CULTURA- Pagina 6

Il progetto della Palazzina di Caccia di Stupinigi è tra i 20 finalisti di Art Bonus 2024

Il progetto di ripristino e valorizzazione dei parterres antistanti la Palazzina di Caccia di Stupinigi, un perfetto connubio tra conservazione e rivalutazione nel rispetto della sostenibilità ambientale e della gestione manutentiva, è tra i 20 progetti finalisti al concorso Art Bonus 2024. Dopo aver superato la prima fase, con 1.229 voti, il progetto della Palazzina è entrato nella fase II, la finale a suon di likes: dalle ore 12 di lunedì 4 marzo alle 12 del 18 marzo sarà possibile votare sui canali social Facebook e Instagram di Art Bonus i 40 progetti finalisti (20 per ciascuna categoria: Beni e Luoghi della Cultura, Spettacolo dal Vivo) dell’ottava edizione del concorso. Al termine delle votazioni saranno sommati i voti della prima e della seconda fase per costruire la classifica finale.

Il progetto di valorizzazione dei parterres ha conservato il disegno storico-architettonico originale dell’atrio verde di ingresso alla Palazzina e perseguito la sostenibilità ambientale, in termini di ridotto o nullo utilizzo di fitofarmaci, risparmio idrico e mantenimento della biodiversità, e gestionale e manutentiva con un razionale impiego delle risorse umane e tecniche-operative.

 

IL PROGETTO

Il progetto di riqualificazione dei parterres si è diversificato in due zone.

Nel cortile d’onore, tra la Palazzina e la cancellata, è stato mantenuto il giardino formale di alta rappresentanza con la formazione di una nuova siepe di Ilex crenata invece di Buxus sempervirens. La scelta di Ilex crenata, anche noto come agrifoglio giapponese, è motivata soprattutto dall’attuale difficile gestione delle malattie del bosso, malattie per le quali, soprattutto per il patogeno fungino, non sono ancora disponibili efficaci e risolutive soluzioni. Inoltre, l’arbusto selezionato è molto simile al bosso e, per il momento, non soggetto a gravi fitopatologie.

Nella piccola esedra, tra il cancello d’onore e le citroniere, una zona ad alta fruizione pubblica, si è pensato di rimodulare la sobrietà dei parterresintroducendo qualche nota di colore così da far risaltare la loro forma e offrire al visitatore una maggiore percezione e sensibilità del giardino come ambiente aulico ma, anche, naturale ed ecologicamente sostenibile. Pertanto, in alcune aiuole sono state messe a dimora delle specie perenni erbacee tappezzanti, sempre di minima altezza, con fioriture scalari, quali Phlox spp., Verbena spp., Erigeron spp., Achillea e Lippia spp. Le piante tappezzanti hanno ridotte esigenze agronomiche e riescono a ricoprire il terreno formando un “cuscino” di notevole pregio ornamentale.

Il progetto è stato cofinanziato con Art Bonusdalla società di sviluppo immobiliare Vailog SEGRO, per un importo complessivo di 120mila euro, dei quali 80mila interamente finanziati.

Gli eventi dell’associazione “Il Cerchio e le Gocce”

L’associazione “Il Cerchio e le Gocce” per il fine settimana del 9 marzo 2024 presenta un doppio evento.
“PROSPETTIVE – Visioni sul paesaggio ” una collettiva artistica nello spazio Docks74 e la presentazione/festa per il lancio del libro illustrato  “Un Mondo da Salvare”.
“PROSPETTIVE – Visioni sul paesaggio ” Una collettiva artistica nello spazio Docks74 a Torino.
Quattro artisti “urbani”, Francesco Barbieri, Riccardo “Corn79” Lanfranco, Livio Ninni e Shekoone presentano i loro personali punti di vista e metodi di immaginare e raffigurare il paesaggio. Tecniche e approcci molto differenti; pittura, processi chimici di ossidazione, serigrafia, trasferimenti fotografici e scultura manipolano tele, ferro, legno e cemento alla scoperta della propria visione intima. Palazzi, capannoni, cascinali, tralicci, linee ferroviarie, spazi vivi e residuali ci rendono spettatori delle prospettive immaginate da questi quattro artisti di generazioni differenti. Una ricerca concettuale ed estetica profonda, strettamente legata allo spazio urbano.

“Un Mondo da Salvare” – Un Viaggio indimenticabile dentro il Cambiamento climatico

Un’avventura fantastica attende le ragazze e ragazzi delle Scuole Elementari e Medie, attraverso le pagine di un racconto che unisce fantasia e realtà per affrontare il tema del Cambiamento climatico. In questo mondo la bellezza e l’armonia sono minacciate dall’inquinamento e dall’indifferenza umana. Il volume prende vita grazie ai testi di Gianluca Orrù e alle meravigliose illustrazioni a colori create dall’Urban Artist MrFijodor. Quest’opera, resa possibile con il supporto di Gullino Group, è un viaggio visivo e narrativo che mira a sensibilizzare i giovani lettori sull’importanza di salvaguardare il nostro pianeta. Ulteriori informazioni: https://www.gullinogroup.com/un-mondo-da-salvare

  • Ore 16.30 – Introduzione del libro, presentazione degli autori
  • Letture a cura di Gianluca Orrù
  • Ore 17.00 – Laboratorio di disegno con Mr. Fijodor
  • Ore 17.30 – Merenda di frutta offerta da Gullino
Sabato 9 marzo 2024 ore 18:00, spazio espositivo Docks 74, Via Valprato 68 Torino. Dopo l’inaugurazione la mostra sarà visitabile previo appuntamento.
Info: info@ilcerchioelegocce.com

IG: il_cerchio_e_le_gocce

Un premio alla carriera per Susanna Egri

Un premio alla carriera “per aver valorizzato il Piemonte nel mondo, con professionalità e passione, attraverso la cultura della danza, con stima e riconoscenza”. È la motivazione incisa sulla targa consegnata, a nome del Consiglio regionale, dal presidente Stefano Allasia e dalla consigliera Sara Zambaia a Susanna Egri, danzatrice, coreografa e maestra di danza.

