redazione il torinese

Elvio e Aida, “Fred e Ginger” di periferia

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Elvio e Aida condividevano una tal passione per il ballo tanto da esser protagonisti in tutte le feste che prevedevano musiche e danze. Lui, impeccabile nel suo abito scuro, con la camicia candida dal colletto inamidato e l’immancabile cravattino nero, era pronto a condurre la sua partner nel vortice del ballo. Lei, orgogliosa del nome impostole dal padre Augusto, melomane che adorava Verdi, portava con leggiadria e innata eleganza anche gli abiti più semplici e nello sguardo gli brillava una luce intensa, colma di passione. Non v’era danza o ritmo che li trovasse impreparati al punto da dover rinunciare a quel travolgente amore che li portava a misurarsi ogni volta con i più audaci passi del loro vastissimo repertorio. Dal liscio romagnolo da balera ai valzer viennesi, dalle veloci polke al sensuale tango argentino, dai ritmi sudamericani di samba e cha cha cha all’americanissimo foxtrot: nulla era precluso alla formidabile coppia. E pur scarseggiando l’abilità in pista non mancava loro il coraggio e la voglia d’essere protagonisti.

 

Non importava quale festa frequentassero, da quelle de L’Unità, dell’Avanti o dell’Amicizia alle sagre paesane del coregone o della cipolla ripiena, dagli appuntamenti delle Pro loco a quelli degli Alpini o ai festeggiamenti in piazza del Santo patrono. Ogni qualvolta vi fosse un orchestra, della musica e una pista da ballo, l’immancabile duo non esitava ad esibirsi in volteggi, passi veloci che s’incrociavano e sguardi assassini che tradivano un sentimento che raramente lasciava indifferenti coloro che li guardavano ballare. Ogni volta Elvio e Aida pensavano che il pubblico li stesse ammirando con qualche punta d’invidia. E pensavano che gli incitamenti e quell’averli paragonati a Ginger e Fred da quelli che li salutavano da bordo pista, fosse un giusto seppure un tantino esagerato riconoscimento alla loro bravura. Non osavano pensare che la somiglianza con la Rogers e  con Astaire riguardasse l’aspetto fisico. Ginger era bionda, bella e snella mentre Aida era bruna, piuttosto robusta e dotata di un naso importante. Elvio pareva un parente stretto dei pali del telegrafo da tanto era magro e allampanato. Per di più era quasi completamente calvo e solo un piccolo e solitario ciuffo di peluria rossiccia spuntava sulla parte posteriore della nuca. Dire che fossero belli era ben più che un azzardo ma erano più che certi che agli occhi del pubblico,  vedendoli ballare, ogni difetto spariva, cancellato dal fascino e dal portamento naturale dei due ballerini che si credevano baciati da Tersicore, la musa della danza nella mitologia greca. Per tanto tempo si esibirono  così, disinvolti e spensierati, incuranti del passar degli anni e degli acciacchi. Non c’era sciatica o artrite che potesse tenerli lontani da ritmi lenti o sincopati. Elvio trascinava nel ballo le sue lunghe gambe, calzando lucide e nere scarpe dalla suola antiscivolo. Aida, abbandonate definitivamente le décolleté con il tacco a causa dei calli e della difficile stabilità, aveva optato per delle Superga bianche, impreziosite da luccicanti brillantini. Che cos’è la bellezza se non una delicata espressione del meglio che possa inquadrare uno sguardo, della leggera ebbrezza che regala un gesto di così rara raffinatezza come può esserlo un volteggio, un caschè, un passo doppio perfettamente eseguito? La loro impressione era che il pubblico li ammirasse, sostenendo con affetto le loro evoluzioni. A parere di Elvio non occorreva essere esperti per intuire un segno d’eleganza in quelle loro movenze dove al notevole gesto atletico si accompagnava l’armonia lieve del talento. In fondo bastava crederci e loro, nel più profondo del cuore, ci credevano eccome. Cosa importava se quella che per i due funamboli del ritmo equivaleva ad una straordinaria prova di classe, al pubblico che frequentava feste e balere pareva più un insieme di impacciati tentativi di giri di danza, poco disinvolti e alquanto malfermi e vacillanti ? Nessuno osò mai avanzare una critica, una seppur minima osservazione, un timido e velato consiglio. Per tutti bastava quel binomio – Elvio e Aida – per perdonare tutto. Il senso della gioia del ballo della coppia faceva sognare anche chi non aveva dimestichezza con danze e melodie. Ma il tempo, com’è noto, è tiranno e così i nostri Ginger e Fred sono diventati troppo anziani per cimentarsi sulle piste delle balere. Ma non rinunciano a frequentare i luoghi che conobbero i loro successi e anche la sola presenza è ricompensata da un caldo applauso. Non è più quello caldo e generoso che sottolineava le loro prestazioni e che la coppia salutava con un inchino e un sorriso, ringraziando gli astanti. E’ diverso, quasi un omaggio alla carriera. L’intensità è sempre quella di un tempo, soprattutto da parte di coloro che hanno i volti incorniciati da argentee o bianche ciocche di capelli. Nei loro sguardi si legge una punta di nostalgia che, ben motivata, non guasta. Elvio e Aida, sorreggendosi uno con l’altra, ringraziano con un cenno delle mani e l’abbozzo di un inchino. Il tempo nella clessidra scorre senza guardare in faccia nessuno ma per i due danzatori ha deciso di fare uno sconto, salvando le loro gesta dall’oblio. E da critiche e rimproveri che comunque non si sarebbero meritati nemmeno ai tempi dei loro “anni ruggenti”.

