Il possibile, e ormai del tutto probabile – anche se la serrata trattativa e’ tuttora in corso – tra il Pd di
Zingaretti e il movimento 5 stelle per superare l’ormai ex governo giallo/verde e per porre un argine
alla cosiddetta “onda nera” per citare chi continua a vedere o a sognare un pericolo fascista nel
nostro paese, può avere effetti dirompenti nella politica italiana. Certo, prima di parlare di questo
potenziale scenario, e’ importante attendere gli sviluppi concreti di questa crisi di governo a lungo
annunciata ma che adesso assume un profilo inedito e ricco di contraddizioni. Anche perché
attendiamo tutti le decisioni, che come sempre saranno sagge e di buon senso, del Presidente
della Repubblica Mattarella, vero punto di riferimento e credibile della politica e delle istituzioni
democratiche.
Ora, se dobbiamo attendere ancora pochi giorni per capire la piega concreta che prendera’ questa
crisi, sul versante della coalizione alternativa alla destra che dovrà affrontare, prima o poi, le
elezioni, l’orizzonte resta confuso anche se cominciano ad apparire elementi chiari ed
inequivocabili.
Innanzitutto la natura di questa coalizione. Senza riproporre la simpatica ma del tutto irrealistica
nonché virtuale concezione del Pd come partito a “vocazione maggioritaria”, resta quantomai
singolare anche la concezione che vorrebbe una alleanza tra il Pd e un fantomatico “partito
ambientalista” e una serie di liste civiche a partire da quella dei sindaci. Che, come noto, essendo
anch’io Sindaco, sono anche e soprattutto il frutto del “civismo” democratico e culturale. Che resta
un fatto trasversale e difficilmente etichettabile quando la partita politica ti chiede, in modo secco,
da che parte stare senza equivoci e tentennamenti. Al di là dei sindaci delle grandi città che sono
già militanti, tesserati o aderenti al Pd. Al riguardo, forse è giunto il momento per richiamare un
aspetto politico che resta decisivo ed essenziale per l’ormai prossima stagione elettorale. E cioè, il
civismo e’ indubbiamente importante, i partiti virtuali che vengono inventati alla bisogna sono
altresì importanti, ma senza la presenza di partiti organizzati e che si alleano non in virtù di una
autorizzazione gentilmente concessa dal segretario del partito di maggioranza relativa ma come
frutto di una presenza politica, culturale ed organizzativa autonoma e definita nella società la
partita si complica. Sotto questo versante una organizzazione politica e culturale che
sbrigativamente si potrebbe definire di centro, riformista, democratica e di governo e’ quantomai
necessaria ed indispensabile in una alleanza con la sinistra. Non c’è civismo o partiti e movimenti
inventati a tavolino dal partito di maggioranza relativa che tengano. Servono partiti organizzati e
radicati concretamente nel territorio, nonché portatori di una cultura politica specifica e
determinata. Ed è proprio lungo questo crinale che si pone il tema su cui si sbizzarriscono da
tempo molti organi di informazione e moltissimi opinionisti e commentatori politici. Al di là dei nomi
e dei cognomi, ormai il capitolo di un partito che sia distinto e distante dal neo Pds di Zingaretti e’
quantomai importante e decisivo per rendere credibile e competitiva la potenziale coalizione di
centro sinistra. Tocca ormai a coloro che si riconoscono in questo progetto politico fare il salto di
qualità e dar vita al partito, strumento costituzionale che resta determinante per l’organizzazione
politica democratica. E tocca alla neo sinistra prendere atto che senza una formazione politica del
genere la competizione con la destra diventa quantomai complicata ed aggrovigliata. Anche
perché la sinistra, da sola, in questo paese non vince. E men che meno con una singolare ed
anacronistica alleanza con i 5 stelle. Prima se ne prende atto e meglio e’. E questo non per il bene
del centro sinistra o del riformismo italiano ma per la stessa prospettiva e qualità della democrazia
italiana.
