Esemplare veramente imponente, vetusto ancora in buone condizioni vegetative e di elevato pregio paesaggistico e storico…
Leggi l’articolo su piemonteitalia.eu:
https://www.piemonteitalia.eu/it/natura/alberi-monumentali/castagno-di-giaglione
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Una carne di ottima qualità, delicatissima, morbida, particolarmente gustosa, arricchita da carnosi e sanissimi funghi freschi affettati, lievemente aromatizzati da un filo di olio extravergine e poco prezzemolo. Una goduria per il palato.
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Ingredienti
300gr.di carne cruda di fassone piemontese
2 piccoli funghi porcini sanissimi
Olio evo
Il succo di mezzo limone
Sale, pepe, prezzemolo
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Pulire i funghi e tagliarli sottilmente a lamelle. Tagliare la carne a coltello o farla tritare dal macellaio, condirla con sale, pepe e olio evo. Con un coppapasta formare i medaglioni di carne. Condire i funghi con poco sale e un filo di olio evo. Coprire i medaglioni con i funghi, irrorare con poco succo di limone e prezzemolo tritato finemente. Conservare in frigo e servire a temperatura ambiente.
Paperita Patty
Riprendono sabato 6 settembre a San Raffaele Cimena gli appuntamenti di “Sentiero Verde 2025”, il calendario annuale delle iniziative dell’associazione Camminare lentamente, patrocinato dalla Regione Piemonte e dalla Città metropolitana di Torino, con un piacevole itinerario di 6,5 km con 300 metri di dislivello positivo nelle pianure e nelle colline chivassesi. Partendo da via Moie, abbandonate le ultime case della Piana, l’itinerario scelto inizialmente seguirà il percorso e le indicazioni della millenaria Via Francigena nel tratto tra Torino e Chivasso. Con un percorso tortuoso su stradine sterrate fra i campi si raggiungerà la sponda destra del Po all’interno del Parco degli Argini. Si seguirà poi il corso del Po tra campi e risaie, fino ad un’ampia svolta verso destra. Da qui il percorso si riavvicinerà alla collina e sarà possibile visitare la Tenuta Cimena dell’azienda agricola Pochettino, dove si coltiva con passione il Riso San Raffaele, che unisce tradizione e qualità. La Tenuta Cimena, immersa nel Parco del Po Torinese, è anche sede della fattoria didattica “Happy farm-Ponies Rice”. Dalla Tenuta Cimena si raggiungerà poi l’ex strada statale 590, che sarà attraversata e abbandonata dopo poche centinaia di metri, per prendere a destra via Fasella e iniziare una ripida salita su asfalto. Ad una curva si proseguirà a destra nel bosco e si raggiungerà il sentiero di collegamento tra la zona degli Abruzzi e il Bosco della Croce, tra i sentieri numero 97 e numero 96 della Collina Torinese. La salita nel bosco si addolcirà man mano e si apriranno suggestivi punti panoramici sulle Alpi e sulla pianura chivassese e vercellese. Si arriverà poi al Parco della Rimembranza, in cima alla collina del borgo Alto, il nucleo più antico del Comune di San Raffaele, sviluppatosi a partire dal X secolo attorno al castello. All’arrivo a San Raffaele Alto i partecipanti potranno immergersi nell’atmosfera del Moon Festival tra musica, performance, arte, luce e paesaggio. Il rientro alpunto di partenza a San Raffaele Cinema sarà possibile con le navette gratuite del Moon Festival. Si consigliano scarpe da trekking o con suola antiscivolo. Il ritrovo dei partecipanti è fissato a San Raffaele Cimena in piazzale Bosio (via delle Moie) almeno 15 minuti prima della partenza dei due gruppi, che sono in programma alle 15 e alle 17.
Per iscriversi e partecipare alla passeggiata gratuita occorre compilare il google form https://forms.gle/iaTSwAzn6W4WwrAy5
Per informazioni si possono chiamare i numeri telefonici 349-7210715 o 380-6835571, scrivere a camminarelentamente2@gmail.com o consultare il sito Internetwww.camminarelentamente.it
“Per recuperare gli show rinviati causa maltempo”
Confermati invece gli appuntamenti del weekend, inclusi gli spettacolari fuochi piromusicali. Martedì sera di scena è la volta di ‘Voglio Tornare Negli Anni Novanta’.
