LIFESTYLE- Pagina 8

A Saluzzo “C’è fermento”

 

Nella capitale dell’antico Marchesato, si festeggiano per quattro giorni i 15 anni del “Salone delle birre artigianali”

Da giovedì 19 a domenica 22 giugno

Saluzzo (Cuneo)

A tutta birra! A Saluzzo, ultimi preparativi e molta attesa per “C’è fermento”, il “Salone delle birre artigianali” che quest’anno spegne quindici candeline e che andrà in scena per tutto il fine settimana, da giovedì 19 a domenica 22 giugno prossimi, presso il Cortile principale de “Il Quartiere”, al civico 1 di piazza Montebello. In collaborazione con la “Città di Saluzzo” e la “Condotta Slow Food del Marchesato di Saluzzo”, l’organizzazione è, come sempre, della “Fondazione Amleto Bertoni”, che per quest’edizione, oltre a 20 birrifici artigianali e a 11 “food truck”, ha scelto di dare ampio spazio alla “musica” conquattro concerti delle band di “saletta live”che, da inizio anno, usufruiscono della “sala prova” messa a disposizione dalla stessa “Fondazione” e dal Comune.

I concerti si terranno ogni giorno a partire dalle 18,30 presso il “Cortile d’Onore”, e, con a seguire, dj set. Per festeggiare i 15 anni del Festival, domenica 22 giugno, ci sarà inoltre la“serata revival” con una bella sorpresa dedicata a chi, negli anni, ha partecipato al Salone. Ampio spazio sarà dato anche a “proposte ludiche” con l’accesso gratuito ai “calciobalilla” e, venerdì 20 giugno, con i “giochi da tavolo” dell’Associazione morettese “Dimensione Arcana”.

“I grandi protagonisti del Salone – afferma Carlo Allemano, presidente della ‘Fondazione Amleto Bertoni’ – saranno come sempre i birrifici artigianali, con il contributo delle proposte del cibo di strada di qualità. Ma non c’è festa senza musica. Per questo saliranno sul palco i giovani che, nei mesi scorsi, hanno provato nella saletta de ‘Il Quartiere’. Riconfermata inoltre la presenza della ‘Birroteca’ e della birra ‘Terres CF 25’, prodotta dal birrificio agricolo ‘Kauss’, nonché l’impegno alla sostenibilità con ‘eVISO’ e ‘C.S.E.A.’ di Saluzzo per azzerare, edizione dopo edizione, l’impatto climatico del Salone, sempre più una grande festa anche perché questa edizione rappresenta un compleanno importante: quindici anni che vogliamo celebrare con tutti coloro che ci hanno seguito e supportato nel tempo”.

In programma, per quanto riguarda gli eventi musicali: giovedì 19 giugno, l’esibizione del duo cantautorale “Devalle” e la voce e chitarra del “Dama Duet”, con grandi classici del rock; venerdì 20 giugno, si alterneranno la theatrical post-punk stoner metal ironic band “The Schwabs” ed il collettivo musicale “#Hahs21#” che mescola musica elettronica con elementi di funk e jazz sperimentale. Sabato 21 giugno, “Denim & Ties”, giovane cover band che propone rock moderno e contemporaneo, si intervallerà con il quartetto “33cl Band” dal repertorio hard rock e rock anni ’70 e ’80. Domenica 22 giugno, infine, il power trio cuneese “Electric Confidence”presenterà i propri inediti ispirati all’“alternative” e “hard rock”, “punk” e “blues”, e la cantautrice “Erica ed altri musicanti” concluderà con sonorità etniche, particolarmente ricercate.

Tutti i concerti saranno ad ingresso libero ed inizieranno alle 18,30. A seguire, giovedì, venerdì e sabato “dj set” fino a chiusura.

g.m.

Nelle foto: immagini di repertorio

 

Locali storici a Torino: il Caffè Elena

A cura di Piemonte Italia.eu

Il locale si apre sul sottoportico di piazza Vittorio Veneto con una devanture formata da due accessi “a portale” e serramenti in luce entro una cornice centinata di marmo rosa.

La lunetta sulla porta d’ingresso ospita un’insegna dipinta con un’iscrizione pubblicitaria della Ditta Carpano, famosa per la produzione del vermuth…

Leggi l’articolo:

https://www.piemonteitalia.eu/it/luoghi/locali-storici-golosi/caff%C3%A8-elena

 

I torinesi e la moda intellettuale

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SCOPRITO   ALLA SCOPERTA DI TORINO

La moda italiana nacque a Torino nel 1911 quando per la prima volta una donna indossò un paio di pantaloni di un sarto francese, subito suscitò incredulità e stupore ma con il tempo le persone iniziarono a prenderla d’esempio creandone nuovi modelli. Poco per volta nacque a Torino l’industria dell’abbigliamento. Dagli anni Trenta agli anni Sessanta Torino fu il polo industriale principale italiano per la produzione del tessile. Solo dagli anni Novanta in poi Milano diventò capitale della moda italiana.
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I BRAND INDIPENDENTI CHE SALVAGUARDANO IL PIANETA

Secondo numerose ricerche i torinesi si ispirano molto alle mode del momento e numerosi sono i brand indipendenti che sono nati proprio in questa città. Tra di essi il brand “Nasco Unico” di Andrea Francardo, un laboratorio artigianale dove le clienti possono scegliere come realizzare il loro capo direttamente nel laboratorio evitando così sprechi di produzione.
Un altro marchio è “Amma” di Luisella Zeppa che produce borse eco-sostenibili, con materiali naturali e lavorate con cura e maestria da tantissime generazioni.
Per chi ama invece i gioielli vi è il marchio “Raduni Ovali” realizzati con pietre preziose, ognuno unico nel suo genere grazie alle attente rifiniture a mano.
Moltissime sono le scelte dei brand e dei negozi, spesso le piccole realtà sono poco conosciute rispetto ai grandi marchi ma possono essere un’ottima occasione per indossare capi unici e con una particolare attenzione verso l’ambiente.
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COSA INDOSSARE IN BASE ALLE OCCASIONI

I grandi marchi di moda influenzano ogni anno il mercato con tessuti e colori diversi, ma per ottenere esattamente il risultato che si vuole ottenere quando indossiamo un capo non dobbiamo solo basarci sulla moda ma anche su delle precise regole di psicologia!
Secondo la scienza infatti indossare degli abiti rossi accellera il battito cardiaco di chi li porta e anche del suo interlocutore, che potrà tradurre quella sensazione in “voglia di fuggire” o “eccitazione”, questo vale soprattutto se la persona che indossa l’indumento è donna. Quindi se ad un primo appuntamento vogliamo fare colpo vestirci di rosso potrebbe essere una buona idea.
Se invece abbiamo un’occasione più formale, ad esempio lavorativa, il colore ideale è spesso il blu perché abbassa il battito cardiaco, rilassa e fa si che l’interlocutore si fidi maggiormente di noi. I politici sono spesso vestiti di blu proprio per questo motivo, Donald Trump per esempio ha il completo blu, la cravatta rossa che indica grinta e lotta e la camicia bianca che suggerisce chiarezza.
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COSA INDOSSARE CON PARSIMONIA

Vi sono poi dei colori che potrebbero non aiutarci a raggiungere il risultato sperato come il nero che suscita l’idea dell’oscuro, velato, misterioso e al contempo lussuoso.
Il bianco stimola in noi l’idea della pulizia ecco perché è molto usato nei camici da lavoro, è però un colore che non suscita emozioni, non è quindi adatto quando vogliamo creare un legame con l’altra persona.

