ilTorinese

Rubava all’Esselunga, arrestata trentenne

È stata sorpresa mentre usciva dall’Esselunga di corso della Vittoria a Novara, con articoli non pagati. Poi ha tentato un nuovo furto all’Esselunga di corso Vercelli. La polizia ha così arrestato una trentenne residente in città. Il giudice ha stabilito l’obbligo di firma e il divieto di uscire di notte. La direttissima è stata fissata il prossimo 7 maggio.

NOTIZIE DAL PIEMONTE

Cassa integrazione record in Piemonte: + 127% nel primo trimestre

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È  il peggior dato dal 2021
Nel primo trimestre del 2025 la cassa integrazione in Piemonte ha segnato un balzo preoccupante, facendo registrare un incremento del 127% rispetto allo stesso periodo del 2024. A fornire i dati è l’INPS, tramite il suo Osservatorio, che segnala oltre 8 milioni di ore autorizzate ogni mese. Una situazione definita allarmante dalla CGIL, che sottolinea come non si registrasse un livello simile dal 2021, in piena pandemia.

Secondo il sindacato, è urgente un piano straordinario per rilanciare la manifattura, attrarre investimenti e rafforzare gli strumenti di protezione del lavoro. “Il precariato non può essere la base per far ripartire il Paese. Il referendum dell’8 e 9 giugno deve riportare al centro il tema del lavoro e del salario”, osserva il segretario Giorgio Airaudo.

La crescita del ricorso agli ammortizzatori sociali interessa sei province su otto. Stabili solo Biella, mentre gli aumenti più marcati si registrano ad Asti (+432%), Vercelli (+287%) e Torino (+152%). Anche Cuneo segna un’impennata (+135%).

Proprio Torino è la provincia che traina l’intera regione: da sola ha totalizzato 17 milioni di ore autorizzate nei primi tre mesi del 2025, superando l’intero monte ore concesso nel corso del 2023. Il settore più colpito è quello manifatturiero, con un incremento di 13 milioni di ore, di cui 9,5 milioni solo nell’automotive e nel suo indotto. Questo comparto rappresenta oltre il 90% delle ore autorizzate a livello regionale. Al secondo posto, il commercio.

Una città regale, le grandi famiglie e le preziose collezioni

Nelle Sale delle Arti della Reggia di Venaria, sino al 7 settembre

Vedrai una città regale, addossata ad una collina alpestre, superba per uomini e per mura, il cui solo aspetto la indica signora del mare”, affermava nel 1352 Francesco Petrarca, mentre Montesquieu, al termine del secondo decennio del XVIII secolo, emetteva il proprio giudizio pesante come un macigno: “I Genovesi non si raffinano in nessun modo, sono pietre massicce che non si lasciano tagliare. Quelli che sono stati invitati nelle corti straniere, ne son tornati Genovesi come prima.” E non sai bene, ancora oggi, se il giudizio suoni lodevole caparbietà o presunzione. Due scrittori, due osservatori a guardare con occhi acuti ad una città che, con la sua maestosità, con l’eleganza, con la storia, con il suo stesso mare, dal 10 aprile – e fino al 7 settembre – occupa le Sale delle Arti al secondo piano della Reggia di Venaria con la mostra “Magnifiche collezioni. Arte e potere nella Genova dei Dogi”, a cura di Gianluca Zanelli, Marie Luce Repetto, Andrea Merlotti e Clara Goria, Genova città di patriziato ma una Repubblica con a capo un doge che, dal 1528, rimarrà in carica due anni, famiglie che si contendevano l’elezione, che mettevano in campo sfarzo e prestigio, prestigiose alleanze e protezioni, che allineavano saloni e ospitalità, servitù e carrozze, quelle collezioni che sono l’anima della mostra. Per secoli, i medesimi nomi, i Pallavicino, i Doria, gli Spinola, i Balbi, le collezioni oggi conservate a Palazzo Spinola della Pellicceria, qui un centinaio e oltre di opere tra dipinti, sculture, argenti e arredi, tra Sei e Settecento, la ricchezza delle raccolte ma soprattutto il racconto (e gli esempi splendidi) dell’affermazione di sé, dogi e cardinali – a ostentare la lucentezza dell’abito e della berretta, come Giovan Battista Spinola affida il proprio successo al pennello del Baciccio alla fine del Seicento -, politici, monache e nobildonne, ogni immagine rivolta al culto della persona, ogni tela o tavola pensata “ad maiorem domini gloriam”.

