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Addio al torinese Piero Angela

È morto a 93 anni Piero Angela. Ne ha dato notizia con un tweet il figlio Alberto: “Buon viaggio papà”

Nato a Torino nel 1928, Piero Angela è stato giornalista e divenne molto famoso come divulgatore scientifico. Inizio’ la sua carriera in Rai come cronista radiofonico, per poi passare ai ruoli di inviato e conduttore del tg. Inventore di Quark e Superquark, ha tracciato un solco nella storia della televisione e del giornalismo italiano.

Studenti torinesi: Piero Angela all’Alfieri

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Torino e la Scuola

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Studenti torinesi: Piero Angela all’Alfieri
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5  Studenti torinesi: Piero Angela all’Alfieri

Il 22 dicembre 1928 nasce a Torino Piero Angela, divulgatore scientifico, giornalista, conduttore televisivo e saggista, celebre soprattutto per la trasmissione “Quark”, programma documentaristico di grande successo, realizzato secondo uno stile anglosassone.
Piero inizia la sua carriera come cronista radiofonico, diventa poi un inviato e infine si afferma come conduttore del telegiornale Rai.
Egli sostiene che la “razionalità” gli sia stata insegnata dal padre, Carlo Angela, medico antifascista insignito della medaglia dei “Giusti tra le Nazioni”, ed afferma altresì di aver ricevuto «un’educazione molto piemontese: molto rigida, con principi molto severi, tra cui quello di tenersi un passo indietro sempre, mai esibire». E sulla durezza dell’educazione non credo possano esserci grandi dubbi, dato che è stato uno studente del Liceo classico Alfieri di Torino, una delle scuole del capoluogo torinese conosciuta sia per l’ottimo funzionamento generale, sia per la preparazione degli insegnanti ma anche per la serietà e la severità della formazione che offre. E se è così ora, figuratevi come doveva essere quando il piccolo Piero adolescente frequentava quelle aule austere.

Non è poi così difficile immaginare il giovane giornalista in prima fila, con i libri foderati, sempre preparato e pronto a rispondere, eppure pare che le cose non stessero proprio così. Lo stesso Piero racconta, in una delle tante interviste, la sua particolare esperienza scolastica: «Personalmente, mi sono annoiato mortalmente a scuola e sono stato un pessimo studente. Tutti coloro che si occupano di insegnamento dovrebbero ricordare continuamente l’antico motto latino “ludendo docere”, cioè “insegnare divertendo”, parole un po’ amare ma d’altro canto, al liceo classico c’è spazio sì per il latino, sì per il greco, ma di certo non per il “ludere”, -e questo mi sento di poterlo affermare per esperienza personale-.
Si dice che chi supera il classico poi possa fare tutto, un po’ come dire “quod non necat fortiorem facit”, affermazioni a doppio taglio su cui vi invito a riflettere in solitaria.
La scuola torinese che porta il nome del famoso poeta e letterato Vittorio Alfieri, viene fondata nel 1901, inizialmente come succursale del liceo classico “Massimo D’Azeglio”. Nel 1904 la struttura acquisisce una sua autonomia e viene denominata “Regio Ginnasio Liceo Vittorio Alfieri”, e trova sede in via Giacosa.
Il primo direttore è il cultore di discipline classiche Eugenio Garisio.