Si occupa di colori anche l’armocromia ma in un accezione puramente estetica e non scientifica, molto utile quando il nostro obiettivo è quello di valorizzarci esteticamente.

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NOEMI GARIANO

 

 

Fiorenzo, l’operaio che faceva “i baffi alle mosche”

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Quando ho conosciuto Fiorenzo – detto anche “stravacà-rundell” – era ormai in pensione ma il mio collega Rinaldo, più giovane di me, l’aveva avuto come “maestro” in fabbrica

Finita la scuola dell’obbligo, nonostante i buoni voti, Rinaldo aveva scelto – contro il parere dei genitori – di andare a lavorare in fabbrica. “Per studiare c’è sempre tempo“, si era detto. Un errore bello e buono che lui stesso, con il tempo, aveva ammesso. Sì, perché, come spesso accade, “ogni lasciata è persa“, e ciò che non si fa all’età giusta è ben difficile che si possa recuperare più avanti. Per sua fortuna Rinaldo aveva, come dire, “recuperato” ai tempi supplementari, da privatista, studiando di sera e lavorando di giorno. Era approdato alla Banca quando stava per festeggiare il suo venticinquesimo compleanno. Il signor Bruno, che aveva una fabbrichetta proprio sotto casa mia, lo diceva sempre anche a me: “Studia. Fat mia mangià i libar da la vaca“. Farsi mangiare i libri dalla vacca equivaleva, un tempo, a smettere di studiare per fare il contadino, imbracciando vanga, rastrello e falce al posto di penna, libro e quaderno. Quando non ce n’era necessità assoluta, era un peccato non “andare avanti” a scuola. Comunque, tornando a Rinaldo, non si mise certo a piangere sul latte versato. La fabbrica, un’azienda meccanica con una trentina di dipendenti, era poco distante da casa sua e venne assegnato come “bocia“, come apprendista,  alle “cure” di Fiorenzo. 

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“ Dovevi conoscerlo a quel tempo, amico mio. Era un operaio provetto, in grado di fare “i baffi alle mosche”. Tirava di fino con la lima, maneggiava con abilità il truschino per tracciare e il calibro per le misurazioni. Era un ottimo attrezzista, in grado di preparare uno stampo per la pressa ma s’intendeva bene anche di macchine come le fresatrici e i torni. Per non parlare poi della rettifica”. Con quella macchina utensile, si lavora sui millesimi, togliendoli dal pezzo in lavorazione con precisione chirurgica, grazie alla mola a grana fine e durissima che garantisce un alto grado di finitura. “ Sotto la sua guida ho imparato, in quegli anni, a lavorare sulle rettificatrici in tondo, senza centro e su quella tangenziale, per le superfici piane. A volte bisognava mettersi la mascherina, soprattutto quando si lavoravano i pezzi cromati: quelle nuvole di acqua e olio emulsionabile che abbattevano le polveri  e raffreddavano il “pezzo”, non erano per niente salubri”.  Nell’officina, a lavorare con Riccardo e Fiorenzo, erano in diversi. C’era un capo operaio che veniva dalla provincia di Varese, soprannominato “lampadina“, con la sua crapa pelata e la palandrana blu dalle tasche sfondate a forza s’infilarci gli attrezzi; Antonio, tornitore dall’aria austera che al solo guardarlo metteva in soggezione; Luìsin, una specie di factotum che s’occupava principalmente del magazzino; Silverio, abile e scaltro saldatore che si esprimeva per metafore mutuate dalle pubblicità di “Carosello“; Ansaldi, addetto ai trapani, compreso quello radiale che sembrava davvero un mostro con il suo pesante mandrino che stringeva ragguardevoli punte adatte a forare le lastre più grandi.

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Dal racconto di Riccardo pare proprio che si respirasse un clima di grande umanità in quei capannoni. Anche gli scherzi che toccavano alle “matricole“, non erano mai troppo pesanti. Se mandavano a prendere la “punta scarpina del 43“, il calcio nel sedere veniva quasi appoggiato alle chiappe, senza foga. Un “ricalchin“, niente di più. Chiedere al fresatore di poter ottenere un po’ “d’acqua d’os“, comportava una annaffiatura appena accennata con lo spruzzino a mano. In caso di necessità, richiesto con i dovuti modi, non mancava mai l’aiuto dei più esperti, segno di una disponibilità al giorno d’oggi quanto mai rara. “Un giorno Fiorenzo, soddisfacendo la mia  curiosità – racconta Riccardo   mi spiegò l’origine di quel soprannome  che s’era “guadagnato” da giovane, lavorando in una fabbrica un po’ più grande. Portando una cassa di rondelle di ferro verso il magazzino non aveva visto in tempo un buco nel pavimento ed il carrellino si era ribaltato, rovesciando sul pavimento l’intero contenuto”. Aveva impiegato una mezza giornata a scovarle, quelle maledette rondelle. Erano finite dappertutto: sotto le macchine e i banchi, nei cumuli di trucioli di ferro e tra la segatura che avevano buttato per terra sotto l’alesatrice per asciugare l’acqua che colava giù. “Da quel momento sono diventato lo “stravacà-rundell”. Poco importa se quella è stata l’unica volta che mi è capitato”, ammetteva, sorridendo, Fiorenzo. Personalmente l’ho conosciuto al circolo, una dozzina d’anni fa. Da quando gli era morta l’Adalgisa, sua moglie, veniva più spesso a fare quattro chiacchiere e una partita a carte insieme a noi. Raccontando degli episodi della fabbrica – che trovavano conferma nelle parole di Riccardo – emergevano altre figure, alcune esilaranti come nel caso di Igino e di Fedele. Entrambi avevano l’abitudine del bere che consideravano tale, rifiutando categoricamente che fosse “un vizio“. Igino lo conosco e me ho avuto prova quando,  insieme, siamo andati, una mattina di primavera, a pescare nel Selvaspessa, il torrente che dal Mottarone scende giù fino al lago Maggiore. Prima di raggiungermi sul greto del torrente, aveva fatto colazione “alla montanara“: pane, formaggio e una grossa tazza di caffè e grappa, dove la grappa prevaleva e di molto sul caffè. Dopo un’ora che si pescava, chiamandolo e non ricevendo risposta, lo trovai sdraiato su di un sasso, con i pantaloni arrotolati sopra il ginocchio e i piedi nudi nell’acqua corrente del fiume.