Suddiviso in sei sezioni e tredici sale – per apprezzare veramente quel che significhi “Superba” il visitatore non dimentichi e non si perda per un lungo attimo la bellezza delle grandi tele, i nomi sono quelli di Rubens, di Guidobono, di De Ferrari, e l’allestimento che Loredana Iacopino ha inventato e che nella ampia sala finale raggiunge l’apice della bellezza e della magnificenza, tra pareti e un pavimento riflettente che riporta alle porte di Torino la calma del mare genovese -, un percorso artistico in cui svettano Antoon van Dick (il pittore era giunto, appena ventiduenne, in città nel 1621: uno dei suoi capolavori è il “Ritratto di Caterina Balbi Durazzo”, eseguito in occasione delle nozze della fiera ed elegante signora) e Rubens (in città dal 1604, a lui si deve la redazione del volume “I palazzi di Genova”, uno studio illustrato delle più grandi e aristocratiche dimore): il suo “Ritratto di Giovan Carlo Doria a cavallo”, opera che s’inserisce tra gli anni 1607 e 1608, vero “manifesto di potenza”, apre il percorso della mostra, ricco di riferimenti simbolici, il cane come segno di fedeltà, l’aquila a immagine della casata, la foga del cavallo a contrasto della calma del cavaliere ovvero “l’uomo che con le sue virtù riesce a vincere sull’istinto”, la rossa croce dell’Ordine di San Giacomo aggiunta pochi anni più tardi; e con loro Orazio Gentileschi, Guido Reni, Luca Giordano, Carlo Maratti e poi ancora Angelica Kauffman e Hyacinthe Rigaud e quanti furono i maestri della grande scuola figurativa genovese come Bernardo Strozzi, Domenico Piola, il Grechetto, al secolo Giovanni Benedetto Castiglione, e Gregorio De Ferrari, sino allo spegnersi della grande Gloria in un infelice tramonto con le tele di Anton von Marton, morto a Roma nel 1808, davvero autentico canto del cigno.

Di luci e ombre tutte caravaggesche è costruito “Qui vult venire post me” (conservato nel Rettorato dell’Università degli Studi torinese) di Giovanni Battista Caracciolo, detto Battistello, uno dei primi seguaci del pittore a Napoli, proveniente dalla quadreria genovese di Marcantonio Doria, fratello maggiore di Giovan Carlo, acquistato nel 1614 tramite il procuratore della famiglia nel capoluogo campano. Poco oltre, ancora Van Dick a darci l’immagine – seppur oggi frammentaria – del piccolo Ansaldo Pallavicino, figlio del doge Agostino, che trentenne acquisterà il palazzo di piazza Pellicceria dando vita a una quadreria che sarà il vanto della casata, prediligendo l’artista nato nelle Fiandre e il fantasioso Grechetto (qui presente, tra l’altro, con “L’entrata degli animali nell’arca”, un incredibile quanto variopinto insieme di cani e pappagalli, di capre e gatti, di oche e tacchini e vettovaglie). Le sale d’esposizione ci fanno sempre più immergere in quel desiderio di essere ritratti, di tramandare la propria immagine, una celebrazione che coinvolgeva una pittura non per il tempo presente ma per il futuro. S’allineano il “Ritratto del doge Pietro Durazzo” del Mulinaretto, una scenografia ad effetto, il prorompente color porpora, i segni del potere posti in bella vista, quello di Anton Giulio II Brignole-Sale, il proprietario di Palazzo Rosso, ambasciatore alla corte di Parigi, tramandato da Hyacinthe Rigaud, la nobildonna in veste d’Astrea (di Nicolas da Largillière, dal prestigioso prestito del Sovrano Ordine Militare di Malta) e il “Ritratto di monaca”, dovuto al grande Bernardo Strozzi, mirabile ritrattista, in quei tocchi di bianco che la mano del pittore deposita vistosamente corposi: gli ultimi due appartenenti – capolavori della sala 8 – alla raccolta della famiglia Balbi (banchieri, che all’inizio del Seicento fondarono una strada che porta il loro nome), Francesco Maria prima e Costantino (questo passato all’immortalità con il ritratto di Pellegro Parodi), con cui si scavalca il secolo d’oro per arrivare al Settecento, poi, compositori di una raffinata quadreria, patrimonio diviso due generazioni dopo e per una serie di vicende ereditarie confluito in parte – nel 1824 – nelle raccolte di Palazzo Spinola di Pellicceria.