“La perturbazione di passaggio nel Nord Italia ha costretto anche il Comitato di Festeggiamenti di San Vito a estendere la durata della manifestazione, eccezionalmente, anche martedì 2 settembre. E questo al fine di garantire il regolare svolgimento del ricco programma di spettacoli in cartellone per l’edizione 2025. Purtroppo le condizioni meteorologiche avverse hanno determinato la sospensione del programma dei festeggiamenti di San Vito nelle serate di mercoledì e giovedì, 27 e 28 agosto”.
Lo rendono noto in una nota stampa diramata ai media del territorio gli Organizzatori della celebre kermesse nazionale, fra le più antiche in Piemonte e in Italia.
La nota poi prosegue: “In previsione di un netto miglioramento del meteo per i prossimi giorni, sono pienamente confermati gli eventi programmati, con particolare riguardo alla secolare processione con l’urna di San Vito e la benedizione del lago e delle imbarcazioni prevista per sabato 30 agosto e il grandioso spettacolo piromusicale di domenica 31 agosto (fiore luminoso all’occhiello della festa). Lunedì 1° Settembre il programma è confermato con una serata di ballo in piazza. L’attesissimo appuntamento “voglio tornare negli anni ’90” verrà riproposto il giorno Martedì 2 settembre alle ore 21,30, grazie al prolungamento del periodo dei festeggiamenti sino a tale data, fatto eccezionale nella storia di San Vito, ma necessario per svolgere regolarmente gli intrattenimenti previsti”.
Punto forte tra i maggiori a richiamare pubblico da ogni dove alla manifestazione è il grande ‘Banco di Beneficenza’ con centinaia di ricchissimi premi, inclusa una autovettura, oggetti di informatica, tecnologia, elettrodomestici, telefonia e molto altro ancora.
Maggiori informazioni sul sito www.sanvito-omegna.it.
Un gustoso e sorprendente antipasto salato rinfrescante.
Un favoloso gelato al parmigiano, un modo diverso per gustare un classico della cucina italiana, molto semplice da realizzare sara’ una piacevole novita’. Servito con delle verdure croccanti incantera’ i vostri ospiti.
Ingredienti
200 ml. di panna fresca da cucina
200 ml. di latte fresco intero
100 gr. di Parmigiano Reggiano grattugiato
Pepe macinato
Granella di pistacchi di Bronte
Verdure fresche a piacere
Sciogliere a bagnomaria il parmigiano grattugiato fresco nella panna, lasciar raffreddare. Aggiungere il latte e una macinata di pepe, mescolare bene. Versare tutto nella gelatiera e lasciar mantecare. Preparare le verdure, ottimo con sedano e ravanelli, servire le palline di gelato in coppette individuali cosparse di granella di pistacchio di Bronte. Strepitoso !
Paperita Patty
Prima parte
Ma quante persone ansiose si incontrano di questi tempi?!?! Sarà che le persone, soprattutto dopo la pandemia Covid, sono sempre più condizionate (schiacciate?) da un senso di dilagante precarietà, determinato anche dal fatto che tutto cambia a una rapidità a cui mai avevamo assistito in passato, creando insicurezza e disagio. Sarà che si fa sempre più forte in tante persone la sensazione di un oscuro e immanente “pericolo dietro l’angolo”…
Fatto sta che l’ansia è davvero dilagante e sempre più diffusa, con rilevanti e negative conseguenze, sia a livello individuale che sociale. Forse anche a causa del fatto che oggi le persone sono più fragili di un tempo, meno “resilienti”, un po’ sempre “sul filo del rasoio” E quindi molto più ansiose. Ma cos’è l’ansia e perché molti ne soffrono o ne hanno sofferto?
Spesso non riusciamo ad individuare una vera causa per le nostre paure e angosce. Che possono essere allora vissute come insensate, sensazione che rende ancor più faticoso e frustrante uno stato che, oltre che assai spiacevole, può diventare molto doloroso. Eppure l’ansia di per sé non é negativa, e dal punto di vista evolutivo ha un significato altamente adattivo, poiché ci segnala che siamo di fronte ad una situazione di potenziale pericolo.