Giorgio Merlo
Al voto, al voto?
Al voto, al voto. Sembrerebbe che l’agonia ed
insicurezza prodotta da questo governo stia per
finire. Il condizionale è d’obbligo per quel minimo di
diffidenza che i gialloverdi ci hanno abituati a provare.
Rimane aperto il quando si voterà, tra tecnicismi e calcoli
politici. Praticamente solo Lega e la Meloni sono pronti
al voto. Gli altri sono divisi. Per loro più in là si vota e
meglio è. Già ci sono alcune certezze.
Cari grillini la pacchia è finita. Metà di voi non sarà
rieletta e dovrete tornare al lavoro (?) di prima. Giggino ha
già prenotato alcune sedute psicoanalitiche. Rambo
raddoppierà come minimo. Sei anni fa era al 4% .
Che balzo. Umberto Bossi rosica ma sa anche
che può contare sulla ricandidatura. Dal 1979 è
regolarmente rieletto e con Casini è tra i più vecchi
nel giro romano. E poi vedrete quanti salti della
quaglia da Forza Italia alla Lega.
Una che raddoppia sarà anche la Meloni che
comunque continua a sognare di fare il Sindaco di
Roma. Appendino e Raggi? Magari un pensierino per il
Parlamento ce lo stanno facendo. Berlusca conferma
“dopo di me il diluvio”. Le vere note dolenti arrivano
dal Pd. Fondamentalmente non è pronto. Zingaretti
attacca: crisi di governo perché scappano dalle loro
responsabilità. Non è pronto per le divisioni interne
e per come presentarsi alle elezioni. Problemi sul
tappeto: primo fra tutti come fare le liste. Ora non è
in mistero che la maggioranza del PD al Senato e
Camera é ancora di stretta osservanza. Secondo:
il Matteo Renzi il secondo non lo fa a nessuno. Terzo
problema, come presentarsi. Da soli o in coalizione.
Obbiettivo minimo: sfiorare il 30% , ma come?
D’Alema sostiene che Articolo uno è superata. La sinistra
sbrindellata non sa che pesci prendere.
Ci si aggiungono quelli che considerandosi della
sinistra pura hanno votato e fatto votare 5 stelle.
Ammettono: che stupidata abbiamo fatto. Ma si
fermano lì .Niente da fare, più in là si vota meglio è per
loro. Altra musica in Piemonte. Un Cirio sicuramente
baldanzoso. Precisamente dipende dall’argomento
e dall’assessore con cui si accompagna. Ottimo
il tandem con Andrea Tronzano sul lavoro. Da
Pernigotti ealla Tav. Significativamente positiva la
giunta aperta su Tav e le rassicurazioni date. L’ opera
non si fermerà, con o senza governo. Zoppicante sul fronte
Sanità. L’assessore Luigi Icardi rimbrotta: accidenti, sono appena
arrivato. Dimenticando che ci si poteva informare
prima della nomina. Ma Lui é leghista. Basta quello
che dice il Capo Salvini
Anche sull’autonomia Cirio avverte Allasia: meglio
che vada avanti io. Tu sei troppo effervescente. O
Vittoria Poggio da Alessandra al commercio già
soprannominata assessore per caso.
Nel mentre il PD inizia la sua quinquennale
attraversata nel deserto e a Torino è alla ricerca di
un candidato credibile per battere l’Appendino in
fase di difficoltà o più precisamente di come arginare
la destra . Tanti candidati, tanta confusione. I più
ammaccati sono i No Tav. Sconfitta su tutta la linea.
Loro si rincuorano: sono gli altri che non sanno, non
capiscono e non sbagliano. Comunque sono bastati
28 fogli di via e non ci sono stati incidenti. Chiaro,
i No Tav sono una minoranza anche in Val
Susa. Non vogliono mollare . La loro Roncisvalle sarà
Chianocco. Con la nuova parola d’ordine “a morte il
traditore Beppe Grillo” e Giggino che apostrofa invece Salvini
come traditore. Almeno in questo caso chi è causa del
suo male pianga se stesso.
