LIFESTYLE- Pagina 6

Il Bicerin, quando la storia è una delizia

Nel 1763, quando l’acquacedratario Giuseppe Dentis apre la sua piccola bottega nell’edificio di fronte all’ingresso del Santuario della Consolata, non sa di avere aperto il primo caffè  di concezione moderna in Europa. Ancora oggi è il famoso “Bicerin” che prende il nome dalla dolce bevanda proprio lì inventata.

Il locale all’epoca era arredato semplicemente, con tavole e panche di legno. Nel 1856, su progetto dell’architetto Carlo Promis, viene edificato l’attuale palazzo e in questa sede il caffè assume l’elegante forma che oggi possiamo apprezzare: le pareti vengono abbellite con boiseries di legno decorate da specchi e lampade e fanno la loro comparsa i caratteristici tavolini tondi di marmo bianco, il bancone di legno e marmo e le scaffalature per i vasi dei confetti. Alla fine dell’Ottocento viene posta esternamente la devanture in ferro, con le vetrinette ai lati, le colonnine e i capitelli in ghisa. In questo ambiente viene svolta l’attività di confetteria e di caffè-cioccolateria.

Tra gli ospiti illustri nella storia del locale: il conte di Cavour, Nietzsche, Giacomo Puccini, varie altezze reali. E più recentemente Giovanni Agnelli e Umberto Eco, solo per citare alcuni nomi

L’invenzione del bicerin è stata, senza alcun dubbio, la base del successo del locale e, più che invenzione, fu evoluzione della settecentesca bavareisa, una bevanda allora di gran moda che veniva servita in grossi bicchieri e che era fatta di caffè, cioccolato, latte e sciroppo. Il rituale del bicerin prevedeva all’inizio che i tre ingredienti fossero serviti separatamente, ma già nell’Ottocento vengono riuniti in un unico bicchiere e declinati in tre varianti: pur e fiur (simile all’odierno cappuccino), pur e barba (caffè e cioccolato), ‘n poc ‘d tut (ovvero “un po’ di tutto”), con tutti e tre gli ingredienti. Quest’ultima formula fu quella di maggiore successo e finì per prevalere sulle altre, arrivando integra ed originale ai nostri giorni e prendendo il nome dai piccoli bicchieri senza manico in cui veniva servita (bicerin, appunto).

Dal 1910 al 1975 il locale è stato gestito dalla signora Ida Cavalli, con l’aiuto della sorella e della figlia Olga, nelle cui mani passò quando la madre si ritirò. Le signore Cavalli sono state molto amate e conosciute da tutta la città: più padrone di casa che ostesse, amorevolmente accudivano tutti gli intellettuali squattrinati che nel Caffè Al Bicerin cercavano riparo dai rigori del freddo.

Nel 1983 Maritè Costa ha raccolto l’eredità delle signore Cavalli, portando il locale al livello di notorietà internazionali a cui  è oggi conosciuto. Il suo è stato uno straordinario lavoro di vera archeologia del cioccolato e dei dolci torinesi: la sua ricerca e studio delle ricette originali, dei materiali di qualità e un vero ed autentico amore per la cioccolata e la pasticceria tradizionale piemontese, hanno fatto sì che questo piccolo caffè venisse conosciuto ed amato nel mondo intero.

 

Il segreto per assaporare al meglio il vero bicerin è non mescolarlo, lasciando che le sue varie componenti si fondano fra di loro direttamente sul palato, con le loro differenti densità, temperature e sapori.

www.bicerin.it

Sarà vero?

Ormai tutti conosciamo il termine fake news ed il suo significato. Lo sviluppo dei social, del web e l’enorme proliferazione di giornali online, spesso editi da perfetti sconosciuti, ha portato allo sviluppo abnorme di notizie, in ogni campo, con tutto ciò che ne consegue.