E ci motiva ad attivare le nostre risorse per fronteggiare un’eventualità dannosa per la nostra integrità fisica e/o mentale. Se non provassimo ansia in situazioni oggettivamente pericolose, saremmo portati a sottovalutarne i rischi e ad incorrere in danni anche seri, poiché un conto è essere coraggiosi e altra cosa essere avventati…
Nella sua dimensione sana, quindi, l’ansia ci segnala una situazione potenzialmente problematica o rischiosa e ci prepara e motiva a risolvere il problema o ad affrontare il pericolo nel modo migliore.
Il vero problema è quando l’ansia diventa invece una spia e una sirena di pericolo frequentemente o perennemente accesa, o accesa in momenti inopportuni o senza un vero pericolo all’orizzonte.
Allora non solo perde la sua utilità, ma può diventare un molesto rumore di sottofondo ai nostri pensieri, un insopportabile retrogusto in tutte le nostre emozioni, una sfiancante attivazione fisica di un corpo sempre teso contro un pericolo perennemente incombente anche se, in realtà, inesistente o decisamente inferiore a come lo percepiamo… Come tenerla a bada, dunque? Ne parleremo su Il Torinese con il post della prossima domenica.
(Fine della prima parte dell’argomento).
Potete trovare questi e altri argomenti dello stesso autore legati al benessere personale sulla Pagina Facebook Consapevolezza e Valore.
Roberto Tentoni
Coach AICP e Counsellor formatore e supervisore CNCP.
www.tentoni.it
Autore della rubrica settimanale de Il Torinese “STARE BENE CON NOI STESSI”.
“Le persone entrano nella tua vita per una ragione, una stagione o una vita intera.” La frase di Brian A. “Drew” Chalker sembra scritta per lei: Teresa Belluco. Perché, nonostante il poco tempo, la sua presenza ha inciso come una traccia indelebile.
Teresa aveva 15 anni, viveva in provincia, apparteneva a quella generazione Gen Z che spesso immaginiamo immersa nei social e distratta dai libri. Ma Teresa era diversa: un concentrato di energia e curiosità, con mille passioni e amici, che riempivano le sue giornate. Amava la ginnastica artistica, il salto in alto, i libri, e soprattutto i gatti — “se potesse, riempirebbe la casa di felini”, raccontava sorridendo la mamma Lucia.
Poi la diagnosi: un sarcoma raro. Una parola pesante, che avrebbe potuto schiacciarla. E invece Teresa ha deciso di viverci dentro appieno. Non si è chiusa, non ha rinunciato ai suoi sogni. Come lei, sono grintosi, tutti i bambini e gli adolescenti oncologici ancora oggi. Che cadono e si rialzano. Teresa ha scelto, poi, di partecipare volontariamente a un trattamento sperimentale in fase iniziale, negli Stati Uniti, contribuendo alla ricerca medica.
Oggi la sua voce non è scomparsa. Vive tra le pagine di un libro che porta il suo nome: Io sono Teresa Belluco. Una storia vera, un viaggio tra Italia, America e Olimpiadi 2024. Di Terry&Lucy. Edizione EBS print. Un romanzo-verità nato dalla penna della madre, ma costruito come un grande diario dalla voce narrante di Teresa, arricchito dai ricordi, emozioni vere, dei compagni di classe, degli insegnanti, dalle amiche più scatenate, degli allenatori e allenatrici. Dentro ci sono i suoi temi scritti sui banchi di scuola, i messaggi vocali inviati di corsa, le foto un po’ sbiadite, i video improvvisati e i frammenti di social che ogni adolescente lascia in giro.
Il risultato è sorprendente: 364 pagine intense, ma capaci di farsi leggere d’un fiato. Non solo da chi la conosceva, ma anche da chi inciampa nella sua storia per caso. E si affrontano temi importanti e delicati.
Diceva con tenacia: “Se non è per me, sono informazioni mediche per progredire e migliorare nella cura di altre persone”.
La magia di Teresa è proprio questa: unire mondi diversi. C’è la nonna Paola, novant’anni compiuti, che per la prima volta ha imparato a leggere un e-book pur di seguire la storia di una ragazza che ha conosciuto per un attimo attraverso uno schermo, grazie al figlio Alberto. Ma che ha amato subito. Ci sono ragazzi e ragazze che di solito non leggono, ma che hanno passato notti d’estate a sfogliare il libro, a seguire le disavventure pazze di Teresa; incuriositi anche dai QR code inseriti nei capitoli. Ci sono genitori che ancora non riescono a toccarlo: “Troppo dolore, non siamo pronti”, confessano. E va bene così. Ognuno ha il suo tempo.
