LIFESTYLE- Pagina 6

A Vigone le “olimpiadi” della birra

Le “Olimpiadi della Birra 2024”: Non una grezza gara di quantità, ma giochi di abilità, scaltrezza, conoscenza e resistenza basati sulla bevanda che tutti amiamo.

Organizzazione a cura del birrificio artigianale “PENNA NERA” a Vigone, Tennis Club / Bar TieBreak, Sabato 20 luglio 2024, dalle 10 alle 24

Celebrare e far conoscere il mondo della birra a 360°, con giochi e bevute in allegria, buon cibo, musica e tanti sorrisi.

Benvenuti alle Olimpiadi della Birra, l’evento annuale organizzato dal birrificio artigianale “PENNA NERA” che celebra il mondo della birra a 360° in  un’immersione completa nella cultura della birra artigianale, dalla conoscenza delle materie prime agli stili di birra, dal servizio impeccabile ai giochi più celebri legati a questa bevanda.

Le Olimpiadi della Birra non sono solo una gara, ma un’occasione per dimostrare la propria passione e competenza in vari aspetti del mondo birraio.

Con circa venti prove diverse, i partecipanti potranno mettere alla prova le loro abilità in tutto, dalla degustazione alla conoscenza teorica, fino alla resistenza e al divertimento, tutte caratteristiche essenziali per chi ama la birra o lavora nel settore.

Chiunque sia maggiorenne può iscriversi e partecipare alle competizioni, ma l’evento è aperto anche a chi desidera semplicemente assistere, godendosi una giornata di allegria e convivialità.

Per maggiori informazioni ed iscirzione contattaci su WhatsApp al 3336003634

PENNA NERA FB PAGE:

https://www.facebook.com/BirraPennaNera

EVENTO FB:

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Sauze d’Oulx, il balcone delle Alpi

Una famosa meta sciistica invernale, ma anche un luogo dove passare meravigliose giornate all’aria aperta durante le stagioni calde.

Ad un ora di strada da Torino, Sauze d’Oulx e’ situata in alta Val di Susa, a 1500 metri di altitudine. E’ raggiungibile in auto e in treno e si collega alla Francia attraverso il famoso tunnel del Frejus, il primo traforo delle Alpi, lungo 12.233 metri.

Da dicembre ad aprile e’ una delle stazioni sciistiche più grandi della Vialattea, un comprensorio internazionale composto da 8 località, 212 piste e 69 impianti di risalita. Nelle stagioni piu’calde le piste si tramutano in prati meravigliosi dove e’ possibile fare suggestive passeggiate, pic nic, ed escursioni sia a piedi che in bicicletta. Per i bikers esistono diversi percorsi e sentieri che si incrociano assicurando, non solo tanto divertimento per appassionati di tutti i livelli ed eta’, ma anche viste straordinarie grazie ai suoi paesaggi sempre diversi e dai colori magnifici. Per coloro che hanno piu’ esperienza, con una bici da downhill, si puo’ provare il Sauze Bike Park, mentre, se si vuole prolungare l’attivita’ all’aria aperta e’ possibile partecipare ad una esperienza unica all’Avventure Village, un parco ricco di attrazioni, come il ponte tibetano e diversi percorsi a tema.

Sauze d’Oulx offre anche un centro storico molto caratteristicocon diversi luoghi di interesse da visitare come la chiesa di San Giovanni Battista del XVI secolo, con un campanile simil-romanico e una bella fontana di pietra montana al suo fianco, la cappella di Sant’Antonio Abate (a Jouvenceaux) e tutta un serie di stradine ricche di abitazioni montane, di negozi tipici, di artigianato e di locali dove fermarsi per fare una pausa e godere del paesaggio riposante e verdeggiante.

Nei dintorni di Sauze e’ possibile visitare i laghi di  Laune,all’interno del Parco del Gran Bosco di Salbertrand, un’area protetta istituita nel 1980 per proteggere gli abeti bianchi e rossi e i pini cembri presenti nel territorio, e il lago di Orfu’, un bellissimo specchio d’acqua dal colore ceruleo.

Per gli amanti del fuori strada, invece, Sauze d’Oulx fa parte dell’ Alpi Motor Resort, una rete di strade sterrate ex-militari che si snodano attraverso valli, altipiani, borgate e alpeggi. 

