La Segreteria Regionale FNS CISL della Polizia penitenziaria ha reso noto che ieri alle 17.30 tre detenuti maggiorenni, uno marocchino, uno italiano ed uno ucraino, hanno appiccato il fuoco alla loro cella bruciando i materassi, per futili motivi. Due di loro sono in gravissime condizioni in prognosi riservata, tutti ricoverati al CTO reparto grandi ustioni e sono dovuti intervenire i Vigili del Fuoco per spegnere il rogo. Commenta in una nota il sindacato Fns Cisl: “purtroppo l’escalation di violenza all’interno del carcere continua, ma il Dipartimento di Roma invece di risolvere le problematiche si disinteressa e non fa altro che peggiorare la situazione. Allucinante è il fatto, che qualche ora prima dell’incendio, i colleghi di Bologna abbiano portato 3 nuovi detenuti per sfollamento, su ordine del Dipartimento, al carcere del Ferrante che è anch’esso affollato e anche senza personale. Torino è stata abbandonata al suo destino ed ai suoi problemi, che crescono giorno dopo giorno. Invece di mandare un Direttore, un Comandante e nuovi Agenti, il Dipartimento Minorile pensa di poter risolvere accorpando i servizi per recuperare più risorse. Questo modus operandi sta portando il carcere al collasso ed il gravissimo episodio non fa altro che dimostrare la triste realtà”.
di Enzo Biffi Gentili
Anche se la decantata qualità della vita sotto la Mole non corrisponde esattamente alla posizione di Torino e dintorni – settantasettesima nel 2017- nella classifica sul vivere bene delle province italiane del quotidiano “Italia Oggi”. O ai valori di inquinamento atmosferico registrati negli ultimi giorni
L’avvenimento torinese più rilevante della scorsa settimana, secondo molti autorevoli pareri, è stato l’inaugurazione di EDIT (sciogliendo l’acronimo: Eat Drink Innovate Together), la nuova struttura d’avanguardia birrogastronomica voluta da Marco Brignone che occupa ampi spazi dell’ex fabbrica di cavi elettrici INCET in via Cigna. Tra i laudatori, Luigi La Spina, con un articolo intitolato Il gusto vincente del Piemonte unito a Torino (“La Stampa”, 24 novembre 2017), che si conclude auspicando ulteriori sforzi, anche della mano pubblica, “per aggiungere un tassello non secondario all’immagine di una città, col suo territorio, in cui la qualità della vita è ben superiore a quella di tante sue concorrenti” (affermazione che forse non corrisponde esattamente alla posizione di Torino e dintorni -settantasettesima nel 2017- nella classifica sulla qualità della vita delle province italiane del quotidiano “Italia Oggi” pubblicata lunedì scorso, curata dal dipartimento di Statistiche Economiche dell’Università La Sapienza di Roma. O ai valori di inquinamento atmosferico registrati negli ultimi giorni, ma non andiamo a cercare, per restare in argomento edibile, il pelo nell’uovo…). Non c’è dubbio infatti che il Piemonte può rivendicare – limitandosi al settore del food- un primato qualitativo e occupazionale (quest’ultimo anche in alcuni di quei mestieri nei quali Indro Montanelli, con la solita sua preveggente lucidità, dichiarava gli italiani insuperabili: sarti, calzolai, direttori d’albergo e appunto cuochi, insomma, l’imbattibilità nei “mestieri servili”, citando testualmente le sue parole, ma, si sa, è passati dai mestieri “militari” torinesi ai camerieri).