Nel 1968 la sede viene trasferita nel moderno fabbricato di C.so Dante 80, edificato nell’area in cui un tempo sorgeva la “Società Ippica Torinese”, progettata nel 1940 dall’architetto Carlo Mollino e poi demolita nel 1960. Diciamo la verità, tutti i licei classici mettono un po’ di soggezione, eppure, alcuni fanno più paura degli altri. Da sempre l’Alfieri si è guadagnato il titolo di “liceo conservatore”, nomea già riconosciuta nei turbolenti anni Sessanta e Settanta, quando tutti scesero in piazza a manifestare, tutti, tranne alcuni diligenti studiosi dell’Alfieri, che pare siano rimasti indifferenti al trambusto del mondo esterno. È ovvio che non si deve fare di tutta l’erba un fascio, tuttavia tali dicerie possono aiutarci a comprendere l’austerità che vigeva all’epoca in quella scuola.
Ad oggi l’Alfieri è una delle scuole più rinomate di Torino, seria e tradizionale com’è giusto che sia, in definitiva uno dei luoghi istituzionali di cui i torinesi possono andare fieri.
Tornando a noi, Piero sopravvive dunque al suo liceo classico e in effetti pare che dopo la maturità sia tutto in discesa per lui.

Nel corso della sua vita riceve dodici lauree “honoris causa” e altri numerosi riconoscimenti in Italia e all’estero; nel 1993 l’UNESCO gli conferisce il Premio Kalinga per la divulgazione scientifica, e nel 2002 vince la medaglia d’oro per la cultura della Repubblica Italiana. Nel 2008 arriva un altro premio, il primo dei sette Telegatti che riceverà successivamente, nel 2010 riceve il Premio Speciale della Giuria del Premio Letterario Giuseppe Dessì. Il suo nome collega astri e abissi nel vero senso della parola poiché gli astronomi Andrea Boattini e Maura Tombelli, nominano l’asteroide 7197 “Pieroangela” in suo onore, mentre alcuni studiosi di biologia marina gli dedicano la scoperta della “Babylonia pieroangela”, un mollusco gasteropode del mar Cinese. Padova, città da sempre legata a Galileo Galilei, gli ha riconosciuto la cittadinanza onoraria per il suo “contributo di eccellenza dato alla divulgazione scientifica”, mentre Torino, appunto sua città natale, il 23 ottobre 2017, ha deciso di riconoscergli la cittadinanza onoraria per essere “la conferma vivente della tradizione scientifica della città” e per aver contribuito con la sua carriera professionale ad incrementare “la cultura e la conoscenza degli italiani anche mediante il mezzo televisivo”. Nel 2018 riceve inoltre il premio “Torinese dell’Anno 2017”, assegnato dalla Camera di Commercio di Torino, “per aver rappresentato lo stile torinese dell’impegno e della passione per il lavoro”.

Numerosissimi successi, anche se, diciamoci la verità, quante volte è partita in automatico nella vostra mente la “musichetta” della sigla di “Superquark” dall’inizio della lettura di questo articolo? Difficile non collegare, in maniera quasi stereotipica, il volto del giornalista al programma di divulgazione scientifica che lo ha reso assai celebre.
Tutto ha inizio con “Quark”, una rubrica scientifica trasmessa in seconda serata su Rai 1, settimanalmente dal 18 marzo 1981 al 14 settembre 1994. Tale trasmissione, insieme alle successive derivate, rappresenta la trasmissione scientifica più longeva e di maggior successo della TV italiana.
Con tale programma Piero propone dei “viaggi nel mondo della scienza”, realizzati attraverso documentari e animazioni digitali, presentati con chiarezza e semplicità, con lo specifico scopo di portare la scienza e la tecnologia alla portata del grande pubblico. A tal proposito, il conduttore dichiara di voler “puntare alla più alta soglia dei contenuti con la più semplice soglia del linguaggio. È in quel varco che possono entrare pubblici numerosi e diversi.”