Questo tesoro denominato il Balcone delle Alpi e’ un luogo adatto a tutti, offre la possibilita’ di intraprendere differenti attivita’, sia sportive che di relax, regala paesaggi straordinari a temperature miti, che in estate si aggirano tra i 15 e 20 gradi; anche il palatosara’ molto soddisfatto grazie al cibo delle golose pasticcerie e dei locali e ristoranti sempre pronti a fare allegri aperitivi e ottime cene. Cosa comprare per portare con se’ il sapore di questo luogo delizioso?

Sicuramente il liquore ai mirtilli, il miele, la polenta, i canestrelli, le paste di meliga, una bottiglia di vino di ghiaccio, di rosso Bacuet o di bianco Baratuciat.

MARIA LA BARBERA

Trancio di salmone con puré di broccoli e ceci

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Un tris di sapori per una ricetta d’effetto, un piatto completo, nutriente e sano. La delicatezza e morbidezza del salmone abbinate ad un colorato pure’ vellutato sorprendera’ i vostri ospiti.

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Ingredienti

2 Tranci di salmone fresco

250gr. di ceci lessati

2 piccole teste di broccolo

½ spicchio di aglio

1 piccolo peperoncino

Olio evo, sale, 1/2 limone, prezzemolo q.b.

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Cuocere i tranci di salmone a vapore irrorati con il succo del limone. Cuocere, sempre a vapore, i broccoli precedentemente lavati, quindi frullarli con l’aglio, il peperoncino, i ceci scolati e risciacquati. Allungare il pure’ con un mestolino di acqua di cottura dei broccoli per renderlo piu’ cremoso, aggiustare di sale, aggiungere l’olio evo ed il prezzemolo tritato. Servire tiepido.

 

Paperita Patty

(R)estate a Grugliasco, notte bianca e non solo

A Grugliasco il Punto Verde è  il Parco Porporati, aperto fino al 3 agosto

 

Dopo il 5 luglio si replica il 12 luglio con la Notte Bianca di Grugliasco, con negozi aperti, l’animazione per i bimbi  con Nino’s style e un ricco programma di spettacoli itineranti con il mago Aladin, i ballerini e si canterà su musica anni Ottanta, Novanta e Duemila, con i Waikiki Summer. In alternativa ai Punti Verdi Torinesi non poteva mancare in questa estate 2024 l’appuntamento al parco che, con successo, ha accompagnato le serate dell’estate 2023.

Il parco Porporati di Grugliasco che accoglie la manifestazione è  dal lato Sud, da via Tiziano Lanza, dov’è stato allestito uno spazio verde per bere un drink e ascoltare musica dal vivo.

Il progetto in cui è coinvolto il parco, già cuore pulsante cittadino riconosciuto come spazio per il tempo libero, torna ad essere cornice di un progetto realizzato da Bis Eventi in collaborazione con la Città di Grugliasco, che prevede ogni giorno un appuntamento diverso fino al 3 agosto.

Il progetto,  realizzato da Bis Eventi in collaborazione con la Città di Grugliasco,  prevede ogni giorno fino al 3 agosto un ricco calendario di avvenimenti e momenti di intrattenimento a carattere gratuito,  con apertura al mattino alle 11 fino a chiusura. Durante il giorno sarà  possibile concedersi del relax nell’area Solarium, spazio allestito con sedie a sdraio utilizzabili gratuitamente dalle 11 alle 18. Vi è poi lo spazio area picnic in cui gustare un pranzo e la possibilità  di usufruire della piccola biblioteca del parco per la lettura di un libro.

Dalle 11 saranno aperti i chiostri del Parco con un’offerta sia dolce sia salata per piccoli e grandi. Dalle 18 sarà  attivo il Dehordel Garden, per poter gustare l’aperitivo al tagliere, lo street foode sorseggiare un fresco drink.

L’ambientazione naturale del parco verrà arricchita da una grande installazione luminosa e da fiori di luce, che costituiscono il “Garden of lights”.