La legge n° 62/2001, “Nuove norme sull’editoria e sui prodotti editoriali” e la legge n° 47/1948 “Disposizioni sulla stampa” dettano regole precise per il funzionamento di un giornale, a partire dall’obbligatorietà di avere un direttore responsabile, iscritto all’Ordine dei giornalisti, di indicarne il nome sulla pubblicazione e di registrare la testata presso il Tribunale di una città.

Sono esonerate da tale obbligo le pubblicazioni che non rivestano carattere di periodicità, come un blog.

E’ palese, però, che quando una notizia compare a video o ci giunge via mail difficilmente andiamo a vedere chi siano l’autore dell’articolo ed il direttore del giornale e se si tratti di testataregolarmente registrata.

Considerando che le persone prestano maggior attenzione al gossip, al pettegolezzo puro e semplice piuttosto che a poche notizie verificate, ecco che la diffusione delle fake news sembrerebbe avere un futuro roseo.

E’ di questi giorni la notizia che Stellantis avrebbe deciso di portare via dall’Italia parte degli insediamenti produttivi, riportata da voci non ben controllate, che ha ovviamente scatenato, da un lato, l’ira dei torinesi e degli italiani e, dall’altro, costretto Tavares, AD di Stellantis a smentire sostenendo di non aver mai detto una cosa simile.

Non entro nel merito della notizia, ma solitamente una notizia verificata necessita di una fonte autorevole, un documento dal quale nasca la notizia, una comunicazione ufficiale, un comunicato stampa degli interessati; altrimenti è solo allarmismo.

Il capogruppo di FdI al Senato ha presentato un ddl che prevede il carcere fino a 4 anni e 6 mesi ed una multa di 120mila euro per il giornalista che pubblica notizie anche parzialmente false; è evidente che le fake news siano pericolose e la loro diffusione sia in grado di turbare i mercati, l’onorabilità di una persona, l’equilibrio politico di un Paese e molto altro.

Immaginate se qualcuno diffondesse la notizia che l’azienda XYZ stia per essere sospesa dalle contrattazioni per un problema fiscale o legale: prima che la verità torni a galla il titolo di quell’azienda sarà con ogni probabilità crollato, permettendo a speculatori di rilevarla pagandola molto meno del suo reale valore o riuscendo, addirittura, ad assumerne il controllo.

In campagna elettorale è abbastanza consueto buttare fango sull’avversario, ricordando di quando faceva lo sgambetto all’asilo, segno che era un prepotente già allora, salvo scoprire a elezioni avvenute che il tizio all’asilo non c’era mai andato.

E lo stesso discorso vale per un Governo: immaginate che circoli la notizia che il rating di un Paese sia notevolmente peggiorato rispetto a quello verificato durante il Governo precedente: è possibile che qualche scossone al Governo arrivi, come pure se circolasse la notizia che la magistratura sta indagando sul Ministro X o sul Presidente di questo o quel ramo del Parlamento la tenuta del Governo o del Parlamento sarebbe a rischio.

Ecco perché occorre innanzitutto verificare sempre la fonte della notizia: è un giornale affidabile? Le agenzie di stampa (ANSA, Reuter, Adnkronos, France Press, AGI, ecc) l’hanno riportata? Il diretto interessato ha smentito? Pensate quante volte diffondono la notizia che quel cantante o quell’attrice sono morti, salvo smentita da parte dell’interessato poco dopo.

Un tempo, per fermare il diffondersi di notizie false, era sufficiente allontanare la bottiglia di vino da chi sproloquiava; ora, essendo difficile individuare subito la fonte dello sproloquio, occorre fermare la notizia falsa perché venga contrassegnata come tale.

Spesso la libertà di stampa sancita dall’art. 21 della Costituzione viene citata a sproposito; qualcuno sostiene che chiunque abbia diritto alla diffusione del proprio pensiero e che non possa, perciò, essere sanzionato, qualsiasi sia la notizia; in realtà tale articolo sostiene, in pratica, che non può esservi censura nei confronti della stampa; la responsabilità vi è sempre, sia nel caso di fuga di notizie, sia nel caso di notizie la cui diffusione possa turbare un qualsiasi equilibrio.