Patrizio Tosetto
L’eredità di don Sturzo a sessant’anni dalla morte
L’8 agosto 1959, sessant’anni fa , moriva a Roma all’età di ottantasette anni don Luigi Sturzo, il cui pensiero risulta quanto mai attuale.
Ci preme ricordare in questa occasione solo uno dei suoi tanti articoli, per darvi un piccolo assaggio delle sue idee sul Mezzogiorno e la politica italiana, sul programma del risorgimento meridionale.
“Lasciate che noi del meridione possiamo amministrarci da noi, da noi designare il nostro indirizzo finanziario, distribuire i nostri tributi, assumere le responsabilità delle nostre opere, trovare l’iniziativa dei rimedi ai nostri mali” scriveva.
Era il 1901 quando La Croce di Costantino pubblicò quest’articolo di Luigi Sturzo, fondatore del Partito popolare e meridionalista convinto che, solo attraverso lo sviluppo di un largo decentramento, il Mezzogiorno avrebbe potuto trovare la via del riscatto. Il forte senso geopolitico di Sturzo lo rese ben cosciente del carattere differenziato e composito delle regioni d’Italia.
“La regione in Italia è un fatto geografico, etnografico, economico e storico, che nessuno potrà mai negare. L’Italia è lunga e stretta, si allarga al nord lungo la catena alpina che la protegge e la incorona; si sviluppa nelle colline e pianure padane fino all’Adriatico; si stende verso il sud con la dorsale appenninica che la divide in zone adriatiche e tirrene, si va a bagnare nello Jonio, arriva con la Sicilia al mare africano, e con la Sardegna fronteggia a distanza le Baleari. La storia ci ha plasmati in mille modi, dando a ciascuna zona la sua caratteristica, la sua personalità, una e multipla allo stesso tempo”.
Va detto che Sturzo non rifiutò mai l’unità d’Italia che considerò sempre come un risultato positivo che doveva essere raggiunto prima, però questo non lo indusse a risparmiare delle critiche ai limiti dell’unificazione. E tanto per cominciare, per lui vi erano tante storie delle varie parti dell’Italia, più che una storia d’Italia. Le differenze tra Nord e Sud erano abissali nel momento dell’unificazione e queste non furono ridotte. Secondo Sturzo l’unità d’Italia fu soprattutto una occupazione ed una omogeneizzazione, un tentativo fallito di esportare al sud un modello del Nord. In definitiva si ebbe l’ “uniformità” piuttosto che l’ “unificazione”. Nel 1926 Sturzo parlava di “piemontesizzazione dell’Italia”, di “centralismo burocratico”, di stampo francese al posto del federalismo e/o regionalismo di stampo anglosassone.
“Uno degli errori più gravi di quel tempo, i cui effetti deleteri si risentono ancora, fu l’esagerato criterio di unificazione che fu trasformato in quello di uniformità. (…) Tutto ciò fu detto piemontesizzazione dell’Italia”.
“Avevano voluto tagliare alle radici le tradizioni comunaliste e le vitalità regionali; avevano bandito dalla nuova vita ogni ricordo religioso-cattolico intimamente legato alle manifestazioni di pensiero, di tradizione e di arte italiana; avevano accentrato ogni vitalità nel governo e nel parlamento, che divenivano anche centro di intrighi e di affarismi; e non si accorsero di aver tolto una delle forze vitali del nuovo regno”.
E In un altro scritto riferisce che “L’Italia non poteva trovare una misura unica, che creasse una metropoli per tutta la sua lunga linea, dalle Alpi al Lilibeo: doveva imitare l’Inghilterra non la Francia, e dare dinamismo legislativo alle sue forze varie, non la forza statica dei suoi regolamenti”.
