, vedere del verde, vedere dell’erba, vedere delle piante. Quindi per me le città del futuro devono avere questa centralità della vita vegetale. In secondo luogo, a partire da Aristotele, la polis è lo spazio dei viventi. Abbiamo visto durante il Covid, quando noi ci siamo ritirati nelle case, che altri viventi si riprendevano lo spazio della città. Abbiamo incontrato cervi, daini che si aggiravano per le città.

I delfini a Venezia…

Esatto. Questo ci dice quanto la nostra modalità di vivere sia respingente per gli altri viventi. Noi vogliamo una città ospitale anche agli altri viventi, il che renderebbe il luogo in cui viviamo più ricco. È una terapia di coesistenza, avere altri viventi più vicini. Quando qualcuno sente il bisogno di allontanarsi dalla città e andare in altri posti è perché sente questo bisogno di vicinanza con altri viventi. Sappiamo quanto ci fa bene la vicinanza con gli animali, non per niente esiste la pet therapy.

 

Il terzo elemento riguarda la mobilità. L’auto è uno degli oggetti più arcaici che abbiamo, un oggetto narcisistico di potenziamento dell’io. Girare in auto  in città è qualcosa di insensato, ci si infila nel traffico, ci si arrabbia con se stessi e con gli altri. Le auto nelle città sono uno strumento non funzionante, e da un punto di vista psichico un danno enorme perché diamo il peggio di noi. Bisogna ripensare a una nuova mobilità, come si sta ormai facendo in moltissime città in Italia. Diciamolo in modo un po’ brutale: vorrei una città senza auto, che oggi ci sembra qualcosa di impensabile, ma questo ci dice quanto è limitata la nostra capacità di desiderare. Se devo pensare veramente, allora penso in grande, e una città senza auto è l’ultimo tassello di una città veramente più ospitale, nonché un desiderio di felicità.

Parliamo di gentrification. Il fenomeno Air BB sembra essere a un punto di rottura. Quest’estate abbiamo assistito alle proteste degli abitanti di Barcellona che patiscono il turismo di massa, la mancanza di appartamenti per affitti a lungo termine e lo svuotamento dei centri abitati per lasciare spazio a un grande hotel. Come se ne esce?

In realtà questi processi non li possiamo governare. Air B&B non sparirà ma dobbiamo ripensare il rapporto con gli spazi e con il tempo. Questa modalità è quella di andare in un posto con la mentalità del villaggio turistico, le città diventano un villaggio turistico. Prima le due cose erano separate. Avevamo la vacanza da villaggio turistico e avevamo invece degli spazi nelle città per poterle frequentare. Oggi le due cose si stanno sovrapponendo. Quando è che finirà tutto questo? Il rischio è che non c’è più il luogo che desideriamo vedere. Questa trasformazione implica un effetto distruttivo sull’economia di una città che si trasforma in uno spazio vuoto.

 

Questi processi in realtà poi troveranno il loro limite nella loro autosussistenza. Il problema è che i processi possono arrivare da soli al loro punto di esaurimento o forse ce ne possiamo accorgere culturalmente. Culturalmente dovremmo fare un lavoro davvero a monte su che cos’è il turismo, su cosa significa andare in un posto, che cosa vogliamo davvero vedere e che cosa vogliamo essere. Il problema secondo me del nostro tempo è che ci stiamo veramente impoverendo dal punto di vista del linguaggio, della cultura, della capacità di immaginare. Quindi procediamo con piccoli schemi che applichiamo. Nelle città che diventano un grande villaggio turistico  si procede senza visione, senza immaginario, senza respiro culturale. A Barcellona questo processo ha raggiunto il suo limite, infatti la gente ha iniziato a ribellarsi. E forse, invece di al punto di rottura, riflettiamo su come possiamo intervenire.

A Milano invece il caro affetti sta piegando chiunque abbia bisogno di recarsi in città per studio o lavoro. Cosa succede e come si risolve questa situazione?

Io Milano la frequento poco, l’ho frequentata quando insegnavo, e non la amo moltissimo. Nella mia città, vivo nella periferia verde, e cerco spazi di questo tipo. Da una città come Milano bisogna fuggire, non c’è altro da fare, perché il rischio è quello di ritrovarsi in una città nevrotica, con tutte le malattie dell’animo contemporaneo, e da quello spazio lì non si può che fuggire per non subirne gli effetti negativi. Se parli con  amici milanesi, parlano male di Milano, e la colpa è del modo di vivere, nel senso proprio di abitudini, del modo di fare, del rapporto tra lavoro e tempo libero. C’è una politica culturale che andrebbe totalmente cambiata, altrimenti l’unica soluzione è la fuga, l’abbandono di quella città oppure arriviamo ai processi che incontrano il loro limite, dove la gente va via così come è andata via dalle grandi città in un certo momento negli Stati Uniti.  Quell’idea di città che è stata creata tantissimi anni fa viene dal Medio Oriente e arriva fino a noi, ma oggi incontra davvero il suo limite, ci sarebbe anche da domandarsi, abbiamo ancora bisogno della città? Il modello di città che conosciamo è superato poiché oggi abbiamo le città che soffocano, città ormai invivibili.

Torino corre lo stesso rischio di Barcellona e Milano?