La cerimonia si è svolta al culmine delle due giornate dedicate agli Stati generali della Cultura piemontese organizzate dal Consiglio al Circolo dei lettori di Torino nell’ambito delle celebrazioni per i 600 anni del Drapò.

“Una ‘torinese doc’ – l’ha definita il presidente Allasia – che nell’Italia sfasciata del dopoguerra ha contribuito, con il proprio impegno e con la propria arte a portare il nome di Torino e del Piemonte in Europa e nel mondo. Una missione e un servizio che durano e perdurano nel tempo”.

“Una donna raffinata e coraggiosa – l’ha definita Zambaia – che ha saputo superare il dolore attraverso l’amore e la passione per la danza. Di cultura ungherese di nascita, di cultura piemontese d’adozione, ha dato il via a un melting pot internazionale che tutto il mondo riconosce come unico e irripetibile”.

“Nella mia lunga carriera – ha sottolineato Egri nel ringraziare – ho fatto più volte il giro del mondo, ma sono sempre tornata a Torino, che è il mio punto fermo. Ho ricevuto proposte allettanti, sia in Italia sia all’estero, cui ho faticato a dire di no, ma sono sempre tornata qui. C’è una ‘piemontesità’ che sento affine, come il valore della riservatezza, del ‘fare’ piuttosto che dell”esibire'”.

Alla serata, presentata dal presidente di Linguadoc Giulio Graglia, sono intervenuti il duo comico Marco e Mauro, il cantante Valerio Liboni con il musicista Mario Congiu e gli attori Mario Brusa e Rosalba Degiovanni.

A Diagon Hall, nei Dialoghi tra prosa e poesia, protagoniste le isole

 

 

Diagon Hall ospiterà il 6 marzo prossimo alle ore 21.30 un evento letterario, il quarto appuntamento dei “Dialoghi tra prosa e poesia”incentrato sul tema delle isole, considerate gli antichi porti del mare, un’occasione di salvezza, in ognuna si scopre un diverso microcosmo a sé stante. Questo incontro chiude il trittico legato ai viaggi dell’uomo e alle connessioni di storie che mettono in relazione i diversi popoli. L’incontro è  tenuto da Gian  Giacomo Della porta e Jacopo Marenghi.

Partendo dal mito di Ulisse l’evento si dipanerà saltando tra le note isole dell’Odissea, ognuna di esse rappresentante un preciso simbolo, quali la solitudine, il pericolo,  il rifugio, la civiltà e la partenza.

Le isole protagoniste dell’incontro si avvolgono in un manto  mitico in cui la realtà si fonde e si confonde con l’immaginazionee diventa un sogno d’amore per Pablo Neruda o il rifugio onirico per il poeta Giuseppe Ungaretti, una storia di naufraghi che vedrà attivi grandi personaggi legati al mondo delle isole, come Robinson Crusoe di Defoe e il Morel di Bioy Casares.

Il prossimo ciclo di tre incontri  vedrà protagonisti i temi più  studiati e amati di scrittori e poeti tra i più importanti, da Kafka a Montale fino a Ginsberg.

 

Diagon Hall via San Domenico 47 Torino

 

Mara Martellotta

Gli appuntamenti della Fondazione Torino Musei

1-7 marzo 2024

 

 

VENERDI 1 MARZO

 

Venerdì 1 marzo ore 16

FERRO, CEMENTO, VETRO E COLORI: MATERIALI E TECNICHE NELLE COSTRUZIONI LIBERTY

Palazzo Madama – visita guidata

Liberty: nuovi modi di costruire e nuovi materiali da utilizzare per esprimere linee fluide e curve sinuose. Gli architetti di inizi Novecento utilizzarono in modo del tutto nuovo il vetro, il ferro, l’acciaio o materiali “altri” come il litocemento. Finalità assoluta: infondere sensazione di leggerezza.

Una visita di approfondimento ricca di informazioni pratiche per meglio comprendere le tecniche e le architetture degli edifici Liberty che si ammirano in città.

Costo: 6 € per il percorso guidato + biglietto di ingresso al museo secondo tariffe (gratuito con Abbonamento Musei e Torino Piemonte Card).

Info e prenotazioni: t. 011 5211788 (lun-dom 9-17.30); prenotazioniftm@arteintorino.com

 

 

SABATO 2 MARZO

 

Sabato 2 marzo ore 15

MUSHI NO KOE. “Voce di insetto”

MAO – Visita guidata alla collezione giapponese e intervento musicale – primo appuntamento

A cura di Theatrum Sabaudiae in collaborazione con Il Fauno Bianco

Come l’Occidente immagina l’Oriente?

In accordo con la narrazione musicale che si fa tramite dell’essenza poetica dei suoni degli insetti evocatori del trascorrere delle stagioni, elemento ricorrente nelle arti tradizionali giapponesi, e il cui senso di transitorietà emana dalle sculture di ispirazione buddhista, la visita guidata alla galleria del MAO dedicata al Giappone sarà orientata ad avvicinare i visitatori alla ricerca artistica e spirituale giapponese tramite una selezione delle opere in esposizione.

Segue l’intervento artistico-musicale de Il Fauno Bianco, sul modo in cui la musica contemporanea occidentale descrive il Giappone e sulle tematiche più care all’arte giapponese (l’incedere del tempo e delle stagioni e le creature che le abitano), attraverso la presentazione al pubblico di pagine musicali tratte dal repertorio europeo novecentesco e contemporaneo, come il ciclo Mushi no Koe, scritto su haiku di Bashō dal compositore Giorgio Colombo Taccani, per Danilo Pastore (controtenore) e Vanja Contu (arpista).

Prenotazione obbligatoria entro mercoledì 28 febbraio, l’iniziativa verrà attivata al raggiungimento di un numero minimo di partecipanti fino ad esaurimento posti disponibili.

Informazioni e prenotazioni: 011.5211788 – prenotazioniftm@arteintorino.com (da lunedì a domenica 9.30 – 17.30)

Costo: 38 € a persona

Costi aggiuntivi: biglietto di ingresso al museo; ingresso gratuito per possessori di Abbonamento Musei.