Rafforzato anche dalle esperienze di amministratore locale, l’autonomismo resta un punto nevralgico del pensiero politico di don Sturzo che nel 1921 a Venezia, in occasione del terzo congresso dei popolari, lancerà in modo compiuto l’idea di regione come ente con autonomia legislativa e finanziaria.
Ma questo non gli impedisce di muovere dure critiche alla scarsa convinzione con cui la Costituzione del 1947 aveva riconosciuto le prerogative legislative regionali. In particolare il sacerdote siciliano polemizza per l’esclusione tra le materie di competenza regionale dell’industria e del commercio, settori cruciali per lo sviluppo sui quali soltanto la conoscenza del territorio delle istituzioni locali, secondo Sturzo, consente di pianificare efficaci politiche d’incentivo e di sostegno infrastrutturale senza mai cadere, però, nell’assistenzialismo pubblico.
La politica economica è, infatti, un aspetto fondamentale del regionalismo di don Sturzo. Il suo è insieme un federalismo storico, che vede nelle regioni italiane una realtà vivente e insopprimibile dell’Italia post-unitaria, ma anche un federalismo funzionale, proposto come soluzione pratica allo statalismo che attraverso le logiche assistenziali nutre i suoi apparati e affama il cittadino elettore e contribuente.
Nella sua concezione politica, la semplificazione amministrativa e legislativa sono elementi portanti in un disegno regionale dello stato, il cui obiettivo finale consiste nella sana gestione del denaro pubblico attraverso il controllo locale delle risorse e della leva fiscale. È questo uno dei punti più attuali del pensiero di Sturzo che riconosce la necessità di un federalismo fiscale, come passaggio indispensabile per assecondare lo sviluppo delle differenti realtà regionali.
“È razionale e giusto, scrive nel 1901 sul Sole del mezzogiorno, che le regioni italiane abbiano finanza propria e propria amministrazione, secondo le diverse esigenze di ciascuna, e che la loro attività corrisponda alle loro forze, senza che queste forze vengano esaurite o sfruttate a vantaggio di altre regioni e a danno proprio”.
Un federalismo spinto quello sturziano che non nega tuttavia il principio di nazionalità che deve portare le regioni ad aiutarsi reciprocamente. Da liberista non esita a scagliarsi contro il capitalismo di stato che finanzia e sostiene le imprese nei settori più disparati col denaro pubblico, alterando in questo modo lo sviluppo di una forte e sana iniziativa privata.
Lo stato è infatti l’istituzione più lontana dai cittadini, cui tutti sentono di poter chiedere senza percepire nell’immediato le ripercussioni di una politica spendereccia; per lo stesso motivo lo stato è il centro di potere, dove meglio possono annidarsi le pratiche partitocratiche e le grandi lobby economiche.
Prima di tanti, Sturzo prevede insomma le conseguenze nefaste dell’assistenzialismo, la voragine del debito pubblico, la politica inflazionistica. Il decentramento amministrativo e finanziario, nel suo disegno, è allora l’antidoto agli sprechi persi nei meandri dei ministeri, ai buoni propositi, puntualmente disattesi, dei politici meridionali di fare fronte comune in Parlamento nell’interesse del sud.
Una lezione, questa di don Sturzo, che conserva quindi un’attualità impressionante e che oggi, che ancora si dibatte sul federalismo fiscale, sull’Unità d’Italia e sulle politiche del governo per gli incentivi al Sud, può rappresentare per il Mezzogiorno un invito al coraggio, a scommettere su se stesso.
Il Sud, dopo essere stato per decenni una palla al piede dell’economia nazionale, è oggi chiamato a diventare la frontiera di un’Italia ricca di potenzialità. In questo scenario, tale obiettivo può essere raggiunto sposando l’idea di un federalismo fiscale per il Sud.