Nella prima puntata lo stesso presentatore esplica il perché della titolazione: «Il titolo “Quark” è un po’ curioso e lo abbiamo preso a prestito dalla fisica, dove molti studi sono in corso su certe ipotetiche particelle subnucleari chiamate appunto quarks, che sarebbero i più piccoli mattoni della materia finora conosciuti. È quindi un po’ un andare dentro le cose».
Questa trasmissione ha originato negli anni a venire tutta una serie di programmi affini, tra cui ricordiamo Il mondo di “Quark” (1984),  “La macchina meravigliosa” (1990), “Il pianeta dei dinosauri” (1993), “SuperQuark”, (1995), “Viaggio nel cosmo” (1997), “Quark Atlante – Immagini dal pianeta” (2014).
Lo studente annoiato diventa da grande un diffusore di cultura e dedica il resto della sua esistenza a portare nelle case degli italiani la conoscenza delle scienze, della storia e dell’arte. Forse se non avesse frequentato il classico non ce l’avrebbe fatta a realizzare tutto questo, forse è vero che gli studi delle “Humanae Litterae” offrono una marcia in più, forse ha ragione Lupo Alberto, quando davanti ad una pinta di birra esclama: “non bisogna fermarsi alla terza media!”, forse è proprio vero che “quod non occidit servat”. C’è scritto anche sull’etichetta del Petrus.

Alessia Cagnotto

Ventenni aggrediscono coetanei e li derubano di denaro e cellulari

Il fenomeno delle baby gang da Torino, a quanto pare, sta “contagiando” il Piemonte. Due ragazzi  di 22 e 19 anni hanno aggredito in pieno centro a Novara  un gruppo di ragazzi e li hanno derubato di cellulari e portafogli. I due sono stati arrestati dalla polizia per rapina. Avevano avvicinato il gruppo di giovani con la scusa di chiedere una sigaretta. Poi hanno aggredito e rapinato i malcapitati.

NOTIZIE DAL PIEMONTE

Willy Jervis, partigiano dell’Olivetti

Ivrea gli ha dedicato la via sulla quale si affaccia il cuore del sogno industriale degli Olivetti, con la “fabbrica di mattoni rossi” di Camillo e la “fabbrica di vetro” di Adriano con le finestre che riflettono i profili delle montagne che circondano la città dalle “rosse torri”.