Appuntamento 15 minuti prima dell’inizio

 

Il Fauno Bianco è il frutto dell’incontro fra Danilo Pastore (controtenore) e Vanja Contu (arpista) e ha come scopo la ricerca di modalità espressive non convenzionali, attraverso l’approfondimento del repertorio musicale contemporaneo (con l’esecuzione di brani appositamente scritti per questa formazione o per i suoi membri) e la rilettura del repertorio musicale del ‘900 in una chiave inedita, data dal particolare accostamento fra l’arpa e la voce di controtenore. Il Fauno Bicorne, divinità romana a cui il duo deve il nome, è una creatura mitica, a metà fra realtà terrena e iperuranica. È il connubio fra l’apollineo (dimensione che l’accostamento fra arpa e voce formalmente richiama) e il dionisiaco (dimensione che questo progetto intende esplorare); la musica che ne scaturisce è dunque “bicorne”: duale, dicotomica, totipotente. Attualmente collabora con artisti dalle esperienze varie e diverse (Fabio Zammito, arti figurative; Andrea Leonessa e Francesco Parolo, arti visive), offrendo un’esperienza artistica fluida e totale. Ogni membro di questo gruppo si è distinto nel suo campo, partecipando a festival e rassegne artistiche nazionali e internazionali e vincendo bandi di progetto e residenze artistiche, fra cui: residenza artistica internazionale ArtOmi Music (New York), bando Ora X della Fondazione Compagnia di San Paolo (regione Piemonte), residenza artistica Invasioni Contemporanee (regione Marche). Attualmente, Il Fauno Bianco è artista in residenza presso il Museo d’Arte Orientale di Torino (MAO), dove è impegnato nel suo nuovo progetto Mushi no Koe (Voce di insetto), volto a indagare, tramite improvvisazioni e creazioni site-specific, le declinazioni più sottili dei rapporti tra musica e natura, con particolare riferimento al micro e macro-universo entomologico.

 

Sabato 2 e domenica 3 marzo ore 10 – 17

I COLORI DELL’INVERNO: BACCHE ELLEBORI E SEMPREVERDI

Palazzo Madama – workshop di acquerello botanico con Angela Petrini

Agrifoglio, pungitopo, edere ed ellebori saranno i soggetti del workshop dedicato alla flora che ravviva il quieto inverno. Rappresentare la lucentezza delle foglie coriacee dell’agrifoglio, la delicatezza dei fiori dell’elleboro saranno gli obiettivi che raggiungeremo attraverso lo studio attento del chiaroscuro e dei colori nella vasta gamma di tonalità sfoggiate dalla natura e proposte dalle varietà presenti nel giardino di Palazzo Madama.

Il corso ha una durata di 12 ore ed è accreditato per l’aggiornamento degli insegnanti (legge 170 del 21/03/2016 art. 1.5).

 

Angela Petrini, affermata acquerellista botanica, ha ottenuto il Diploma con lode in disegno e acquerello botanico dalla Society of Botanical Artists nel Regno Unito nel 2010, tra i suoi riconoscimenti più significativi la Golden Medal ricevuta dalla eminente Royal Horticultural Society al RHS London Orchid & Botanical Art Show 2018.

 

Materiale occorrente: acquerelli; pennelli tondi a punta fine numeri 4, 2, 0; matita HB; gomma morbida; carta liscia satinata 300 gr. formato 30×40 circa. A chi non avesse il materiale l’insegnante può fornire carta, pennelli e colori necessari per lo svolgimento del seminario al costo di 5 €. È necessario segnalarlo al servizio prenotazioni.

 

Costo: € 140 / ogni incontro

Posti disponibili per ogni appuntamento: 8
Prenotazione obbligatoria: tel. 011 4429629; e-mail: madamadidattica@fondazionetorinomusei.it

 

 

DOMENICA 3 MARZO

 

Domenica 3 marzo ore 16

HINA MATSURI, LA FESTA GIAPPONESE DELLE BAMBOLE

MAO – attività famiglie

L’appuntamento è dedicato alla ‘Festa delle bambole’ o ‘Festa delle Bambine’, Hina Matsuri, che ricorre ogni anno il 3 marzo. Dopo una passeggiata nella collezione giapponese del museo, scopriremo insieme il significato e le usanze di questa festa e realizzeremo un modellino in carta di soggetti a tema.

Consigliato dai 6 anni in su.

Costo: bambini € 7, adulti accompagnatori ingresso ridotto alle collezioni.

Prenotazione obbligatoria entro il venerdì precedente l’attività: t. 0114436927-8 oppure maodidattica@fondazionetorinomusei.it

 

 

MERCOLEDI 6 MARZO

 

Mercoledì 6 marzo ore 18

GERANI E PELARGONI

Palazzo Madama – conferenza botanica a cura di Edoardo Santoro

Il colore rosso dei balconi cittadini fioriti è ormai una consuetudine grazie ai fiori sudafricani del Pelargonium, quello che d’abitudine chiamiamo geranio e che in realtà non ha quasi nulla a che fare con i gerani europei, numerosi e frequenti in prati e boschi dal mare alla montagna. Infatti è solamente a metà del 1700 che compare nelle serre reali il cosiddetto ‘Geranio zonale’ che oggi, grazie anche a inverni miti, trionfa fiorito in quasi ogni stagione. Per chi ha un giardino e non vuole correre rischi ci sono invece infinite possibilità di scelta coi Geranium rustici, riportati in auge da abili giardinieri che ne hanno fatto il piatto forte del giardino all’inglese.

La conferenza è l’ultima del ciclo Le piante nella storia del giardinovolto a svelare aspetti storici, botanici e ornamentali di piante che nei secoli hanno avuto un ruolo fondamentale in giardini, parchi e orti botanici.

Costo: €15

Prenotazione obbligatoria.

Info e prenotazioni: t. 011.4429629 (dal lun. al ven. 09.30 – 13.00; 14.00 – 16.00) oppure scrivere a madamadidattica@fondazionetorinomusei.it

 


Theatrum Sabaudiae
 propone visite guidate in museo
alle collezioni e alle mostre di Palazzo Madama, GAM e MAO.
Per informazioni e prenotazioni: 011.52.11.788 – prenotazioniftm@arteintorino.comhttps://www.arteintorino.com/visite-guidate/gam.html
https://www.arteintorino.com/visite-guidate/mao.html
https://www.arteintorino.com/visite-guidate/palazzo-madama.html

Al Mastio tra bombarde, falconi e cannoni

Dopo 15 anni di abbandono è tornato a casa sua, al Mastio della Cittadella, ma solo in parte, in piccolissima parte.