Molto ancora andrebbe citato di questa mostra, che l’appassionato d’arte non dovrà lasciarsi sfuggire, e del carico di Storia che la contiene (esemplarmente formulate le targhe esplicative a corredo), genovese ed europea in un abbraccio più largo. Certamente “L’ultima cena” del Procaccini, bozzetto preparatorio per la monumentale tela commissionata da un anonimo nobile milanese per il refettorio del convento genovese della Santissima Annunziata – uno dei tanti esempi della predilezione che i Doria ebbero per il pittore bolognese, la proprietà invidiata di settanta e più dipinti -, le grandi tele del Grechetto, “L’aria e il fuoco”, “La terra e l’acqua”, “L’adorazione dei Magi” del Baciccio, la luce con cui Orazio Gentileschi ci trasmette il “Sacrificio d’Isacco” (appartenuto un tempo al nobile Pietro Gentile, grande estimatore di Orazio come della figlia Artemisia).

Le ultime sale ci danno la presa di coscienza da parte degli ultimi rappresentanti di un grande passato dello sconquasso che s’aggirerà per l’Europa sul finire del Settecento, nel dipinto della Kauffman a rappresentare Paolo Francesco Spinola c’è la calma ma la eguale consapevolezza del cambiamento di governo, della fine dei privilegi, dell’avvento dell’impero napoleonico. L’ultimo sguardo è, attraverso l’incisione di Antonio Giolfi del 1769, sulla prospettiva della Strada Nuova, oggi via Garibaldi, sui suoi palazzi, sui suoi signori e le ricchezze, il passeggio dei signori e il lavoro dei servi, sulle tante collezioni che hanno fatto importante e preziosa una intera epoca.

Elio Rabbione

Nelle immagini di Giuliano Berti alcuni allestimenti della mostra; Peter Paul Rubens, “Ritratto di Giovan Carlo Doria a cavallo”, olio su tela, 1607 – 1608, Galleria Nazionale della Liguria; Orazio Gentileschi, “Sacrificio di Isacco”, olio su tela, 1612 ca., Galleria Nazionale della Liguria; Antoon va Dick, “Ritratto di Caterina Balbi Durazzo, olio su tela, 1624, Palazzo Reale di Genova.

Ironia e autoironia: una risata ci salverà / 2

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In fondo l’ironia è saper prendere un po’ in giro senza essere offensivi, è riuscire a sdrammatizzare quanto la vita inevitabilmente ci propone, è cercare di alleggerire le situazioni, senza aggiungere reazioni pesanti a momenti difficili, è saper ridere di noi stessi senza perdere il rispetto e la considerazione che per noi abbiamo.