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L’acqua era gelata ma lui, sbadigliando sonoramente dopo le mie scrollate, mi disse che “aveva caldo ai piedi e un po’ di sonno“, e così ne aveva approfittato. Roba da matti, penserete ma vi assicuro che per Igino era la normalità. Aveva un fisico bestiale. Quando la domenica, indossata la maglia azzurra del Baveno, giocava a pallone, correva sulla fascia come una locomotiva per l’intera durata della partita, mostrando una riserva inesauribile di fiato. E a caccia di camosci era capace di stare delle ore immobile, nella neve, per mimetizzarsi. Fedele, invece, era più indolente e si muoveva sempre e solo sulla sua “Teresina”, una Vespa 125 del 1953, che teneva lustra e curata nemmeno fosse la sua morosa. Fiorenzo e Riccardo ricordavano il giorno in cui l’autista dell’azienda, con la sua “Bianchina“, stava tornando da una commissione. Lo videro in fondo al viale alberato, con la freccia pulsante a sinistra. Alle sue spalle c’era Fedele, sulla sua Vespa. L’auto procedeva a passo d’uomo ma non svoltò a sinistra al primo incrocio. Fedele gli stava dietro, tradendo una certa impazienza. La “Bianchina“, nonostante la freccia sempre inserita, non svoltò nemmeno in procinto delle altre due strade che gli avrebbero consentito la deviazione annunciata dall’indicatore luminoso . Ormai persuaso che la freccia era rimasta inserita per una dimenticanza dell’autista, Fedele accelerò per il sorpasso. Fu in quel momento che, giunta in prossimità del cancello della fabbrica, l’auto svoltò repentinamente e Fedele, con una sterzata disperata, evitò di un soffio la collisione , infilandosi nel bel mezzo di una siepe di rovi. “ Non ti dico in che stato era quando riuscì a liberarsi dalla morsa dei rami spinosi”, confessò Riccardo.

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Era uno strazio, con i vestiti strappati e il corpo coperto di graffi. Anche la sua  “125” era un graffio unico e soltanto la velocità, inaspettata quanto provvidenziale, del vecchio autista nel mettersi al riparo dalla sua furia – barricandosi nel gabinetto alla turca – impedì al motociclista di strozzarlo”. Quegli anni, certamente duri e non facili, venivano raccontati sia dall’anziano Fiorenzo che dal più giovane Riccardo come una specie di “formazione alla vita”.  “ Mi hanno aiutato a farmi la “scorza”, a capire come girano le cose e ad avere grande rispetto per il lavoro e per quelli che – quando hanno un impegno – non si tirano indietro, senza dimenticare che non costa nulla dare una mano a chi è in difficoltà e fatica a tenere il passo“, diceva Riccardo. Confidava di essere in debito con i suoi compagni di allora per tutte le cose che aveva appreso, “anche per quelle meno belle che- comunque – servono a volte più di quelle piacevoli”. Li aveva conosciuto Marcello, che voleva andare dal ginecologo perché “ghò mal ad un ginocc’.. ” e  De Maria, che conosceva a memoria la Divina Commedia; aveva lavorato gomito a gomito con Carmelo, una “testa fina” in grado di leggere i disegni tecnici più sofisticati che nemmeno un ingegnere avrebbe potuto “bagnargli il naso” e Morlacchini che, un giorno, si costruì una padella per le caldarroste talmente pesante che bisognava essere in due per far “ballare” le castagne sul fuoco. Tutti erano un po’ speciali e molto, molto umani. Forse – ne sono convinto anch’io che pure ho percorso una strada diversa – si dovrebbe andar tutti, anche per poco, a lavorare in fabbrica, in cava o in ambienti simili. Si capirebbero tante cose e si direbbero tante stupidaggini in meno.

 

Marco Travaglini

 

«The World’s 50 Best restaurant», l’Oscar mondiale della ristorazione

Quattro giorni con il meglio della ristorazione internazionale per incoronare Torino e il Piemonte capitali mondiali del gusto

La Regione Piemonte accoglie a Torino i «The World’s 50 Best restaurant» – l’Oscar mondiale della ristorazione che premia i 50 migliori ristoranti del mondo al via oggi, fino al 20 giugno. Una manifestazione che riunisce il meglio della ristorazione e della critica gastronomica internazionale per un evento che punta a mettere Torino e il Piemonte sotto i riflettori mondiali del gusto.

Per quattro giorni saranno in città e visiteranno il Piemonte oltre 1300 ospiti, più di 250 media specializzati nel settore eno-gastronomico, 89 ristoranti e più di 100 chef tra i migliori al mondo.

«Ospitare 50 Best è per noi una scelta strategica per posizionare Torino e il Piemonte al centro delle rotte della ristorazione mondiale. Questa è una terra che esprime un’altissima qualità gastronomica, che però non sempre è percepita come tale. Avevamo bisogno di portare qui critici, giornalisti e i migliori chef del mondo per poterlo raccontare e dimostrare a tutti», dichiara il presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio.

«Da oggi il Piemonte accoglie i più autorevoli protagonisti della scena gastronomica internazionale: avranno l’occasione di scoprire un territorio che ha fatto dell’enogastronomia una delle sue espressioni culturali più alte – sottolineano l’assessore al Turismo Marina Chiarelli, l’assessore all’Agricoltura e Cibo Paolo Bongioanni e l’assessore alla Tartuficoltura Marco Gallo -. Terra di paesaggi mozzafiato, grandi vini, paesaggi e piatti noti in tutto il mondo, la Regione ha una cultura del gusto che vive ogni giorno nel lavoro di chi, con passione e competenza, contribuisce a farla crescere e conoscere. Questi giorni saranno un’opportunità preziosa per condividere questa ricchezza e, insieme, un invito a tornare».

La Città di Torino dà il benvenuto a The World’s 50 Best Restaurants con una campagna di comunicazione e un Look of the City dedicato a promuovere l’evento all’aeroporto, nelle stazioni ferroviarie, alle fermate della metropolitana e su tutti i mezzi di trasporto pubblico locale.

«Siamo davvero contenti e orgogliosi di ospitare a Torino questa grande competizione internazionale – commenta il sindaco Stefano Lo Russo-. I riflettori di tutto il mondo saranno puntati sula nostra città, regalandoci una importantissima occasione di visibilità e promozione del territorio insieme all’occasione per valorizzare e far conoscere le sue eccellenze enogastronomiche, che costituiscono da sempre uno degli elementi d’attrazione per turisti e gourmand».

«Lo stanziamento straordinario che la Fondazione Compagnia di San Paolo ha deliberato testimonia concretamente la nostra volontà di far crescere il posizionamento internazionale della Regione e di valorizzarne i suoi asset strategici sostenendo eventi che parlano al mondo e rafforzando, al contempo, la rete culturale locale di un Piemonte capace di attrarre talenti, investimenti e nuove opportunità per tutta la comunità», dichiara Marco Gilli, presidente della Fondazione Compagnia di San Paolo.

Si comincia questa sera alla Reggia di Venaria con la cena di benvenuto dedicata alla stampa nazionale e internazionale. Un momento conviviale durante il quale il territorio piemontese – le sue Atl e i consorzi – potranno raccontare e far assaggiare agli invitati il meglio dell’enogastronomia del Piemonte. Sarà anche l’occasione per mostrare l’offerta turistica e culturale della Regione, grazie a una serie di video che saranno proiettati durante la serata e alla presenza di guide turistiche che illustreranno ai giornalisti e agli ospiti le bellezze piemontesi.

L’aperitivo, il menù della cena e l’after dinner sono stati realizzati in collaborazione con le associazioni di categoria Ascom-Confcommercio e Confesercenti, con la partecipazione di Ifse, Italian Food Style Education, l’Accademia d’Alta cucina, Pasticceria e Restaurant management d’Italia con sede a Piobesi (Torino), dell’Associazione Cuochi della Mole, dell’Associazione Ristoranti della Tradizione Canavesana, oltre che dai cuochi, dai maestri pasticceri e dai gelatieri di Ascom Epat. In campo anche Piemonte Land of Wine, i distretti del Cibo e il Consorzio del Gorgonzola.