 

Marco Travaglini

Luisa Levi: la signora medico

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Torino e le sue donne
Le storie spesso iniziano là dove la Storia finisce
Con la locuzione “sesso debole” si indica il genere femminile.Una differenza di genere quella insita nell’espressione “sesso debole” che presuppone la condizione subalterna della donna bisognosa della protezione del cosiddetto “sesso forte”, uno stereotipo che ne ha sancito l’esclusione sociale e culturale per secoli. Ma le donne hanno saputo via via conquistare importanti diritti, e farsi spazio in una società da sempre prepotentemente maschilista. A questa “categoria” appartengono  figure di rilievo come Giovanna D’arco, Elisabetta I d’Inghilterra, EmmelinePankhurst, colei  che ha combattuto la battaglia più dura in occidente per i diritti delle donne, Amelia Earhart, pioniera del volo e Valentina Tereskova, prima donna a viaggiare nello spazio. Anche Marie Curie, vincitrice del premio Nobel nel 1911 oltre che prima donna a insegnare alla Sorbona a Parigi, cade sotto tale definizione, così come Rita Levi Montalcini o Margherita Hack. Rientrano nell’elenco anche Coco Chanel, l’orfana rivoluzionaria che ha stravolto il concetto di stile ed eleganza e Rosa Parks, figura-simbolo del movimento per i diritti civili, o ancora Patty Smith, indimenticabile cantante rock. Il repertorio è decisamente lungo e fitto di nomi di quel “sesso debole” che “non si è addomesticato”, per dirla alla Alda Merini. Donne che non si sono mai arrese, proprio come hanno fatto alcune iconiche figure cinematografiche quali Sarah Connor o Ellen Ripley o, se pensiamo alle più piccole, Mulan.  Coloro i quali sono soliti utilizzare tale perifrasi per intendere il “gentil sesso” sono invitati a cercare nel dizionario l’etimologia della parola “donna”: “domna”, forma sincopata dal latino “domina” = signora, padrona. Non c’è altro da aggiungere.

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7 Luisa Levi: la signora medico