Il programma è stato realizzato in collaborazione con SoulfoodMusic Factory e nel mese di luglio prevede musica live di alta qualità. Il 12 luglio atteso ritorno del talentuoso Sergio Moses, con la sua straordinaria voce, accompagnato da Tony de Gruttola, noto chitarrista del panorama musicale italiano.  Si esibirà anche il gruppo Freelance, composto da Marco Cimino ( ex Arti e Mestieri), Gian Paolo Petrini, batterista di artisti famosi come Anna Oxa, Mango e Adriano Celentano. Il funky show di Paolo Gianetta con il suo travolgente spettacolo “Godfather of th soul” sarà in scena il 19 luglio. Altrettanta emozione verrà  trasmessa dallo spettacolo di Francesco Patella, che offrirà un tributo a Lucio Battisti e a Mina. Il 16 luglio sul palco si esibiranno due giovani talenti,  Alice Costa e Frenkie, con la funky band Melty Groove.

Quest’anno la manifestazione si è arricchita della collaborazione di TOradio, che garantirà momenti entusiasmanti durante i TOradio Party del lunedì sera con intrattenimento in stile radiofonico e le serate Groove Revolution della domenica con Dj e musicisti live.

Tra le tante sorprese quella di chiusura il 3 agosto con Cipo Sugar, tributo alla musica di Zucchero Fornaciari.

Per maggiori informazioni www.restatealparco.it

Mara Martellotta

Voglia di gelato. Eccone uno speciale…

Un gustoso e sorprendente antipasto salato rinfrescante.

Un favoloso gelato al parmigiano, un modo diverso per gustare un classico della cucina italiana, molto semplice da realizzare sara’ una piacevole novita’. Servito con delle verdure croccanti incantera’ i vostri ospiti.

 

Ingredienti

200 ml. di panna fresca da cucina

200 ml. di latte fresco intero

100 gr. di Parmigiano Reggiano grattugiato

Pepe macinato

Granella di pistacchi di Bronte

Verdure fresche a piacere

 

Sciogliere a bagnomaria il parmigiano grattugiato fresco nella panna, lasciar raffreddare. Aggiungere il latte e una macinata di pepe, mescolare bene. Versare tutto nella gelatiera e lasciar mantecare. Preparare le verdure, ottimo con sedano e ravanelli, servire le palline di gelato in coppette individuali cosparse di granella di pistacchio di Bronte. Strepitoso !

 

Paperita Patty

L’Innominabile

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Ve lo ricordate lo jettatore Rosario Chiàrchiaro, magistralmente interpretato da Totò nel film a episodi “Questa è la vita” ? Era il personaggio creato da Pirandello nel racconto “La patente”, dove un uomo con la fama di menagramo decideva di sfruttarla quasi fosse un mestiere per campare, pretendendo la “patente di iettatore” al fine  d’essere pagato per evitare gli effetti dei suoi malefici. Il principe della risata si combinò una faccia da jettatore che era una meraviglia: barba ispida, incolta sulle gote; baffi  stretti e spioventi; un paio di grossi occhiali scuri, un abito e un cappello neri come la pece e un’ espressione  che obbligava , senza indugio, a fare i debiti scongiuri.

 

Nell’immaginario popolare lo iettatore è stato descritto come un essere magro, pallido, arcigno, leggermente curvo, solitario, taciturno, dal naso ricurvo e con occhi grandi e sporgenti, sormontati da folte sopracciglia . Bene, ora che ve lo siete immaginato, dimenticate tutto. Sì, perché il menagramo di cui si parla – che chiameremo a titolo scaramantico “l’innominabile”, era un uomo del tutto normale, impegnato nella vita amministrativa e politica dopo essere stato partigiano,amministratore pubblico, dirigente del PCI. L’unico “neo” era quella reputazione da uccello del malaugurio che lo accompagnava. Era pur vero che un giorno, in un salone per ricevimenti, guardando il soffitto, puntò l’indice verso il grande lampadario esprimendo una perplessità sulla sua “tenuta” e quest’ultimo pochi minuti dopo s’infranse sul pavimento lasciando i presenti sbigottiti e, fortunatamente, illesi. Non fu, ad essere onesti, un episodio isolato.  Per una serie di casi certamente fortuiti, molte delle sue sventurate “previsioni” s’avverarono suscitando, oltre allo sconcerto e all’incredulità di chi non era e non intendeva diventare superstizioso , una forte preoccupazione in coloro che, non pochi,  iniziarono a sospettare che emanasse davvero un’influenza negativa, portando sfortuna al prossimo. Così, di episodio in episodio, pur ammettendo la possibilità del caso, anche gli scettici furono rosi dal dubbio che le  coincidenze diventassero davvero un po’ troppe. Così, quando l’innominabile s’avviava a prendere un volo per Roma, i conoscenti evitavano accuratamente di salire sullo stesso aereo, accampando le scuse più varie.