Ricordate “Sbatti il mostro in prima pagina” di Marco Bellocchio? Già oltre cinquanta anni fa non era insolito turbare, in questo caso le elezioni, grazie alla diffusione di notizie alterate o inventate di sana pianta.

Visto che fate lo sforzo di leggere una notizia e sottraete tempo ad altre cose preziose, assicuratevi almeno che il vostro tempo sia stato impiegato bene; imparate a farvi un’idea con la vostra testa.

Sergio Motta

Cronaca di una cena alla “Casa del Barolo”

Non importa che a Torino sia primavera o autunno e non importa nemmeno sapere di essere a Torino: appena si entra dentro la Casa del Barolo si viene avvolti da un’atmosfera invernale e newyorkese.

Le porte di via Bodoni 7b si aprono appannando immediatamente gli occhiali, freddi nonostante fuori sia aprile. L’atmosfera è un vociare disciplinato, quello delle 19.30, orario di apertura del locale, tra tavoli e muri grigi, ai quali si alternano piatti candidi e fotografie in bianco e nero. È tra questi colori che si intravede New York, quella dei pensieri aggrovigliati del protagonista di Città aperta, Teju Cole (Einaudi, I Coralli, 2013, pp. 288). Lui li dipana con lunghe passeggiate. Noi, accedendo al bistrot che prende il nome della storica enoteca, sappiamo che sarà mestiere del ristorante -di questo ristorante- rimettere insieme i cocci della giornata, aiutato dal rosso al quale costringe la temperatura esterna.

Sentirsi a casa alla Casa del Barolo

La tavola ci accoglie con antipasti d’obbligo, il saluto della Casa: un assaggio di insalata russa, focaccia al pomodoro morbida e perfettamente umida, il pane, tra cui quello alle olive. Ci si accomoda tra i gruppetti di stranieri chini sul menù al cellulare alla ricerca delle pietanze perfette. Il multiculturalismo riporta ancora una volta tra le pagine del romanzo d’esordio di Teju Cole, tra gli incontri di quelle lunghe camminate. Ma basta uno sguardo fuori, alle strade in pietra di Torino, e dentro, alle proposte dei piatti di apertura, per essere certi di essere in Piemonte. L’occhio, stuzzicato dalla sera che inizia a farsi sera, cade subito su due gioiellini: da una parte si va per vitello tonnato alla piemontese Casa del Barolo, dall’altra per cruda di Fassona femmina piemontese, mousse di parmigiano reggiano e tartufo nero. La carne divide lo spazio conviviale, e i libri l’argomento che lo riuniscono.

Tra primi piatti e vino

Tra i commensali non c’è accordo nemmeno sui primi piatti: un lato della tavola sarà immacolato dai raviolini del plin, burro del Monregalese su crema di raschera, l’altro da un tripudio di arancione stile Casa del Barolo, ossia la faccia dello gnocchetto con zucca e ragù di cinghiale. Un giovane cameriere, che si approccia al vino come a un corpo da assaporare con rispetto, ci informa che la bottiglia che abbiamo scelto, un Roero del 2019 (Azienda agricola Matteo Correggia, Canale), è l’ultimo esemplare a disposizione nel bistrot. Un colpo di fortuna perché questo rosso tesse il sapore del cibo restituendo al palato una perfetta armonia. Complici forse i calici dal profumo fruttato e il sapore sostenuto ed elegante, nella Fassona si sente qualcosa di dolce, tanto da sentire pienamente la sua femminilità, sensuale e invitante, e lo stesso accade con un primo piatto in parte selvaggio ma assolutamente delicato.