Agli albori del mondo, le donne ricoprivano ruoli di guaritrici, curavano i mali dell’anima e del corpo al pari degli uomini, come testimoniano vari reperti delle popolazioni euroasiatiche, africane o azteche. Il brusco cambiamento arriva con l’Inquisizione, che trasforma le conoscenze curative femminili in osceni patti con il maligno e le donne guaritrici in temibili streghe. Da questo momento in poi, per molto tempo, solo gli uomini potevano frequentare le Università e solo i dottori in medicina potevano praticare le arti guaritorie. Unica eccezione fu la scuola di Salerno, all’interno della quale, nell’XI secolo, lavorava Trotula, “sapiens matrona” (“donna sapiente e saggia”), abilissima levatrice proveniente dalla ricca e nobile famiglia de Ruggiero di origine Longobarda. Le donne dovranno aspettare  secoli perché le porte delle Università vengano aperte anche a loro, il che accadrà soltanto tra la metà dell’Ottocento e gli inizi del Novecento. Se le Istituzioni aprono le porte, l’opinione comune resta serrata e le donne medico devono combattere più degli uomini per veder realizzati i propri obiettivi. Tra le tante “combattenti” ricordiamo Mary Putnam Jacobi: diplomatasi nel 1863 in Farmacia a New York, poco dopo ottiene la Laurea in Medicina al Woman’s Medical College della Pennsylvania; porta avanti la convinzione che per diventare validi medici sia fondamentale avere non solo una buona preparazione scientifica, ma anche una grande compassione per chi soffre. Diventerà portavoce del Movimento Medico Femminile a capo della Working Women’sSociety e dell’associazione per l’Advancement of the MedicalEducation for Women.  In Italia, troviamo Maria Dalle Donne, prima docente di Ostetricia nella Regia Università di Bologna, laureatasi in Filosofia e Medicina nel 1799, e dirigente, nel 1804, presso la Scuola delle Levatrici, e Maria Montessori, nata ad Ancona nel 1870: è lei la prima donna italiana a conseguire la Laurea in Medicina e Pedagogia (ma anche in Scienze Naturali e Filosofia). La nostra storia di oggi ha come protagonista una delle tante donne caparbie e preparate che non si è mai arresa di fronte agli ostacoli frapposti dalle ferree regole della  società: Luisa Levi.  Luisa Levi nasce a Torino il 4 gennaio 1898, diviene medico neuropsichiatra infantile, attenta studiosa di problemi riguardanti la sessualità dell’infanzia. E’ ricordata principalmente poiché è la prima donna medico italiana a pubblicare un lavoro sull’educazione sessuale, intitolato “L’educazione sessuale: orientamento per i genitori”. Scopo del libro è aiutare i genitori a dare un sano indirizzo alla vita sessuale dei loro figli, evitando errori comuni dovuti a pregiudizi. Luisa Levi è figlia di Ercole Raffaele e Annetta Treves, entrambi di religione ebraica. E’ lo zio materno Marco Treves, psichiatra e fratello del noto Claudio Treves, a suscitare in lei il desiderio di diventare medico. Luisa frequenta a Torino il liceo Vittorio Alfieri e in seguito si iscrive, nel 1914, alla tanto desiderata Facoltà di Medicina presso l’Università degli Studi di Torino. Nel suo primo anno di corso stringe amicizia con Maria Coda, l’unica altra donna frequentante. Luisa segue nel corso degli studi il laboratorio di Anatomia e Istologia Normale e quello di Clinica Medic
a, rispettivamente p
resso gli studi di Romeo Fusari e di Camillo Bozzolo e Ferdinando Micheli. La giovane donna riuscirà ad ottenere i premi “Pacchiotti” e “Sperino” per le massime votazioni conseguite negli esami speciali e nella discussione della tesi: “Sopra un caso di endocardite lenta”, con cui si laurea l’8 luglio 1920, conseguendo il massimo dei voti e la lode. Luisa è donna non solo di alta cultura ma anche molto coraggiosa: durante la prima guerra mondiale è infermiera volontaria presso l’ospedale territoriale della Croce Rossa Italiana di Torino, in cui presta servizio come aspirante ufficiale medico nel laboratorio psico-fisiologico dell’Aviazione, diretto da Amedeo Herlitzka. Dopo alcuni anni in qualità di assistente presso diverse cliniche, nel 1928 lavora con il titolo di medico per le malattie nervose dei bambini presso l’ospedale pediatrico Koelliker di Torino, dando così inizio alla sua carriera di neuropsichiatra infantile. Nel 1927 si reca a Parigi per perfezionarsi in malattie mentali e malattie nervose. Sebbene la sua formazione sia ricca di riconoscimenti e nonostante l’ottima preparazione, Luisa incontra non poche difficoltà ad essere assunta nelle diverse cliniche psichiatriche, dove, in caso di pari merito, le vengono preferiti i suoi colleghi maschi. La dottoressa non si arrende e nel 1928 vince un posto, dedicato a sole donne, bandito dai manicomi centrali veneti per la colonia medico-pedagogica di Marocco di Mogliano, fondata da Corrado Tummiati. Negli anni successivi pubblica diversi articoli sulla mente dei bambini e sulla loro rieducazione. Le peripezie di Luisa, però, non sono finite e dopo un anno dall’assunzione il direttore amministrativo la induce a dare le dimissioni. Nel 1932 viene accettata nella Casa di Grugliasco, dove rimane fino all’emanazione delle leggi razziali. Durante la seconda guerra mondiale, privata del lavoro, si ritira nella campagna di Alassio, di proprietà dei genitori, e qui si dedica a lavori agricoli. Dopo l’8 settembre 1943 si rifugia con la madre a Torrazzo Biellese, dove vive sotto falso nome. Qui, grazie al Comitato Femminile di Ivrea, collabora attivamente come medico della settatantaseiesima Brigata Garibaldi. Nel secondo dopoguerra, determinata a portare avanti il suo impegno scientifico e politico, Luisa Levi entra in Unità Popolare e fa parte della sezione PSI “Matteotti” di Torino;  diventa poi membro attivo dell’UDI (Unione Donne Italiane) e si iscrive alla Camera Confederale del Lavoro della città subalpina. Continua a dedicarsi alla neuropsichiatria infantile dopo aver conseguito la libera docenza con la tesi su “Infanzia anormale” nel 1955. Dopo una vita passata a lottare, trova finalmente riposo proprio nella città da cui era partita: si spegne, infatti, a Torino nel dicembre del 1983.