La stessa arteria che il grande architetto e urbanista Le Corbusier non esitò a definire “la strada più bella del mondo”. William Jervis, più noto come Guglielmo o come Willy, ingegnere olivettiano e antifascista, alpinista e partigiano era nato a Napoli l’ultimo giorno del 1901. Venne al mondo nella città dal golfo dominato dal Vesusio per puro caso. Come ricorda un bell’articolo che gli dedicò L’Ora del Pellice  “il padre Thomas, un milanese di origini inglesi, ingegnere e dirigente aziendale” si trovava a Napoli per ragioni di lavoro e si ruppe una gamba. “La moglie Bianca Quattrini lo raggiunge per sostenerlo, ma il travaglio la sorprende nella città partenopea, dove il 31 dicembre 1901 dà alla luce il piccolo Willy. I legami della famiglia Jervis con la Val Pellice sono stretti. Il nonno di Willy, un importante geologo britannico che come lui si chiamava William Paget Jervis, aveva sposato una donna valdese di Torre Pellice, Susanna Laura Monastier. Anche Thomas Jervis, il padre di Willy, pur vivendo abitualmente a Milano, era frequentemente in visita alle Valli valdesi”. Guglielmo Jervis studiò a Torino, Firenze e al Politecnico di Milano dove si laureò in ingegneria nel 1925. Terminato il servizio militare fu assunto alla Frigidaire, azienda milanese di frigoriferi dove lavorò per sei anni. Attivo nel movimento giovanile valdese, Jervis collaborò alla redazione della rivista Gioventù Cristiana e nel 1932 sposò una ragazza fiorentina conosciuta a Torre Pellice, anch’essa valdese: Lucilla Rochat. Nel 1934 il giovane ingegnere passò alle dipendenze della Olivetti. Dopo un breve incarico come direttore della filiale di Bologna, Adriano Olivetti lo chiamò nella sede di Ivrea, affidandogli il compito di pianificare e coordinare la formazione professionale degli operai meccanici della prestigiosa fabbrica di macchine per scrivere. Intelligente, schivo, riservato e, al tempo stesso, estremamente concreto e dinamico, l’ingegner Jervis nutriva una grande passione per l’alpinismo. Amava le montagne, le ascensioni in roccia e fece parte del Club Alpino Accademico Italiano, la sezione d’eccellenza del sodalizio, il fiore all’occhiello del CAI formato da alpinisti che si erano distinti per le loro imprese sportive. Deciso oppositore del fascismo dopo l’armistizio dell’ 8 settembre fu tra i primi a organizzare la resistenza armata nella zona di Ivrea. Mettendo a frutto la sua abilità alpinistica e la conoscenza delle lingue, accompagnò più volte gruppi di profughi ebrei e di sbandati in Svizzera, dove entrò in contatto con esponenti dell’esercito e dei servizi segreti militari inglesi dell’OSS che gli affidarono importanti missioni di collegamento con i partigiani italiani. Ricercato da fascisti e nazisti, Jervis raggiunse Torre Pellice e le valli valdesi dove proseguì l’attività partigiana assumendo il nome di battaglia di “Willy”. Commissario politico delle formazioni piemontesi di Giustizia e Libertà, l’ingegnere olivettiano si distinse per coraggio e altruismo, organizzando anche il primo lancio di armi ai partigiani nel gennaio del ’44, un episodio importante che Giorgio Agosti ricordò così: “In quell’alta Val d’Angrogna che aveva visto accendersi i fuochi dei valdesi che difendevano la loro libertà contro le truppe francesi e piemontesi, Jervis ebbe la gioia di accendere i fuochi che accolsero il primo lancio di armi effettuato dagli alleati nelle alpi occidentali”. Un paio di mesi dopo, la mattina dell’11 marzo, Jervis fu fermato da una pattuglia delle SS sul ponte di Bibiana perché sprovvisto dei documenti di circolazione della sua motocicletta. Portato in caserma, prima di essere interrogato, tentò inutilmente di disfarsi del materiale compromettente e venne trasferito e rinchiuso per cinque mesi nelle Carceri Nuove di Torino in attesa della condanna a morte. Torturato a lungo, non rivelò alcuna informazione che potesse nuocere al movimento partigiano. Nonostante le dure restrizioni della vita carceraria riuscì clandestinamente a scrivere delle lettere alla moglie. Nella notte tra i 4 e il 5 agosto 1944, insieme ad altri quattro compagni, venne portato a Villar Pellice e fucilato sulla piazza del paese che oggi, in memoria del suo sacrificio, ne porta il nome. Il corpo di Willy Jervis, a spregio e monito, fu poi impiccato a un albero. Il giorno dopo, sul luogo dell’esecuzione, fu ritrovata la Bibbia tascabile che portava sempre con sé sulla quale aveva inciso con uno spillo l’ultimo suo pensiero: “Non piangetemi, non chiamatemi povero. Muoio per aver servito un’idea”. Dopo la sua morte, considerando il suo ingegnere un “caduto sul lavoro”, Adriano Olivetti si offrì di mantenere la famiglia di Jervis, chiedendo alla vedova Lucilla Rochat “l’onore di provvedere” a lei e ai figli. Nel 1950 Jervis venne decorato alla memoria con la medaglia d’oro al valor militare. A lui sono dedicati  due rifugi alpini (uno a Ceresole Reale, in Valle Orco sulle Alpi Graie; l’altro a Bobbio Pellice, in val Pellice nelle Alpi Cozie). Un testo fondamentale per approfondire la sua storia è “Un filo tenace. Lettere e memorie 1944–1969”, che raccoglie la corrispondenza con la moglie Lucilla e Giorgio Agosti, pubblicata da Bollati Boringhieri a cura di Luciano Boccalatte, con l’introduzione di Giovanni De Luna e la postfazione del figlio di  Jervis, Giovanni, importante psichiatra e collaboratore di Franco Basaglia, scomparso nel 2009. Un altro libro importante è “Willy Jervis. Una vita per la libertà”, scritto da Lorenzo Tibaldo per i tipi della Claudiana.