Lucia, la mamma, racconta che scrivere è stato come tenere viva una promessa: “Non volevo che Teresa fosse ricordata solo per la malattia. Lei era molto di più. Una ragazza piena di vita, di sogni, di futuro. Era ed è, un’ anima, da Vispa Teresa”.
E così, Io sono Teresa Belluco diventa non solo un libro, ma una testimonianza. Un invito a non lasciare mai in sospeso i propri sogni, a non rinunciare a saltare in alto, come Teresa faceva in pedana.
Oggi il volume è disponibile su tutte le principali piattaforme online, in versione cartacea, eBook e audiolibro, con la voce intensa e vibrante di Giada Sabellico. Ma le emozioni non finiscono con la lettura: su Spotify prende vita la playlist “Io sono Teresa Belluco”, che raccoglie le canzoni citate nel libro e quelle che Teresa portava nel cuore, trasformando le pagine in note e le parole in melodia.
Il percorso continua anche sul sito www.hopeforteresa.it, dove è possibile, scoprire iniziative e sostenere progetti in Italia e all’estero. Tra questi spicca il podcast “Una zebra in corsia”, ideato da Chiara Pennuti, già in preparazione con la sua seconda stagione. Un lavoro di squadra, nato per diffondere conoscenza in team, ricerca e soprattutto speranza insieme.
E poi ci sono loro: i ragazzi e le ragazze con Sarcoma che hanno conosciuto Teresa, condividendo con lei un tratto di strada, un frammento di vita, un sorriso. Geremia, Nora, Angela, Yinuo, Alberto, Mia, Vittoria, Seth, Callan, Connor, Alberica: nomi che diventano storie, voci che si intrecciano in un unico coro, quello della resistenza e della bellezza.
Così, tra parole, musica e testimonianze, Io sono Teresa Belluco diventa molto più di un libro. Diventa un invito a credere nella vita, nei sogni, nella forza di una comunità che non smette di cercare la luce.
Lucia Manzinello
A cura di piemonteitalia.eu
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Non che Pavia fosse una gran metropoli ma era ben altra cosa dalla quieta e sonnecchiosa Borgolavezzaro.
Smog, traffico, ritmi caotici e stressanti lo inducevano quanto prima a fuggir via lontano da quel trambusto. Con la sua utilitaria, sbrigati gli impegni, s’avviava verso la periferia e, in breve, si trovava in aperta campagna. La Lomellina con i suoi campi geometrici, le risaie, i prati, le boschine, l’aria finalmente pulita e l’unico rumore – oltre al ronfare del motore dell’auto – non era tale ma un delicato e allegro cinguettare degli uccelli.Armando rallentava la corsa e si godeva la vista di quell’ambiente naturale salvaguardato da eccessi edilizi, punteggiato da cascine e campanili, immaginando cosa l’aspettava a tavola: il risotto, il salame d’oca di Mortara, le cipolle di Breme, gli asparagi di Cilavegna e, come dolce, le offelle di Parona. Questi pensieri gli mettevano quasi commozione. “Cavolo, quando torno al mio paese mi pare di rinascere. Qui sì che la vita ha i tempi giusti. Stare in città sarà anche necessario ma mi pesa troppo”. Un giorno, imboccata una strada non asfaltata che tagliava in due una collinetta, l’auto si mise a fare le bizze. Il motore tossiva, ingolfato. Perdeva colpi e si fermò. Armando, pronunciando termini sui quali – per rispetto del lettore – si ritiene più utile sorvolare – provò a rimetterla in moto, girando con foga la chiave d’accensione. Ma non c’era nulla da fare. Il motorino – grrr, grrr – girava vuoto. L’auto restava lì, immobile, senza dar segni di vita, nel bel mezzo della stradina di campagna. Belletti scese, sollevò il cofano, guardò perplesso e sconsolato il motore senza avere la minima idea di dove mettere le mani. Mentre rimuginava sull’incidente che gli era capitato, avvertì un rumore alle sue spalle. Si girò e vide un bellissimo ed elegante cavallo dal manto lucido e nero. L’animale lo guardava e si mise a girare attorno al veicolo. S’avvicinò e, con sguardo indagatore, scrutando il motore disse , con voce grave :“ Un bel guaio, sa? Per me è partito lo spinterogeno”. Armando, attonito e ammutolito lo guardò incredulo mentre l’animale, trotterellando se ne andò via per la sua strada. Di lì a pochi minuti sopraggiunse un contadino, con un forcone in spalla. Si conoscevano. Bernardo Trefossi era noto nei dintorni per la sua eccentricità. Vide il Belletti stranito, con la bocca aperta, e chiese cosa mai gli fosse capitato. Armando, balbettando, raccontò l’episodio del cavallo e il contadino, incuriosito, domandò: “ Mi dica. Il cavallo era forse nero?”. Alla risposta affermativa del Belletti, il contadino, battendogli la mano sulla spalle, lo rassicurò: “Mi dia retta. Non creda ad una parola di quanto le ha detto quel cavallo. Di motori non ne capisce niente”.