 

Alessia Cagnotto

Penne saporite in salsa di zucchine

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Un piatto leggero, semplice, delicato ma al contempo saporito

Un primo piatto perfetto, leggero, semplice, delicato ma al contempo saporito, dal color verde acceso che sara’ una gioia per occhi e palato di tutti i commensali.

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Ingredienti per 4 persone:

360 g di pasta corta tipo penne
400 g di zucchine chiare
50 g di parmigiano grattugiato
100 g di pancetta affumicata a cubetti
1/2 spicchio d’aglio
1 cucchiaio di prezzemolo tritato
1cucchiaino di menta fresca tritata
1 cucchiaino di basilico fresco tritato
Olio evo q.b.
Sale, pepe
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Tagliare le zucchine a meta’, scavare leggermente per eliminare un poco di polpa, lessare in acqua salata mantenendole al dente. Scolare, conservare l’acqua di cottura e lasciar  raffreddare. In una larga padella soffriggere con un poco di olio i cubetti di pancetta. Frullare le zucchine con il parmigiano, l’aglio, il prezzemolo ed il basilico tritati, il pepe e l’olio, aggiustare di sale. Cuocere la pasta nell’acqua di cottura delle zucchine, scolare e saltare in padella con la salsa di zucchine.

Paperita Patty

 

Le polpette al forno di nonna Graziella

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La cottura al forno le rende leggere, croccanti fuori e morbide dentro

Un ottimo secondo adatto ad ogni occasione. Le polpette sono semplici e veloci da realizzare, apprezzate da grandi e piccini si possono preparare con svariati ingredienti e non deludono mai. La cottura al forno le rende leggere, croccanti fuori e morbide dentro.

Tutte da gustare!

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Ingredienti:

300gr. di avanzi di carne di pollo o vitello arrosto

2 patate lesse

3 uova intere

2 cucchiai di olive taggiasche

40gr. di parmigiano grattugiato

1 limone

Un ciuffo di prezzemolo

Pangrattato q.b.

Sale, pepe q.b.

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Mettere nel mixer la carne con le patate, due uova intere, il parmigiano, il prezzemolo e la buccia del limone grattugiata. Tritare il tutto sino ad ottenere un composto omogeneo ma non troppo fine. Tritare le olive ed aggiungere al composto, salare e pepare. Formare le polpette pressandole leggermente, passarle prima nel rimanente uovo sbattuto e poi nel pangrattato. Cuocere in forno a 200 gradi per circa 25 minuti o sino a doratura.