Non so, è come se ci fosse qualcosa di arcaico in Torino, un’eleganza arcaica, che non si lascia afferrare e sedurre. Milano e i milanesi per primi si sono lasciati sedurre da questa modalità e adesso ne subiscono le conseguenze. In Torino c’è come un fuoco di diffidenza che sento ancora verso questa modalità, come del resto Genova. Genova è una città che conserva il suo spirito arcaico, di contaminazione, quindi il problema non lo sento minimamente.

 

Lei mi sta dando una nuova chiave di lettura di Torino. Io ho sempre patito l’essere sempre un passo dietro Milano, quasi, mi passi il termine, più provinciale o “bogia nen” come diciamo da queste parti. Ma forse questo restare un passo indietro è la strategia giusta per mantenere la propria autenticità?

 

Questo è il mio gusto. Mi piace essere un po’ in contrattempo sui tempi, Nietzsche diceva che un certo anacronismo sui tempi ci dà una prospettiva, una capacità di pensare, di fermarsi un attimo. Qui non mi piace essere proprio contemporaneo, perfettamente contemporaneo, perfettamente al passo coi tempi. Un passo indietro non sto malissimo, quindi Torino, Genova io le apprezzo ancora moltissimo.

Questa sera lei parlerà di Accademia, raccontando quella che era l’Accademia per Platone: palestra per allenare mente e corpo. Esiste un luogo cosi e, se si, dove? Senza svelare troppo.

 

Io collaboro con la scuola Holden, faccio spesso corsi da loro, e ho collaborato con il Circolo dei Lettori, e sia Holden sia il Circolo dei Lettori, che ringrazio, hanno promosso qualcosa che rievoca proprio quello spirito e quella materialità dell’accademia. Siamo abituati a pensare agli spazi del sapere come una classe con sedie su cui ti siedi, col docente davanti. Per Platone e per il greco non era così. Vi erano spazi dove ci si muoveva, ci si allenava fisicamente, si dialogava, e le cose erano in continuum, proprio perché sapevano già quello che le neuroscienze ci dicono oggi: la postura è un modo di pensare, cambiare postura è un nuovo modo di pensare. Al Circolo dei lettori di Torino abbiamo fatto una serie frequentatissima di lezioni all’aperto al Parco del Valentino, facendo insieme allenamento e filosofia.

 

Alla Holden ho fatto molte lezioni dove sono stati eliminati banchi e sedie, dove eravamo scalzi in aula e si facevano una serie di movimenti o di esercizi e al contempo si lavorava sulla scrittura e sulla lettura. Questo all’inizio può sembrare un po’ disturbante, in realtà è sempre un modo di interrogare gli spazi della nostra città.  

 

Dove è scritto che un’accademia, una scuola, un’università debbano essere strutturate solo in un certo modo? Quello è un modello che ci viene dal mondo ecclesiastico, dove ci sono i banchi dei fedeli e il prete ex cathedra che fa la predica. Certo ci può essere anche quello, ma si può anche fare lezioni senza fare la predica e usando il corpo e tutte le sue potenzialità. Questo significa mettere in moto altre forze per scrivere, per pensare, per elaborare concetti. Stasera parleremo del rapporto tra spazi architettonici e innovazione nel pensiero.


Lori Barozzino

 

Per tutte le info sul progetto BUILDING HAPPINESS

Building Happiness – Fondazione per l’architettura / Torino (fondazioneperlarchitettura.it)

 

Evento di questa sera: Giovedì 19 settembre, ore 18.30

Circolo dei lettori, via Bogino 9, Torino. 

Prenotazione consigliata all’email info@circololettori.it

 

Ovadia, Cruciani e Venezi a “GiovaniAdulti”, il festival delle periferie torinesi