Marco Travaglini

La storia del mosaico rivive con Giada a Borgo Campidoglio

“Sono capitata nel mondo del mosaico quasi per caso”. A raccontarlo Giada, friulana d’origine, arrivata per amore a Torino dove da cinque anni  gestisce in via Balme 32, in Borgo Campidoglio,  l’atelier “BB Mosaici”.

“Quasi 15 anni fa ero apprendista in un laboratorio di mosaico in Friuli- racconta- ho sempre amato lavorare con le mani. Poi dopo 3 anni mi sono licenziata e sono andata a lavorare presso un altro famoso mosaicista a Spilimbergo. È stato lui a consigliarmi di frequentare una scuola professionale e così ho fatto. È praticamente l’unica scuola in Italia specializzata nella sola arte del mosaico”.

Continua a leggere:

https://www.fatto-a-mano.it/mosaico/

 

I Civich controllano il trasporto di alimentari

Anche durante le vacanze estive, non si fermano i controlli della Polizia Locale a tutela del consumatore in Città. Sono due le persone sanzionate e denunciate per trasporto di prodotti alimentari con mezzi non idonei e 115 i chilogrammi di prodotti surgelati destinati alla vendita sequestrati perché in cattivo stato di conservazione.

Nella giornata di mercoledì, in Piazza Vittorio Veneto, gli agenti del Reparto Sicurezza Stradale Integrata e del Comando Territoriale I, congiuntamente al personale del Dipartimento di Prevenzione dell’ASL, hanno effettuato un servizio di controllo sulle procedure di conservazione dei prodotti alimentari durante il trasporto verso punti vendita e mercati rionali.

Sono in tutto 7 gli autocarri sottoposti ad ispezione igienico sanitaria, uno dei quali è stato sanzionato in quanto risultato non idoneo al trasporto di alimenti freschi e surgelati. Per il legale rappresentante della ditta proprietaria del veicolo, oltre ad una sanzione di oltre 1.000 euro, è scattata anche la denuncia all’Autorità Giudiziaria per trasporto di alimenti in cattivo stato di conservazione destinati alla vendita, mentre gli alimenti trasportati, circa 50 chilogrammi di prodotti surgelati, tra cui gelati, pesce, pasta e ortaggi, sono stati posti sotto sequestro giudiziario.

Questa mattina invece, in Strada dell’Aeroporto, gli agenti del Reparto Sicurezza Stradale Integrata hanno fermato un autoveicolo carico di prodotti alimentari destinati ad un ristorante cinese. Nel bagagliaio del veicolo omologato per il trasporto di persone, i ‘civich’ hanno trovato e posto sotto sequestro giudiziario 65 chilogrammi di prodotti ittici surgelati. Anche in questo caso, il conducente del veicolo è stato sanzionato per un importo di oltre 1.000 euro per trasporto di alimenti surgelati con mezzo non idoneo ed è stato denunciato all’Autorità Giudiziaria per trasporto di alimenti in cattivo stato di conservazione destinati alla vendita.

Poste Italiane cerca portalettere nel Torinese

Nel primo semestre 2022 assunti a tempo indeterminato 85 risorse di cui 55 addetti al recapito e  30 nuovi ingressi negli Uffici Postali

 Poste Italiane ricerca in provincia di Torino portalettere da inserire in organico con contratto a tempo determinato. Per potersi candidare è sufficiente inserire il proprio curriculum vitae sulla pagina web del sito istituzionale di Poste https://www.posteitaliane.it, nella sezione “Carriere” dedicata a “Posizioni Aperte” in cui sono indicati i requisiti per poter partecipare alla selezione. I candidati saranno inseriti con contratto a tempo determinato in relazione alle specifiche esigenze aziendali. Le risorse individuate si occuperanno del recapito postale (pacchi, lettere, buste, raccomandate, etc.) nell’area territoriale di propria competenza.