L’aperitivo sarà servito sulla terrazza con vista giardini con cinque isole che rappresentano le specialità delle aree territoriali della regione: Torino (dalla battuta di scottone Razza Piemontese, fino alle ciliegie di Pecetto), Cuneo (nocciole Igp, acciughe al verde e cheesecake di Robiola d’Alba e pomodorini), Asti – Alessandria (vitello tonnato, crema di peperoni con bagna cauda e insalata russa), Biella – Vercelli (insalata di riso di Baraggia DOP e antipasto misto Piemonte – Savoia) e Novara – Verbano Cusio-Ossola (specialità al gorgonzola e tomino al verde).

La cena, invece, si aprirà con un “Ovetto croccante con asparagi di Santena scottati, fonduta di Blu del Moncenisio e tartufo nero”, vincitore del Premio FIPE 2025, un’esplosione di sapori e colori.

A seguire, un raffinato “Sorbetto al Vermouth bianco”, il celebre vino aromatizzato simbolo del Piemonte, prepara il palato alla “Zuppa di ajucche”, un’antica pietanza di pane ed erbe spontanee di montagna cotta al forno secondo la tradizione canavesana. Dal Canavese ci si sposta idealmente nel territorio braidese, con le “Perle di Carnaroli con ortiche, salsiccia di Bra ed emulsione di mirtilli”. Il gran finale è affidato al dessert: il tradizionale “Giandujotto della Mole”.

Per il dopo cena, ricca offerta dei drink più celebri del territorio e alcuni classici provenienti da tutto il mondo rivisitati dai più noti bartender torinesi. L’intrattenimento è affidato ai maghi di Master of Magic che proporranno alla platea trucchi, giochi di prestigio e performance: un’anteprima del Campionato mondiale di magia in programma in Piemonte dal 14 al 19 luglio.

«È un onore e un’occasione straordinaria ospitare a Torino l’edizione 2025 di The World’s 50 Best Restaurants. È un onore, perché la nostra città è stata ritenuta all’altezza di accogliere l’evento più prestigioso del mondo nel panorama dell’alta ristorazione. Ed è un’occasione, perché ci offre la possibilità di raccontare al mondo il valore della nostra accoglienza, della nostra tradizione enogastronomica, della qualità della nostra ristorazione, delle imprese e dei prodotti del territorio. Torino è una città che custodisce una grande tradizione gastronomica, ma che sa anche guardare avanti, con spirito d’innovazione e attenzione alla qualità. Uno spirito sempre più apprezzato dai turisti, che per il 20% sceglie Torino come meta per l’offerta enogastronomica. Le Associazioni di categoria sono state coinvolte nella cena dedicata ai giornalisti italiani e internazionali alla Reggia di Venaria: una vetrina straordinaria per raccontare il nostro territorio, in uno dei luoghi più suggestivi e simbolici del Piemonte» dichiarano Maria Luisa Coppa presidente Ascom Confcommercio Torino e provincia e Giancarlo Banchieri, presidente di Confesercenti Piemonte.

Il 18 giugno, dalle ore 10, Alberto Cirio, presidente della Regione Piemonte, parteciperà alla conferenza stampa di apertura dell’evento, alle Ogr, in corso Castelfidardo 22.

In serata sarà l’assessore Marina Chiarelli a rappresentare la Regione alla Chef feast a Villa Bria, sulla collina torinese, dove partner e sponsor si incontreranno con gli chef e la comunità dei gourmet per festeggiare l’arrivo in città. Il cuore della manifestazione sarà il giorno successivo, il 19 giugno, con il Red Carpet del 50 Best e l’Award e la proclamazione della classifica del 50 migliori ristoranti del mondo nella splendida cornice dell’Auditorium del Lingotto.

Alle 20 partirà la cerimonia di premiazione all’Auditorium Agnelli con la presenza degli assessori al Turismo Marina Chiarelli e alla Tartuficoltura Marco Gallo.

Fuori dalla Sala gli stand di sponsor e partner propongono agli chef, ai giurati e agli oltre 1300 ospiti i loro prodotti. Lo farà anche il Piemonte che con uno stand realizzato da Visit Piemonte mostrerà le immagini del territorio e della sua meravigliosa tradizione enogastronomica, oltre a proporre alcuni assaggi dei prodotti stagionali più rinomati, come la battuta di fassona con scaglie di Castelmagno, il salame di turgia, gli asparagi e dolci a base di nocciole e gianduja.

Oltre al ricordo dei sapori, la Regione Piemonte consegnerà agli chef alcuni omaggi simbolo del territorio che li ospita.

Una bottiglia di Barolo del proprio anno di nascita, un barattolo personalizzato di Nutella e un kit da cucina – zaino, grembiule e canovaccio – su cui è riprodotta l’Allegoria di Ugo Nespolo, rinomato artista piemontese. Nespolo ha realizzato un’opera per il Grattacielo Piemonte, sede della Regione, in cui ritrae tutte le eccellenze del Piemonte, dal saper fare della tecnica, dell’innovazione e dell’industria ai paesaggi di montagne, laghi e colline, dai prodotti agricoli ai piatti iconici della nostra cucina, fino ai monumenti che caratterizzano Torino e il Piemonte.

Tre itinerari alla scoperta delle eccellenze del Piemonte – tra sapori, cultura e tradizione – sono curati da Visit Piemonte per oltre venti giornalisti internazionali in occasione della manifestazione. I percorsi toccheranno alcune delle aree più rappresentative del territorio: dalle suggestive zone dei laghi, alle colline patrimonio UNESCO di Langhe, Monferrato e Roero, dove i partecipanti vivranno l’emozione della caccia al tartufo e approfondiranno la tradizione dei Tajarin. Il viaggio proseguirà poi nella zona delle risaie e nel Canavese, con un’esperienza educativa dedicata alla ricerca di funghi e frutti di bosco, accompagnata dalla degustazione del rinomato Erbaluce. Ogni tappa sarà arricchita da pranzi e cene in location iconiche dell’enogastronomia piemontese e torinese, per offrire un’immersione completa nella cultura del gusto che caratterizza la Regione.