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Torniamo all’invito rivolto da La Spina alle Pubbliche Amministrazioni perché elaborino una “accurata regia di marketing” a sostegno di un’iniziativa privata così attiva, ricordando oltre a EDIT lo Snodo alle OGR. Due imprese alimentari che hanno anche ambizioni culturali -innovazione, condivisione, sperimentazione di nuovi stili di vita e lavoro- che quindi necessiterebbero di una rialimentazione esterna ulteriormente stimolante; e così e ancor più il prossimo grande evento in programma a Torino nel 2018, il concorso gastronomico Bocuse d’Or, celeberrimo a livello internazionale. Sarebbe, se non sprecata in una miriade di banali conati, un’occasione importante per esibire il cibo come elemento di una specifica, “originale” identità torinese e piemontese. Le referenze alte le abbiamo: dalla specialità “alchemica” e produttiva nelle essenze profumate alla cucina futurista, di flagrante attualità per la sua artificialità “chimica”. Sino ad azzardare, essendo
Torino sede del Museo Egizio, la rappresentazione di quelle perturbanti analogie tra le ricette per l’imbalsamazione e alcune operazioni di pratica culinaria che illustrò lo scomparso Piero Camporesi, il nostro massimo studioso di comparatistica letteraria e gastronomica. Tanto per rinnovare in forme “sofisticate” quel ruolo di promozione di una nuova sensibilità culturale per il nutrimento che le Giunte regionali presiedute da Enzo Ghigo, a unanime giudizio, seppero storicamente esercitare, e non solo a livello locale.
“La soluzione di molti problemi per il Toro, e per lo sport in genere, sarebbe quella di far nuovamente entrare, a pieno titolo, la gente appassionata nella gestione della società e del fenomeno sportivo”
In vista del convegno che l’Associazione ToroMio ha organizzato il 2 dicembre prossimo, presso l’ Aula Jona del Dipartimento di Management dell’Università degli Studi di Torino, in corso Unione Sovietica 218 bis, per la presentazione di un disegno di legge che promuove la partecipazione popolare nelle società sportive, abbiamo raggiunto l’Avvocato Massimiliano Romiti, Presidente di ToroMio.
Cos’è ToroMio?
Si tratta di un gruppo di tifosi del Torino che ha pensato che la soluzione di molti problemi per la loro squadra del cuore, il Toro, e per lo sport in genere, sarebbe quella di far nuovamente entrare, a pieno titolo, la gente appassionata nella gestione della società e del fenomeno sportivo che tanto appunto le appassiona, dal momento poi che proprio sulla passione sportiva si fonda anche lo sport business, tanto appetito da tutti.
Ci parli del titolo. La forza della partecipazione nello sport. Un altro calcio è possibile… perchè questo titolo?Due anni fa, nel corso di un primo convegno che riportava la medesima prima parte del titolo, abbiamo sottolineato come all’estero le realtà calcistiche, che hanno conservato la reale partecipazione dei tifosi alle loro dinamiche decisionali, siano ancora oggi dominanti sul piano sportivo ed economico. Pensiamo a Real Madrid, Bayern Monaco e Barcellona.
Ma abbiamo detto come anche realtà meno importanti in assoluto si giovino di questo modello per costituire degli esempi e penso qui all’Athletic Bilbao, al resto della Bundesliga ed al modello argentino del River Plate. Se tutto ciò è possibile e funziona altrove, allora un altro calcio è possibile anche in Italia. Semplice.
In effetti in Italia il calcio non è in uno dei suoi momenti migliori. Secondo Lei perchè?
Per una scelta politica sbagliata. Venti anni fa, mentre la Spagna decideva di potenziare i suoi azionariati popolari storici e la Bundesliga difendeva tenacemente il suo sistema partecipativo pur aprendosi al capitale esterno, in Italia si decideva di cedere l’intero mondo del calcio e dello sport professionistico in genere alla pura e semplice logica d’impresa.
Si rinnegava così oltre un secolo di tradizione sportiva e non ci si accorgeva, forse, di andare così a recidere formalmente il cordone ombelicale tra gente e pallone con grave perdita di energie per il movimento. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.
La serie A perde da venti anni posizioni non solo sportive, ma anche economiche, e come movimento nazionale tocca il punto più basso da sessanta anni a questa parte.