Nel settore delle consegne nei primi sei mesi del 2022 sono 55 i portalettere stabilizzati con un contratto a tempo indeterminato. La selezione dei neo-assunti è avvenuta tra il personale che ha già lavorato in passato come portalettere o addetto allo smistamento con uno o più contratti a tempo determinato e per una durata complessiva di almeno 6 mesi.

Tali ingressi a cui si aggiungono le 30 assunzioni tra operatori di sportello e consulenti finanziari che vanno a rafforzare i team di lavoro degli 419 Uffici Postali di Torino permettono di garantire una presenza costante e qualificata sul territorio.

Il programma di Politiche Attive, che riguarda oltre 2.000 assunti in tutta Italia, di cui 85 in provincia di Torino è concordato con le Organizzazioni Sindacali, e contribuisce a realizzare in modo efficace le strategie delineate nel piano industriale “2024 Sustain & Innovate”, in particolare per quanto riguarda la nuova organizzazione del recapito. L’obiettivo è quello di trasformare la figura del portalettere da operatore incentrato sulla corrispondenza tradizionale a primario player del crescente mercato dei pacchi e leader nel segmento B2C. Tra le altre Politiche Attive del lavoro, Poste Italiane è impegnata anche in negli interventi di trasformazione dei contratti da tempo parziale a tempo pieno, alle assunzioni da mercato esterno e all’attivazione di percorsi interni di sportellizzazione.

Grazie a queste nuove assunzioni, Poste Italiane continua a garantire una presenza costante e qualificata sul territorio, dimostrando concretamente la propria vicinanza alle comunità locali e alle esigenze di tutti i cittadini.

L’età media dei dipendenti del Gruppo è scesa da 49,7 anni nel 2017 a 49,2 anni nel 2020 e grazie a questi interventi di inserimento resterà stabile fino al 2024. Un ruolo centrale sarà giocato dal reskilling dei dipendenti che saranno formati alle nuove professionalità e riqualificati internamente per garantire la competitività richiesta dal mercato, con l’obiettivo di favorire nel tempo una cultura orientata al cambiamento. Cresce anche la percentuale di donne dal 54% del 2017 al 55% del 2020 al 56% atteso nel 2024.

Lutto per l’improvvisa morte dall’avvocata 55enne

Cinzia Galvagno, nata nel 1967, avvocato di Cuneo,  è morta mentre si trovava in vacanza in Portogallo. Le cause sono ancora in via di accertamento. Nubile,  il suo studio era in via Antonio Bassignano. La donna è stata ricoverata d’urgenza ma è deceduta dopo poche ore. Cordoglio nel capoluogo della Granda dove era molto conosciuta come civilista e penalista.

I rischi del bodyshaming

A chi non è capitato di essere preso in giro, dai compagni di scuola o dagli amici o dai colleghi di lavoro perché grasso o calvo, affetto da acne o forfora, o perché indossa occhiali spessi o perché balbetta?