Ed è una delle armi più preziose e potenti a nostra disposizione per affrontare la vita, nonché una delle migliori e più raffinate forme di intelligenza. Stempera l’aggressività, sia nostra che quella dei nostri interlocutori, e rappresenta, a mio avviso, un raggio di elegante civiltà in un mondo che si va imbarbarendo.

È una barriera, morbida e flessibile, nei confronti della moltitudine di invidiosi, arroganti e permalosi che incontriamo pressoché quotidianamente sul nostro cammino. Anche l’ironica capacità di sorridere e ridere sulle nostre difficoltà, sui nostri limiti e sulle nostre disavventure è in grado di aiutarci a vivere nel modo migliore anche gli aspetti meno gradevoli della nostra esistenza.

Per quanto possa a tutta prima sembrare contraddittorio, l’ironia che rivolgiamo a noi stessi rappresenta una forma di amore verso di noi, e finisce con lo spiazzare chi non ci ama più di tanto… Raccontare in modo ironico i nostri limiti e i nostri difetti ci rende più amabili e simpatici e “smonta” chi, per i più svariati motivi, vorrebbe attaccarci.

L’ironia ci permette di essere leggeri in un contesto di persone spesso pesanti, che tendono a prendersi eccessivamente sul serio, e a sentire sulle proprie spalle i problemi del mondo. Possederne l’attitudine può funzionare come un vero e proprio “vaccino” contro il grigiore di queste persone, che fanno fatica a togliersi dal palcoscenico.

Se siamo capaci di dosarla adeguatamente, senza esagerare nell’utilizzarla e senza rischiare che trascenda in sarcasmo, l’ironia ci aiuta ad avere empatia verso le persone, ci avvicina agli altri, genera relazioni e affetti. Finendo così per migliorare lo stare insieme e, di conseguenza, la comunità. La vera ironia è patrimonio delle persone capaci di amare se stesse e il prossimo.

Roberto Tentoni
Coach AICP e Counsellor formatore e supervisore CNCP.
www.tentoni.it
Autore della rubrica settimanale de Il Torinese “STARE BENE CON NOI STESSI”.

(Fine della seconda parte)

Potete trovare questi e altri argomenti dello stesso autore legati al benessere personale sulla Pagina Facebook Consapevolezza e Valore.

Lavori in corso Unione Sovietica: linea 4 tram deviata

Continuano i lavori di rinnovo dei binari in corso Unione Sovietica che nella fase precedente hanno determinato la limitazione dei tram della linea 4 all’altezza di via Filadefia .

La nuova fase dei lavori prevede il rinnovo della sede binari con ripristino della sede tranviaria e delle fermate di corso Unione Sovietica, nel tratto compreso tra piazza San Gabriele da Gorizia e corso Tazzoli, e il rinnovo dei binari della rotatoria del Drosso.

A seguito di questi lavori, a partire da lunedì 5 maggio 2025 fino a nuove comunicazioni la linea 4 tram sarà in servizio da Falchera a piazzale Caio Mario. Nel tratto piazzale Caio Mario e corso Tazzoli i tram percorreranno corso Agnelli anziché corso Unione Sovietica.

Sul tratto strada del Drosso – piazzale Caio Mario saranno in servizio i bus sostitutivi della linea 4N.