Grande successo per la 42ª edizione del Palio Storico dei Borghi di Avigliana

Sabato 13 e domenica 14 giugno Avigliana è tornata nel medioevo con la 42ª edizione del Palio Storico dei Borghi, una delle manifestazioni storico-folcloristiche più importanti del Piemonte, che ricorda il passaggio in città nel 1389 di Valentina Visconti, diretta a Melun dove avrebbe incontrato il suo sposo Luigi di Valois-Orléans. Davanti al Conte di Savoia Amedeo VII, detto il “Conte Rosso”, alla consorte Bona di Berry e a Valentina Visconti, impersonati rispettivamente da Andrea Fornaro, Ilaria Valetti e Maria Vitillo, si sono sfidati in diverse prove i sette borghi storici del paese: Borgo Drubiaglio, Borgo Nuovo, Borgo Paglierino, Borgo Pertusera, Borgo San Pietro, Borgo Sant’Agostino e Borgo Vecchio.
Le competizioni avevano preso il via nel pomeriggio di sabato 7 giugno quando si è disputata la Gara di canoe sul Lago Grande, vinta nella categoria femminile da Emily Brocas in rappresentanza di Borgo Vecchio e nella categoria maschile da Fabio Goffi di Borgo Drubiaglio.
Sabato 14 giugno alle ore 17 è stata celebrata una Santa Messa nel Santuario della Madonna dei Laghi, edificato attorno ad un pilone decorato con un affresco raffigurante l’icona della Madonna del Latte, davanti al quale era solita recarsi in preghiera Bona di Borbone chiedendo la grazia di avere un erede maschio. Il suo desiderio venne esaudito ed il 24 febbraio 1360 nel castello nacque il figlio Amedeo. La contessa volle che attorno a quel pilone fosse costruita un’edicola, affidata agli Agostiniani. Nel Seicento la piccola edicola venne fatta trasformare dal Duca di Savoia Carlo Emanuele I nell’attuale santuario.
Al termine della funzione religiosa sono stati benedetti il Palio, dipinto quest’anno dal pittore Antonio Nunziante e le bandiere dei borghi.
I rievocatori del Gruppo Storico “La Corte del Conte Rosso”, seguiti dai rappresentanti dei borghi hanno quindi sfilato fino al Campo CGA in Via Oronte Nota, dove il Primo Cittadino Andrea Archinà ha consegnato le chiavi della città al Conte di Savoia Amedeo VII.
La serata è proseguita con la Gara dei Tamburini, nella quale ha primeggiato Borgo Sant’Agostino  e con la sfida di Tiro alla Fune, che ha visto la vittoria di Borgo di San Pietro.
Il numeroso pubblico ha potuto gustare menù conviviali di stampo medievale presso le taverne dei borghi; il tutto è stato accompagnato da spettacoli vari, tra i quali l’esibizione dell’Associazione “Sbandieratori e Musici della Città di Avigliana”, i combattimenti dell’ “Asti Buhurt Club” e i balli del gruppo “Belly…ssime”. Alle ore 22 i rievocatori del Gruppo Storico “La Corte del Conte Rosso”, presieduto da Ivonne Allais, che ha impersonato la Contessa Bona di Borbone e l’ Associazione “La Terra dei Cavalli”, presieduta da Giuseppe Raggi, hanno portato in scena lo spettacolo “Correva l’anno 1389” incantando con la loro bravura tutti i presenti. Questa rappresentazione ha permesso al pubblico di conoscere la vita di Valentina Visconti, nata a Pavia nel 1371 e figlia di Gian Galeazzo, Signore di Milano (il quale 5 settembre 1395 ottenne dal Re dei Romani Venceslao di Lussemburgo il titolo di Duca) e di Isabella di Valois, figlia del Re di Francia Giovanni II.

Bianca di Savoia, la nonna paterna di Valentina, era la sorella del Conte di Savoia Amedeo VI.  La giovane nel 1387 sposò per procura a Milano Luigi di Valois-Orléans, fratello minore del Re di Francia Carlo VI. Il 24 giugno 1389 partì da Pavia in direzione Melun per andare a incontrare il suo sposo. Portava in dote le Contee di Asti e Vertus, più 200.000 fiorini d’oro, monili, pietre e stoffe preziose. A Milano vennero organizzati dodici giorni di festeggiamenti in suo onore. Accompagnata da trecento cavalieri e da suo cugino il Conte di Savoia Amedeo VII, detto il “Conte Rosso”, che la scortò fino a Chambéry, fece tappa ad Alessandria, Asti, Chieri, Torino, Rivoli e Avigliana, dove in suo onore vennero organizzati grandi festeggiamenti che durarono più giorni, videro la presenza di tutti i nobili della zona e si conclusero con un torneo ed un palio dei cavalli. Valentina arrivò a Melun il 17 agosto. Il 22 agosto gli sposi fecero il loro ingresso trionfale a Parigi, dove nella Cattedrale di Notre-Dame ricevettero gli omaggi dell’aristocrazia francese. L’unione della coppia fu di breve durata in quanto Luigi venne pugnalato a Parigi il 23 novembre 1407 per ordine di suo cugino il Duca Giovanni I di Borgogna e Valentina si spense il 4 dicembre 1408 al Castello di Blois. Il loro nipote Luigi, figlio del primogenito Carlo, nel 1498 salì al trono di Francia con il nome di Luigi XII. A quest’ultimo nel 1515 succedette il genero Re Francesco I, figlio di Luisa di Savoia, sorella del Duca Filiberto II, anch’egli discendente da Valentina Visconti e Luigi di Valois-Orléans in quanto nipote del loro terzogenito Giovanni.
La serata di sabato 14 giugno si è conclusa dalla performance del gruppo artistico “ Il Carro delle Illusioni”.
Il giorno seguente alle ore 15 dal parco cittadino “Alveare Verde” è partito il corteo storico, che guidato dall’Associazione “Sbandieratori e Musici della Città di Avigliana”, dalla Corte, dai Borghi e dai Cavalieri del Conte Verde, capeggiati da Giuseppe Raggi che magistralmente impersonava il Conte di Savoia Amedeo VI, alle ore 16 ha raggiunto il Campo CGA, dove si è disputato il Palio Storico. Dopo la gara di Tiro con l’arco, vinta da Borgo Pertusera, si è tenuta l’attesissima corsa dei cavalli, che ha visto la vittoria, dopo ben 25 anni, di Borgo Vecchio, il cui fantino di Asti Nicolò Chiara, aveva già vinto il Palio nel 2017 con Borgo Drubiaglio.
Alle ore 22,15 il Corteo Storico ha raggiunto Piazza Conte Rosso, dove il numeroso pubblico ha ammirato il grande spettacolo pirotecnico.
A tutti gli eventi lo scrivente, in qualità di Vice Segretario Amministrativo Nazionale, ha guidato la delegazione dell’Associazione Internazionale Regina Elena Odv, che domenica 29 giugno organizzerà un grande evento storico ad Avigliana: la commemorazione delle nozze tra il Conte di Savoia Amedeo VI e Bona di Borbone, celebrate a Parigi nel 1355.
Alle ore 10 verrà celebrata una Santa Messa nella Chiesa Parrocchiale di San Giovanni Battista, seguita dal corteo della “Corte del Conte Rosso” e dei gruppi storici fino in Piazza Conte Rosso, dove si terrà una solenne cerimonia. Il pubblico avrà la possibilità di vedere da vicino in personaggi della Corte di Avigliana: il Conte di Savoia Amedeo VI, detto il “Conte Verde”, la consorte Bona di Borbone, il figlio Amedeo VII, detto il “Conte Rosso” e la nuora Bona di Berry. La partecipazione sarà libera.

ANDREA CARNINO

Torino capitale internazionale della gastronomia con Buonissima Summer Edition

Sono cinque le location protagoniste di Buonissima Summer Edition 2025, luoghi simbolo dell’arte, della cultura e della gastronomia, tutti accomunati da un progetto di riqualificazione.

Dall’ex brefotrofio provinciale oggi Ecosistema per le Culture Contemporanee,  alla sede museale di Intesa Sanpaolo nello storico palazzo Turinetti di Pertengo in piazza San Carlo. Dalle Grandi Officine Riparazioni Ferroviarie, in cui si riparavano i treni,  alla prima drogheria dove nacque l’azienda Lavazza. Fino ad approdare alla Fabbrica del Lingotto, simbolo e icona del modernismo italiano, che ospitava una pista di collaudo sul tetto, oggi trasformata nel più grande giardino pensile d’Europa. Luoghi della memoria industriale e protagonisti della rigenerazione urbana che accoglieranno eventi d’eccezione da lunedì 16 a sabato 21 giugno.