Torna con la seconda edizione ” GiovaniAdulti“, il festival dedicato alle periferie torinesi che dal 25 al 27 settembre, porterà in città oltre quaranta laboratori artistici, formativi e sportivi, incontri con scrittori, giornalisti, volti televisivi, conduttori radiofonici, musicisti, reporter, autori tv, intellettuali e realtà del volontariato.
Dopo il successo dello scorso anno, con 12 istituti scolastici oltre 2500 ragazzi coinvolti, il progetto realizzato dall’associazione Fiori di Ciliegio APS, con il sostegno dell’Assessorato alle Politiche Sociali della Regione Piemonte, ha scelto per questa edizione il titolo ” Il Corpo del Mondo“.
Il ruolo di Direttore Artistico è stato confermato al giornalista Francesco Borgonovo, che sarà anche protagonista degli incontri dialogando con Beatrice Venezi, Giuseppe Cruciani, Maurizio Belpietro, Moni Ovadia, Dino Giarrusso, Giulio Cavalli.
“Quest’anno, il programma si concentra sul tema del corpo – spiega Francesco Borgonovo -. Sui corpi si dà battaglia, dei corpi si discute nei talk show e sui giornali, sui corpi si misurano le grandi sfide della politica che non a caso diviene biopolitica. Giusto confrontarsi allora con ragazze e ragazzi che il corpo iniziano a viverlo e a scoprirlo, a muoverlo e a educarlo. Con loro affronteremo un allenamento valido per il corpo e per la mente, cercando di trovare – in un mondo che si smaterializza nell’artificialità delle reti e delle piattaforme – uno spazio per la carne, il sangue e ovviamente l’anima”.
“Arte, letteratura, pensiero, attività sportiva all’aperto a riempire il vuoto di quartieri altrimenti abbandonati allo spaccio di droga o al degrado dell’abusivismo – dichiara l’assessore regionale alle Politiche sociali Maurizio Marrone -. Dove si allestisce un confronto pubblico su temi di attualità come le guerre in corso, oppure un ring per insegnare arti marziali, non nascerà una piazza di spaccio e a Torino, nessuno più di “Giovani Adulti”, porta nomi straordinari del giornalismo, della musica e dello spettacolo a contatto diretto con i giovani delle periferie”.
La periferia scelta quest’anno
Per sua seconda edizione GiovaniAdulti, dopo aver toccato nel 2023 Barriera di Milano, Parco Dora e Parco Colonnetti, si concentrerà nel cuore Torino sud, presso Cascina Giajone, lo storico edificio nel cuore di Mirafiori Nord. Uno spazio, aperto alla cittadinanza, che ospiterà durante i tre giorni del festival, incontri culturali ma anche aree musica e street food.
Le attività
GiovaniAdulti sarà un festival gratuito, aperto al pubblico e alle scuole, capace di proporre una ricca varietà di attività dalle ore 9:00 alle ore 22:00. Il programma comprende laboratori di illustrazione, podcast, Dj, fumetto, attività sportive come scherma medievale, autodifesa, kung fu e danza. Tra i protagonisti dell’evento vi saranno anche OPES Italia, l’Ente di Promozione Sportiva riconosciuto dal CONI e la Consulta delle Persone in Difficoltà (CPD), che offrirà un contributo fondamentale con la sua “Cittadella delle disabilità”. Attraverso i laboratori “Space Ability”, “Memory”, “(Non) senti chi parla” e percorsi esperienziali, i partecipanti potranno esplorare temi legati all’inclusività. Durante il festival saranno inoltre presenti un’area dedicata ai libri, una zona street food e un DJ set.
Gli incontri
Nei tre giorni del festival, si alterneranno sul palco scrittori, giornalisti, comici, volti televisivi, conduttori radiofonici, musicisti, filosofi, reporter, autori televisivi e intellettuali.
Mercoledì 25 settembre, il Presidente dell’Associazione Nazionale Incursori dell’Esercito, Renato Daretti, noto per la sua partecipazione al docu-reality RAI “La Caserma”, aprirà gli incontri con “La guerra spiegata ai ragazzi.” A seguire “Maschi contro femmine” con Massimiliano Pappalardo, “Scuola di cavalleria”, e “Anima e corpo” con Don Ambrogio Mazzai, sacerdote e influencer molto seguito sui social, con oltre 370mila follower su TikTok. La giornata si concluderà con “Il corpo della Nazione”, con Maurizio Belpietro, direttore de La Verità, e Francesco Giubilei, editore e opinionista.
Giovedì 26 settembre, Nicolas Marzolino, responsabile per il Piemonte e Consigliere Nazionale dell’Associazione Vittime Civili di Guerrae il reporter di guerra Daniele Dell’Orco porteranno sul palco l’incontro “La guerra spiegata ai ragazzi”. A seguire, “Maschi contro femmine”, “Scuola di cavalleria” e “Il corpo della Santa”, con Ippolita Baldini, attrice e comica di Zelig, che offrirà una vivace interpretazione della vita di Santa Chiara. La giornata terminerà con Dino Giarrusso, ex Iena e politico italiano, affiancato da Fabio Dragoni e Giulio Cavalli nell’incontro “Il corpo della Nazione”
Venerdì 27 settembre, il reporter di guerra Gian Micalessin racconterà “La guerra spiegata ai ragazzi”, a seguire “Maschi contro femmine”, “Scuola di cavalleria” e l’atteso ritorno di Moni Ovadia con “Il corpo del golem”.
Il festival si concluderà con due momenti imperdibili: “Il corpo della musica”, con Beatrice Venezi, direttore d’orchestra tra i più influenti della sua generazione, e “Il corpo della lingua”, con il conduttore radiofonico de “La Zanzara” Giuseppe Cruciani.
Con la partecipazione di: Regione Piemonte, Circoscrizione 2 di Torino, La Consulta delle Persone in Difficoltà – CPD, OPES Italia e Libreria Internazionale Luxemburg.

Buon compleanno Sivit: 50 anni di storia ed eccellenza torinese

Dal 1974 a Torino Sivit ricerca, sviluppo, produce e commercializza di pavimenti in resina e li esporta in tutto il mondo e festeggia con dipendenti e visitatori, e un murales dell’artista Orma il viandante”.

 

“Io sono arrivato dal Veneto per lavorare a Torino. Ho fatto sempre l’operaio e il lavoro me lo passava Luigi Parola. Io e lui ci chiudevamo in una stanzetta, quando eravamo in Via Botticelli e facevamo esperimenti sui materiali, per esempio le pianelle per pavimento con i fagioli. A un certo punto, l’azienda ha ospitato anche una radio con cui ho collaborato, radio Sivit. Ho viaggiato con i fratelli Parola, Luigi e Giovanni, e ho anche guadagnato bene.” Severino ha 89 anni e non è un semplice invitato alla festa di compleanno della Sivit, azienda che produce resine dal 1974. Severino qui è uno di casa, fa ormai parte di una famiglia che vede ormai la terza generazione portare avanti con passione il lavoro dei nonni.