Lo storico Museo nazionale dell’Artiglieria verrà riordinato in una caserma torinese e si potrà visitare forse tra un anno o due. Per adesso bisogna accontentarsi, ed è già un bel vedere, dei pezzi esposti al Mastio che resterà la sede nobile del Museo. Lentamente Torino si riappropria di uno dei musei più significativi del suo patrimonio storico e culturale. Con oltre 12.000 pezzi il Museo è uno dei più antichi d’Europa e per ricchezza e varietà della raccolta è considerato uno dei più importanti istituti di storia e tecnologia militare del mondo. Fu costituito nel 1731 da Carlo Emanuele III di Savoia nei locali dell’Arsenale ma in seguito all’occupazione francese del 1798 le collezioni vennero disperse.
Venne ripristinato nel 1842 da re Carlo Alberto e nel 1893 trovò la sua definitiva sistemazione al Mastio della Cittadella. Nel 2008, con un trasloco imponente, le collezioni furono trasferite nella caserma Amione in piazza Rivoli per consentire la ristrutturazione del museo durata dieci anni. Grazie alla collaborazione dell’Esercito che lo gestisce è stato possibile riaprire al pubblico solo alcune sale del museo allestite con una preziosa vetrina di reperti che rappresenta una minima parte della ricca collezione composta da armi bianche e da fuoco d’epoca, raccolta di uniformi e bandiere, una biblioteca con oltre 10mila volumi, un archivio storico e uno fotografico.
Al Mastio della Cittadella una cinquantina di pezzi raccontano l’evoluzione della tecnologia militare, dal neolitico al cannone rigato. Si vedono bombarde e bombardelle del XV secolo, cannoni del Cinquecento, alcuni dei quali riprodotti nell’Ottocento, gli smerigli della Repubblica di Venezia con l’immagine di San Marco e il leone alato, falconetti di bronzo del XV secolo, mortai del 1800 e obici del Settecento, fucili del ‘500, il moschetto per le Guardie del Re del 1891. E ancora mitragliatrici e pistole dell’Ottocento, modellini di obici, di cannoni e di colubrine, cannoni da campagna e da montagna fine 700, un modello di catapulta del Duecento, corazze ottocentesche, spade del ‘400 e ‘500, una corazza medievale persiana, un’armatura medievale europea, un elmo di bronzo con pugnale e cuspide di lancia del V secolo a.Cristo. I ritratti di re Carlo Alberto e del generale Vincenzo Morelli di Popolo, comandante dell’Artiglieria del Regno di Sardegna che fondò il museo nel 1842, chiudono la vetrina. Il Museo può contare ora su due sedi, quella storica, il Mastio e il deposito della caserma Amione in piazza Rivoli che verrà poi trasferito nella caserma Dabormida, un tempo sede del distretto militare di corso Unione Sovietica.
Negli ampi spazi della Dabormida vedremo nuovamente, prima o poi, l’intero Museo nazionale di Artiglieria che spazia dai reperti preistorici a uno dei giganteschi cannoni ottomani, del peso di 15 tonnellate, che abbatterono le mura di Costantinopoli nel 1453 fino ai missili della guerra fredda, dal diario di Carlo Alberto al carro funebre che portò la bara di Umberto I al Pantheon dopo il regicidio di Monza nel 1900. La bombarda turca del Quattrocento usata durante l’assedio di Bisanzio è uno dei pezzi più straordinari e interessanti del museo (era esposta nel giardino davanti al Museo) insieme a un’antica bombarda di ferro del Trecento proveniente dal castello di Morro d’Alba (Ancona), a un falconetto del Quattrocento, a un cannone a retrocarica in ghisa e a numerosi pezzi della “Fonderia di Torino” di fine Ottocento. Il Museo è visitabile con ingresso gratuito tutti i giorni (9,30-19,30) dal lunedì alla domenica, al Mastio della Cittadella, in corso Galileo Ferraris angolo via Cernaia a Torino. È possibile effettuare visite su prenotazione al numero 011-56033124. L’attuale deposito museale alla caserma Amione in piazza Rivoli è chiuso al pubblico.                             Filippo Re 

Le sere torinesi di Gozzano: la malinconica poesia del quotidiano

Solo Gozzano è riuscito a descrivere Torino come in effetti è. Il poeta parla della sua città natale con una splendida ironia malinconica, prendendola un po’ in giro, ma con garbo e con affetto, esaltandone i caratteri sommessi, le cose quotidiane; del nostro capoluogo sottolinea l’anima altezzosa ed elegante, intellettuale e civettuola, riuscendo a far emergere i tratti che ne contraddistinguono la bellezza e l’unicità, nel presente e nei suoi aspetti “d’altri tempi” con un gusto da stampa antica.

Nel componimento “ Le golose”, Gozzano considera un semplice momento di vita quotidiana, elevandolo a situazione poetica: in questo caso Guido, grazie alla sua vena brillante e ironica, gioca a descrivere il comportamento delle “giovani signore” torinesi all’interno di Baratti, uno dei bar storici della città. Le “signore e signorine”, che subito riusciamo ad immaginarci tutte imbellettate, con tanto di cappellino e veletta, non resistono alla tentazione di assaporare un pasticcino, e, davanti alla invitante vetrina dei dolciumi, indicano con il dito affusolato al cameriere quello che hanno scelto, e poi lo “divorano” in un sol boccone.