  • Linea 4 TRAM.
    Direzione strada Drosso: da corso Unione Sovietica deviata in corso Tazzoli, corso Agnelli, piazzale Caio Mario, dove è limitata e effettua capolinea provvisorio presso la fermata n. 3373 – “Caio Mario”(normalmente fermata di transito della linea 4, a lato del chiosco).
    Direzione via delle Querce (Falchera): dal capolinea provvisorio presso la fermata n. 3373 di piazzale Caio Mario prosegue per corso Agnelli, corso Tazzoli, corso Unione Sovietica, percorso normale. Sarà istituita una fermata provvisoria in corso Unione Sovietica dopo corso Tazzoli.
  • Linea 4N (servizio bus sostitutivo).
    Direzione strada del Drosso: dal capolinea in piazzale Caio Mario (area terminal GTT) presso la fermata – “Caio Mario Cap.” (a lato del chiosco bar) prosegue per corso Unione Sovietica, inversione di marcia alla rotatoria all’altezza di strada del Drosso, quindi riprende corso Unione Sovietica dove effettua capolinea dopo strada Castello di Mirafiori presso la fermata – “Castello di Mirafiori” .
    Direzione piazzale Caio Mario: dal capolinea presso la fermata n. 1073 – “Castello di Mirafiori” prosegue per corso Unione Sovietica, piazzale Caio Mario, corso Agnelli, terminal GTT di piazzale Caio Mario dove effettua capolinea presso la fermata n. 149 – “Caio Mario Cap.” (lato chiosco bar).

“Contrasti. Racconti di un mondo in bilico” in mostra al “Forte di Bard”

La nuova rassegna fotografica realizzata in collaborazione con l’“Agence France-Press”

Da sabato 8 marzo a domenica 20 luglio

Bard (Aosta)

Tanto audace da imbambolarti e tanto bella e geniale da apparirti impossibile! Il “Salto dell’atleta paralimpico francese Arnaud Assoumani davanti alla Piramide del Louvre, in vista delle Olimpiadi e Paralimpiadi di Parigi 2024”, opera del fotografo parigino Franck Fife, è solo una delle 84 fotografie ospitate, fino a domenica 20 luglio, nelle Sale dell’“Opera Mortai” del “Forte di Bard”, che con questa rassegna torna a rinnovare la stretta collaborazione con l’“Agence France-Press”, una delle principali e più autorevoli e pluripremiate “Agenzie di Stampa” al mondo, fondata a Parigi nel 1835 (con la denominazione di “Agence des feuilles politiques, correspondance générale”) dal banchiere Charles-Louis Havas e oggi rappresentata da una rete di oltre 450 fotografi sparsi in tutto il mondo e completata dalle produzioni di oltre 70 Agenzie partner.

La mostra dal titolo “Contrasti. Racconti di un mondo in bilico”, segue (e di sicuro è destinata ad ottenere non minor successo) la precedente “Non c’è più tempo”, realizzata, dal 29 marzo al 21 luglio del 2024, sempre in collaborazione con l’“AFP” (curata dal giornalista, responsabile della promozione dei contenuti multimediali dell’Agenzia, Pierre Fernandez) e rivolta ad indagare, anche in quel caso attraverso un’ottantina di mirabili scatti, le conseguenze disastrose dei cambiamenti climatici sul Pianeta, nostra “Casa comune”. Obiettivo di entrambe le rassegne, scuotere le coscienze ed offrire spunti di riflessione sulle vicende che tendono a ‘mortificare’ o, in qualche modo, a ‘creare speranze’ rispetto all’attualità e alle attese future del mondo contemporaneo, evidenziandone le contrapposizioni e le diseguaglianze che ne segnano a fondo, dalle Americhe all’Europa all’Asia e all’Africa, le varie società.

Ecco allora, accanto alla succitata – pagina aperta a svolazzi di gioia e speranza – foto di Franck Fife, quella del messicano di Puebla, Pedro Pardo, con la toccante dolorosa immagine della “Famiglia di migranti che attraversa il muro di confine fra Messico e Stati Uniti”. Scatto del 25 novembre del 2018. C’è un padre, una madre e un piccolo che, con aria incredula, neppur tanto impaurita, passa a fatica di braccia in braccia. “Contrasti”, per l’appunto. E altri bimbi troviamo nelle foto del nigeriano Benson Ibeabuchi, di Sergei Chuzavkov e di Bashar Taleb. A firma del primo, la struggente delicata poetica immagine di una “fanciulla che si allena nelle povere, terrose strade di Ajangbadi, sobborgo di Lagos, in Nigeria”; non meno capace di prenderti il cuore e l’anima, l’immagine di Chuzavkov, con quella “bimba in monopattino, ancora l’incredulità negli occhi, tra le case del villaggio di Horenka, nella regione di Kiev, colpito dai bombardamenti russi”. E che dire, ancora, del “gruppo di bambini che corre tra le case distrutte lungo una strada di Khan Yunis, nel sud della Striscia di Gaza”, immagine fermata nel tempo e nella parte più amara dei ricordi dal fotoreporter Bashar Taleb? “Racconti di un mondo in bilico”, come ci ricorda e ci palesa davanti agli occhi, il sottotitolo della rassegna.