Nonostante ostentassero indifferenza, tradivano una comune preoccupazione: l’aereo avrebbe potuto cadere e, nel caso, l’unico passeggero che sarebbe senz’altro miracolosamente scampato alla tragedia non avrebbe potuto essere nessun’altro che lui, l’incolpevole portatore sano di sfiga. L’innominabile soffriva molto per questa situazione davvero imbarazzante. Per un po’ aveva fatto finta d’ignorare la cosa ma , con il tempo, la sua “fama” era cresciuta a dismisura e capitava spesso che, incontrando amici e compagni, questi ultimi infilassero in fretta le mani in tasca dei pantaloniper la rituale toccata dei genitali finalizzata a  scongiurare gli effetti della sua presenza. Che tristezza provava nello scoprire che anche delle signore ben vestite e dal portamento elegante si lasciavano andare a gesti volgari, affrettandosi  a fare le corna. Ci soffriva parecchio poiché, essendo d’animo mite, non avrebbe mai e poi mai immaginato di poter arrecare danno alcuno al prossimo. La sua vita e il suo impegno potevano testimoniare l’esatto contrario, con una infinità d’episodi che l’avevano visto protagonista di gesti d’altruismo e di solidarietà. E’ proprio vero che, su cento cose giuste  che si fanno ne basta una discutibile e si è segnati per sempre. Cosa poteva farci? Il lampadario non l’aveva certo staccato lui dal soffitto. Luigi e Carletto, quando erano saliti in auto, erano un po’ “allegri” e lui aveva solo manifestato la preoccupazione che potessero andare a sbattere da qualche parte. Cosa poteva farci se la loro auto, nemmeno un minuto dopo, si era fracassata contro il muro della stazione e i due erano finiti all’ospedale con le ossa rotte?

A Don Giuseppe l’aveva detto per scrupolo che quella candela poteva incendiare la tovaglia dell’altare. Era colpa sua se metà chiesa aveva preso fuoco? E Marcello? Si era infuriato con lui solo perché , notando il platano oscillare pericolosamente a causa del vento, gli aveva suggerito di non parcheggiare sotto quei rami a sua Gilera. Se poi il vecchio albero del viale delle Rimembranze era caduto  sulla moto scassandola tutta era per sua responsabilità o a causa della tromba d’aria improvvisa ? Suvvia, se la gente era un po’ sfortunata non poteva pagarne lui le conseguenze, vi pare? Eppure qualcosa non quadrava se due persone come Arturo e Lido,  assolutamente prive di pregiudizi e solidamente scettiche nei confronti di ogni diceria, avevano maturato qualche ragionevole dubbio in proposito. Una sera tardi, tornando in auto da una riunione nel novarese, passando di fronte ad un capannone sormontato da una grande insegna luminosa che informava di come si trattasse delle “Officine” che portavano lo stesso cognome dell’Innominabile. Arturo non mancò di far notare il caso di omonimia. Come durante le tempeste magnetiche dei film di fantascienza la macchina si arrestò, senza dare ulteriori segni di vita. Motore muto, quadro elettrico senza vita, luci spente, motorino d’avviamento che non girava. Niente da fare. Ai due non restò che andarsene a piedi fino al primo centro abitato, a quasi dieci chilometri. L’unico albergo era chiuso in quella stagione e in giro non c’era anima viva. Girarono a zonzo per un bel po’ e poi trovarono da dormire in un fienile, come due vagabondi. Al mattino, accompagnati da un meccanico che s’ingegnava anche da elettrauto, tornarono all’auto che, appena girata la chiave nel cruscotto, si mise in moto. I due, increduli si guardarono stupiti mentre il meccanico scuoteva la testa. Così, a causa dell’omonimo industriale metallurgico, la fama dell’Innominabile si allargò anche verso i confini orientali del Piemonte, minacciando di varcare il Ticino. Cosa che, per fortuna dei lombardi, non avvenne.