La storia della Sivit è quella dei due fratelli Luigi e Giovanni Parola che iniziano la loro avventura per rispondere ad una necessità particolare: il riutilizzo di vernici pregiate, scarti dell’industria automotive. Da questo punto di partenza, Sivit (Società Italiana Vernici Impermeabilizzanti Torino) ha poi trovato la sua strada nel campo delle resine per pavimenti, settore che, dopo un primo periodo pionieristico, oggi è pienamente consolidato e in crescita. Tuttavia, così come accade oggi in altri ambiti, non è semplice trovare addetti qualificati e per questo è sempre più necessaria e strategica la continua formazione e collaborazione con le università.

“Quando è nata l’azienda, cinquant’anni fa, mio padre Luigi si è affacciato a un settore nuovo, che a quei tempi stava muovendo i primi passi – racconta Maurizio Parola, oggi titolare della storica azienda torinese –. Mio papà lavorava nei cantieri, si occupava di coibentazioni ed era abituato a risolvere problemi. Armando Monte, ingegnere della Fiat e professore al Politecnico di Torino, riconoscendo questa sua qualità gli sottoponeva spesso richieste in tal senso e un giorno chiese una consulenza più difficile del solito. In Iveco venivano utilizzate molte vernici di pregio, resistenti e di altissima qualità, ma lavorandole si producevano molti scarti che dovevano essere smaltiti. Mentre mio padre cercava una soluzione al problema dell’ingegner Monte, capì che quell’esperienza avrebbe portato lontano e per questo – conclude Parolapossiamo dire che Sivit è nata, quasi per caso, da una fortunata intuizione”.

L’idea imprenditoriale di Sivit e la visione del suo fondatore Luigi Parola sono partite dalla volontà di creare un’azienda in grado di rispondere alle esigenze di mercati in crescita, come l’industria automotive e non solo. Non è un caso che Sivit sia sorta proprio di fronte al sito torinese di Iveco, a nord di Torino, dove continuano a convivere ricerca e produzione. Le parole chiave sono le stesse degli inizi, negli anni Settanta: sostenibilità, nella lavorazione e nei prodotti finali, crescita, di fette di mercato e dipendenti, e qualità,dalle materie prime al servizio.

All’inizio i pavimenti in resina non erano molto richiesti e le prime applicazioni riguardavano soprattutto interventi di manutenzione. Oltre ai settori meccanico e automotiveci sono stati altri ambiti, come ad esempio l’alimentare e il farmaceutico, che hanno iniziato a scegliere la resina per pavimentare interi reparti, comprendendone in pieno le caratteristiche. Fino a quel momento e a seconda delle applicazioni, per le pavimentazioni si utilizzavano principalmente piastrelle, blocchetti in legno, pavimenti corazzati, ghisa e asfalto. Si trattava di materiali non facilmente pulibili, come lo è invece la resina grazie a una superficie continua, priva di interruzioni e giunti. Da qui il successo che ormai copre ogni settore, compreso il civile. Oggi la ricerca all’interno dei laboratori dell’azienda è in costante sviluppo e in grado di sperimentare, realizzare e commercializzare prodotti sempre più performanti, grazie a intuizioni come l’applicazione delle nanotecnologie, sostenibili (a base acquosa e solven free) e di design.

Oggi Sivit è una realtà presente in 40 paesi ma che mantiene il proprio cuore pulsante a Torino, sede dell’azienda e dei laboratori di ricerca, sviluppo e produzione. Per festeggiare i suoi 50 anni, si è regalata un bellissimo murales di Orma il viandante raffigurante una scena naturalistica a tema sostenibilità sulla facciata d’ingresso della sede di via Centallo 57 a Torino.

“Quella dei pavimenti in resina è senza dubbio una nicchia ma in costante crescita, che offre buone opportunità a livello occupazionale – commenta Enzo Parietti, presidente dell’Ente Nazionale Conpaviper (Associazione Italiana Sottofondi, Massetti e Pavimentazioni e Rivestimenti Continui) –. Proprio quest’estate abbiamostrutturato la prima edizione di un corso per la qualifica dei formatori settori resine, attraverso il quale i soggetti saranno abilitati a fare formazione per la qualifica degli applicatori e dei capisquadra ai sensi della norma UNI 11835”.

E prosegue: “L’indagine condotta da Conpaviper su 50 aziende del settore delle resine offre un quadro chiaro della crescita del comparto. Il 40% delle aziende intervistate ha un fatturato superiore ai 2 milioni di euro, con un valore medio di 2 milioni di euro. La più piccola fatturava 65.000 euro nel 2018, mentre la più grande raggiungeva i 9,3 milioni di euro”.

Dal 2018, il fatturato complessivo del campione è cresciuto del 40%. Il 2020 ha visto una flessione del 13,4% rispetto al 2018 a causa della pandemia, ma il settore ha recuperato rapidamente nel 2021, registrando un +13,7% sullo stesso anno. La crescita è proseguita nel 2023, con un aumento del 12,6% rispetto al 2022.

Le microaziende (fatturato sotto 1 milione di euro nel 2018) sono cresciute del 160,6% sul 2018, mentre nell’ultimo anno hanno segnato un +12,7%. Le aziende più grandi (oltre 2 milioni di euro nel 2018) hanno registrato una crescita più moderata, con +26,8% rispetto al 2018 e +12,7% nell’ultimo anno. Tuttavia, il 18% delle aziende ha subito un calo di fatturato dal 2018, e nel 2023 il 33% ha registrato una flessione rispetto all’anno precedente.