Anziché invocare una maggiore redistribuzione a loro favore, la classe politica e l’opinione pubblica meridionale devono accettare la sfida della competizione tra territori e rinunciare allo status quo. Ma sono soprattutto due le “idee forti” di Sturzo per colmare il profondo divario fra Nord e Sud : porre il Mezzogiorno nella condizione di diventare il grande protagonista di una politica mediterranea e far crescere nei meridionali la convinzione che “La redenzione comincia da noi”, senza attendere che lo sviluppo del Sud possa venire solo dall’esterno.
Vito Piepoli
<<Tutti per uno e uno per tutti>>, Il motto dei tre moschettieri che poi in realtà erano quattro non si addice all’Italia.
La riprova è di nuovo la tragicomica di questi giorni. Ovviamente anche le pietre avevano già capito che non c’era armonia nel governo, prima un passo avanti e poi due indietro, con l’Italia ferma su tutto, dai Termovalorizzatori e l’immondizia che si manda persino in Germania e Olanda alla Tav del Piemonte, ma anche al Consorzio della Tap (gasdotto lungo 800 chilometri che da Kipoi arriverà fino in provincia di Lecce) che dovrebbe portare il gas dalla Russia in Italia, al Terzo Valico, all’Ilva che costa all’Italia due percentuali di Pil (Prodotto interno lordo).
Il giorno dopo lo strappo nella maggioranza giallo-verde, il futuro del governo sembra ormai segnato, ma si fa ancora manfrina o si gioca al gioco delle tre carte.
Il premier Giuseppe Conte, scuro in volto, ha annullato la conferenza stampa e si è recato al Quirinale per un colloquio con il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Mentre diversi esponenti del Movimento 5 stelle ribadiscono la volontà di andare avanti con l’esecutivo, Luigi di Maio sostiene di non aver paura del voto, ma che prima di andarvi vorrebbe votare la riduzione dei parlamentari.
Alla Lega continuano ad arrivare richieste di un cambio di passo nel governo, sostituendo alcuni ministri, per far ripartire l’Italia.
Intanto come al solito siamo in campagna elettorale e chi sta fuori, dalla Carola Rackete alla tedesca presidente della Commissione Ursula Gertrud von der Leyen, si giovano della nostra debolezza perché noi italiani le cose non le facciamo mai insieme, per il benessere del Paese, ma gli uni contro gli altri e il gioco di squadra non lo sappiamo fare.
Sarà per questo che anche nel calcio facciamo magre figure!
Tommaso Lo Russo
Riceviamo e pubblichiamo le dichiarazioni del Consigliere regionale Diego Sarno e del Presidente del Gruppo Pd in Consiglio regionale Domenico Ravetti
“La TAV ha scatenato la crisi di governo nazionale e auspichiamo che questa non produca ulteriori rallentamenti. La TAV è ormai un’opera ineludibile per l’Europa, per l’Italia e per il Piemonte.” ha affermato il Consigliere regionale Pd Diego Sarno, presente alla Giunta aperta sul tema.
“Come gruppo consiliare del Partito Democratico – ha proseguito il Presidente del Gruppo Domenico Ravetti – saremo, coerentemente con il livello nazionale e parlamentare, a sostegno di ogni passo formale per velocizzare le deliberazioni che riguardano le compensazioni per i comuni della val Susa”
“Dobbiamo, altresì, continuare a vigilare sul percorso formale della gestione degli appalti per garantire trasparenza, legalità e per far sì che quest’opera rappresenti un’occasione di lavoro per lavoratori e aziende del Piemonte” ha concluso Diego Sarno.
Autonomia in Consiglio a settembre
Dall’ufficio stampa di Palazzo Lascaris
Il 2 settembre la Conferenza dei capigruppo si riunirà dopo la pausa estiva e nei giorni seguenti la prima Commissione inizierà l’esame della partita dedicata all’Autonomia differenziata.