Libri e cibo alla Casa del Barolo

Il soffitto è un’antica volta di mattoni rossi. Qui sotto nasce il miracolo della buona conversazione. Finendo i primi, le parole dipingono la Torino anni Settanta descritta ne “La donna della domenicadi Fruttero & Lucentini (Mondadori, 1972, pp. 538). È ora di tirar fuori il taccuino e allungare la lista di libri da comprare. Il consiglio che aleggia sulle ultime gocce di Roero è di leggere questo pioniere dei gialli italiani per conoscere vizi e virtù della città, l’eredità che hanno lasciato quei giorni. Nel frattempo arriva il dolce. Solita spartizione della tavola: da un lato, tortino al cioccolato, dall’altro una delizia di nocciole in cui il sapore del frutto secco porta fino alle viscere del Piemonte. Sul primo si posa il velluto di un Barolo chinato (Azienda agricola G.D. Vajra, Barolo), sul secondo la garanzia di dolcezza e corposità di un Arcass Vendemmia Tardiva Vdt (Cascina Chicco, Canale).

La felicità come un sorso di vino

Ritornando verso piazza Bodoni per gli ultimi saluti, si sente il corpo di nuovo intero e vengono in mente ancora una volta le parole di Cole, pagina 149: “Mi resi conto di quanto fosse fugace il senso di felicità, e debole la sua fonte: un ristorante confortevole dopo essere stati sotto la pioggia, il profumo del cibo e del vino, una conversazione interessante, la luce soffusa che si posava sul ciliegio lucido dei tavoli. Ci voleva così poco per spostare l’umore da un livello a un altro, come muovere le pedine su una scacchiera”. E forse ha ragione nel dire che ci si sente un po’ meno felici se si realizza che quell’attimo di pace dura sempre troppo poco. Ma basterà il ricordo di una cena da favola, quel sapore che ogni tanto tornerà a farsi spazio nella mente, a far capire cosa è il senso di un per sempre.

Daniela Melis

“Florì” sabato 13 e domenica 14 aprile a Moncalieri

Sabato 13 e domenica 14 aprile prossimi, dalle 9.30 alle 19.00 entrambi i giorni, le eccellenze vivaistiche e agricole di Moncalieri e dintorni confluiranno nel programma della le prima edizione di “Florì”, una grande festa della Natura finalizzata a esaltare gli oltre 35 espositori e l’articolato programma di incontri, laboratori e degustazioni a tema green per un pubblico di ogni età. L’appuntamento è fissato in piazza Vittorio Emanuele II, nel cuore del centro storico del borgo di Moncalieri. La manifestazione è nata grazie alla collaborazione tra il Comune di Moncalieri e Orticola del Piemonte, già organizzatrice di manifestazioni florovivaistiche di rilevanza nazionale come FLOR, presso i Giardini Reali di Torino, FLOReal, presso la Palazzina di Caccia di Stupinigi, e Flor Bardonecchia. “Florì” sarà un’occasione per scoprire o riscoprire le eccellenze locali impegnate sul territorio, un tuffo nella bellezza dedicato a un pubblico di appassionati, famiglie, curiosi e amanti dei fiori e della vita all’aria aperta. Il P4esidio Slow Food del cavolfiore di Moncalieri, l’associazione ColtivABILE, il Birrificio Santatri e i laborator Brigida e il Podere La Cardinala saranno alcune delle importanti realtà che opereranno durante gli incontri e i laboratori, proponendo degustazioni guidate dei loro prodotti di punta. Lo “spazio bimbi” dedicato alle attività ludico-didattiche per l’infanzia, rappresenta un’apertura confortevole per ogni giovane famiglia.