 

Marco Travaglini

“Pasticceria Sole”, il sogno di Beatrice è una dolce realtà

Da poco più di un’anno in Via Nizza 361 si è realizzato il sogno di una ragazza. Una pasticceria che in poco tempo è diventata un punto di riferimento in grado di accontentare i gusti di grandi e piccini. Se si vuole avere una pausa caffè, e magari un dolcino da accompagnare, “Pasticceria Sole” è il posto giusto.

Ma come è nata l’idea? Tutto parte dal ricordo d’infanzia di una bambina, Beatrice Cuttonaro, e dalla nostalgia nel guardare la vecchia pasticceria della via ormai chiusa da tempo. L’inconfondibile profumo delle brioche era impresso nella sua mente; grazie all’esperienza del papà Francesco e imparando da lui, decise di ridare vita ad un luogo ormai spento. Adesso, tra le persone del quartiere, è diventato un punto fermo. Chi ha voglia di un buon caffè, che sia un impiegato, un farmacista, un abitante della via o un imprenditore, sa che può trovare la serenità di cui ha bisogno, facendosi abbracciare dal sapore e dall’aroma della pasticceria.

Avvicinandosi al locale si può percepire la familiarità, l’affinità sprigionata e l’inconfondibile aroma di caffè che, insieme ai sorrisi di Alice e Beatrice pronte ad accogliervi, renderanno il tutto ancor più armonioso. Nella “Pasticceria Sole” potrete trovare una vasto assortimento di  “pasticcini mignon”, un tocco di innovazione che si riflette su uno stile classico tipico della tradizione della nostra città. Un laboratorio in cui l’arte dolciaria viene sperimentata, presentando frequentemente nuove idee originali e gustose, opera delle molteplici proposte di Salvatore Rizzo e la sua collaboratrice Giuseppina Robusto.

Un posto in cui è facile ritrovare un sorriso. I  titolari vi accoglieranno con gioia, pronti a rendere il tutto più gradevole. Sia che si tratti di un’ora o di qualche minuto l’allegria all’interno è contagiosa. Locale adatto ad ogni stagione, da un freddo giorno d’inverno con una fumante tazza di cappuccino, a un caldo giorno estivo con un ottimo gelato. L’arredamento in legno massello, con il suo lampadario autentico viennese e l’orologio a pendolo appeso al muro, rende l’ambiente elegante e sofisticato.

Se leggendo questo articolo vi è venuta voglia di un pasticcino e un buon caffè non vi resta che venire in via Nizza 361, e farvi accompagnare in questa dolce esperienza.

Risotto raffinato al pesce Persico 

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Un delizioso risotto realizzato con un pesce di lago tra i più pregiati

Il pesce Persico ha carni morbide e delicate, perfette abbinate al riso. Un primo piatto raffinato e ricco di gusto. 

Ingredienti per il brodo: 
1 pesce da zuppa e 2 teste 
1 carota 
1 gambo di sedano 
1/2 cipolla 
2 spicchi di aglio 
Sale e pepe q.b. 
1 foglia di alloro, rosmarino, prezzemolo q.b 

Ingredienti per il risotto: 
1 Filetto di pesce Persico (350gr) 
2 pomodori maturi 
1 piccola cipolla 
1 spicchio di aglio 
1 noce di burro e poco olio evo 
Vino bianco secco, sale e pepe q.b. 

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Preparare il brodo: cuocere tutti gli ingredienti in due litri di acqua per circa un’ora. 
Risotto: in una larga padella rosolare la cipolla e l’aglio poi, aggiungere i pomodori tagliati a dadini e il filetto di pesce tagliato a pezzi. Aggiungere il riso, farlo tostare per qualche minuto, spruzzare con il vino bianco, lasciar evaporare poi, continuare la cottura versando a poco a poco il brodo caldo. Servire ben caldo cosparso di prezzemolo tritato. 