È un momento qualsiasi, è l’esaltazione del quotidiano che cela l’essenza delle cose. Nella poesia citata l’eleganza torinese è presa alla sprovvista, colta in flagrante mentre si tramuta in semplice golosità. Ma Gozzano sfalsa i piani e costringe il lettore a seguirlo nel suo ironizzare continuo, quasi non prendendo mai niente sul serio, ma facendo riflettere sempre sulla verità di ciò che asserisce. Se con “Le golose” Guido si concentra su una specifica situazione, con la poesia “Torino”, dimostra apertamente tutto il suo amore per il luogo in cui è venuto alla luce.
Guido Gozzano nasce il 19 dicembre 1883 a Torino, in Via Bertolotti 3, vicino a Piazza Solferino. È poeta e scrittore ed il suo nome è associato al Crepuscolarismo – di cui è il massimo esponente – all’interno della corrente letteraria del Decadentismo. Inizialmente si dedica all’emulazione della poesia dannunziana, in seguito, anche per l’influenza della pascoliana predilezione per le piccole cose e l’umile realtà campestre, e soprattutto attratto da poeti stranieri come Maeterlinck e Rodenback, si avvicina alla cerchia dei poeti intimisti, poi denominati “crepuscolari”, amanti di una dizione quasi a mezza voce. Gozzano muore assai giovane, a soli trentadue anni, a causa di quello che una volta era definito “mal sottile”, ossia la tubercolosi polmonare. Per questo motivo Guido alterna alla elegante vita torinese soggiorni al mare, alla ricerca di aria più mite, (“tentare cieli più tersi”), soprattutto in Liguria, Nervi, Rapallo, San Remo, e anche in montagna. Un estremo tentativo di cura di tale malattia porta Guido a intraprendere nel 1912, tra febbraio e aprile, un viaggio in India, nella speranza che il clima di quel Paese possa migliorare la sua situazione, pur nella triste consapevolezza dell’inevitabile fine (“Viaggio per fuggire altro viaggio”): il soggiorno non migliora la sua salute, ma lo porta a scrivere molto.

Al ritorno redige su vari giornali, tra cui La Stampa di Torino, alcuni testi in prosa dedicati al viaggio recente, che verranno poi pubblicati postumi nel volume “Verso la cuna del mondo” (1917). A parte l’ampio poema in endecasillabi sciolti, le “Farfalle”, essenziali per comprendere la nuova poesia di Gozzano sono le raccolte di versi “La via del rifugio” (1907) e “I colloqui” (1911), il suo libro più importante. Questo è composto da ventiquattro componimenti in metri diversi, legati tra loro da una comune tematica e da un ritmo narrativo colloquiale, con, sullo sfondo, un giovanile desiderio di felicità e di amore e una struggente velatura romantica. Intanto il poeta scopre la presenza quotidiana della malattia (“mio cuore monello giocondo che ride pur anco nel pianto”), della incomunicabilità amorosa, della malinconia. Egli ama ormai le vite appartate, le stampe d’altri tempi, gli interni casalinghi, ma, dopo aver esaltato le patetiche suppellettili del “salotto buono” piccolo borghese di nonna Speranza con “i fiori in cornice e le scatole senza confetti, / i frutti di marmo protetti dalla campana di vetro”, non esita a definirle “buone cose di pessimo gusto”. Di contro al poeta vate dannunziano, all’attivismo, alla mitologia dei superuomini e delle donne fatali, egli oppone la banale ovvietà quotidiana, alla donna-dea oppone “cuoche”, “crestaie” (“sognò pel suo martirio attrici e principesse, / ed oggi ha per amante la cuoca diciottenne”), alla donna intellettuale contrappone una donna di campagna (“sei quasi brutta, priva di lusinga/ …e gli occhi fermi e l’iridi sincere/, azzurre d’un azzurro di stoviglia”). Si tratta di Felicita che, con la sua dimessa “faccia buona e casalinga” , gli è parsa, almeno per un momento, l’unico mezzo per riscattarsi dalla complicazione estetizzante.

Eppure non vi è adesione a questo mondo, mondo creato e nel contempo dissolto, visto in controluce con la consapevolezza che a quel rifugio di ingenuità provinciale il poeta non sa ne può aderire e, tra sorriso, affetto e vigile disposizione ironica, si atteggia a “buon sentimentale giovane romantico”, per aggiungere subito dopo: “quello che fingo d’essere e non sono”.
Oltre che per questa nuova e demistificante concezione della poesia, l’importanza di Gozzano è notevole anche sul piano formale: “egli è il primo che abbia dato scintille facendo cozzare l’aulico col prosaico” (osserva Montale), e che, con sorridente ironia, riesca a far rimare “Nietzscke” con “camicie”. Gozzano piega il linguaggio alto a toni solo apparentemente prosastici. In realtà i moduli stilistici sono estremamente raffinati. E la sua implacabile ironia non è altro che una difesa dal rischio del sentimentalismo. La consapevolezza ironica abbraccia tutto il suo mondo poetico, le sue parole, i suoi atteggiamenti, i suoi gesti.

Avviciniamoci ancor di più al letteratissimo poeta torinese disincantato e amabile, e cerchiamo di approfondire il suo contesto familiare. Guido nasce da una buona famiglia borghese.
Il Dottor Carlo Gozzano, nonno di Guido, amico di Massimo D’Azeglio, appassionato di letteratura romantica del suo tempo, presta servizio come medico nella guerra di Crimea. Carlo Gozzano, borghese benestante, possiede ampie terre nel Canavese. Il figlio di Carlo, Fausto, ingegnere, porta avanti la costruzione della ferrovia canavesana che congiunge Torino con le Valli del Canavese. Fausto si sposa due volte, dalla prima moglie ha cinque figli; dopo la morte della prima consorte, Fausto incontra nel 1877 la bella diciannovenne alladiese Diodata Mautino, che sposa e dalla quale ha altri figli, tra cui Guido. La donna ha un temperamento d’artista, ama il teatro e si diletta nella recitazione, ed è altresì la figlia del senatore Massimo, un ricco possidente terriero, proprietario della villa del Meleto, ad Agliè (la villa prediletta dal poeta).