Sono ormai diversi anni che organizzo manifestazione florovivaistiche in Piemonte e a Moncalieri ho scoperto un territorio vocato per tradizione al florovivaismo e all’agricoltura, sede storica di importanti vivaisti e di grandi eccellenze agricole sia tradizionali che biologiche – Spiega Giustino Ballato, Presidente di Orticola del Piemonte – Florì nasce proprio con l’intento di valorizzare questi tesori che forse non tutti conoscono e che meritano di essere apprezzati. Sarà una grande festa aperta a un pubblico di ogni età dove la mostra – mercato composta da vivaisti, artigiani e agricoltori farà da splendida cornice a un programma di incontri, degustazioni approfondimenti e laboratori a tema green.”

La nostra visione di una Moncalieri verde prevede non solo l’aumento delle piantumazioni, come abbiamo fatto a Santa Maria con più di duemila specie, e momenti di sensibilizzazione, ma anche giornate dedicate interamente al verde – aggiunge Alessandra Borello, Assessora all’Ambiente della Città di Moncalieri – Questo funziona soprattutto se guardiamo al territorio, alle eccellenze che vivono Moncalieri da secoli e che rivestono l’identità dei nostri spazi collinari, fluviali, rurali e cittadini, è qui che risiede la vera sostenibilità. Per questo siamo felici di iniziare la storia di “Moncalieri Florì”, che si aggiunge al Festival del Verde che tornerà con la sua seconda edizione a maggio”.

 

Mara Martellotta

 

Buono come un gelato, semplice come un piacere

Da Borello Supermercati troverete i gelati che vi accompagneranno in momenti di puro piacere ed inaspettata leggerezza, in cui anche i campioni come Charles Leclerc si ritrovano.

Quanti di noi, fin da piccoli, sono rimasti affascinati dal movimento ipnotico del gelataio che con la spatola estrae dal pozzetto il gelato per poi appoggiarlo con calcolata delicatezza sul cono; quasi come un pittore dosa il colore prima di applicarlo sulla tela. Charles Leclerc, pilota di Formula 1 è uno di questi o meglio, è uno di noi.

Fiorenzo Borello con Charles Leclerc

Un ragazzo che partendo dal suo debole per il gelato, lancia oggi un brillante progetto: il gelato ‘LEC – Why Resist?’ Il nome dice tutto, non solo per il rimando al cognome dello sportivo ma anche semplice, facile e ammiccante, così come lo spirito che ha messo in moto e guida il team di questa Start-Up.

Il desiderio iniziale di Charles era quello di aprire una gelateria ma il messaggio che il brand veicola ha fatto in modo che il progetto prendesse un’altra forma, aiutato anche da personalità importanti del settore come Guido Martinetti e Federico Grom e altri professionisti con esperienze in aziende leader. Così LEC arriva nei reparti surgelati e così nelle nostre case, facendosi portatore non solo di un messaggio di auto-indulgenza rispetto al cibo di cui non riusciamo a privarci ma anche di semplice bontà.

Infatti, gli ingredienti scelti per le 5 proposte di gelato variano dai grandi classici, ai più libidinosi e contemporanei ma tutti con un comune denominatore: il desiderio che la bontà possa far parte di uno stile di vita sano ed equilibrato, l’emozione di gustare un dolce senza pensieri, godendosi il gusto e la consistenza di un dolce antico ma sempre attuale come il gelato.

LEC lo troverete nei supermercati ma non esposti in categorie specifiche come high protein, senza lattosio, zero zuccheri, saranno tra i barattoli di quei gelati che sono semplicemente buoni e che arricchiscono l’assortimento ed i momenti di chi desidera godersi il qui e ora senza pensare a calorie ed a possibili rimorsi. Allora “perché resistere?” da Borello Supermercati troverete i gelati che vi accompagneranno in momenti di puro piacere ed inaspettata leggerezza, in cui anche i campioni come Charles Leclerc si ritrovano.