Mostra che t’inchioda al soggetto. Che ti impone la domanda, domanda d’obbligo Ma come farà un fotoreporter a scattare tali fotografie? A trovarsi nel posto giusto al momento giusto? Sempre. E, soprattutto, intuire che quello, proprio quello, è il posto giusto e il momento giusto. E riuscire a raccontare e a trasmettere emozioni, gioie, sogni, illusioni e disillusioni in un semplice sguardo rubato in un nanosecondo. E cristallizzato a vita! E poi, piccole storie, a raccontare tutto un mondo.

 

Nei suoi molteplici aspetti. Dall’economia alla guerra, dalle tradizioni culturali al mondo dell’arte, dello sport e dello spettacolo, senza tralasciare l’emergenza climatica e l’inarrestabile urbanizzazione. Temi, tutti quanti, che ritroviamo raccontati per immagini nel “progetto espositivo” oggi realizzato al “Forte” valdostano, vero “Polo Culturale” delle Alpi occidentali. Temi comuni, in fondo, in piccola o in grande parte, a realtà sociali assai diverse e assai lontane tra loro. Pedine di un grande gioco, spesso “gioco al massacro” simile ad “un grande affresco di un mondo sempre più in bilico: il nostro”.

Gianni Milani

“Contrasti. Racconti di un mondo in bilico”

Forte di Bard, via Vittorio Emanuele II, Bard (Aosta); tel. 0125/83381 o www.fortedibard.it

Fino al 20 luglio

Orari: mart. – ven. 10/18; sab. dom. e festivi 10/19

Nelle foto: France Fife “Un salto dell’atleta paralimpico Arnaud Assoumani davanti alla Piramide del Louvre”; Pedro Pardo “Una famiglia di migranti attraversa il muro di confine Messico – USA”; Benson Ibeabuchi “Una ballerina nelle strada di Ajangbadi , un sobborgo di Lagos”; Sergei Chuzavkov “Una bambina in monopattino tra le case di Horenka – Kiev, colpita dai bombardamenti russi”; Bashar Taleb “Bambini che corrono tra le case distrutte di Khan Yunis, nel Striscia di Gaza”

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO: I ponti e il 1° Maggio – Dopo la Liberazione – I liberali e la loro storia – Lettere