Torino, in questo inizio d’estate, diventa la capitale internazionale della gastronomia mondiale e celebra  la migliore cucina in tutte le sue forme, con una speciale edizione di Buonissima, la ‘Buonissima Summer Edition’, che va ad affiancarsi all’edizione invernale, in programma dal 22 al 26 ottobre prossimi.

Diventato nel corso delle passate cinque edizioni un punto di riferimento del settore, Buonissima, evento creato dai giornalisti enogastronomici Stefano Cavallito e Luca Iaccarino e dallo chef Matteo Baronetto, Buonissima ha permesso a decine di migliaia di partecipanti di approfondire la conoscenza dei protagonisti della scena gastronomica internazionale,  da Massimo Bottura a Ferran Adrià, da Alain Ducasse a Enrico Crippa, da Virgilio Martinez a René Redzepi e nel corso degli ultimi anni sono stati tantissimi i nomi importanti della ristorazione mondiale ad aver partecipato alla kermesse torinese.

Il programma prevede oltre 25 eventi, con il coinvolgimento di più cinquanta cuochi e chef provenienti dall’Italia e dal mondo per celebrare la buona cucina.

Cinque saranno in particolare i format proposti da questa Special Edition estiva di Buonissima che coinvolgerà la città nell’atmosfera di una festa enogastronomica portata dall’occasione unica della cerimonia di premiazione dei The World’s 50 Best Restaurants, che ha scelto per la prima edizione italiana della sua storia proprio Torino.

La prima grande novità della Buonissima Summer Edition è la speciale ‘Vertical Dinner’, che si terrà martedì 17 giugno a partire dalle ore 18 presso Flashback Habitat, centro artistico indipendente situato nella scenografica e panoramica collina torinese, ricavato da un edificio riqualificato, che un tempo ospitava un brefotrofio. Qui sei chef si avvicenderanno in una cena verticale pensata per raccontare  la migliore cucina regionale italiana lungo il tema “Trattoria Italia”. Tra i partecipanti alla Vertical Dinner spiccano i nomi di Giuseppe Iannotti, in rappresentanza della Campania, Ugo Alciati ( Ristorante da Guido) per il Piemonte,  Paolo Gori (Trattoria da Burde) per raccontare la cucina toscana e Luciano Monosilio ( Luciano Cucina Italiana) per il Lazio.

Apriranno la serata, nel giardino della villa, Giuseppe Rambaldi e Massimiliano Prete.

Prezzo  a partire da 80 euro a persona.

Il 18 giugno sarà  in programma “ Degustando Melting Pot. “Tutti i Saperi del mondo”, una grande festa della cucina internazionale che si terrà sulla pista 500 sul tetto del Lingotto, con una particolarissima e unica edizione del popolare formato “Degustando”. Protagonisti saranno undici chef internazionali  che hanno portato la loro interpretazione gastronomica, culturale e territoriale in Italia, contribuendo a costruire un panorama sempre più lungimirante e di ampio profilo. Tra i protagonisti della serata figurano Matias Perdomo, nativo dell’Uruguay, attivo a Contraste Milano, Roy Caceres della Colombia, attivo a Roma presso Orma, Giulia Liu di Gong Oriental Attitude e del progetto Mr Dumping a Milano ( Cina), Charles Pearce del Regno Unito, Jose Alfredo Villa Lopez di El Beso a Torino, proveniente dal Messico, Antonella Ricci & Vinod Sookar dalle Mauritius, Max Chiesa di Kensho a Torino (in Giappone), Alessandro Scardina de La Pista a Torino, che proporrà una cucina con influenze internazionali, per chiudere con Jessica Rosval e Caroline Caporossi che porteranno a Torino il progetto Roots di Modena, un esempio che coinvolge l’imprenditoria femminile e le donne provenienti da Congo, Repubblica Dominicana, Guinea, Marocco e Nigeria.

Dal 17 al 20 giugno si terranno anche le Cene Pop Up, appuntamenti che uniscono l’anima pop con l’anima top della ristorazione.

Ecco l’elenco: martedì 17 giugno, l’ Osteria Antiche Sere della famiglia Rota ospiterà le Calandre dei fratelli Alajmo, tre stelle Michelin a Rubano, nel Padovano. Sempre martedì 17 il ristorante SanTommaso 10, guidato dallo chef Gabriele Eusebi, ospiterà  lo chef Enrico Recanati, maestro della brace nel Ristorante Andreina, una stella Michelin a Loreto, in provincia di Ancona.

Mercoledì 18 giugno Matteo Baronetto, già chef del ristorante del Cambio e co-ideatore di Buonissima, sarà ospite di Lao, il ristorante che ha saputo raccontare la miglior cucina di Shangai a Torino.

Mercoledì 18 giugno, al ristorante La Pista, lo chef Alessandro Scardina ospiterà  nella sua cucina con vista sulla città  lo chef Salvatore Elefante, che giunge dal ristorante più iconico dell’isola di Capri, l’Olivo, e Marco Sforza di Firenze.

Venerdì 20 giugno la cena sarà  al ristorante l’Opera-Ingegno e Creatività  dove lo chef Stefano Sforza ospiterà il collega Paolo Griffa, una stella Michelin al caffè nazionale di Aosta.

Venerdì 20, presso il ristorante delle Gallerie d’Italia, da Scatto, guidato da Costardi Broa, verrà ospitato lo chef Daniele Panzeri de la Piola di Piazza Duomo ad Alba, che grazie all’attenzione al territorio e all’inventiva della famiglia Ceretto, ha saputo innovare la proposta di cucina piemontese tradizionale.

Sempre dal 17 al 21 giugno hanno aderito alla Summer Edition di Buonissima molte piole, che sono state  inserite in Piolissima, evento che celebra la più grande tradizione gastronomica piemontese. Piola è  un termine dialettale, intraducibile nella sua completezza, che definisce  quelle osterie tipicamente torinesi, con un menu fatto di cose buone e semplici, di bicchieri di Barbera in mescita e di piattini di antipasti, di accoglienza famigliare e di serate che finiscono tardi.

Tre la piole protagoniste di Buonissima  Summer Edition Barbagusto, Cantinone San Paolo, Ristorantino la Fucina, le Ramine, Trattoria Amicizia, Magazzini Oz, Ballatoio Bistrot di Ringhiera, Du’ Cesari, il Pastis, le Putrelle, Podiciotto, Pescheria Gallina, San Giors, La Piola di via Piol, Uliveto, Osteria Calabrese, Muro, Madama Piola Vini & Piattini.

Prezzo delle cene di Piolissima 30 euro a persona

L’ultima sezione di Buonissima Summer Edition è  Bistromania, che celebra uno dei modelli più contemporanei della ristorazione cittadina e nazionale,  i bistrot, luoghi fatti di cucina buona e curata, che trae le sue origini dalla tradizione, ma tenta di trasformarla in una chiave più moderna, accompagnandola con una selezione enologica interessante. Tra i bistrot che vi parteciperanno figurano Buatta Cucina Popolare, Contesto Alimentare,  Gaudenzio Vino e Cucina, Locanda del Falco, Luogo divino, Bistrot del Nazionale del Vernante, Osteria Andirivieni, Osteria Contemporanea la Bottega d’ Mentin, Paltò, Razzo, Salto dell’Acciuga, Scannabue, Silos, Smoking Wine Bar.