 

Eleonora Persico

Apre a Torino Dammann Frères: L’antica Maison del Tè e del Polo del Gusto

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Nel cuore di Torino, Dammann Frères, la prestigiosa maison francese del tè sta per fare il suo debutto con una nuova boutique, diventando così il secondo punto vendita in Italia dopo quello di Milano.
Questa elegante aggiunta al panorama del gusto torinese è parte integrante del Polo del Gusto, la rinomata holding di marche d’eccellenza dell’agroalimentare, presieduta dal visionario Riccardo Illy.
Situata strategicamente in Piazza San Carlo, accanto al già rinomato punto vendita Domori, la nuova boutique Dammann Frères promette di essere un’esperienza unica.
Con uno spazio di circa 30 metri quadri, il negozio accoglie i visitatori in un ambiente accogliente e raffinato, improntato allo stile inconfondibile della maison.
Qui, il tè diventa indiscusso protagonista, con una parete dedicata esclusivamente alle 133 varietà di tè sfuso, custodite in eleganti scatole di latta Dammann.
All’ingresso, un prezioso Orgue à thés accoglie i visitatori, invitandoli in un viaggio sensoriale alla scoperta di raccolti pregiati ed aromi unici. La boutique sarà il luogo ideale per scoprire la straordinaria varietà del mondo Dammann Frères, con ben 400 ricette disponibili.
Ogni giorno, i clienti avranno l’opportunità di degustare un tipo diverso di tè, arricchendo così il loro palato con esperienze sensoriali uniche.
Ma la boutique non è solo uno spazio di vendita; essa fungerà anche da ponte verso il mondo dell’educazione sensoriale. Gli ampi spazi sotterranei ospiteranno sale polifunzionali, attrezzate per degustazioni e masterclass, dove gli appassionati potranno approfondire la loro conoscenza del tè sotto la guida esperta dei maestri Dammann Frères.
Il presidente Riccardo Illy ha commentato:
Con l’apertura della boutique Dammann Frères a Torino, il Polo del Gusto si arricchisce di un altro gioiello nel suo percorso verso l’eccellenza. Questo nuovo spazio, insieme al punto vendita Domori, rappresenta un’opportunità unica per gli amanti del buon gusto di avvicinarsi alle eccellenze agroalimentari, immergendosi in un’esperienza unica e raffinata“.
L’inaugurazione ufficiale della boutique Dammann Frères è prevista per giovedì 11 aprile 2024, promettendo di essere un evento imperdibile per gli amanti del tè e del buon gusto.
CRISTINA TAVERNITI