Paperita Patty

Giovanni Melampo, il fabbro Giuanin

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Giovanni Melampo, noto a tutti come “Giùanin”, l’ho conosciuto negli anni in cui veniva in banca a chiedere prestiti per la sua attività di fabbro. Camminava sempre a zig e zag, con passo incerto e le mani in tasca dove teneva sempre due mele, una per parte:” Vùna par tegna via luntan al dùtur e l’altra parché a lè mej veglà drèe“, mi diceva. Che, tradotto, era la sintesi del proverbiale “una mela al giorno leva il medico di torno” con l’aggiunta di un po’ di previdenza al fine di non farsi trovare sprovvisto di cibo quando i morsi della fame reclamavano udienza. Giùanin era, per certi versi, un artista. Possedeva una straordinaria abilità nel lavorare i metalli e una bacchetta di ferro, nelle sue mani, poteva diventare davvero un oggetto prezioso.

 

Non aveva, però, il senso della misura. Ricordo che, una volta, Ruggero Locati gli commissionò una gabbietta per tenerci un merlo: “Giùanin, mà ràcumandi. Una gabbia che non sia troppo piccola perché il merlo deve potersi muovere ma neanche troppo grande, perché la devo tenere in casa. Ci conto, eh?”. E lui disse di sì. Erano all’osteria della Trappola, seduti uno di fronte all’altro. Ma, come poi s’accorse anche il Locati, Giùanin quand’era “preso” non connetteva più di tanto. Quante volte era capitato anche a me di vederlo. Arrivava al Circolo, si metteva seduto al tavolo vicino alla finestra e comandava il primo mezzino. E poi un’altro , e un’altro ancora. Se gli si diceva qualcosa rispondeva a malo modo: “ L’acqua fa marcire i pali. Lo dicono tutti i  grandi bevitori di vino , e lo dico anch’io. Anzi, caro al mé ragiùnier, lo sai come dicono gli svizzeri? L’acqua fa male ed il vino fa cantare. E, allora, se vuoi farmi compagnia, prendi anche te un bicchiere e beviamo alla nostra salute. E poi , cantiamo”. E attaccava con il repertorio di canti degli alpini. Stonato com’era, era uno strazio doverlo ascoltare. Ma ,ormai, ci avevamo fatto l’abitudine. Tornando alla gabbia del merlo, passarono diverse settimane senza notizie. Locati si stava preoccupando quando, una mattina che era uscito un po’ prima per andare dal medico, incrociò il  fabbro. “Uelà, Giùanin. Incœu pensavì propri a tì. E ma disevi, tra mì e mì: al sarà minga mòrt ? Ed invece, vardatt’chi , ancamò viv. E la me gabbia dal merlo? Ti gh’he semper avùu la bravura de fa ma, madonnina cara, al temp te scarligà via“. Locati, milanese della Bovisa trapiantatosi sul lago Maggiore, non aveva perso l’abitudine del dialetto meneghino. Giùanin gli disse che aveva avuto dei problemi e  che andava di fretta ma anche che non s’era dimenticato e, all’indomani, il Locati avrebbe avuto la sua gabbia. A suo modo era una persona di parola. E così, il mattino dopo di buon ora, Ruggero Locati sentì il rumore di un motocarro fuori casa e un paio di colpi di clacson. Uscì e Giùanin gli chiese di aiutarlo a scaricare la “gabbietta”. Bastava guardare in faccia Locati per cogliere la sua somiglianza con la “rana dalla bocca larga”. Era rimasto lì, a bocca aperta, basito. La”gabbietta” aveva un diametro di circa due metri  ed era alta più di tre. Una voliera, ecco cos’era. Una voliera in piena regola e per più in ferro battuto. “Mah,mah,mah…” inziò a balbettare il Locati, incredulo. “Non c’è ma che tenga. Volevi una gabbia per il merlo,no? Eccola, qui. Larga e spaziosa. E siccome ti ho fatto aspettare un po’ di più, sai che faccio? Te la regalo”. Detto e fatto. Scaricata la gabbia, il Giùanin mise in moto e se ne andò, lasciando il milanese senza parole, ancor più a bocca aperta. Ecco, Giovanni Melampo era così, come dire?.. imprevedibile. Generosissimo e altruista , non sopportava però che  gli si dessero consigli sul lavoro. “ A l’è com’insegnàgh  a rubà ai làdar“. Cioè, era come insegnare a rubare ai ladri. Frase che rivolgeva a chi  aveva il vizio di dare spiegazioni inutili a chi era più esperto e competente. Oppure, bofonchiando tra i denti, sibilava un “ Pastizzee, fà ‘l tò mesté!“, sottolineando come fosse bene che ognuno lavorasse secondo la propria competenza. Poteva permetterselo, essendo un fabbro che “faceva i baffi alle mosche”. Dove abitava, sulla strada tra Loita  e Campino, praticamente sul confine tra Baveno e Stresa, aveva anche la sua bottega. L’incudine in ghisa era imponente. “Più è grossa, meglio è“, mi diceva il Giùanin. E quella, tra le due estremità, aveva una lunghezza di quasi due braccia. Di martelli ce n’era tutta una serie. “Per ogni lavorazione esiste il martello ideale. Vede, ragioniere, il peso è proporzionato a quello del pezzo da lavorare. E tutto dipende dall’efficacia che si vuol dare al colpo. Quello lì, ad esempio, è un martello da due chili. Quell’altro là ne pesa quasi tre mentre quello che sta lì, vicino a lei, pesa solo quattro etti“.