Guido frequenta dapprima la scuola elementare dei Barnabiti, poi la «Cesare Balbo», avvalendosi anche dell’aiuto di un’insegnante privata, poiché il piccolo scolaro è tutt’altro che ligio al dovere.
Da ragazzo viene iscritto nel 1895 al Ginnasio-Liceo Classico Cavour di Torino, ma la sua svogliatezza non lo abbandona, egli viene bocciato e mandato a recuperare in un collegio di Chivasso; ritorna a studiare nella sua Torino nel 1898, poco tempo prima della morte del padre, avvenuta nel 1900 a causa di una polmonite. Le difficoltà scolastiche del futuro poeta lo costringono a cambiare scuola ancora due volte, finché nel 1903 consegue finalmente la maturità al Collegio Nazionale di Savigliano. Le vicissitudini tribolanti degli anni liceali sono ben raccontate da Guido all’amico e compagno di scuola Ettore Colla, scritti in cui si evince che il giovane è decisamente più interessato alle “monellerie” che allo studio.

Nel 1903 vengono anche pubblicati sulla rivista torinese “Il venerdì della Contessa” alcuni versi di Gozzano, di stampo decisamente dannunziano (qualche anno dopo, in un componimento del 1907 “L’altro” il poeta ringrazia Dio che – dichiara – avrebbe potuto “invece che farmi Gozzano /un po’ scimunito ma greggio / farmi gabrieldannunziano /sarebbe stato ben peggio!”). Guido si iscrive poi alla Facoltà di Legge, ma nella realtà dei fatti frequenta quasi esclusivamente i corsi di letteratura di Arturo Graf. Il Professore fa parte del circolo “Società della cultura”, la cui sede si trovava nella Galleria Nazionale di via Roma, (poi spostatosi in via Cesare Battisti); anche il giovane Gozzano entra nel gruppo. Tra i frequentatori di tale Società, nata con lo scopo di far conoscere le pubblicazioni letterarie più recenti, di presentarle in sale di lettura o durante le conferenze, vi sono il critico letterario e direttore della Galleria d’Arte Moderna Enrico Thovez, gli scrittori Massimo Bontempelli, Giovanni Cena, Francesco Pastonchi, Ernesto Ragazzoni, Carola Prosperi, il filologo Gustavo Balsamo Crivelli e i professori Zino Zini e Achille Loria; anche Pirandello vi farà qualche comparsa. Nell’immediato dopoguerra vi parteciperanno Piero Gobetti, Lionello Venturi e Felice Casorati.

Gozzano diviene il capo di una “matta brigada” di giovani, secondo quanto riportato dall’amico e giornalista Mario Bassi, formata tra gli altri dai letterati Carlo Calcaterra, Salvator Gotta, Attilio Momigliano, Carlo Vallini, Mario Dogliotti divenuto poi Padre Silvestro, benedettino a Subiaco e dal giornalista Mario Vugliano.
Va tuttavia ricordato che per Guido quel circolo è soprattutto occasione di conoscenze che gli torneranno utili per la promozione dei suoi versi, egli stesso così dice “La Cultura! quando me ne parli, sento l’odore di certe fogne squartate per i restauri”. Con il passare del tempo, matura lentamente in lui una più attenta considerazione dei valori poetici della scrittura, anche grazie (ma non solo) allo studio dei moderni poeti francesi e belgi, come Francis Jammes, Maurice Maeterlinck, Jules Laforgue, Georges Rodenbach e Sully Prudhomme.
Da ricordare è anche la tormentata vicenda amorosa (1907-1909) tra Gozzano e la nota poetessa Amalia Guglielminetti, una storia destinata alla consunzione, caratterizzata da momenti di estrema tenerezza e molti altri di pena e dolore.

Ma torniamo a Torino, la sua città natale, la amata Torino, che è sempre nei suoi pensieri: “la metà di me stesso in te rimane/ e mi ritrovo ad ogni mio ritorno”. Torino raccoglie tutti i suoi ricordi più mesti, ma è anche l’ambiente concreto ed umano al quale egli sente di appartenere. Accanto alla Torino a lui contemporanea, (“le dritte vie corrusche di rotaie”), appare nei suoi scritti una Torino dei tempi antichi, un po’ polverosa che suscita nel poeta accenti lirici carichi di nostalgia. “Non soffre. Ama quel mondo senza raggio/ di bellezza, ove cosa di trastullo/ è l’Arte. Ama quei modi e quel linguaggio/ e quell’ambiente sconsolato e brullo.” Con tali parole malinconiche Gozzano parla di Torino, e richiama alla memoria “certi salotti/ beoti assai, pettegoli, bigotti” che tuttavia sono cari al per sempre giovane scrittore. “Un po’ vecchiotta, provinciale, fresca/ tuttavia d’un tal garbo parigino”, questa è la Torino di Gozzano, e mentre lui scrive è facile immaginare il Po che scorre, i bei palazzi del Lungo Po che si specchiano nell’acqua in movimento, la Mole che svetta su un cielo che difficilmente è di un azzurro limpido.
Il poeta fa riferimento alle “sere torinesi” e descrive così il momento che lui preferisce, il tramonto, quando la città diventa una “stampa antica bavarese”, il cielo si colora e le montagne si tingono di rosso, (“Da Palazzo Madama al Valentino /ardono l’Alpi tra le nubi accese”), e pare di vederlo il “nostro” poeta, mentre si aggira per le vie affollate di dame con pellicce e cappelli eleganti, e intanto il giorno volge al termine e tutti fanno ritorno a casa.

Gozzano, da buon torinese, conosce bene la “sua” e la “nostra” Torino, di modeste dimensioni per essere una grande metropoli, e troppo caotica per chi è abituato ai paesi della cintura, un po’ barocca, un po’ liberty e un po’ moderna, stupisce sempre gli “stranieri” per i “controviali” e i modi di dire. Torino è un po’ grigia ed elegante, per le vie del centro c’è un costante vociare, ma è più un chiacchiericcio da sala da the che un brusio da centro commerciale, è piccola ma a grandezza d’uomo, Torino è una cartolina antica che prova a modernizzarsi, è un continuo “memorandum” alla grandezza che l’ha contraddistinta un tempo e che, forse, non c’è più. Di Torino è impossibile non innamorarsi ma è altrettanto difficile viverci, e, se uno proprio non se ne vuole andare, c’è solo una cosa che può fare, prestare attenzione alla sua Maschera: “Evviva i bôgianen… Sì, dici bene,/o mio savio Gianduia ridarello!/ Buona è la vita senza foga, bello/ godere di cose piccole e serene…/A l’è questiôn d’ nen piessla… Dici bene/ o mio savio Gianduia ridarello!…”