Paperita Patty

Il verde che purifica

Non solo belle e decorative, ma anche utili e protettive. Le piante sono una risorsa magnifica per la salvaguardia della nostra salute, sono in grado di catturare infatti alcune sostanze dannose per il nostro organismo, eliminare cattivi odori, come quello delle sigarette, mantenendo l’aria di casa salubre. La loro funzione ornamentale, come le notevoli proprietà balsamiche   che aromatizzano i nostri ambienti, fanno di questi organismi vegetali dei fedeli compagni che ricambiano cure e attenzioni con apprezzabili cortesie che favoriscono la salute. Anche la Nasa si è interessata a questo tema confermando la capacità di alcune piante di eliminare fino al 73% delle sostanze tossiche presenti nell’aria. Ogni pianta svolge un compito specifico nella sua azione depurativa per esempio l’Azalea, pianta dai meravigliosi colori originaria del Giappone e della Cina, filtra la formaldeide. L’Edera, il vivace rampicante verde, assorbe l’odore lasciato da pitture e inchiostri, ma anche il benzene contenuto nei detersivi. Inoltre è una pianta che arreda moltissimo soprattutto se si ha spazio per farla crescere ed espandere sulle pareti. L’Anthurium, dalle foglie a forma di cuore e fiori colorati e bianchi, può rimuovere una importante dose di ammoniaca ma anche di toluene (impiegato per il trattamento di vernici e colle) e xilene (solvente per gomme e cuoio). Il Ficus Benjamin, molto utilizzato negli appartamenti ma anche negli uffici oltre che per la sua piacevolezza anche per la sua facilità nella cura, è tra i migliori agenti nella rimozione degli allergeni provocati dalla presenza di mobili e tappeti. L’Aloe Vera, pianta africana facilissima da coltivare: poca acqua e tanta luce, è in grado di eliminare ben il 60% del benzene contenuto in vari prodotti in uso quotidianamente come i detergenti chimici. Non dimentichiamo inoltre le sue proprietà medicinali, è infatti un antinfiammatorio, un cicatrizzante, un idratante ma anche un antibatterico e gastro protettivo. Il Falangio, molto resistente e indicato per chi non ha propriamente il pollice verde, filtra anche l’ossido di carbonio oltre al benzene e alla formaldeide. La Palma di Bamboo, piccola e graziosa pianta che produce piccoli fiori e frutti, è molto utile per combattere le esalazioni di trielina, un pericoloso agente cancerogeno spesso usato nei prodotti sintetici per il lavaggio a secco e nei solventi. Infine la Dracaena, conosciuta come il Tronchetto della Felicità, oltre a filtrare l’aria dalle sostanze nocive già citate, è abile a ridurre l’ansia, la tristezza e lo stress. E’ molto utile anche contro il mal di testa e il bruciore agli occhi e grazie alla sua capacità di assorbire anidride carbonica mentre emette ossigeno ha effetti positivi sulla concentrazione e sulla produttività.

Maria La Barbera

 

In volo sul lago

Il giorno prima della partenza avevamo controllato per bene le previsioni meteorologiche. La mongolfiera non può staccarsi da terra in presenza di pioggia, temporali, vento troppo forte o gran caldo. Ma dal centro Geofisico Prealpino di Varese, nell’edizione mattutina della trasmissione radiofonica “Gazzettino padano“, garantirono che il tempo volgeva al bello. Era già più che una garanzia ma comunque, per scrupolo, verificammo anche sui vari siti meteo di internet, trovando conferma. Per il decollo avevamo scelto un ampio prato poco distante dal capannone. Era il luogo ideale: non c’erano ostacoli che potessero intralciare le manovre di volo. Posizionata la cesta iniziammo a stendere l’enorme pallone bianco e rosso e in meno di  mezz’ora era pronto per essere gonfiato con l’aria fredda di un ventilatore. Un lavoro che durò circa venti minuti, al termine del quale la mongolfiera era pronta per il decollo. Eravamo emozionati e non vi dico che sensazione provai quando ci staccammo da terra e iniziò l’ascensione. Il rumore del bruciatore e quella fiammata che ci scaldava le guance ci avevano distratti e quasi non ci rendemmo conto di essere già in volo. In meno di un quarto d’ora l’altimetro segnava 3600 piedi. “Quindi, amico mio, stiamo viaggiando a poco più di mille metri d’altezza“,disse Roland. L’apparecchio rilevava anche  la variazione della pressione atmosferica rispetto all’altezza sul livello del mare  e questa tendeva a diminuire aumentando la quota. Da terra, André Lacroix, uno degli amici di Roland, aveva il compito di comunicare con noi attraverso la radio aeronautica in VHF. Quest’ultima, dalle frequenze sempre aperte, ci  consentiva  di mantenere il contatto con l’assistenza. Una rapida occhiata alla sonda termica che misurava la temperatura interna dell’involucro ci confermò che tutto procedeva per il meglio.