E se ne andò, fischiettando per la sua strada. Quando Armando, chiamato il soccorso stradale, riuscì ad arrivare a Borgolavezzaro era omai sera inoltrata. Ancora scosso per l’avventura del pomeriggio, raccontò il fatto agli amici del Bar “Al cervo d’oro”. Nessuno lo contraddisse ma Vittorio Scalmanati, detto “incudine”, fabbro di mestiere, all’insaputa del vicesindaco e guardando gli altri avventori, si portò l’indice alla tempia. Dalla smorfia e dal gesto tutti intesero ciò che andava inteso: il Belletti era un po’ “tocco” ma non era il caso di contraddirlo. In fondo, come diceva lui stesso, “cavolo, quelli lì un po’ balordi non fanno poi del male a nessuno”. Appunto!
Marco Travaglini
Stavamo bevendo un bicchiere in compagnia quando Giorgio mi rivolse – all’improvviso – una domanda: “Ti ricordi quando andavamo per ciliegie?”. Ci misi un attimo, giusto il tempo di mettere le mani nel cassetto dei ricordi e – trovato il filo giusto – mi vennero in mente, nitidamente, quei tempi
A Giorgio erano state le amarene rosso scuro che la Maria aveva sistemato nel cestino della frutta ad accendere la “lampadina“. In quell’istante, la nipotina della Maria, ne prese due coppie, tenute insieme dai gambi, e se le appese come fossero orecchini. Ridemmo, entrambi, di quel gesto che, tanti anni fa, avevamo fatto anche noi, scherzando tra ragazzini. All’epoca si andava in “banda” per i poderi a far razzia. Tra la fine di giugno ed i primi di luglio, nei tardi pomeriggi di quelle calde giornate d’estate, si cercavano gli alberi più carichi di ciliegie. Era una “caccia” troppo invitante. Le ciliegie sono frutti allegri, dissetanti. Ci sono quelle dolci, zuccherose, a polpa tenera ( le tenerine) e a polpa più carnosa (i duroni). E poi, le amarene e le marasche. Con gli anni ho imparato altre cose: oltre ad essere buone fanno pure bene. Sono indicate nella cura di artriti, arteriosclerosi, disturbi renali. Contengono buone quantità di fibre, potassio, calcio, fosforo e vitamine. Ci si possono produrre sciroppi, marmellate e liquori come maraschino, cherry e ratafià. Insomma, c’è tutto un elenco di cose positive che fanno rima con ciliegia. Ma noi, all’epoca in cui eravamo ragazzi, piacevano soprattutto perché erano il frutto di un piccolo furto e questo fatto, accompagnato dall’avventura, dai rischi e dalla voglia di trasgredire, rendeva le ciliegie il “frutto proibito” per eccellenza. Mario era arrivato al punto di sostenere una tesi tutta sua: Adamo ed Eva erano stati cacciati dal Paradiso non per colpa di una mela colta senza permesso ma di un cestino di ciliegie rosse e carnose. Il rischio più grande era quello di trovarle “salate“.