Alessia Cagnotto

Linea Cadorna, la Maginot italiana

Il sistema di fortificazioni che si  estende dall’Ossola alla Valtellina. Un enorme reticolo di trincee, postazioni di artiglieria, luoghi d’avvistamento, ospedaletti, strutture logistiche e centri di comando, collegate da centinaia di chilometri di strade e mulattiere, realizzato durante il periodo della prima guerra mondiale

Linea Cadorna” è il nome con cui è conosciuto  il sistema di fortificazioni che si  estende dall’Ossola alla Valtellina. Un enorme reticolo di trincee, postazioni di artiglieria, luoghi d’avvistamento, ospedaletti, strutture logistiche e centri di comando, collegate da centinaia di chilometri di strade e mulattiere, realizzato durante il periodo della prima guerra mondiale. Un’opera fortemente voluta dal generale Luigi Cadorna, capo di Stato Maggiore dell’Esercito (originario di Pallanza, sul lago Maggiore), con lo scopo di contrastare una eventuale invasione austro-tedesca proveniente dalla Svizzera.

Lo scoppio della guerra – il 23 luglio del 1914 –  e gli avvenimenti successivi tra cui l’invasione del Belgio neutrale e i cambi di alleanze tra le varie potenze europee, accentuarono i dubbi sulla volontà del governo elvetico di far rispettare la neutralità del proprio territorio. Così, una volta che l’Italia entrò in guerra  contro l’Austria  – il 24 maggio 1915 – , il generale Cadorna, per non incorrere in amare sorprese, ordinò di avviare i lavori difensivi, rendendo esecutivo il progetto di difesa già predisposto. Da quasi mezzo secolo erano stati redatti studi, progettazioni, ricognizioni, indagini geomorfologiche, pianificazioni strategiche, ricerche tecnologiche. E non si era stati con le mani in mano: a partire dal 1911 erano state erette le fortificazioni sul Montorfano, a difesa degli accessi dalla Val d’Ossola e dal Lago Maggiore,  e gli appostamenti per artiglieria sui monti Piambello, Scerré, Martica, Campo dei Fiori, Gino e Sighignola, tra le prealpi varesine e la comasca Val d’Intelvi. Anche la Svizzera, dal canto suo,  intensificò i lavori di fortificazione al confine con l’Italia, realizzando opere di sbarramento a Gordola, Magadino, Monte Ceneri e sui monti di Medaglia, nel canton Ticino. In realtà,tornando alla Linea Cadorna,quest’opera, nella terminologia militare dell’epoca, era definita come ” Frontiera Nord” o, per esteso, “sistema difensivo italiano alla Frontiera Nordverso la Svizzera”. E, ad onor del vero, più che una fortificazione collocata a ridosso della frontiera si tratta di una linea difensiva costruita in località più arretrate rispetto al confine, con lo scopo di presidiare  i punti nevralgici. Un’impresa mastodontica.

 

Basta scorrere, in sintesi,  la consistenza dei lavori eseguiti e delle spese sostenute per la loro realizzazione: “Sistemazione difensiva – Si svolge dalla Val d’Ossola alla Cresta orobica, attraverso le alture a sud del Lago di Lugano e con elementi in Val d’Aosta. Comprende 72 km di trinceramenti, 88 appostamenti per batterie, di cui 11 in caverna, mq 25000 di baraccamenti, 296 km di camionabile e 398 di carrarecce o mulattiere. La spesa complessiva sostenuta, tenuto conto dei 15-20000 operai ( con punte fino a trentamila, nel 1916, Ndr) che in media vi furono adibiti, può calcolarsi in circa 104 milioni”. Le ristrettezze finanziarie indussero ad un utilizzo oculato delle materie prime,recuperate sul territorio. Si aprirono cave di sabbia, venne drenata la ghiaia negli alvei di fiumi e torrenti; si produsse calce rimettendo in funzione vecchie fornaci e furono adottati ingegnosi sistemi di canalizzazione delle acque. Gli scalpellini ricavarono il  pietrame, boscaioli e falegnami il legname da opera, e così via. I requisiti per poter essere arruolati come manodopera, in quegli anni di fame e miseria, consistevano nel possedere la cittadinanza italiana, il passaporto per l’interno e i necessari certificati sanitari. L’età non doveva essere inferiore ai 17 anni e non superiore ai sessanta e, in più, occorreva che i lavoratori fossero muniti di indumenti ed oggetti personali. A dire il vero, in ragione della ridotta disponibilità di manodopera maschile, per i frequenti richiami alle armi, vennero assunti anche ragazzi con meno di 15 anni, addetti a mansioni di manovalanza, di guardiani dei macchinari in dotazione nei cantieri o di addetti alle pulizie delle baracche.  La manodopera femminile, definita con apposito contratto, veniva reclutata nei paesi vicini per consentire alle donne, mentre erano impegnate in un lavoro salariato, di poter badare alla propria famiglia e di occuparsi dei lavori agricoli. Il contratto era diverso a seconda dell’ente reclutante: l’amministrazione militare o le imprese private.

 