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Il volume della nostra mongolfiera , come ho già ricordato, corrispondeva a quelle di medie dimensioni, capaci di portare tre o quattro persone. L’autonomia di volo poteva variare da un’ora e mezza a un paio d’ore,secondo la quantità di propano a disposizione per il bruciatore, dalle condizioni climatiche e dal peso trasportato. Nel nostro caso il carico di combustile, il bel tempo e il fatto che eravamo solo due e per di più longilinei, ci garantiva un ampio margine verso le due ore. Roland si confermò un provetto “pilota dell’aria“,controllando l’andamento dell’aerostato e manovrando il bruciatore. Quando apriva la valvola, aumentando la quantità di aria calda,il pallone tendeva a salire;viceversa, quando la diminuiva, tendeva a perdere quota lentamente e in modo graduale. La magia di volare in mongolfiera era indescrivibile. Il panorama non era per nulla paragonabile a quello che si può vedere dall’alto di una montagna. Era più completo, vario, mobile. Il lago pareva una creatura viva. La nostra ombra, in basso, sfiorava l’acqua e le terre che la circondavano. Da quassù le cose mutavano forma: i profili dei monti, il reticolo delle strade, le strutture di case e piazze, i corsi d’acqua,i battelli,la ferrovia. Roland, filosofando,disse: “E’ davvero un altro punto di vista,  molto probabilmente una visione diversa del  mondo“. Ero anch’io molto eccitato.“Guarda là, Roland. Guarda la statua del San Carlone!Impressionante!Domina la città di Arona e parte del Golfo Borromeo dall’alto dei suoi 35 metri”.Si vedevano il centro abitato,il lungolago e i resti della Rocca Borromea , la “Gibilterra del Lago Maggiore” che fu espugnata e distrutta da Napoleone nel 1800. Più a sud le macchie colorate dei campeggi di Dormelletto e il ponte di ferro sul Ticino che segna il confine tra Piemonte e Lombardia dove, da una sponda all’altra del fiume,Castelletto Ticino e Sesto Calende si guardano negli occhi.

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A nord di Arona, tra il lago e le verdi colline del Vergante, s’intravedevano le ville e i borghi di Dagnente, Meina, Ghevio, Lesa, Belgirate e – più in su -Colazza,Pisano,Nebbiuno,Massino Visconti, Brovello Carpugnino. ” Quel campanile è di Gignese e, più giù, c’è Vezzo. Vedi la strada che scende verso Baveno? Levo, Someraro, Campino e Loita sembrano messe in fila“. Stresa, la  “perla” del lago, nobile e un po’ fanè, si specchiava nel golfo borromeo proprio davanti all’Isola Bella e più in su, oltre Baveno, tra Feriolo e Fondotoce, la Toce sfociava nel lago.Ville e campanili, case e fabbriche da Pallanza a Intra sembravano cubetti delle costruzioni mentre la lingua d’asfalto della statale del lago Maggiore attraversava Ghiffa, Oggebbio, Cannero e Cannobio fino a incontrare la sbarra del confine con la Svizzera, tra Piaggio Valmara e Brissago. Sotto di noi, come su di una mappa in rilievo, vedevamo i laghi d’Orta e di Mergozzo e il lungo fondovalle ossolano dal quale partivano come lische di un pesce le strade che salivano verso le testate delle valli laterali, chiuse dalla corona delle alpi Pennine e Lepontine. Ma erano i colori del lago, le increspature dell’acqua mossa dalla brezza di superficie, a provocare una vera e propria vertigine. Galleggiavamo nell’aria e sotto di noi non c’era angolo che non contribuisse a comporre la grande suggestione del paesaggio. Le alture, il profilo dei poggi, i corsi d’acqua scintillanti che corrono tra le vallette verso il lago, la ricca vegetazione dei boschi, i giardini e i parchi, le serre delle aziende che coltivano camelie e azalee. Anche il tempo volava ed era giunto in momento di tornare con i piedi per terra. Ci dirigemmo sulla zona da cui eravamo partiti, scendendo poco alla volta per sondare il vento al suolo. In breve atterrammo nello spazioso prato ai margini della vecchia fabbrica di ceramiche. Scesi dalla mongolfiera ci abbracciammo forte. ” E’ stato un volo bellissimo. Mi era capitato altre volte di salire in mongolfiera ma qui, sul Maggiore, ho provato emozioni da brivido. Adesso io e André sgonfieremo il pallone, smontandolo. Dobbiamo rimetterlo nelle casse poiché, dopodomani, ci toccherà rispedirlo a Ginevra. Come ogni anno, il professor Guy De Marne organizza una gara di mongolfiere e ha bisogno di tutti i suoi aerostati per l’occasione“. Dopo le parole concitate di Roland, ci salutammo con un lungo abbraccio. Era stata davvero una giornata indimenticabile. Sul pontile dell’imbarcadero, nell’attesa di salire a bordo del San Cristoforo, il traghetto che collega Laveno con Intra, pensai che quell’esperienza doveva rimanere unica.  Non era il caso di ripetere quel volo  perché le grandi emozioni sono tali se non ci si fa l’abitudine. A Intra salii sulla motonave “Stambecco” e mezz’ora dopo scendevo al porto di Baveno. Andai a casa, sfinito dalla stanchezza ma contento. Dopo cena mi sdraiai sul letto, guardando fuori dalla finestra della stanza che dà sul lago. La luna, una mezza falce circondata dalle nubi, stava per essere ingoiata dalle stesse. S’annunciava una di quelle notti scure che si mangiano le stelle. Ero pronto a rivivere , in sogno , le gioie intense di questa memorabile giornata. Con un clik! spensi la luce dell’abat-jour. Buonanotte!