Oggi, l’organico conta 45 persone, compresi 6 degli 8 nipoti di Luigi Parola, ed è cresciuto in maniera continua nel tempo grazie a un buon connubio di dipendenti storici e fidelizzati che affiancano nuove leve giovani.“Non è facile trovare personale qualificato e specializzato – conclude Maurizio Parola e in futuro diventerà sempre più difficile individuare in particolare i posatori di resine, mestiere che richiede specializzazione, costante aggiornamento e buona manualità; per questo motivo corsi abilitanti come quello di Conpaviper si rivelano molto importanti così come la collaborazione con le Università; ad esempio qualcosa di positivo si sta muovendo nell’Università di Torino grazie al dipartimento di Chimica, fortemente orientato verso lo sviluppo di prodotti green, un segnale importante per un settore che vuole continuare a vincere le sfide, proprio come noi cerchiamo di fare ogni giorno, da 50 anni”.

Partendo dagli esperimenti con i fagioli, Sivit racconta una storia fatta di artigiani e visionari, di famiglia e di rapporti di amicizia, confermando una vocazione tutta torinese caratterizzata dall’innovazione. Non resta che augurare a Sivit moltissimi di questi compleanni.

Lori Barozzino

Piazza San Carlo, le motivazioni della sentenza: “Appendino sottovalutò i rischi”

Le motivazioni della sentenza con cui la Cassazione ha confermato la responsabilità penale dell’ex sindaca di Torino, Chiara Appendino, per i fatti drammatici di Piazza San Carlo del 2017  affermano che la prima cittadina di allora “non si è limitata a ideare la proiezione della partita di calcio ma ha dato impulso alle scelte riguardanti il luogo di svolgimento e l’ente deputato ad organizzare la manifestazione, senza preoccuparsi di valutare la sostenibilità in termini di sicurezza di tali scelte”. Secondo i giudici “Appendino ha mancato negligentemente di adottare la cosiddetta ‘ordinanza antivetro’. Circostanza che ricade nella fase organizzativa dell’evento, con innegabili conseguenze sulla sicurezza della manifestazione”. Sono le motivazioni  della sentenza con cui lo scorso 17 giugno i giudici hanno disposto un nuovo processo di appello nei confronti di Appendino per ricalcolare la pena. L’ex sindaca era stata condannata a 18 mesi. I supremi giudici avevano dichiarato irrevocabile la responsabilità penale per Appendino e Paolo Giordana, l’ ex capo di gabinetto del comune di Torino.

Presente e futuro del Motovelodromo di Torino

Da tempio della velocità e dell’atletismo a polo sportivo all’avanguardia e luogo di rigenerazione urbana, sport e benessere.

Costruito nel 1920, il Motovelodromo Torino “Fausto Coppi” ha ospitato 60 anni di storia torinese e sportiva prima di venire abbandonato e ritrovare solo dal 2021 la sua vocazione sportiva ad impatto sociale. Il progetto di implementazione – a cura della benefit company Sport4Good che ha acquisito dalla Città di Torino il diritto di superficie per 60 anni, a partire dal 4 luglio 2021 – è attualmente in corso e interessa l’intero complesso sportivo che si estende su oltre 24mila metri quadrati con una visione polisportiva 4.0, inclusiva e smart, nel rispetto dei canoni storici caratterizzanti l’immobile e della sua vocazione ciclistica.

Dopo aver raggiunto i primi obiettivi di riqualificazione e rifunzionalizzazione, la ristrutturazione sarà completata secondo gli stessi principi adottati fino ad ora che uniscono innovazione e rispetto per la storia. Il futuro del Motovelodromo, quindi, vedrà la realizzazione di due strutture all’avanguardia integrate nelle iconiche, ma decadenti, Tribune Nord e Sud. La Tribuna Nord, affacciata su corso Casale, diventerà un centro fitness dotato di attrezzature di ultima generazione. Dall’altra parte, la storica Tribuna Sud e l’ex Sala Stampa, situate lungo via Lomellina, si trasformeranno in un centro diagnostico dedicato alla medicina dello sport e alla fisioterapia con una piscina riabilitativa per la fisioterapia in acqua e palestre specializzate per la riabilitazione.

Per l’avvio e la realizzazione dei lavori di completamento dell’intervento sono state presentate le necessarie richieste agli enti competenti, in particolare alla Città di Torino e alla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la Città metropolitana di Torino, sono stati coinvolti stakeholder locali per lo sviluppo e la sostenibilità degli interventi, dialogando in particolare anche con la Città metropolitana di Torino, Compagnia di San Paolo e le istituzioni bancarie. L’obiettivo è l’avvio dei lavori entro la fine dell’autunno 2024 e l’ultimazione entro la fine del 2025.

Oggi sono stati presentati i lavori e, con il sostegno dei “Centri Logopedici dell’età evolutiva metodo MAMA”, sono state donate 10 city bike a Casa UGI, l’associazione torinese che accoglie e supporta bambini e adolescenti affetti da tumore e le loro famiglie. Un gesto di solidarietà a seguito del recente furto subìto dalla struttura di biciclette, fondamentali per i genitori dei piccoli pazienti per spostarsi in città e raggiungere gli ospedali.