Prezzo di ingresso comprensivo di un calice di vino 10 euro.

La Summer Edition di Bistromania sarà ospitata venerdì 20 giugno  a partire dalle ore 19 da Snodo, il ristorante delle OGR,  con una grande festa di chiusura per chiunque abbia voglia di festeggiare questa manifestazione che inneggia alla bellezza gastronomica di Torino e internazionale.

Mara  Martellotta

I Walser di Campello Monti

Campello Monti ,l’ultimo centro abitato della Valle Strona a milletrecento metri d’altitudine, è un piccolo e  antico villaggio walser che conserva gelosamente le sue origini, le tradizioni, la cultura e alcune bellezze architettoniche come la settecentesca Parrocchiale di San Giovanni Battista, di epoca tardo barocca, ricca di arredi e paramenti preziosi. A custodire le radici walser del paese è la Walsergemeinschaft Kampel, l’associazione walser di Campello, presieduta dall’infaticabile e vulcanico Rolando Ballestroni. Il sodalizio, da oltre trent’anni, promuove iniziative culturali e ricerche con l’intento di valorizzare e far conoscere questa realtà importante. Tra queste la serie di convegni denominata “Campello e i Walser”, che si tiene solitamente tra la fine di luglio e i primi di agosto, vede incontrarsi ogni anno numerosi studiosi e cultori di storia locale.

 

Il filo conduttore degli incontri è la storia delle comunità alpine e quindi anche di quelle walser, discendenti da un popolo alemanno penetrato nell’alto medioevo a ridosso delle Alpi centrali che, dopo essersi acclimatati alle grandi altitudini dell’alto Vallese, a partire dalla seconda metà del XIII secolo,  colonizzarono le zone più elevate delle Alpi e in particolare le valli intorno al Monte Rosa, dando vita alle comunità di Alagna, Gressoney, Issime, Rimella, Rima, Campello Monti, Macugnaga e Ornavasso. Oltre, ovviamente, agli altri che, attraverso il passo del Gries, conquistarono la Val Formazza e da lì raggiunsero successivamente Bosco Gurin, nell’elvetico Canton Ticino. Campello Monti è immersa tra le verdi pendici della vallata e le alte cime delle montagne, rappresentando anche un’ottima base di partenza per suggestive escursioni dirette ai laghi alpini di Capezzone e Ravinella e ai sentieri che portano al monte Capio e all’Altemberg. Ritornando alle sue radici va detto che la traccia lasciata dai walser è nettissima, tanto da aver segnato e modellato la stessa fisionomia topografica del paese. Già nella prima fase, quella della primitiva nascita dell’insediamento umano stabile a quelle quote, gli esponenti del “piccolo popolo” dovettero esaminare, valutare e interpretare i “segni” che il territorio mostrava loro. Per queste ragioni la scelta di interrogarsi e studiare sul modo migliore per riscoprire la montagna equivale a percorrere un lungo viaggio sulla genesi di una cultura materiale basata sull’individualità dei luoghi, sulla cultura e le tradizioni alpine, La Walsergemeinschaft kampel” è un’associazione senza fine di lucro, ufficialmente costituita il 23 dicembre del 1991, riconosciuta e iscritta all’ associazione internazionale dei Walser con sede in Briga, in Svizzera. Tra gli obiettivi che l’associazione guidata da Ballestroni si prefigge vi è innanzitutto la volontà di consolidare una memoria che, con il passare del tempo, tende a sbiadire, organizzando mostre e convegni, promuovendo ricerche storiche sulla lingua, le relazioni con altre comunità, l’arte e la cultura, le pratiche legate all’agricoltura di montagna, le tradizioni culinarie e le esperienze formative, la religiosità e l’immaginario narrativo. Un lavoro enorme che è stato raccolto negli atti dei convegni dal 1994 fino ai giorni nostri, intessendo e rafforzando  contatti, rapporti e scambi con tutte le comunità walser del Piemonte e della valle d’Aosta. Quest’estate, Campello Monti ospiterà il 33° Convegno e il 24 agosto la quarta festa delle comunità Walser valsesiane con Rimella, Rima, Carcoforo e Alagna.

Marco Travaglini

Chabiant Winery

Vale il viaggio ! A circa  3,15 ore da Baku in Azerbaigian
ecco Chabiant Winery , un’azienda vinicola isolata nel villaggio di Hacıhətəmli,a circa 750 mt con 250 ettari di vigneti di vitigni caucasici
e europei , dove l’elevato sbalzo termico tra notte e giorno è ideale per l’uva .
La neve sciolta dalle magnifiche montagne Niyaldag (2063 m) è l’unica fonte d’acqua che nutre il suolo tutto l’anno . Fondata nel 1982 , nel 2017 ha modernizzato la struttura di produzione e ha iniziato ad esportare in Russia ed in China .
Offre vari blend di vini, ma quando si tratta di autentici vitigni locali, la produzione è 100% in monovitigno per mantenere la purezza
del vigneto.
Le uve vengono raccolte a mano e imbottigliate nella tenuta mantenendo la massima qualità nella produzione di vini bianchi, rossi e giovani.
Chabiant winery è riuscita a tenere viva la lunga tradizione vinicola del Caucaso, nonostante la campagna contro l’alcol del 1985 di Mikhail Gorbaciov, che portò alla distruzione dell’80% dei vigneti azeri.
Tour del vino (₼ ), con cui potete degustare
le varietà indigene come il Madrasa e il Bayan Shira, sono presenti ogni giorno .
Sotto la sapiente ed attenta supervisione del enologo italiano Marco Catelani , la cantina ha fatto passi da gigante in campo tecnologico e nella attenta analisi dei vigneti.
Ecco i vini che mi sono piaciuti:
CHABIANT MADRASA 2022
Uve: 100% Madrasa
Vendemmia: manuale, metà ottobre
Affinamento: 70% affinato per mesi in serbatoi di acciaio inox,30% in barrique usati per 6 mesi
Almeno 12 mesi in bottiglia.
Colore: rubino medio
Naso :ciliegia e mora e prugna con leggere note di vaniglia
Bocca: ciliegia e frutti rossi maturi, bilanciati da
tannini morbidi e bella beva
CHABIANT BAYAN SHIRA 2020
Uve: 100% Bayan Shira
Vendemmia: manuale, fine agosto
Affinamento: 6 mesi in serbatoi di acciaio inox, battonage settimanale sulle lieviti indigeni
Colore: paglierino medio con riflessi verdognoli
Sapori: aromi floreali bianchi e agrumati
Sapore: fresco e minerale con acidità equilibrata, note di erbe aromatiche
e lime persistente nel finale .
Chiamate in anticipo per prenotare un posto. È anche possibile pernottare nella guesthouse di Chabiant, circondata dai pendii rigogliosi del Caucaso maggiore, con grandi panorami che arrivano fino a Qəbələ.
Grazie all’entusiasmo di Sasha che ci ha accompagnato in cantina ed alla competenza e passione dell’enologo Marco Catelani.
Attenzione alle prossime uscite che sono ancora in sperimentazione….
Alla prossima!
LUCA GANDIN
PER INFO
Ismayilli Wine-2″ OJSC, Hajihatamli village,
Ismayilli region, Azerbaijan
+ 9 9 4 5 1 7 0 0 3 2 22
i n f o @ c h a b i a n t . a z
@ www.chabiant.az
© chabiantwinery