Negli ultimi anni, per fortuna, alcuni “difetti” non sono più presi in esame dai denigratori, anche perché gli occhiali spessi sono stati sostituiti da lenti a contatto quasi invisibili, l’acne si cura più facilmente di un tempo, il sovrappeso, specie nelle donne, è diventato “curvy” ed è la nuova tendenza della fotografia di ritratto.
Non sempre, tuttavia, è così e non sempre l’illazione si limita a qualche battuta sporadica: alcune persone, soprattutto se miti, pacifiche, vengono osteggiate per il loro aspetto fisico, denigrate e vengono loro precluse molte possibilità sociali e lavorative perché il loro aspetto fisico non rientra tra i canoni estetici di moda in quel momento.
Per tale comportamento denigratorio è stato creato il termine bodyshaming, dall’inglese body (corpo) e shaming (umiliazione, mortificazione), ovvero la denigrazione di un individuo a causa del suo aspetto.
L’avvento dei social e la diffusione della comunicazione multimediale ha peggiorato questo stato di cose, perché una persona, specie se famosa, viene mortificata per non aver perso i chili assunti durante la gravidanza o per aver perso peso durante la chemioterapia e in pochi giorni centinaia di migliaia di internauti si uniranno nel denigrarla, ridicolizzarla elevandosi al grado di censori quando, come spesso avviene, hanno gli stessi problemi fisici e, è evidente, ben più gravi problemi psichici del denigrato.
La cultura dell’effimero, dell’immagine ha portato con sé anche questi problemi: conta l’apparenza, l’adesione a schemi voluti dai media, il ricalcare ruoli stereotipati mentre il discostarsene, anche per breve periodo, per malattia o qualsiasi altra ragione, ti fanno passare immediatamente tra i diversi, i negativi, quelli out.
Non conta chi sei o cosa fai: conta come ti presenti; pochissimi, incontrando una persona insolita per aspetto si domandano cosa vi sia dietro a tale disagio, tale difformità dagli schemi imposti dalla società limitandosi a catalogare fra i buoni o i cattivi, tra quelli da frequentare oppure no, tra quelli da prendere ad esempio o da additare quale esempio da evitare.
E’ una difetto tipicamente italiano quello di guardare, a volte neppure troppo velatamente, l’aspetto di chi incontriamo, il suo abbigliamento, il suo incedere; nei Paesi scandinavi, già negli anni ’70, girarsi per guardare chi era passato, per giudicarlo o commentare, era fuori da ogni immaginazione perché ognuno dev’essere libero di fare ciò che vuole se non danneggia o limita gli altri e comportarsi in modo diverso rappresentava un vero e proprio stigma, come non dare la precedenza ai pedoni sulle strisce in Svizzera.
Nel libro Ishah – Elogio della donna di Sergio Motta è espresso bene il sentimento che spinge alcune donne a non accettarsi perché, inseguendo i canoni estetici imposti dalla società, ci si sente accettate, inserite in un contesto solamente se si rispecchiano alcuni parametri: assenza di rughe, capelli bianchi sempre nascosti, peso entro limiti ben precisi, depilazione costante di braccia, gambe, viso, ascelle.
Questo perché nelle società occidentali il corpo femminile è continuamente sottoposto a valutazione in quanto oggetto sessuale, a discapito della persona nella sua totalità e di fatto almeno una donna su due è vittima di “haters” che denigrano particolari fisici anche irrilevanti.
Anche se gli uomini sembrano essere meno colpiti dal disagio di un corpo non perfetto (pur non esistendo un canone assoluto di bellezza) risentono comunque delle pressioni sociali in tal senso. Si registra così un aumento generale del consumo di steroidi, della ricerca del più efficace piano dietetico iperproteico e della dedizione a sessioni estenuanti in palestra. Il tutto rivolto all’aumento della massa muscolare inseguendo l’idea che un corpo muscoloso sia percepito come più desiderabile.
Gli “haters” che si dedicano alla denigrazione di qualsiasi particolare imperfetto di un corpo hanno ampio terreno a disposizione per i propri attacchi sia per la facilità ad individuare particolari su cui focalizzarsi (tutti abbiamo una o più parti del corpo su cui ironizzare anche in maniera bonaria) sia per l’effetto spesso devastante che, con poche parole mirate, possono provocare sulla psiche del proprio bersaglio. Al tempo stesso sono proprio loro le prime vittime, in quanto hanno in prima persona interiorizzato l’auto-oggettivazione del corpo e soffrono per la loro non perfezione oltre che per la mancanza di capacità di costruire relazioni soddisfacenti, non essendo in grado di entrare in empatia con gli altri per comprendere la sofferenza che causano con i loro atti denigratori.