Marco Travaglini

Sapore di mare: gratin di pesce in conchiglia

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Una preparazione dedicata ad un momento di festa che soddisfera’ anche i palati piu’ raffinati

Eccovi una proposta deliziosa a  base di pesce per  un antipasto originale e d’effetto. Una ricetta delicata, un’armonia di sapori resi ancora piu’ invitanti dalla presentazione in conchiglie di capesante, una preparazione dedicata ad un momento di festa che soddisfera’ anche i palati piu’ raffinati.

 

Ingredienti per 8 persone:

300gr. di filetto di nasello

300gr. di salmone fresco

10 code di gaberoni

250gr. di besciamella

100gr. di parmigiano grattugiato

100gr. di emmenthal

Sale, pepe, prezzemolo q.b.

Cuocere a vapore il nasello, il salmone e le code di gambero, lasciar raffreddare. In una ciotola sminuzzare il pesce, salare, pepare, aggiungere tre cucchiai di parmigiano, l’emmental tagliato a cubetti, il prezzemolo tritato e la besciamella. Mescolare con cura, riempire con il composto ottenuto i gusci delle capesante, cospargere di parmigiano e infornare a 200 gradi per 10 minuti poi lasciar gratinare sotto il grill sino a completa doratura. Servire la conchiglia calda su un letto di insalatina.

 

Paperita Patty

Freschi involtini di manzo affumicato

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Un’idea gustosa, fresca e veloce da preparare

Il manzo affumicato e’ una carne saporita, nutriente e dietetica che consente di portare in tavola gusto e leggerezza, e’ ottima come antipasto freddo o servita come secondo con verdure di stagione.

Ingredienti:

8 fette di manzo affumicato

100gr. di ricotta fresca

10 gherigli di noci tritati

Sale, pepe q.b.

Rucola fresca

Olio evo

In una piccola terrina mescolare la ricotta con sale, pepe e i gherigli di noce. Stendere la crema sulle fette di manzo e avvolgere ad involtino. Sistemare su un piatto di portata con rucola fresca. Conservare in frigo. Servire fresco irrorato con un filo di olio evo.

 

Paperita Patty

Foto Di Fanny Schertzer – Opera propria

I Templari in Val di Susa

 Andare in montagna significa anche scoprire la storia delle nostre vallate, dei nostri borghi, della gente che ci abita, di tradizioni e costumi che sembravano perduti ma che in realtà sono ancora vivi e presenti e ci raccontano storie che neanche conoscevamo.