I ponti e il 1° Maggio
Per molti italiani la Pasqua, il 25 aprile e il Primo Maggio sono stati l’occasione di un maxi ponte o di un ponticello. Mi ha colpito un Amministratore di condomini che ha chiuso gli uffici da Pasqua fino al 4 maggio. Per un lungo periodo i condomini sono stati abbandonati a sé stessi.
Il Primo Maggio quest’anno è diventato il pretesto per la Cgil di lanciare i referendum di giugno che divideranno profondamente il Paese e la stessa opposizione al Governo. Trasformare il referendum in una spallata, anzi in una vera e propria “rivolta”, come dice Landini, può ricompattare la maggioranza. L’estremismo è sempre un cattivo consigliere e il sindacalista a capo della Cgil oggi  non è certo Luciano Lama. A parte che l’insicurezza dell’ incolumità dei lavoratori  è anche colpa dei sindacati che hanno fatto politica più che fare i sindacati, merita una citazione Tito Boeri che giudica “antistorici” i referendum e ritiene che la vittoria dei si’ ”peggiorerebbe la situazione degli stipendi”.
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Dopo la Liberazione
Subito a ridosso del 25 aprile 1945 venne attuata l’epurazione dei fascisti applicando un deliberato del Cln Alta Italia predisposto tempo prima della stessa liberazione. Un regime di libertà che esordisca con un’epurazione può lasciare perplessi perché normalmente le epurazioni sono proprie dei regimi autoritari una volta andati al potere. Ma la storia è cosa complessa e quindi il ricorso all’epurazione  dopo il 25 aprile non era così inspiegabile.
Gianni Oliva
Gianni Oliva, nel libro dedicato ai 45 milioni di fascisti e ai 45 milioni di antifascisti, ha illustrato assai bene la situazione che si determinò che finì di confondere le acque fino ad annullare la linea netta di demarcazione tra fascisti e antifascisti. I veri davvero  epurati furono pochi, per lo più pesci piccoli. Al resto pensò Togliatti con l’amnistia del 1946 rivolta sia a partigiani sia a fascisti. Fu un atto necessario, ma certo inquinò l’intransigenza dell’azionismo fondato sulla illibatezza ideologica  e l’intransigenza rivoluzionaria dell’ala comunista alla Pietro Secchia, che nel biellese avallò i misfatti ignobili di Moranino, condannato all’ergastolo e fatto fuggire nell’Est fino a quando una grazia presidenziale richiesta dal Pci a Saragat non consentì il suo ritorno e la sua rielezione in Parlamento. Si tratta di pagine turbolente, come quella di piazzale Loreto in cui si vide a cosa poteva giungere l’odio della plebe sobillata. Quello di piazzale Loreto non fu popolo, ma plebaglia assatanata sempre presente durante le rivoluzioni.
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I liberali e la loro storia
Il 1925 segnò  l’uscita del libro di Guido De Ruggiero “Storia del liberalismo europeo” che dedica la parte conclusiva alla crisi del liberalismo italiano, considerato dal filosofo un pensiero debole rispetto ai liberalismi europei. Secondo l’autore, la fine dei liberali italiani è dovuta ai socialisti di fronte a cui essi cedettero già con Giolitti. Non so se l’analisi del seguace di Gentile e solo  successivamente di Croce avesse ragione.
Badini Confalonieri
Ci fu infatti soprattutto  un cedimento e un abbaglio nei confronti di Mussolini che provocò danni molto  maggiori. Volendo venire ad una storia più recente l’ipotesi del lib – lab  sostenuto dal PLI di Zanone portò il partito ad avere ministri e sottogoverno, ma appannò la identità storica  liberale. L’idea di porre il PLI a sinistra della DC fu un’operazione non politica, ma di potere che i veri liberali come Ostellino e Martino non poterono approvare. Se avessero meditato De Ruggiero avrebbero capito che il rapporto  succubo con i socialisti non poteva che portare alla confusione: de Lorenzo ministro della Sanità in cambio di una rinuncia ad essere sè stessi. Anche Vittorio Badini Confalonieri non condivise e si dimise dal partito, lui che dopo Gaetano Martino ne era stato il  presidente.
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quaglieni penna scritturaLETTERE scrivere a quaglieni@gmail.com
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Le epurazioni e i sequestri del CLN