Le ciliegie “salate”

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Stavamo bevendo un bicchiere in compagnia quando Giorgio mi rivolse – all’improvviso – una domanda: “Ti ricordi quando andavamo per ciliegie?”.  Ci misi un attimo, giusto il tempo di mettere le mani nel cassetto dei ricordi e – trovato il filo giusto – mi vennero in mente, nitidamente, quei tempi

A Giorgio erano state le amarene rosso scuro che la Maria aveva sistemato nel cestino della frutta ad accendere la “lampadina“. In quell’istante, la nipotina della Maria, ne prese due coppie, tenute insieme dai gambi, e se le appese come fossero orecchini. Ridemmo, entrambi, di quel gesto che, tanti anni fa, avevamo fatto anche noi, scherzando tra ragazzini. All’epoca si andava in “banda” per i poderi a far razzia. Tra la fine di giugno ed i primi di luglio, nei tardi pomeriggi di quelle calde giornate d’estate, si cercavano gli alberi più carichi di ciliegie. Era una “caccia” troppo invitante. Le ciliegie sono frutti allegri, dissetanti. Ci sono quelle dolci, zuccherose, a polpa tenera ( le tenerine) e a polpa più carnosa (i duroni). E poi, le amarene e le marasche. Con gli anni ho imparato altre cose: oltre ad essere buone fanno pure bene. Sono indicate  nella cura di artriti, arteriosclerosi, disturbi renali. Contengono  buone quantità di fibre, potassio, calcio, fosforo e vitamine. Ci si possono produrre sciroppi, marmellate e liquori come maraschino, cherry e ratafià. Insomma, c’è tutto un elenco di cose positive che fanno rima con ciliegia. Ma noi, all’epoca in cui eravamo ragazzi, piacevano soprattutto perché erano il frutto di un piccolo furto e questo fatto, accompagnato dall’avventura, dai rischi e dalla voglia di trasgredire, rendeva le ciliegie il “frutto proibito” per eccellenza. Mario era arrivato al punto di sostenere una tesi tutta sua: Adamo ed Eva erano stati cacciati dal Paradiso non per colpa di una mela colta senza permesso ma di un cestino di ciliegie rosse e carnose. Il rischio più grande era quello di trovarle “salate“.

***

Infatti, capitava che i contadini di un tempo, poco inclini a tollerare le nostre scorribande, ci accoglievano con una doppietta caricata a sale grosso, determinati a scoraggiarci con la minaccia di  piantarci due schioppettate nel sedere. All’arrivo dell’estate, immancabilmente, sembravamo due eserciti in assetto di guerra. “Noi“, a gruppi di 4 o 5, lesti a salire sull’albero, cogliere le ciliegie al volo, riempire il sacco di tela o il cestino, cercando di fare il più in fretta possibile. “Loro“, i proprietari dei ciliegi dove cresceva quel ben di Dio, confezionavano cartucce di diverso calibro con sale grosso, in sostituzione dei pallini di piombo. Rinforzavano anche le linee difensive lungo i confini dei frutteti: reti metalliche orlate di filo spinato, staccionate, siepi irte di spine. Era la “guerra delle ciliegie” che, in altre località, si trasformava in una vera e propria “guerra della frutta”. Se i contadini erano i difensori del loro diritto alla proprietà privata noi, gli incursori che negavano questo diritto, sostenendo che la natura non aveva padroni, colpivamo senza pietà, svanendo subito dopo nei boschi e nella campagna circostante, a volte trascinandoci appresso i compagni feriti. “Lo si faceva per fame e per gioco. Per molti di noi era l’unico modo per mettere sotto i denti quella frutta che non potevamo comprare. Ed era una cuccagna perché a casa il cibo era scarso“, rammentava Giorgio. E, come un rosario, sgranavamo i  nomi dei nostri compagni di quella guerriglia senz’armi: io e Giorgio, Mario, Luigino “Trota” – abilissimo nel pescare nei ruscelli e nel fiume -, Remo, Marco ed anche Marina. Era, quest’ultima, una ragazzina sveglia che dava dei punti a tutti noi. Ed era golosissima di ciliegie. Il campo di battaglia più duro era il frutteto del vecchio Roger Zuffoli, detto “il marsigliese“. Aveva un paio d’ettari piantati a frutta dove si trovava di tutto: susine, albicocche, pesche, mele, pere ed ovviamente ciliegie ed amarene. Verso il limite del bosco aveva anche noci e nocciole. Roger, piccolo e secco, vestiva i pantaloni alla zuava e camicie a quadrettoni mentre in testa teneva sempre il suo basco calato sulle “ventitré“. All’epoca poteva avere si e no una settantina d’anni, gran parte dei quali passati a scaricare merci nei porti di Marsiglia e di Tolone. Era tornato a Baveno già anziano perché, diceva, ” dopo tanta acqua salata ho sentito la nostalgia dell’acqua dolce del Maggiore“. In ricordo di quegli anni, al circolo comandava sempre un bicchiere di  “pastis“,  liquore profumato all’anice, tipicamente francese, che allungava con l’acqua di una caraffa dove galleggiavano dei grossi pezzi di ghiaccio. Attaccare le sue piante era molto ma molto rischioso. Raramente riuscimmo a farla franca ed una volta, quasi, ci lasciammo le penne. Quell’episodio, ancor meglio di me se lo ricorda Mario. Stranamente silenzioso, il frutteto pareva incustodito quella sera. Saranno state le diciannove o poco meno. Roger mangiava presto e quindi pensavamo fosse quello il momento giusto per compiere l’incursione. Invece il perfido vecchietto, mangiata la foglia, si era appostato dietro al piccolo fienile con la doppietta in mano.

***

Non facemmo in tempo a renderci conto di quanto stava accadendo che l’eco dello sparo risuonò secco, costringendoci a tappare le orecchie. Colpito al sedere dalla fucilata di sale grosso, Mario cadde dal ramo. Dolorante si rialzò e tutti insieme corremmo a più non posso verso il bosco per far perdere le tracce. Mentre fuggiva a gambe levate, Mario sentiva il dolore delle ferite, poi il bruciore dei grani di sale che si scioglievano nella carne viva. Appena avvistò il ruscello, vinto dal bruciore, si gettò nell’acqua per calmare il fuoco che gli stava divorando il fondoschiena. Ma il rimedio si rivelò peggiore del male: l’acqua , accelerando lo scioglimento del sale, rese insopportabile il bruciore. Remo, appassionato collezionista di francobolli, portava sempre con se una pinzetta e con quella, tra le grida ed i lamenti di Mario, estraemmo i grani di sale, pulendo alla meglio le ferite. Per un po’, da quella sera, gli assalti vennero sospesi per poi, calmate le acque, proseguire per la disperazione dei contadini della zona, compreso Roger. Quella volta però, la “missione” si era conclusa senza il “bottino“. Mario , d’allora, non volle più prendere parte alle nostre imprese. L’invitavamo, lo pregavamo ma lui diceva sempre di no,  opponendo resistenza. Diceva che lui, ormai, non aveva più “il sedere di una volta“. In cuor nostro non ce la sentivamo di dargli torto.

Marco Travaglini