Alla presentazione era presente l’assessore allo Sport Domenico Carretta che ha commentato: “Il Motovelodromo è esempio di rigenerazione urbana che funziona e che ha saputo restituire alla cittadinanza spazi e occasioni nuove per fare sport. Il sogno messo in campo in questo luogo genera altri sogni e sostiene realtà importanti come Casa Ugi, a cui oggi sono state donate biciclette per le famiglie dei bambini presi in carico. Il Motovelodromo è luogo che siamo certi continuerà a stimolare aggregazione sociale e occasioni per stare insieme, offrendo sempre spunti diversi. L’ aspetto polivalente del motovelodromo è il suo più grande punto di forza, uno spazio che la Città è orgogliosa di affiancare nelle sue tante iniziative”.

Oggi il Motovelodromo ha 8 campi padel, 4 campi da beach volley e beach tennis, un Bike Cave con simulatori di bici indoor, un Pump Track, una piscina di 25 metri outdoor con aree solarium e chiringuito, oltre alla riqualificata storica pista ciclistica di 400 metri, l’unica in città, e all’anello di atletica. L’impegno è anche quello di eliminare le barriere all’accesso allo sport, lavorando per garantire che nessuno sia escluso. Grazie a specifici interventi architettonici e programmi dedicati, la struttura offre supporto a persone con disabilità creando spazi inclusivi dove ogni individuo può praticare sport in un ambiente accogliente e privo di ostacoli. La Città di Torino e la Regione Piemonte hanno contribuito all’acquisto di quattro sedie a rotelle attrezzate per il padel che sono sempre a disposizione delle persone con disabilità.
Le Borse di Sport, infine, in avvio da questo settembre 2024, mirano a integrare l’attività fisica nella vita quotidiana extrascolastica di chi non ne ha la possibilità, offrendo corsi gratuiti per dare l’opportunità a tutti di partecipare e contribuendo a scoprire nuovi talenti.

TORINO CLICK

Fondazione Amendola, le iniziative culturali

Diverse novità contraddistinguono questa fine estate inizio autunno della Fondazione Amendola.

Giovedì 19 settembre, alle 10.30 , nella sede di via Tollegno 52 a Torino, inaugurerà la mappatura 3D del Telero “Lucania 61”, monumentale opera pittorica di Carlo Levi, che sarà accessibile e fruibile anche alle persone non vedenti e ipovedenti. Saranno presenti la vicesindaco della Città di Torino Michela Favaro, i professori Virginio Cantoni, Giovanni Caserta e Pino Mantovani, e i rappresentanti dell’Associazione Nazionale Privi della Vista e Ipovedenti e della UICI, Unione italiana ciechi e ipovedenti sezione di Torino.

Nell’ambito del progetto ‘Fiumi di culture. Affluenze-influenze- Confluenze’, rivolto a promuovere il dialogo interculturale con le comunità asiatiche e nord africane di Torino venerdì 20 settembre alle ore 18 si terrà l’evento inaugurale dal titolo “Fiumi diversi. Fiumi di versi”, nel cortile del Polo del Novecento in piazzetta Antonicelli; sabato 21 settembre alle ore 19 momenti di musica, danza e gastronomia mediorientali e orientali con “Estemporanea”, presso la Bocciofila Vanchiglietta Rami Secchi, in lungo Dora Pietro Colletta 39/A.

Martedì 24 settembre, alle 18, spettacolo di canti “La storia della via Baul” presso il MAO, Museo di Arte Orientale, in via San Domenico 11.

Il progetto “Fiumi di culture. Affluenze, influenze, confluenze” promuove il dialogo interculturale nella città di Torino, con le comunità asiatiche e nordafricane di nuovi residenti, attraverso il riconoscimento e la valorizzazione del patrimonio multiculturale, con un approccio partecipativo da parte della cittadinanza.

L’iniziativa progettuale prevede le seguenti attività: mappatura delle organizzazioni formali e informali delle comunità asiatiche e nord africane di nuovi residenti a Torino e coinvolgimento dei loro referenti in tavoli di programmazione di attività culturali; organizzazione di iniziative culturali per favorire la conoscenza reciproca dei saperi, tradizioni, rituali e specificità culturali delle comunità coinvolte. Infine percorso di rafforzamento delle competenze per le organizzazioni di comunità e i gruppi informali di giovani di seconde e terze generazioni.

Fiumi di culture-Affluenze- Influenze- Confluenze è il progetto vincitore dell’avviso pubblico “Torino che cultura” finanziato con fondi PN Metro Plus e Città Medie Sud 2021/2027 sostegno all’economia urbana nel settore della cultura e ha come capofila Vol.To ETS Centro Servizi per il Volontariato, in collaborazione con i partner Associazione Mio MAO, Fondazione Salvemini, Bocciofila Vanchiglietta Rami Secchi, Fondazione Giorgio Amendola e associazione culturale Vera Nocentini.

L’evento inaugurale di venerdì 20 settembre “ Fiumi diversi. Fiumi di versi” , ospitato nel cortile del Polo del ‘900, è l’occasione per la presentazione del partenariato e delle azioni di progetto, ma anche per una performance poetica e musicale collettiva, animata dal gruppo Marmellata Jam, che unisce note e linguaggi confluiti da ogni parte del mondo. È previsto un rinfresco.