 

Quando parlava del suo mestiere usava un italiano corretto, da “professore”. “ Oggi, sa,  il ferro battuto viene richiesto soprattutto per arredare le case, dentro e fuori. Lampadari, tavolini, cancelli, intelaiature delle finestre. Ho anche molte richieste di cerniere per mobili“. In un angolo, sotto una larga cappa, c’era la forgia con il suo mantice per soffiare l’aria sul fuoco (“così si accelera la combustione e le temperature si mantengono più elevate“). Lo vedevo bene, Giùanin, aggirarsi sicuro tra i suoi attrezzi. Sembrava un direttore d’orchestra che disponeva gli strumenti nel modo migliore per eseguire la sinfonia. Lui, al posto di oboe, violini, violincelli, arpe e percussioni aveva pinze, taglioli, stampi, punzoni, dime, lime, seghe, mole, morse, trance, trapani. Anche in cucina era un mago. Talvolta mi capitava che, giunti ormai alla mezza,alzandomi per andare a casa a buttare un po’ di pasta da condire con pomodoro e parmigiano, com’era mia abitudine, mi teneva per il braccio, dicendomi: “Sù, ragiùnier, venga con me. Stiamo un po’ in compagnia. Le faccio assaggiare un po’ di pesce che m’hanno dato giù dal Luigino“. Tra le sue passioni c’era la pesca. Che condivideva, quando possibile, con Luigino Dovrandi, pescatore professionista ormai pensionato. Luigino, per non “perdere il vizio”, buttava le reti almeno tre volte la settimana e divideva il pescato con lui. A patto che cucinasse per tutti. A me capitava così di fare da “terzo” a questi banchetti. Tra i fornelli, Giùanin si destreggiava con abilità.La sua specialità era  il fritto misto di lago: alborelle in quantità e agoni, da friggere infarinati nella padella di ferro;  bottatrice, filetti di persico e lavarello, da cuocere a loro volta, impanati con l’uovo,  in burro e salvia , aggiungendo un goccio d’olio. Una bontà da leccarsi i baffi. E non finiva lì. Talvolta portava in tavola anche il  pesce in carpione, fritto e poi marinato in aceto, cipolla, alloro. Più raramente me lo proponeva in salsa verde. Si trattava, in quei frangenti, di lavarelli, agoni o salmerini grigliati e marinati in una salsa di prezzemolo, mollica di pane, aceto, capperi, acciughe, aglio, rosso d’uovo, olio d’oliva. D’inverno ci serviva i “missultitt” con la polenta. Questi agoni essiccati li trovava Luigino nella parte alta del lago, tra Ghiffa e Oggebbio. Lì, a dispetto del tempo e delle tradizioni che lasciavano il passo, alcuni vecchi pescatori suoi amici trasformavano gli agoni pescati in tarda primavera in missoltini, essicandoli al sole e conservandoli,  strato su strato – con foglie d’alloro – pressati nella “dissolta”, un recipiente chiuso da un coperchio di legno sul quale gravavano dei pesi, così che i missoltini restassero “sotto pressione” per alcuni mesi. Una volta “liberati”, Giùanin li passava per pochi istanti sulla griglia rovente, irrorandoli d’olio e aceto, per poi servirli sui nostri piatti con delle larghe fette di polenta abbrustolita e tre bicchieri di vino rosso. Un’allegria per il palato e una gioia per la compagnia.

 

Marco Travaglini