Germania e Spagna invece negli ultimi due mondiali hanno raccolto i frutti della loro semina così come in Champions League ed i loro movimenti sportivi continuano a crescere, anche economicamente, molto più velocemente del nostro, addirittura in grave regressione assoluta sul piano dei praticanti.
In pratica ci siamo fatti del male decidendo di fare entrare potentemente l’economia nel calcio?
In generale non intendo affatto dire questo, soprattutto in Italia dove spesso le gestioni economiche sono tutt’altro che impeccabili. Anche se a questo proposito ritengo anche di dire che la convinta introduzione della partecipazione popolare apporterebbe al sistema giovamenti, sia sul piano della moralizzazione, sia su quello della sicurezza negli impianti che dell’attenzione alla ricaduta sociale del fenomeno sportivo sul territorio. Ma, per tornare al discorso economico, voglio solo dire che pensare che la crescita di un movimento calcistico come quello Italiano potesse fondarsi sugli stessi identici fondamentali di crescita di una Premier League – diritti tv e attrazione di capitali esteri – sostanzialmente tralasciando gli appassionati, era una miope illusione.
Perchè?
Perchè la nostra è un’altra storia. In Inghilterra la rivoluzione Anglo-americana del calcio business introdotta dal Manchester United è partita oltre venti anni fa alla conquista dei mercati internazionali con moltissimo anticipo sulle altre federazioni e ciò ha procurato alla Premier League un vantaggio quasi incolmabile su certi mercati, una grande rendita di posizione, per così dire.
E poi diciamocelo, per attirare i miliardari internazionali a sfidarsi tra loro nel calcio, Londra ha un business-appeal superiore a qualsiasi altra città europea ed è aperta al mondo da quando è stata fondata.
E allora?
Continuiamo ad osservare la realtà. I tedeschi e gli spagnoli hanno raccolto la sfida lanciata dal Manchester United e dalla Premier League e l’hanno persino vinta, sul piano sportivo ed anche economico, per quanto riguarda i rispettivi top team. Ma per farlo Barcellona, Real Madrid, Bayern Monaco non hanno certo valutato di rinunciare alla loro base sociale, anzi hanno cominciato a curarla sempre di più per farla diventare sempre di più la base dei loro successi.
Noi, invece, in Italia, anche con una certa presunzione, ci siamo illusi che recidendo il cordone ombelicale di cui ho parlato sopra, avremmo comunque potuto farne a meno perchè una multinazionale televisiva, ovvero qualche miliardario straniero, si sarebbe preso sulle spalle l’intero movimento calcistico. Questo non è accaduto ed il rapporto tra calcio ed appassionati in compenso è sempre più in crisi con evidente perdita di risorse per l’intero movimento.
Che ci resta da fare dunque?
Augurarci tutti che la gente, la passione, la tradizione sportiva si riapproprino almeno in parte del fenomeno sportivo di cui sono dei fattori fondamentali. Il calore, l’affetto e quella nota di lealtà e disinteresse, che caratterizza la passione sportiva della gente, non devono rimanere energie completamente isolate dalla governance del Club. Pena un mondo del calcio destinato ad esprimersi in modo molto inferiore alle proprie potenzialità, perchè rinnega in fondo se stesso. Ed un calcio in generale meno bello ed attraente. La proposta di legge che verrà da noi presentata il 2 dicembre al Dipartimento di Management Marketing dell’Università di Torino vuole essere un punto di partenza per tutti per un nuovo mondo del calcio possibile. Perchè questo vecchio mondo del calcio italiano mai forse come ora ha bisogno di questo punto di partenza.
di Pier Franco Quaglieni
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“Leader del movimento studentesco , nel 1968, guida una pesante stagione di contestazioni. L’anno successivo è tra i fondatori di Lotta Continua. Accanto a lui, in quegli anni, vi sono personalità come Adriano Sofri, Guido Viale, Marco Boato e Giorgio Pietrostefani.”