Sabato 21 settembre alle 19 presso la Bocciofila Vanchiglietta Rami Secchi si terrà Estemporanea, un’esperienza immersiva nelle culture orientali e mediorientali attraverso la musica, la danza e la gastronomia. Il progetto musicale è a cura di Saharaswati music.

Martedì 24 settembre alle ore 18 presso il MAO, Museo di Arte Orientale, si terrà uno spettacolo con protagonista Parvathy Baul, custode, interprete e insegnante della tradizione Baul del Bengala, i cui canti sono riconosciuti dall’Unesco come “capolavori del patrimonio orale e immateriale dell’umanità. Parvathy presenterà il percorso Baul accompagnato da immagini proiettate e canti dal vivo.

 

Mara Martellotta

Il cuore di legno degli ippocastani di Primo Levi

 

“Il mio vicino di casa è robusto. E’ un ippocastano di Corso Re Umberto; ha la mia età ma non la dimostra. Alberga passeri e merli, e non ha vergogna, in aprile, di spingere gemme e foglie, fiori fragili a maggio; a settembre ricci dalle spine innocue con dentro lucide castagne tanniche.. Non vive bene. Gli calpestano le radici i tram numero otto e diciannove ogni cinque minuti; ne rimane intronato e cresce storto, come se volesse andarsene.. Anno per anno, succhia lenti veleni dal sottosuolo saturo di metano, è abbeverato d’orina di cani. Le rughe del suo sughero sono intasate dalla polvere settica dei viali; sotto la scorza pendono crisalidi morte, che non diventeranno mai farfalle. Eppure, nel suo torpido cuore di legno sente e gode il tornare delle stagioni”. Sono alcuni brani della poesia intitolata Cuore di legno che Primo Levi dedicò nel 1980 agli alberi che ombreggiavano la casa dove visse sempre, dal giorno della nascita – nel luglio del 1919 – a quel tragico 11 aprile del 1987 in cui decise di togliersi la vita. Per sessantasette anni visse nel palazzo torinese al civico 75 di corso Re Umberto. L’unico periodo in cui fu costretto a lasciare la sua dimora – tra il 1942 e l’ottobre del 1945 – lo  raccontò nei suoi libri. Un tempo duro e drammatico scandito dal periodo trascorso lavorando a Milano in una fabbrica di medicinali, dai pochi mesi vissuti da partigiano in Val d’Aosta, dall’arresto il 13 dicembre 1943, la deportazione nel campo di concentramento di Fossoli, vicino a Carpi, gli undici mesi nel lager di Auschwitz e gli altri nove passati sulla via del ritorno verso casa. Una sua biografia si apre con la descrizione di questo luogo, “uno degli ampi viali che tagliano a scacchi l’elegante quartiere della Crocetta.. i pesanti portoni dei palazzi dalle facciate austere..in mezzo alla folta vegetazione di ippocastani, i tram scivolano sui binari presi d’assalto dalle erbacce”. Un modo semplice per elevare un forte grido d’allarme per l’ambiente urbano, con la stessa coscienza civile che era propria di Levi quando scriveva per tutti perché desiderava che tutti comprendessero l’importanza della memoria e del rispetto. Per gli uomini, e anche per la natura.

Marco Travaglini

Fiere del tartufo, una rete per il turismo e l’economia

Presentato al Grattacielo l’evento che riunisce cinque comuni dell’Astigiano e Alessandrino. L’assessore Gallo: “Fare sistema è la strada giusta per crescere”

Il basso Monferrato si trasforma in un circuito per gourmet nel segno del tartufo bianco. Cinque comuni – tutti sede di fiere nazionali del tartufo – si sono messi in rete sotto l’egida del Gal Basso Monferrato Astigiano e con il patrocinio e il sostegno della Regione Piemonte, per offrire a turisti e buongustai due mesi di appuntamenti dove l’enogastronomia si mescola con l’arte, la musica, la cultura.

I sindaci di Montiglio, Moncalvo, Montechiaro, San Damiano e Murisengo sono convinti che il “Circuito delle Fiere nazionali del tartufo bianco del Monferrato” sia la strada giusta per crescere ancora. E lo confermano i numeri illustrati durante la presentazione dell’evento al grattacielo della Regione Piemonte, a Torino, che consolidano il trend di crescita del Monferrato. E il suo momento d’oro.

L’assessore regionale allo Sviluppo e promozione della montagna, biodiversità e tartuficoltura Marco Gallo ha sottolineato l’importanza del gioco di squadra: «Unire gli sforzi, fare sistema è la strada giusta per migliorare i già buoni risultati che il Monferrato ha saputo ottenere costruendo una stagione evento attorno al tartufo, un prodotto simbolo di tutto il Piemonte che la Regione intende sempre di più valorizzare contribuendo anche a una destagionalizzazione. E in questa nuova sfida sarà più che mai deciso il contributo dei comuni, per dar forma a nuovi appuntamenti attorno ai quali far crescere l’attenzione dei turisti e in primis dei gourmet. La Regione è pronta a fare la sua parte sia con le risorse per valorizzare il tartufo e il sistema fiera, stabili attorno ai 200 mila euro l’anno, sia con la promozione attraverso VisitPiemonte».