Intanto il presidente del Consiglio regionale, Stefano Allasia, porterà in Ufficio di presidenza le proposte di modifica del Regolamento necessarie all’istituzione delle Commissioni permanenti sull’Autonomia e sulla legalità e il contrasto dei fenomeni mafiosi. L’istituzione delle due Commissioni permanenti era stata richiesta da un ordine del giorno approvato dall’Aula il primo agosto.
Questo è quanto è emerso nella Conferenza dei capigruppo convocata questa mattina a Palazzo Lascaris.
Nel corso della seduta il presidente della Giunta regionale, Alberto Cirio, ha annunciato che venerdì 9 agosto l’Esecutivo approverà una proposta di autonomia differenziata per integrare quella approvata lo scorso anno dall’Assemblea. Si tratta di una delibera aperta per consentire la più ampia discussione in Consiglio e, sulla base del confronto, la Giunta formulerà un documento definitivo da portare all’approvazione dell’Aula e quindi a Roma. Lo scopo è procedere entro l’autunno per riuscire ad inserire il Piemonte all’interno del gruppo di Regioni – Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna – che ha iniziato la discussione con il Governo.
abruno ctagliani
La giunta regionale si sarebbe dovuta spostare per un giorno, oggi, venerdì, a Chiomonte, Comune sede del cantiere della Torino-Lione per fare il punto sullo stato dei lavori e per discutere delle compensazioni che porteranno benefici alla zona. Alla riunione allargata erano stati invitati i sindaci dei 17 Comuni coinvolti nel progetto della Torino-Lione che hanno siglato il “Patto per il territorio” e le “madamine” Si Tav. Visto il clima politico delicato e le possibili contestazioni annunciate dai No Tav, l’appuntamento è saltato e la riunione della Giunta si terrà a Torino. Anche se il governatore Cirio andrà in visita al cantiere di Chiomonte
“L’impegno ventennale dei radicali per la Tav”
TAV/Radicali/+Europa: approvazione mozione di Emma Bonino è ultimo atto di un impegno ventennale dei radicali piemontesi a favore del TAV. Boni: “Appendino è finita in un vicolo cieco”
Dichiarazione di Igor Boni (Direzione nazionale Radicali Italiani, Coordinatore Gruppo +Europa Torino):
“Con l’approvazione, fra le altre, della mozione SI TAV presentata da Emma Bonino si chiude il cerchio rappresentato dall’impegno ventennale dei radicali piemontesi a favore dell’opera, iniziato quando Emma Bonino era ancora commissaria europea, proseguito con le inequivoche prese di posizione dell’Associazione radicale Adelaide Aglietta e che ha avuto come sbocco naturale la presentazione alle recenti elezioni regionali della lista “+Europa SI’ TAV”.
Un anno fa, la Lega ha firmato con il M5S un contratto di governo che prevedeva “di ridiscutere integralmente il progetto”. Siamo felici che Salvini abbia cambiato idea nel frattempo; è innegabile che non abbia rispettato i patti su un punto non marginale. Il M5S esce a pezzi da questa vicenda, sia a Roma con un Ministro, Toninelli che dovrebbe trovare la dignità di dimettersi, ma anche, e soprattutto, a Torino.
Ricordiamolo: è stata l’intera maggioranza grillina in Consiglio Comunale (Appendino consenziente) a cercare lo scontro sulla TAV, approvando la mozione consiliare NO TAV il 29 ottobre 2018, e ottenendo come risultato immediato la discesa in piazza (come sollecitato già l’estate scorsa da noi radicali) della “maggioranza silenziosa SI TAV” con le “madamine”; è stata l’intera maggioranza grillina in Consiglio Comunale (Appendino consenziente) a respingere la proposta di referendum consultivo sul TAV promossa da Radicali Italiani e da +Europa sia in Consiglio Comunale sia in Città Metropolitana; è stata la stessa maggioranza (con Appendino silente) a non muovere un dito, a non fare una dichiarazione a favore del referendum consultivo regionale proposto prima da noi e poi da Sergio Chiamparino (e alla fine negato da Matteo Salvini). Altro che partecipazione e democrazia diretta!