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Così si legge nella biografia pubblicata nell’invito della Città di Torino all’inaugurazione di un piazzale torinese a Mauro Rostagno(1942-1988).

Gli operai sono al lavoro da ieri in piazza San Carlo per rimuovere le barriere che delimitavano, ormai da cinque mesi (da quella maledetta sera della finale di Champions del 3 giugno) la zona sottoposta a indagine. Ad essere recintato era l’ingresso del parcheggio sotterraneo da cui potrebbe essere partita una delle ondate di panico che provocarono oltre 1500 feriti e la morte di una donna. Nelle prossime ore l’area, dissequestrata dalla procura, sarà di nuovo libera e fruibile per tutti i torinesi e i turisti.
(foto: il Torinese)
Nel cimitero di Père-Lachaise, il grande cimetière de l’Est sulla collina che sormonta la rive droite e il Boulevard de Ménilmontant, nel ventesimo arrondissement di Parigi, è sepolta, tra i tanti illustri defunti, Gerda Taro. La sua tomba è nella 97° divisione, non lontana da quella di Edith Piaf e dal “muro dei Federati“, un luogo-simbolo dove, il 28 maggio del 1871, furono fucilati dalle truppe di Thiers gli ultimi 147 comunardi sopravvissuti alla “semaine sanglante”, la settimana di sangue che pose fine al sogno ribelle del governo rivoluzionario della Comune di Parigi. Questo è, senza dubbio, il luogo ideale per custodire le spoglie mortali della prima giornalista di guerra a cadere sul campo durante lo svolgimento della sua professione, entrata nella storia della fotografia per i suoi reportage realizzati durante la Guerra di Spagna. Gerda Taro, il cui
vero nome era Gerta Pohorylle, nasce nel 1910 a Stoccarda e, nonostante le sue origini borghesi entra giovanissima a far parte di movimenti rivoluzionari di sinistra. Le idee politiche, la militanza e la sua origine ebraica, con l’avvento del nazismo in Germania, la costringono a rifugiarsi a Parigi. Nella ville Lumière degli anni folli, magistralmente descritta da Ernst Hemingway in “Festa mobile”, la stella cometa della Taro travolge le vite degli amici e degli amanti con un’energia inesauribile. E’ a Parigi che Gerta Pohorylle conosce André Friedmann, ebreo comunista ungherese e fotografo, che le insegna le tecniche del mestiere. Formano una coppia e iniziano a lavorare insieme. L’atmosfera magica della città e l’estro creativo e vulcanico della giovane la portano a creare per il compagno una figura del tutto nuova. Nasce così Robert Capa, un fantomatico fotoreporter americano giunto a Parigi per lavorare in Europa. Con questo pseudonimo il mondo intero conoscerà Friedman e il fotografo finirà per sostituirlo al suo vero nome, conservandolo per tutta la vita. Lei stessa cambia il nome in Gerda Taro.
