MOSTRE, SPETTACOLI E DISCUSSIONI SULLA VIOLENZA DI GENERE AL CAP10100 “Postura in quanto è necessaria un’azione attiva da parte delle donne, che si pongano protagoniste decisionali delle loro vite; consenso perché bisogna necessariamente porsi all’interno di un contesto e in tale terreno far valere le proprie volontà”
Dal 24 al 26 settembre, l’emergente co-direttore artistico e organizzatore di eventi Luca Pellegrinelli ha istituito al Cap10100 (corso Moncalieri 18) il suo primo festival tutto al femminile: una rassegna in cui discutere su temi vivi e ancora troppo incombenti e insoluti quali violenza di genere, discriminazione di genere, differenze di genere, oltre a offrire la concreta occasione di dare voce a chi sta combattendo una lotta senza armi, ma con il solo mezzo della libera espressione, propria dell’arte. Donne di qualsiasi età, partecipi ognuna del proprio momento storico, esibiranno in un susseguirsi di eventi i loro prodotti artistici: mostre fotografiche del femminismo oggi (fotografa Isabel Rodriguez) e dei primi movimenti femministi (Liliana Branchesi), spettacoli teatrali, mercatini di poesia e oggettistica femminile, concerti live, conferenze con associazioni del territorio (tra cui Archivio delle Donne in Piemonte e Dueditanelcuore), rapsodie di versi, lettere private e interviste.
Luogo di sensibilizzazione e spazio d’arte, centro culturale sulle rive del fiume Po, l’intento è di creare una sinergia, un nuovo flusso di coscienza generazionale che possa apportare un reale cambiamento in questo mondo pieno di ferite.
Questa sera, giovedì 24 settembre, il gruppo filosofico torinese Rifrazioni, accompagnato da un gruppo orchestrale, proporrà al pubblico un evento simpodiale, in cui poter dibattere, in un colloquio simmetrico e orizzontale, sulle tematiche proprie del movimento femminista.
L’ingresso è gratuito, preferibilmente su prenotazione.
Venerdì 25 settembre, associazioni e personalità del territorio, quali Centro Studi e documentazione del pensiero femminile, l’Influencer Due dita nel cuore e Valentina Gallo, direttrice del Cap10100, convoglieranno il dibattito sul tema in una conferenza.
Alle 21.00 andrà in scena Clitemnestra o del crimine, monologo a cura di Viren Beltramo della compagnia GenoveseBeltramo, uno spettacolo di denuncia esplicita e cruda.
Sabato 26 settembre, la giornata tramonterà il suo sole nel culmine del Festival: a concludere l’evento sarà Decomposizioni, una rapsodia di versi, lettere private e interviste, tratte da produzioni e biografie di Anna Sexton, Alda Merini e Maria Fuxa. Tre poetesse che hanno vissuto la realtà ospedaliera psichiatrica, le loro parole restituiranno alle nuove generazioni la storia di molte donne, vissute o in seno all’amore di nuove donne.
Per informazioni e prenotazioni, consultare il seguente link: https://www.facebook.com/events/312304949872801
Tutti gli spazi saranno gestiti secondo la norma Covid-19.
Alessia Savoini

Basterebbero la scrittura cinematografica di My beautiful laundrette (1985), con l’applaudita colonna sonora di David Bowie, e di Sammy e Rosie vanno a letto (tre anni dopo), entrambi affidati alla regia di Stephen Frears o l’eco del romanzo Il Budda delle periferie per dire del suo successo. Grazie al felice rapporto che lo lega a Monica Capuani, che ne curerà la traduzione, ha affidato la prima mondiale della sua opera più recente, The spank, allo Stabile (debutto 8 dicembre al Carignano), interpreti Valerio Binasco e Filippo Dini, quest’ultimo anche in veste di regista. La storia di Sonny, dentista, e Vargas, farmacista, figli di immigrati, il raggiungimento di un successo professionale, la loro lunga amicizia fatta di confidenze e conversazioni, di chiacchiere al pub tra una birra e l’altra: poi un giorno qualcosa si incrina, si guasta, un insignificante incidente, un litigio per una donna e tra umorismo e piccoli drammi nulla sarà più come prima. Dice Kureishi: “Non mi interessa sentire degli attori recitare in una lingua che non è quella in cui io ho scritto il testo, mi interessano al contrario le reazioni di un pubblico nuovo, soltanto quando un’opera è recitata io la considero veramente completa”.