Chiara Appendino e tutta la sua maggioranza hanno perso uno scontro politico epocale, su una questione fondamentale per i 5Stelle finendo in un vicolo cieco dal quale è impossibile uscire”.
Se evapora anche l’ologramma Pd
Saliamo fino a Villadossola per andare a trovare ciò
che rimane del PD regionale.
Convocazione per la relazione di Furia all’ Assemblea
Regionale. Tanta strada per trovare poco. Sia ben
chiaro, nessun giudizio di valore sui presenti. Anzi
grande rispetto per l’ abnegazione dei partecipanti.
Ma mi sa che, almeno questa volta, fanno la
differenza gli assenti. Renziani ed affini hanno deciso
di fare altro. Su una ventina tra parlamentari e senatori
4 o 5 presenti. L’ infaticabile Anna Rossomando, Vice
Presidente del Senato. Sicuramente encomiabile.
Come il Professore Andrea Giorgis. Arriva addirittura
Gianni Cuperlo. A quel punto capisco. La serata è stata voluta e gestita
dalla sinistra del partito. Un pullman organizzato da Torino
e la ( quasi ) totale assenza dei dirigenti torinesi.
Una volta si diceva che il Partito Pd era un ologramma.
Ora abbiamo le prove: l’ ologramma è evaporato. Come
gli elefanti o le balene sta cercando qualche posto
appartato per finire la propria esistenza. Esistenza
politica, s’ intende.
Sbaglierò, ma nel Pd c’ è aria di implosione. Grande
rispetto per chi ha affrontato un viaggio fin qui
per affermare le proprie idee Ma molte cose mi
sembrano affastellate. Tanto orgoglio ma poca
prospettiva. Iniziano con l’inno d Italia. Il contenuto
dei contenuti: come arginare l’avanzata delle destre in
Italia. Dotti ed articolati interventi. Fondamentalmente
spiazzati da Matteo Salvini, il primo segretario di
Partito e Ministro dell’Interno che dirige facendo il
Karaoke. Diciamocela tutta, ci spiazza davvero un po’ tutti. E
già molti parlano di democrazia troppo matura. Tra i
motivi per cui questo periodo passerà alla Storia, quello di
Salvini che con il 17% fa quello che vuole e Giggino con
il 33% non conta nulla.
L’ ospitante è Pippo Calandra. Sindacalista operaio e presidente della Fondazione del Verbano Cusio Ossola,
nonché presidente di Edificatrice, alloggi in affitto.
Anche queste zone sono emblema di tutto e dell’incontrario di tutto.
Fino a trent’ anni fa votavano compatti PCI, ora la
lega è al 40%. Insomma, normale amministrazione.
Siamo tutti di sinistra e vogliamo essere di sinistra.
Tranne Canalis che concentra il suo intervento sullo
smantellamento dello Stato sociale.
Lei l’unica catto dem presente. Chiude come il
Bolero di Ravel Gianni Cuperlo.
Come al solito affascinante. Uomo di grande cultura.
In attesa delle politiche anticipate per un suo ritorno
in Parlamento. Racconta, ragiona soprattutto
insiste: a problemi complessi si debbono dare
risposte complesse.
Ma tutto, mi pare, sta all interno dell’esperienza della
sinistra e in particolare dei comunisti italiani. Bene ma
è un pezzo del PD. L altro? Appunto: non c’ è, anche
perché ha in testa altro. Mi sembrano due separati
in casa. Viene in mente il film la Guerra dei Roses.
Dove un grande e povero ed idilliaco amore diventa
un drammatico e mortale tentativo di separazione.
Continuando nel bisticciare si porteranno dietro con
la loro morte la distruzione della loro casa. Vero,
verissimo, è pur sempre un film. Ma mi sa che può
essere un allegoria di ciò che sta capitando nel Pd.
Patrizio Tosetto