***
Infatti, capitava che i contadini di un tempo, poco inclini a tollerare le nostre scorribande, ci accoglievano con una doppietta caricata a sale grosso, determinati a scoraggiarci con la minaccia di piantarci due schioppettate nel sedere. All’arrivo dell’estate, immancabilmente, sembravamo due eserciti in assetto di guerra. “Noi“, a gruppi di 4 o 5, lesti a salire sull’albero, cogliere le ciliegie al volo, riempire il sacco di tela o il cestino, cercando di fare il più in fretta possibile. “Loro“, i proprietari dei ciliegi dove cresceva quel ben di Dio, confezionavano cartucce di diverso calibro con sale grosso, in sostituzione dei pallini di piombo. Rinforzavano anche le linee difensive lungo i confini dei frutteti: reti metalliche orlate di filo spinato, staccionate, siepi irte di spine. Era la “guerra delle ciliegie” che, in altre località, si trasformava in una vera e propria “guerra della frutta”. Se i contadini erano i difensori del loro diritto alla proprietà privata noi, gli incursori che negavano questo diritto, sostenendo che la natura non aveva padroni, colpivamo senza pietà, svanendo subito dopo nei boschi e nella campagna circostante, a volte trascinandoci appresso i compagni feriti. “Lo si faceva per fame e per gioco. Per molti di noi era l’unico modo per mettere sotto i denti quella frutta che non potevamo comprare. Ed era una cuccagna perché a casa il cibo era scarso“, rammentava Giorgio. E, come un rosario, sgranavamo i nomi dei nostri compagni di quella guerriglia senz’armi: io e Giorgio, Mario, Luigino “Trota” – abilissimo nel pescare nei ruscelli e nel fiume -, Remo, Marco ed anche Marina. Era, quest’ultima, una ragazzina sveglia che dava dei punti a tutti noi. Ed era golosissima di ciliegie. Il campo di battaglia più duro era il frutteto del vecchio Roger Zuffoli, detto “il marsigliese“. Aveva un paio d’ettari piantati a frutta dove si trovava di tutto: susine, albicocche, pesche, mele, pere ed ovviamente ciliegie ed amarene. Verso il limite del bosco aveva anche noci e nocciole. Roger, piccolo e secco, vestiva i pantaloni alla zuava e camicie a quadrettoni mentre in testa teneva sempre il suo basco calato sulle “ventitré“. All’epoca poteva avere si e no una settantina d’anni, gran parte dei quali passati a scaricare merci nei porti di Marsiglia e di Tolone. Era tornato a Baveno già anziano perché, diceva, ” dopo tanta acqua salata ho sentito la nostalgia dell’acqua dolce del Maggiore“. In ricordo di quegli anni, al circolo comandava sempre un bicchiere di “pastis“, liquore profumato all’anice, tipicamente francese, che allungava con l’acqua di una caraffa dove galleggiavano dei grossi pezzi di ghiaccio. Attaccare le sue piante era molto ma molto rischioso. Raramente riuscimmo a farla franca ed una volta, quasi, ci lasciammo le penne. Quell’episodio, ancor meglio di me se lo ricorda Mario. Stranamente silenzioso, il frutteto pareva incustodito quella sera. Saranno state le diciannove o poco meno. Roger mangiava presto e quindi pensavamo fosse quello il momento giusto per compiere l’incursione. Invece il perfido vecchietto, mangiata la foglia, si era appostato dietro al piccolo fienile con la doppietta in mano.
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Non facemmo in tempo a renderci conto di quanto stava accadendo che l’eco dello sparo risuonò secco, costringendoci a tappare le orecchie. Colpito al sedere dalla fucilata di sale grosso, Mario cadde dal ramo. Dolorante si rialzò e tutti insieme corremmo a più non posso verso il bosco per far perdere le tracce. Mentre fuggiva a gambe levate, Mario sentiva il dolore delle ferite, poi il bruciore dei grani di sale che si scioglievano nella carne viva. Appena avvistò il ruscello, vinto dal bruciore, si gettò nell’acqua per calmare il fuoco che gli stava divorando il fondoschiena. Ma il rimedio si rivelò peggiore del male: l’acqua , accelerando lo scioglimento del sale, rese insopportabile il bruciore. Remo, appassionato collezionista di francobolli, portava sempre con se una pinzetta e con quella, tra le grida ed i lamenti di Mario, estraemmo i grani di sale, pulendo alla meglio le ferite. Per un po’, da quella sera, gli assalti vennero sospesi per poi, calmate le acque, proseguire per la disperazione dei contadini della zona, compreso Roger. Quella volta però, la “missione” si era conclusa senza il “bottino“. Mario , d’allora, non volle più prendere parte alle nostre imprese. L’invitavamo, lo pregavamo ma lui diceva sempre di no, opponendo resistenza. Diceva che lui, ormai, non aveva più “il sedere di una volta“. In cuor nostro non ce la sentivamo di dargli torto.
Marco Travaglini