Una prima parte di stagione che poggia con sicurezza anche sulle ventimila presenze raccolte in estate grazie alle iniziative di “Summer Plays” (organizzata con la Fondazione Tpe) e Blu Oltremare (presenze soprattutto di abbonati che hanno tra l’altro rinunciato al rimborso per gli spettacoli saltati, costruendo così un quantum che ha permesso allo Stabile di stabilire un bilancio in pareggio) e che vede 163 alzate di sipario, con 32 titoli programmati di cui 9 produzioni (3 nuove produzioni esecutive, 3 nuove coproduzioni e 3 riprese, con 10 spettacoli ospiti, per la riapertura in tutta sicurezza, con presenze ridotte, di Carignano, Gobetti e Fonderie Limone. The spank è uno di quei titoli chiamati a formare un calendario definito “Diversamente classico”, una rivisitazione dei classici alla luce della drammaturgia contemporanea. Uno sguardo che si riversa ancor maggiormente in apertura di stagione (5 ottobre, ancora al Carignano) quando finalmente Binasco, portate a termine le prove che oggi fervono alle Fonderie di Moncalieri (“in questi giorni abbiamo un maestro guida, Elia Kazan”, confessa il regista e interprete mentre si chiede ancora: “perché per quest’opera non potremmo parlare di “diversamente contemporaneo”?) e che erano state interrotte con l’arrivo del lockdown, potrà debuttare con Uno sguardo dal ponte di Arthur Miller, un classico sapore di tragedia greca trasposto tra gli immigrati irregolari nella Brooklyn di metà anni Cinquanta, un dramma familiare soffocato “tra i confini insopportabilmente ristretti della famiglia”. Altri interpreti Vanessa Scalera (eccezionale procuratore Imma Tataranni in tivù), Deniz Özdogan, Dario e Emmanuele Aita. Altro debutto cancellato nei mesi scorsi che vede finalmente la luce è quello di La casa di Bernarda Alba di Federico Garcìa Lorca, interpretazioni tutte al femminile (tra le altre, Orietta Notari, Francesca Mazza e Francesca Bracchino), la regia è affidata al giovane (trentaduenne) ma già affermato Leonardo Lidi, cresciuto alla scuola dello Stabile, un testo di chiusura ma anche di ricerca spasmodica di
libertà e felicità, “una tragedia in cui si scontrano il conflitto tra morale autoritaria e desiderio di libertà, dominata dalla figura della madre-padrona del titolo”.
I fratelli Gianluca e Massimiliano De Serio hanno iniziato il tour nei cinema italiani della loro ultima opera Spaccapietre. Il film, accolto con calore pochi giorni fa al Festival del Cinema di Venezia in concorso alle “Giornate degli Autori”, è stato presentato in anteprima mercoledì scorso ai Due Giardini e al Cinema Massimo.
È una storia archetipica, quella di un padre e di un figlio che scendono nelle viscere dell’inferno, insieme ad altri malcapitati, e che cercano comunque un riscatto, segnali di umanità. Questa ricerca, necessaria per mantenere la lucidità e non perdere la speranza nella salvezza, è evidente negli oggetti scelti che si sono portati dietro dalla casa che hanno dovuto abbandonare. Il loro disporli nell’ambiente degradato della baracca come simboli che rimandano ad un’altra vita possibile, con una ritualità quasi liturgica, sembra un tentativo di rimettere insieme i pezzi di un mondo danneggiato, andato in frantumi. Nel sogno di Antò di diventare archeologo in fondo c’è la caparbietà di rintracciare tesori e bellezza sotto la crosta dura della vita, nonostante tutto, e la madre che il padre, contro ogni logica, gli ha promesso. E Antò ci crede, come solo i bambini possono fare. Addirittura è convinto che l’occhio del padre, danneggiato dal lavoro e che lui cura amorevolmente ogni sera, sia il segno di qualche super potere.
Il crescendo del film è giocato sulle allusioni a brutalità e umiliazioni inflitte dai caporali alle loro vittime, trattate come bestie al macello e in questo l’iconografia è molto esplicita. Ma si sa che le allusioni scatenano l’immaginazione più di quanto riesca a fare una realtà esibita e in questo caso spingono lo spettatore a confrontarsi con crudeltà così indicibili che mostrarle, sembrano volerci suggerire i registi, equivarrebbe a regalargli una ragion d’essere che non meritano. Il realismo qui è sapientemente mescolato con un certo noir alla Tarantino, che non vuole essere una vuota citazione fine a se stessa, ma è il tocco di chi il cinema non solo lo conosce, ma lo sa fare. E lo si capisce dal fatto che si esce dal cinema con un certo malessere fisico e tante domande nella testa.