Quello militare garantiva l’alloggiamento gratuito, il vitto ( il rancio)  uguale a quello delle truppe, l’assistenza sanitaria gratuita, l’assicurazione contro gli infortuni, un salario stabilito in relazione alla durata del lavoro da compiere, alle condizioni di pericolo e commisurato alla professionalità e al rendimento individuale. Il salario minimo era fissato, in centesimi, da 10 a 20 l’ora per donne e ragazzi; da 30 a 40 l’ora per sterratori, manovali e braccianti; da 40 a 50 per muratori, carpentieri, falegnami, fabbri e minatori; da 60 ad una lira per i capisquadra. L’orario di lavoro era impegnativo e  prevedeva dalle 6 alle 12 ore giornaliere, diurne o notturne, per tutti i giorni della settimana. Delle paventate truppe d’invasione che, come orde fameliche, valicando le Alpi, sarebbero dilagate nella pianura padana, non si vide neppure l’ombra. Così, senza il nemico e senza la necessità di sparare un colpo, con la fine della guerra,  le fortificazioni vennero dismesse. Quelle strutture, negli anni del primo dopoguerra, furono in parte riutilizzate per le esercitazioni militari e , negli anni trenta, inserite in blocco e d’ufficio nell’ambizioso  progetto del “Vallo Alpino”, la linea difensiva che avrebbe dovuto – come una sorta di “grande muraglia” –  rendere inviolabili gli oltre 1800 chilometri di confine dello Stato italiano. Un’impresa titanica, da far tremare le vene ai polsi che, forse proprio perché troppo ardita, in realtà, non giunse mai a compimento. Anche nella seconda guerra mondiale, la Linea Cadorna non conobbe operazioni  belliche, se si escludono i due tratti del Monte San Martino (nel varesotto, tra la Valcuvia e il lago Maggiore) e lungo la Val d’Ossola dove, per brevi periodi , durante la Resistenza, furono utilizzati dalle formazioni partigiane. Infine, come tutte le fortificazioni italiane non smantellate dal Trattato di pace siglato a Parigi nel febbraio 1947, a partire dai primi d’aprile del 1949, anche la “linea di difesa alla frontiera nord” entrò a far parte del Patto Atlantico istituito per fronteggiare il blocco sovietico ai tempi della “guerra fredda”. Volendo stabilire una data in cui ritenere conclusa la storia della Linea Cadorna, almeno dal punto di vista militare, quest’ultima può essere fissata con la caduta del muro di Berlino, il 9 novembre 1989.

 

Da allora in poi, le trincee, le fortificazioni e le mulattiere sono state interessate da interventi di restauro conservativo realizzati dagli enti pubblici che hanno permesso di recuperarne gran parte  alla fruizione turistica, lungo gli itinerari segnalati. La “Cadorna” si offre oggi ai visitatori come una  vera e propria “Maginot italiana”,  un gigante inviolato, in grado di presentarsi senza aloni drammatici, come un sito archeologico dove è possibile vedere e studiare reperti che hanno subito l’ingiuria degli uomini e del tempo ma non quella dirompente della guerra. Tralasciando la parte lombarda che si estende fino alla Valtellina e restando in territorio piemontese, sono visitabili diversi percorsi, dal forte di Bara  – sopra Migiandone, nel punto più stretto del fondovalle ossolano –  alle trincee del Montorfano, dalle postazioni in caverna del Monte Morissolo al fitto reticolo di trincee e postazioni di tiro dello Spalavera  ( la sua vetta è uno splendido belvedere sul Lago Maggiore e le grandi Alpi), dalle trincee circolari con i camminamenti e la grande postazione per obici e mortai del Monte Bavarione fino alle linee difensive del Vadà e del monte Carza, per terminare con quelle  della “regina del Verbano”, un monte la cui vetta oltre i duemila metri, viene ostentatamente declinata al femminile dagli alpigiani: “la Zeda”.

Marco Travaglini

Vino e Donna, una storia millenaria

Un libro recentissimo, un titolo che richiama una storia antica: nel volume “Vino è Donna – da baccante a sommelier” pubblicato da Edizioni Pedrini, l’autrice Maria Luisa Alberico, giornalista, sommelier, per anni presidente dell’Associazione Donna Sommelier Europa, nella sua ventennale esperienza volta alla valorizzazione dell’impegno femminile nelle professioni legate al mondo del vino e alla cultura del saper bere, si interroga sul significato profondo che in questi ultimi decenni registra un significativo ritorno della donna verso attività che coinvolgono la Natura e che si ricollegano al vino. Si tratta di un affascinante e originale viaggio nel mondo della conoscenza e della pratica del vino dall’antichità ad oggi, attraverso il filo invisibile dell’indissolubile legame che unisce il nettare degli dei e la figura femminile, in compagnia di una divinità privilegiata, Dioniso, dio del vino e “dio delle donne”.

Il Nume, che ha in sé principi femminili e maschili ed è ad un tempo perturbante e gioioso, trasgressivo e simbolo dell’energia vitale, nella sua vicenda mitologica assegna alle donne, alle sue sacerdotesse e seguaci, le baccanti, un ruolo prioritario, in sintonia con la natura femminile per la quale prevede una libertà, un’ autonomia impensabili in civiltà tanto lontane da noi. E lo stesso suo dono, il vino, gioia dei mortali, esprime caratteri del femminile. Nasce dalla terra, elemento femminile per eccellenza, è un dono liquido, e come i liquidi è in stretta armonia con quell’acqua generativa da cui siamo nati, è in simbiosi con il calore e l’ardore alcolico e ne stempera l’eccesso.

Al termine di un suggestivo percorso che intreccia vari ambiti di riflessione, storia, antropologia, mito, l’autrice giunge dunque ad affermare che il vino è, in modo originale e speciale, arcaicamente/archetipicamente donna.

Quale oggi il rapporto donne e vino? Nel contemporaneo, le donne mettono in gioco componenti quali empatia, cura, accoglienza e consapevolezza del proprio autonomo impegno, ribaltando stereotipi che nei secoli hanno sottoposto il rapporto donna-vino ad una costante limitazione, tanto che per l’autrice l’odierna sommelier rappresenta l’erede di una tradizione millenaria, colei che sa contemperare la piacevole ebbrezza con il rigore professionale del saper bere affinchè il vino non divenga eccesso ma condivisione. Non si tratta di suggerire preminenze sessiste o di genere, la conoscenza e il piacere del vino superano tali distinzioni, ed anzi proprio la riscoperta di una storia così antica e affascinante permette di costituire una nuova “alleanza” in cui donne e uomini siano uniti nella comune difesa dei frutti della terra, e del vino come privilegiata bevanda di eccellenza.

La presentazione del libro in anteprima rientra nel calendario degli appuntamenti de “La Vendemmia a Torino – Grapes in Towne si svolgerà Venerdì 1 marzo alle ore 17 presso Agenzia Viaggi Gattinoni – Via Cesare Battisti 1.

In dialogo con Maria Luisa Alberico interverrà Mara Antonaccio, giornalista, direttore editoriale del Pannunzio Magazine. A seguire brindisi a cura

dell’Associazione le Donne del Vino del Piemonte. (Cortese conferma entro 28/2 al 3281269629)