Il cultore di storia e noto  collezionista di cimeli militari Alberto Turinetti di Priero ha pubblicato su Facebook un elenco di epurati  fascisti subito dopo il 25 aprile ‘45. Molti nomi non ci dicono oggi nulla, ma alcuni si’. Ad esempio, Emilio de la Forest de Divonne, Giorgio Bardanzellu, Giacomo Medici del Vascello, Alessandro Orsi, Vittorio Buratti, Ezio Maria Gray, Vittorio Valletta, Giovanni Agnelli senior, Giancarlo Camerana, Oreste Badellino e altri professori e presidi. Vennero anche sequestrati i patrimoni personali di De Vecchi di Val Cismon, quadrunviro della Marcia su Roma, Gen. Pietro Gazzera che fu ministro della Guerra, Paolo Thaon di Revel, anche lui ministro, Giovanni Agnelli senior, Giuseppe Burgo, Vittorio Cian,Adriano Tournon, Luigi Sambuy, Ugo Sartirana, Orazio Quaglia  e molti altri. Cosa ne pensa?   Tina Paratore

Ho già espresso un giudizio nella rubrica di oggi. Epurazioni e sequestri patrimoniali non sono propri di un regime di libertà. Le responsabilità nei confronti del fascismo furono diverse tra i nomi che Lei cita dei nomi che andrebbero tutti verificati; non sono riuscito a ottenere fonti attendibili in breve tempo quindi non mi assumo responsabilità in merito.  Va inoltre detto che almeno quelli che lei cita non credo abbiano avuto conseguenze serie perchè nel giro di poco furono “riabilitati” o addirittura assolti. Cito due esempi: Bardanzellu e Gray furono deputati della Repubblica, il latinista Badellino venne riconosciuto per il suo  alto valore scientifico come autore unico di un colossale dizionario. Non parliamo di Vittorio  Valletta che fu rapidamente richiamato alla guida della Fiat perché i nuovi amministratori si rivelarono incompetenti e incapaci . Quando Giorgio Amendola entrò alla Fiat indicò l’albero dove andava impiccato Valletta che invece tornò più forte di prima al ruolo di comando della Fiat anche per la morte del sen. Agnelli nello stesso 1945. I giacobini che volevano fare tabula rasa di tutto ,rimasero sconfitti .In alcuni casi ci  furono delle vere e proprie ingiustificabili   persecuzioni come nel caso  del  Gen. Gazzera che non fu mai fascista, come una volta mi disse Arrigo Olivetti che lo stimava molto. Gli eccessi ci furono, ma soprattutto andrebbe ricordato quello che Pansa ha definito il “sangue dei vinti”. I genitori, ad esempio, del prof. Vittorio Mathieu e il padre del prof. Nicola Matteucci sono casi di uccisioni  ingiustificate  che ancora oggi fanno accapponare la pelle.
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Mussolini resta cittadino onorario di Biella
Cosa pensa del fatto che il Comune di Biella che ha un sindaco di Fdi, ha respinto la cancellazione della cittadinanza a Mussolini ?Da biellese sono perplessa.   Teresa Quaglino
Non ho seguito il dibattito del Consiglio comunale di Biella e  quindi mi limito ad osservare che la proposta di togliere la cittadinanza a Mussolini per darla a Matteotti è  discutibile perché le cittadinanze onorarie non si tolgono e soprattutto non si conferiscono ai morti. I morti devono essere lasciati in pace. Per una ragione di rispetto che travalica la politica, direi anche  per una ragione di cultura. E’ gente che, ad esempio, non non ha mai letto i  “Sepolcri” di Foscolo. Trasferire dal Pantheon parigino delle salme di personaggi sgraditi fu cosa abominevole, praticata da giacobini e da  comunardi.
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Celebrazioni genetliache
Ho letto delle sontuose celebrazioni genetliache del signor Marzano-85 anni – presidente degli ex allievi del liceo Cavour con tanto di paginoni pubblicitari sui giornali che annunciano il compleanno. Mi è venuto alla mente il motto del “Cavour” che traduco dal piemontese: “Gli asini dei Cavour si lodano da loro perché nessuno li loda “.
Un ex allievo del Liceo classe di ferro ‘53
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In effetti non detto in piemontese perde un po’ di efficacia ironica; consiglierei al preside di aggiornare il motto, aggiungendo un * come per gli alunni /e.