Nel 1936 entrambi decidono di seguire sul campo gli sviluppi della guerra civile spagnola. Si tratta di una scelta importante che li coinvolgerà e segnerà così profondamente da farli diventare alcuni tra i più importanti testimoni del conflitto, che seguono e raccontano al mondo attraverso scatti sensazionali e numerosi reportage pubblicati su periodici come “Regards” o “Vu“, la prima vera rivista di fotogiornalismo. Gerda con incredibile coraggio e sprezzo per il pericolo, rischia più volte la vita per fermare, attraverso le immagini, un momento del conflitto. Helena Janeczek ne “La ragazza con la Leica” ci regala un ritratto incisivo e significativo della Taro, raccontando che si “trascinava dietro la fotocamera, la cinepresa, il cavalletto, per chilometri e chilometri. Ted Allan ha raccontato che con le ultime parole ha chiesto se i suoi rullini erano intatti. Scattava a raffica in mezzo al delirio, la piccola Leica sopra la testa, come se la proteggesse dai bombardieri”. Gerda fotografa prevalentemente con una Rolleiflex, formato 6×6, mentre Robert preferisce la Leica. Poi anche lei inizia ad utilizzare la piccola fotocamera. Nello stile di Gerda predomina l’individuo, i suoi scatti mettono a fuoco i protagonisti della guerra, le vittime, i combattenti, le donne e i bambini, immagini forti che descrivono, in punta di obiettivo, l’evento storico che anticipò come un tragico prologo la seconda guerra mondiale. Le sue foto sono come la sua vita tumultuosa, simile ad una corsa a perdifiato, una vita segnata da passioni forti, da un’incredibile vitalità e da un desiderio di affermazione e di emancipazione che, storicamente, le donne avrebbero raggiunto solo molto più tardi. Questa vita viene spezzata dai cingoli di un carro armato che la travolge proprio mentre torna dalla battaglia di Brunete dove aveva realizzato il suo servizio più importante, che viene pubblicato postumo
sulla rivista “Regards”. Sotto quel carro armato si spengono i sogni, l’entusiasmo, tutte le foto che il futuro
avrebbe potuto regalarle e la breve ed intensa vita della 26enne Gerda Taro.Trasportata a Madrid, la fotografa resta cosciente per alcune ore, giungendo a vedere un’ultima alba: quella del 26 luglio 1937. Il suo corpo viene riportato a Parigi, la patria della sua vita di artista, e, accompagnato da un corteo funebre di duecentomila persone, viene tumulato al cimitero del Père Lachaise. Il suo elogio funebre viene scritto e letto da Pablo Neruda e Louis Aragon. Robert Capa, distrutto dalla morte della sua compagna di vita e d’arte, un anno dopo la scomparsa di Gerda, pubblica in sua memoria “Death in the Making“, riunendo molte delle foto scattate insieme. La vita di Capa, da quel momento, sembra procedere in uno strano, inquietante e provocatorio “gioco a rimpiattino” con la Morte che il fotografo
sfida, conflitto dopo conflitto, scattando immagini sconvolgenti e sempre fedeli al suo motto “se le foto non sono abbastanza buone, non sei abbastanza vicino”. La morte gli dà scacco matto attraverso una mina antiuomo, nel 1954, nella guerra in Indocina, mentre Capa cerca, ancora una volta, di regalare all’umanità un’altra testimonianza dell’orrore dei conflitti bellici. Un fotoreporter, in fondo, non deve fare niente altro se non testimoniare la realtà e semplicemente “dare la notizia”.
Marco Travaglini
Le pitture digitali di Marchetti
Domenica 3 dicembre 2017 alle ore 17.30 presso la Sala Esposizioni Panizza di Ghiffa (Vb), l’Officina di Incisione e Stampa in Ghiffa “il Brunitoio” inaugura la mostra di pitture digitali “Oltre” di Alessandro Marchetti. La mostra verrà curata e presentata dalla critica d’arte Giulia Grassi. Alessandro Marchetti, conosciuto da molti solo come attore, è anche un artista capace di conciliare la sua attitudine a calcare le scene dei teatri con la pitture, la scultura in terracotta e bronzo e opere di pittura digitale come che saranno esposte a Ghiffa. Giulia Grassi, curatrice di questa mostra, ha scritto che “le opere di Alessandro Marchetti testimoniano soprattutto di come pittura e rappresentazione teatrale si contaminino profondamente l’una con l’altra. La pittura digitale è la tecnica più recente che l’artista utilizza per presentare piccole figure sul palcoscenico di originali “rappresentazioni”: “scatole” teatrali che nella loro scansione e disposizione sincronica ci riconducono, dai padovani affreschi giotteschi, alle moderne pellicole cinematografiche”. L’esposizione sarà visitabile dal 3 dicembre 2017 al 31 marzo 2018 nella sala “Panizza” di Corso Belvedere 114, Ghiffa (Vb). Orario : da giovedì a domenica 16.00 – 19.00.