Far vergognare qualcuno per il proprio aspetto fisico provoca nelle vittime sensi di colpa o di vergogna che minano l’autostima, il modo in cui le persone si percepiscono, il senso di sicurezza e la fiducia in se stessi. Impedisce alle vittime di rispecchiarsi negli altri e sentirsi parte di un gruppo, promuovendo, di contro, l’esclusione sociale. Tutto questo può sfociare, ad esempio, in sintomi ansiosi dovuti ad una rappresentazione mentale distorta del proprio corpo e in sintomi depressivi fino ad idee suicidarie. Altre conseguenze sono rabbia, disturbi alimentari quali anoressia e bulimia oltre al ricorso eccessivo a trattamenti estetici, compresa la chirurgia.
Tra i disturbi alimentari il “binge eating”, il disturbo da alimentazione incontrollata caratterizzato da abbuffate e senso di vergogna verso se stessi, è una delle conseguenze più frequenti del body shaming subìto durante l’infanzia e l’adolescenza, momenti cruciali nello sviluppo della personalità di un individuo. Anche alcune forme di anoressia possono svilupparsi non solo come conseguenza di un rifiuto del proprio aspetto fisico in seguito alle denigrazioni altrui ma anche come modo per assumere fermamente il controllo sul proprio corpo non potendo controllare gli attacchi degli haters.
L’immagine corporea che abbiamo di noi stessi è cruciale nella costruzione dell’immagine di sé e del senso di autostima come anche dei rapporti con gli altri. L’instaurarsi di un’immagine di sé come “sbagliata”, non aderente ai canoni estetici della cultura in cui siamo immersi, instilla l’idea di non essere adeguati e non degni di essere guardati, apprezzati, desiderati, amati.
Per aiutare le vittime del bodyshaming diventa fondamentale incentivare la sensibilità verso l’autenticità e la libertà di sentirsi unici, in modo tale che le influenze esterne non vadano ad intaccare la consapevolezza delle proprie risorse e del proprio valore.
Ciascuno di noi è molto più di un semplice involucro e non è un volto dalla pelle perfetta, un numero sulla bilancia, la circonferenza di un bicipite o la taglia del vestito ad identificarci. La consapevolezza di ciò che siamo, delle nostre potenzialità e dei nostri limiti, di ciò che possiamo fare per gli altri e per noi stessi, la cura e il tempo impiegati nel coltivare i nostri interessi e le nostre qualità così da rendere questo nostro “passaggio sulla Terra” significativo e il più possibile piacevole è l’obiettivo da tenere sempre presente.
Quando ci accorgiamo di giudicare negativamente le altre persone o di essere troppo severi con noi stessi, forse dovremmo fermarci un attimo a riflettere e partire da questa consapevolezza per rimodulare il nostro atteggiamento anche con l’aiuto di uno psicologo se il disagio diventa troppo invadente da compromettere la serenità quotidiana.
Non dimentichiamoci che la società è composta dall’insieme di tutti gli individui e se ciascuno si prende cura del proprio sistema di valori centrandolo su cardini meno legati all’esteriorità e più rivolti all’apprendimento, alla cultura, alla valorizzazione delle qualità individuali mettendole al servizio degli altri, anche la società nel suo complesso non può che evolvere e cambiare in meglio.

Sergio Motta
Cristiana Francesia

Ubriaco, prende a bastonate la compagna

Con un arresto per maltrattamenti in famiglia si è conclusa l’ennesima lite in una famiglia di Novara.

La polizia è intervenuta dopo la  segnalazione di alcuni vicini che avevano sentito richieste di aiuto di una donna da un appartamento.

I poliziotti hanno trovato una donna che piangeva, con segni sul corpo riconducibili a percosse. Nella casa in  disordine e piena di oggetti in frantumi, c’era anche un uomo in stato di agitazione e ubriaco.

La donna ha dichiarato  di essere stata vittima anche in altre occasioni di violenze fisiche e psicologiche. In questo ultimo episodio  sarebbe stata picchiata dall’uomo con un bastone.