Dire “pasta fresca” è dire poco

PENSIERI SPARSI

È una bella storia quella della famiglia Barbesino, titolari del rinomato pastificio “Gran Madre”, in via Villa della Regina a Torino, storia che ha inizio nel 1968 quando la signora Lucia, rimasta improvvisamente vedova con tre bambini, a causa di un fulmine che colpisce il marito nella campagna di Casale Monferrato, decide di venire a Torino per lavorare in un pastificio.
L’anno successivo rileva il piccolo negozio, aiutata anche dai figli che, seppur ancora piccoli, Paola 15 anni, Beppe 12 e Bruna 9, dopo la scuola danno una mano alla mamma.
Dopo qualche anno i fratelli si dividono, Paola apre una panetteria in via Nizza, Bruna affascinata dalla moda apre il negozio di abbigliamento “Regina”, di fianco al pastificio  e Beppe diventa il pilastro del pastificio con l’aiuto della moglie Franca, lui alla produzione e lei alla vendita.
Nel giro di pochi anni il pastificio diventa un’istituzione per la città di Torino, soprattutto nella zona della Gran Madre, non è infatti insolito vedere una lunga coda fuori dal negozio nei periodi prefestivi, i clienti aumentano sempre di più grazie all’ottima qualità delle materie prime utilizzate per i ripieni della pasta e alla gentilezza e competenza del personale.
Intanto la produzione si diversifica e, da agnolotti e cappelletti si passa a prodotti stagionali, agnolotti con ripieno di fonduta, di carciofi, asparagi, al limone, gnocchetti senza farina e patate ma solo con ricotta e spinaci, lasagne al pesto, rigorosamente senza aglio, semolini dolci, gnocchi e gnocchi alla romana.
“Oggi con me siamo alla terza generazione-mi racconta Pietro, il figlio di Franca e Beppe, e non potrei essere più orgoglioso di come sta andando l’attività. Mi impegno quotidianamente, alle 6 del mattino sono già in negozio, per migliorare i nostri prodotti che sono arrivati ovunque: Londra, Hong Kong, Australia”.  “ Abbiamo clienti- continua Pietro- che arrivano regolarmente da Milano, dalla Val d’Aosta, da Montecarlo e dalla Svizzera per fare scorte di pasta fresca anche grazie al fatto che la nostra pasta si può surgelare tranquillamente”.  “Recentemente abbiamo acquisito due ristoranti, Osteria Antiche Sere e Monferrato, come clienti e non escludo che in futuro possano aumentare”.
Pietro ha imparato dai genitori che uno dei segreti per arrivare ad avere un prodotto finito ottimo è la qualità degli ingredienti; il loro Parmigiano Reggiano DOP di Montagna 24 mesi ( Casello 993) usato nei ripieni ma anche venduto a pezzi, è stato premiato come il migliore del mondo, per non parlare della carne utilizzata per gli arrosti, cotti ancora in pentola ( cinque parti diverse di vitelli italiani) arriva tutte le mattine dallo stesso fornitore da 40 anni.
Il desiderio di Pietro è quello di mantenere la tradizione, iniziata da nonna Lucia e proseguita con i suoi genitori, “ niente cose strane, niente ripieni di pesce, non fanno parte della cucina piemontese ma migliorare, per quanto possibile, l’arrosto degli agnolotti “
Non resta che fare i complimenti a Franca e Beppe: Pietro, con passione e dedizione, continua più che egregiamente il loro lavoro!
Didia Bargnani

Delicato e saporito il risotto gamberi e zucchine: un classico

Il riso italiano, altamente nutritivo, digeribile e versatile si presta ad innumerevoli preparazioni

 

Il riso italiano ,“re dei cereali”, e’ tra i migliori al mondo, e’ espressione di cultura e tradizione delle specifiche zone di produzione. Altamente nutritivo, digeribile e versatile si presta ad innumerevoli preparazioni. La ricetta della settimana e’ un primo classico, semplice, che unisce sapori di terra e di mare che si esaltano a vicenda in un dolce e perfetto connubio. Uno degli abbinamenti piu’ amati.

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Ingredienti per 4 persone:

 

350gr.di riso per risotti

200gr,di piccole zucchine fresche

15 gamberi freschi

1 piccolo porro

1 scalogno o 1 piccola cipolla

1 bicchiere di vino bianco secco

1 litro di fumetto di pesce

1 carota, 1 gambo di sedano,1/2 cipolla, un rametto di finocchietto selvatico (per il fumetto)

burro/olio q.b.

prezzemolo tritato q.b.

sale q.b.

Sgusciare i gamberi (avendo cura di tenere da parte le teste e i gusci), eliminare il filetto nero, lavare velocemente. Preparare il fumetto di pesce, portare a bollore l’acqua con gli scarti dei gamberi,cipolla, carota, sedano e poco sale, filtrare.

Tritare lo scalogno. Lavare e tagliare le zucchine a rondelle sottili. Scaldare l’olio/burro in una larga padella, rosolare lo scalogno e il porro tagliato a rondelle, aggiungere il riso e farlo tostare a fuoco vivace finche’ i chicchi diventano traslucidi. Bagnare con il vino bianco, lasciar evaporare. Aggiungere poco alla volta il fumetto di pesce bollente. A meta’ cottura unire le zucchine e poi aggiungere i gamberi. Aggiustare di sale.Togliere dal fuoco, completare con il prezzemolo, mantecare con una noce di burro, lasciare riposare per due minuti e servire.

 

Paperita Patty