M.Tr.
Baci di dama gustosi (e salati)
La versione salata dei tipici biscottini tondi piemontesi, eleganti, raffinati, romantici, l’uno la meta’ dell’altro uniti nell’abbraccio di un velo di morbida robiola
Queste piccole delizie sono la versione salata dei tipici biscottini tondi piemontesi, eleganti, raffinati, romantici, l’uno la meta’ dell’altro uniti nell’abbraccio di un velo di morbida robiola. Stuzzichini ideali per un buffet, un aperitivo, o un antipasto sfizioso per le prossime feste.
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Ingredienti :
100gr. di farina 00
100gr.di farina di mandorle
100gr. di burro freddo
3 cucchiai di parmigiano grattugiato
1 cucchiaio di brandy
sale, pepe q.b.
robiola tipo Osella q.b.
(con questa dose si ottengono circa 16 baci)
Miscelare nel mixer le due farine, unire il parmigiano, il burro a pezzi, il brandy, il sale, il pepe. Lavorare sino ad ottenere un impasto morbido. Formare delle palline, tagliarle a meta’, appoggiarle distanziate tra loro sulla teglia foderata di carta forno. Cuocere in forno a 100 gradi per circa 30 minuti. Lasciar raffreddare, farcire con la robiola e servire in pirottini di carta. Dolci come i baci…..buoni come le cose salate.
Paperita Patty
4^ MARATONINA DELLA FELICITA’

Martedì 28 novembre 2017, ore 16,30 sala Colonne di Palazzo civico, P.zza Palazzo di Città 1, Torino
l’incontro dal titolo Italia ripensaci: Firma il bando ONU contro le armi atomiche con Francesco Vignarca, Coordinatore della Rete Italiana per il Disarmo, interlocutore in Italia dell’ICAN, Premio Nobel per la pace 2017
Dopo l’introduzione di Enzo Lavolta, Vice-presidente Vicario del consiglio Comunale di Torino, Paolo Candelari del coordinamento, porrà alcune domande a Francesco Vignarca sul Trattato ONU che mette al bando le armi nucleari, approvato il 7 luglio scorso, e sulla campagna in corso per convincere il governo italiano a ratificarlo.
Seguirà dibattito con i presenti.
La difficile situazione internazionale con intensificarsi di scontri politico/militari dalle conseguenze imprevedibili ma comunque catastrofiche, mette in evidenza la necessità di invertire la tendenza al riarmo. La presenza di più di 15000 ordigni nucleari sparsi per il mondo e posseduti da 9 stati, a cui altri potrebbero aggiungersi rende il mondo altamente insicuro. Alcuni degli stati non nucleari, delusi dalla sostanziale inerzia del trattato di non proliferazione hanno accolto la proposta di diverse associazioni della società civile di tutto il mondo che chiedevano di mettere al bando le armi nucleari così come è stato fatto con le mine anti-uomo, le bombe a grappolo e le armi chimiche e biologiche. Si è così arrivati al Trattato del 7 luglio scorso ora alla ratifica dei vari stati. L’Italia, come tutti i membri della Nato ha deciso di non ratificarlo. Noi vorremmo convincere il nostro governo del contrario tramite una campagna di pressione popolare.
Abbiamo pertanto invitato Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Italiana Disarmo e referente per l’Italia della campagna internazionale per il disarmo atomico (ICAN) a parlarci delle motivazioni che dovrebbero spingere il nostro governo e dell’attuale stato della campagna.
La consegna del Premio Nobel per la pace 2017, all’ICAN, e il simposio internazionale sul disarmo atomico, convocato dalla Santa Sede il 10-11 novembre speriamo aiutino a prendere coscienza dell’improrogabile necessità di arrivare al più presto ad un mondo senza armi nucleari.
Per il Coordinamento di cittadini, associazioni, enti e istituzioni locali
contro l’atomica, tutte le guerre e i terrorismi
Paolo Candelari