L’assessore regionale all’Autonomia, Logistica ed Enti Locali Enrico Bussalino si è detto «fermamente convinto che il rilancio e la valorizzazione dei nostri territori debbano partire dai piccoli comuni, veri custodi di tradizioni, culture e identità uniche. Questi luoghi rappresentano il cuore pulsante della nostra regione, ed è nostro dovere sostenere il loro sviluppo. Attraverso una collaborazione stretta e continua tra istituzioni locali e regionali, possiamo costruire reti solide che valorizzino le eccellenze locali. Iniziative come quella del Circuito delle Fiere Nazionali del Tartufo Bianco del Monferrato Astigiano dimostrano quanto sia efficace fare sistema per promuovere il territorio».

L’assessore regionale a Cultura, Sport e Turismo Marina Chiarelli dice: La politica regionale è di investire su eventi che generano due dividendi: uno culturale e uno economico. Due gambe su cui camminano i progetti sostenibili capaci di fare scuola anche a livello nazionale e internazionale. Le eccellenze gastronomiche, come il tartufo bianco, e quelle enologiche, come i vini delle nostre colline, ci insegnano che insieme possiamo trasformare le nostre unicità in grandi opportunità di sviluppo economico, turistico e culturale».

Anche Mario Sacco, presidente del Gal Basso Monferrato Astigiano, sottolinea l’importanza della strategia all’origine del progetto: «Con la sottoscrizione della convenzione i cinque comuni sedi di Fiere nazionali si sono prefissati di mettersi in rete per consolidare l’offerta legata al tartufo, concorrendo a trasformare l’appuntamento autunnale in un evento diffuso, che tenga alta l’attenzione sul territorio nei due mesi clou della raccolta. E’ la scelta giusta per aumentare l’appeal delle nostre terre» mentre Mariano Rabino, presidente dell’Atl Langhe, Monferrato e Roero punta a un’ulteriore salto di qualità alzando l’asticella: «Dobbiamo collaborare al rialzo, favorire la coopetion che unisce due diverse strategie, ma efficaci se unite: la competizione e la cooperazione. Per questo immagino una sfida tra comuni a chi fa la fiera più bella all’interno di un’offerta di territorio. Perché la concorrenza fa sempre bene, aiuta ad alzare il livello qualitativo. E questo aumenterà anche l’attrazione delle colline Unesco dove il Monferrato, partito dopo, sta correndo, primeggiando nei numeri sia per arrivi sia per presenze».

Il “Circuito del Monferrato” parte da Montiglio, il paese dei castelli, delle pievi e delle meridiane, con un doppio appuntamento: le domeniche 6 e 13 ottobre. E per l’occasione organizza “Le littorine del Tartufo”: da Torino, Santhià, Biella, Asti, Chivasso e Cavagnolo sarà possibile raggiungere il paese a bordo degli storici autobus su rotaia. «Il progetto LocoMonferrato rappresenta all’interno della storica fiera un sicuro valore aggiunto in termini di appeal, motivazione di visita e sostenibilità» dice il sindaco Dimitri Tasso.

Seconda tappa a Moncalvo che festeggia le settanta edizioni della Fiera – anche se documenti del Comune fanno risalire le prime compravendite di tartufi a tre secoli e mezzo fa – aggiungendo un giorno al programma delle due domeniche di fine ottobre (20 e 27): il 26 ottobre, subito ribattezzato “il sabato del villaggio”. «Un regalo quello di allungare di un giorno l’evento che ci siamo fatti per festeggiare l’importante traguardo che ci qualifica come fiera più longeva del territorio – dice il sindaco Diego Musumeci-. Ci auguriamo sia condiviso da tutti gli appassionati di tartufi».

La prima domenica di novembre il “Circuito” approda a Montechiaro d’Asti con l’evento concentrato in un’unica giornata secondo un mix che mette insieme corteo storico e sketch comici, musica e altro ancora in una formula rinnovata spiega il sindaco Maurizio Marcanzin, che sottolinea come «vincente la definizione di un circuito che inglobi e metta in rete le cinque fiere del tartufo, per un’offerta che copre tutta la stagione del bianco, da ottobre a gennaio».

Quarta tappa – sempre nel primo weekend di novembre – a San Damiano d’Asti dove nei due giorni della Fiera spicca il “bosco in piazza”: fedele ricostruzione di un’area boschiva nel centro città dove vengono organizzati turni di cerca simulata del tartufo, per la gioia dei turisti.

«L’ingresso nel Circuito – sottolinea il sindaco Davide Migliasso – è per noi un onore e un onere, per un impegno crescente, indirizzato a valorizzare la bellezza e l’identità del grande patrimonio ambientale, culturale e paesaggistico che disegna queste terre». Il Circuito si chiude a Murisengo che nelle domeniche 10 e 17 novembre celebra la sua definizione di “Terra del tartufo” con la formula dell’«essenziale di qualità».

A cominciare dalla selezione rigorosa dei tartufi a cura del Centro nazionale studi di Alba. E poi la tartufaia didattica per saperne di più sul Tuber magnatum pico. «Arricchiamo l’offerta in preparazione dell’edizione 2025 che si fregerà della qualifica di fiera internazionale del tartufo bianco – dice il sindaco Giovanni Baroero –e dell’esordio a giugno della prima fiera nazionale del tartufo nero, per valorizzare i tesori delle nostre terre».