Recarsi per esempio in Val di Susa, così vicina a Torino e così ricca di memorie storiche, significa ripercorrere fatti ed eventi che affondano le radici ben prima dell’era cristiana. Da Annibale che con 30.000 uomini e 37 elefanti da battaglia valicò nel 218 a.C. il Moncenisio o forse il Monginevro, ma non si escludono altri passaggi come sul Piccolo San Bernardo o addirittura sul Monviso, ad Augusto che a Susa, 2000 anni fa, di ritorno dalla Gallia, si fermò a Segusium (Susa romana) per fare la pace con le bellicose tribù delle Alpi Cozie. Da Costantino il Grande che nel 312, proveniente dalla Britannia e diretto a Roma, scese a Susa per sbaragliare le truppe dell’usurpatore Massenzio fino a Carlo Magno che alle Chiuse di Susa (le rovine delle fortificazioni sono ancora parzialmente visibili) sconfisse nel 773 i Longobardi di Desiderio che il torinese Massimo d’Azeglio ha illustrato in un prezioso bozzetto. Grande storia, grandi eventi hanno segnato la Val di Susa ma ci sono anche storie minori o anche solo oggetti e simboli che ci ricordano il passaggio da queste parti di personaggi altrettanto importanti. Come i Templari che spuntano ovunque, come i funghi in Val Sangone, e spesso vengono visti in luoghi dove in realtà non sono mai stati. E proprio una leggenda valsusina narra che i Templari sarebbero saliti alla Sacra di San Michele arrampicandosi, a piedi e a cavallo, sul monte Pirchiriano ottocento anni fa. I Cavalieri del Tempio si sarebbero ritrovati nell’antica abbazia per trattare il passaggio di alcuni monaci alla Confraternita esoterica e religiosa dei Rosacroce. Tre croci incise nella pietra accanto alla porta dell’Abbazia, la Porta di Ferro, dimostrerebbero l’attendibilità dell’incontro. È probabilmente solo un racconto popolare ma tra il Piemonte e i Templari, ordine religioso-militare fondato nel 1119, poco dopo la prima Crociata, c’è sempre stato un forte legame storico. Si sa infatti con certezza che i Templari furono presenti in molte città e paesi del Piemonte, tra cui, Cuneo, Alba, Ivrea, Moncalieri, Torino, Chieri, Casale, Vercelli e Novara. Anche in Val di Susa è stato registrato un certo via vai di templari. Da fonti storiche risulta che il più antico insediamento templare, risalente al 1170, fu presumibilmente quello di Susa e presenze templari sono state individuate nella vicina San Giorio, a Villar Focchiardo e a Chiomonte. Sorprendente e imprevisto è stato il ritrovamento negli anni Novanta, da parte di alcuni esperti guidati dalla studiosa Bianca Capone Ferrari, di alcune croci templari nel piccolo comune di San Giorio, alle porte di Susa. Una croce è murata nella facciata della canonica che in tempi antichi era quasi certamente una fortezza da cui si controllavano i movimenti nella valle attaversata dalla Dora Riparia mentre sull’arco del portale laterale di una cappella del XIII secolo, che si trova nei pressi della chiesa parrocchiale, risplende un’altra croce templare. Si ritiene pertanto probabile che a San Giorio fosse presente un presidio militare dei Cavalieri rosso-crociati a difesa della valle e del ponte sulla Dora. È stato finora impossibile accertare il luogo esatto dell’insediamento templare a Susa (forse si tratta della chiesa di Santa Maria della Pace sulla Dora), tuttavia esistono documenti che confermano la presenza in città di una “domus templi”, come dimostra la magnifica croce a otto punte scolpita in un fianco della cattedrale di San Giusto.

Filippo Re

(foto LIGUORI)

Croccante focaccia simil-Recco

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Croccante al punto giusto, ha un gusto delicato. Che dirvi di piu’…. vi chiederanno il bis!

Certo, la focaccia di Recco e’ tutta un’altra storia… sono d’accordo con voi, questa e’ senza pretese ma vi piacera’, e’ croccante al punto giusto, ha un gusto delicato…che dirvi di piu’…. vi chiederanno il bis!

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Dose per 2 teglie rettangolari:

500gr.di farina 00

2 cucchiaini di zucchero

1 cucchiaino di sale

1 bustina di lievito secco

5 cucchiai di olio evo

275ml di acqua tiepida

500gr. di stracchino/crescenza

sale q.b

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Mettere la farina, lo zucchero, il sale nel mixer e miscelare, aggiungere poi la bustina di lievito e sempre miscelando l’olio. Aggiungere poco alla volta l’acqua e lasciar impastare per qualche minuto. Versare l’impasto sul piano del tavolo infarinato e iniziare ad impastare con energia sbattendo la pasta sul tavolo ripetutamente. Mettere l’impasto in una capiente ciotola, coprire con un tovagliolo e lasciar lievitare in luogo tiepido per 4 ore.

L’impasto raddoppiera’ di volume. A questo punto, stendere la pasta con il mattarello e sistemarla nella teglia rivestita di carta forno. Ungere leggermente l’impasto con olio miscelato a qualche goccia di acqua e coprire con pezzi di stracchino, salare, condire con un filo di olio e infornare a 250* per 15 minuti o fino a quando il formaggio inizia a dorare .

Servire subito aggiungendo, a piacere, rucola fresca. Se non avete tempo, o voglia, acquistare la pasta per pizza dal fornaio.

Buon appetito.

 

Paperita Patty