COSA SUCCEDE(VA) IN CITTA’ / Per noi “ragazzacci ” di Barriera il limite dell’orizzonte era la Stura. Oltre il fiume c’era un’altra dimensione. Al fondo di via Botticelli una cava di ghiaia estratta dalla Stura. Si formavano montagne, paesaggio lunare, dove era doveroso fantasticare. Ogni tanto qualche baruffa con i ragazzini rom. Niente di che, tutto nella norma. In estate, finalmente, smettevo i pantaloni lunghi per i più pratici pantaloncini. Superga basse rigorosamente blu. Un paio a stagione. I Jeans no. Erano per la Montagna. Luglio e Agosto nelle valli di Viù.
In Barriera una banda, ed in Montagna un’altra. Le avventure sono iniziate in Piazza Respighi. Si giocava ininterrottamente a Ligia e biglie. Ero il solito fortunato. Mio padre era il mio fornitore di bioni. Sfere di ferro smontate. Secondo la grandezza potevano valere da 10 fino a cento biglie di vetro. Generalmente una biglia di vetro grande valeva 10 di piccole. Sempre di vetro. Le mettevi in fila e colpite diventavano tue. Nel gioco me la cavavo. Altro orizzonte il cinema Zenit, oltre la ferrovia. Univa lo scalo di Vanchiglia con la linea centrale morendo al Parco Sempione dove c’era e c’è ancora la piscina. Due grandi vasche dove c’era anche un trampolino olimpionico inizi anni 70, poi venne costruito lo spazio per i più piccoli. Prima nello sterrato corsa campestre. Le prime volte allo Zenit mi ci portò mio padre .14 30 della domenica. Allora si poteva entrare anche a proiezione iniziata. La facevano da padrone i film di Cow- boy con il mitico Giuliano Gemma. Il duro per antonomasia. Al ritorno mille domande. Era diventato un gioco. Forse ero asfissiante, mi sembra di ricordare di un padre divertito e tutto sommato contento di un figlio curioso e irriverente. Poi venne il fatidico giorno: al cinema ci puoi andare da solo. Libertà allo stato puro. Età, direi, 7 – 8 anni. Che poi solo non ero. Nel branco ci sentivamo sicuri. Non penso d’ aver visto tutti i film di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. Sono tantissimi. Una considerevole parte sì. E l’ uomo dei pop corn. Patatine , bibiteeee, poooppp- corrrnnnn. Passava tra un tempo e l’altro. E giù risate. Allora c’ erano le visioni fino al 5° passaggio. Tranne quelli della coppia siciliana. Qualche settimana in prima visione e poi direttamente alla quarta visione. La quinta visione nei cinema parrocchiali
Al Michele Rua ho visto tutti i classici polpettoni. 10 comandamenti. Ben – hur e il classico ed intramontabile Via col Vento. Tutto. Ovviamente, innaffiato da coca- cola e liquirizia. Tutto dosato. Dovevano bastare i pochi soldi. Non c’era l ansia dell’appuntamento. Sapevi che qualche amico lo trovavi. Difficilmente amiche. Allora non si usava. A me piaceva “vagare” da un punto all’ altro. Dai giardini di via Mercadante all’oratorio, passando per piazza Respighi. A metà anni 60 la piazza si completò. Vennero costruite le case del Toro. L’ assicurazione. Le prime case costruite in prefabbricato. Un intero isolato. Prima c’ era un campo di calcio. Ogni tanto arrivava un circo decisamente “sgarrupato ” dando un tocco di felliniana memoria ad una Barriera che cresceva. Tante costruzioni, tanti alloggi in vendita e la classe operaia diventava ceto medio. Poche le donne che lavoravano. Per lo più nei negozi alimentari. Reggeva ancora l’ idea della mamma angelo del focolare. Donne con una straordinaria capacità di risparmio ed oculatezza nello spendere. O donne, come mia madre, che lavoravano, in nero, da pantalonaie. Donne con una straordinaria capacità di lavoro. Eravamo ancora nel pieno boom economico, anche se il vento dello sviluppo si stava chetando. Noi “ragazzacci” non capivamo e ci sentivamo appagati dalle biglie e ai cinema di periferia. Si spostava il limite del proprio orizzonte. Questo sì. E spostando il limite, oltre qualcos’altro, crescevamo. Sempre meno ragazzacci e sempre più uomini. La Barriera è rimasta. Da dove arrivi, le tue radici e la strada che ti ha formato. Ora rimane ( solo ) il ricordo. E già qualcosa per dire ai nostri figli da dove arriviamo. Per alcuni di noi , già nonni, per i nipoti. Si chiama identità. Identità collettiva. Di quelle bande in cui ci si sentiva coperti. Eravamo ragazzacci ma non delinquentelli. Perché vedevamo nelle nostre madri e nei nostri padri dei modelli. Ora vorremmo essere dei modelli per i nostri figli e i nostri nipoti.
Patrizio Tosetto