ARTE- Pagina 31

La street art a Torino

Torino è la capitale del Liberty, una magnifica rappresentante di capolavori in stile Barocco, la sua conformazione a “scacchiera” di origine romana contiene e accoglie capolavori di Juvarra, Guarini, Castellamonte, splendori come il Palazzo Reale, Palazzo Madama ma anche opere dallo stile eclettico più recenti come la Mole Antonelliana, simbolo della città e uno tra i più emblematici d’Italia

Torino tuttavia non è solo un glorioso passato, non ha ispirato esclusivamente artisti lontani nel tempo, è un centro moderno, vivace, colorato, detentore di un patrimonio artistico culturale attuale e contemporaneo.

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La città della Gran Madre è un brillante esempio di Arte Urbana, dopo gli anni 2000 questa espressione artistica infatti, spesso praticata per motivi personali, come critica, manifestazione di dissenso o di rivendicazione sociale, è decollata riqualificando molti aree cittadine, valorizzando superfici grigie e anonime, dando inoltre la possibilità a molti artisti di avere uno spazio espositivo vastissimo, una vetrina enorme dove le immagini parlano, a volte urlano.

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Tra le più famose rappresentazioni di questa giovane arte c’è il Murale Thyssenkrupp – Corso Valdocco – che ricorda la tragedia del 2007: un orologio digitale con la data e l’ora della strage, fiamme, i nomi delle vittime. A Via Farini, al Palazzo Nuovo un collettivo di artisti ne ha realizzato uno immenso e verticale che raffigura attraverso corpi e simboli il malessere attuale della società,

un ex magazzino industriale – in Corso Tortona 52 – trasformato in un Centro Culturale: dallo stato di abbandono all’energia, le bellissime opere di Millo a Barriera di Milano si collocano all’interno dell’iniziativa B.Art “Habitat” , un concept unico che ha come filo conduttore il rapporto tra uomo tessuto urbano.

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La Street Art è una straordinaria espressione artistica capace di regalare emozioni forti, comunicare scontento sociale, regalare vitalità, dipingere le città creando musei a cielo aperto disponibili e visibili da tutti, opere da contemplare senza fretta, manifestazioni di talento puro, di passione, creatività.

Su Inkmap.it, un progetto dell’Associazione Il Cerchio E Le Gocce, troviamo una mappa-percorso che ci indica i murales presenti in città, un suggestivo e interessante viaggio all’interno di una arte adolescente, ma fortemente impattante comunicativa, un linguaggio ecumenico ed intenso che ci racconta storie, entusiasmi e malcontenti.

 

Maria La Barbera

 

(Foto Museo Torino)

 

 

 

 

 

 

 

In mostra a Torino: Venezia nel Settecento, la decadenza e il mito

Nelle sale della Fondazione Accorsi – Ometto, sino al 3 settembre

C’è un bellissimo disegno a penna su carta gialla, con tocchi di biacca, esposto in mostra, è attribuito a Francesco Guardi, verso la metà del XVIII secolo, rappresenta un leone alla prima apparenza stanco, lontano dalla gloria antica ma ancora poggiante la zampa destra su di un elmo, in segno di dominio. Potrebbe essere l’immagine della mostra “Venezia nel Settecento. Una città cosmopolita e il suo mito”, a cura di Laura Facchin, Massimiliano Ferrario e Luca Mana, che rimarrà al Museo di Arti Decorative Accorsi-Ometto di via Po sino al prossimo 3 settembre: la visione di una città lagunare pressoché infossata, decennio dopo decennio, in questo Settecento che va sfumando, nell’ultimo periodo della sua storia, una città che è stata posta (e si è posta) ai margini della politica e della grande economia e che cerca di marginare il collasso puntando “sull’aura del suo plurisecolare primato nelle arti visive e musicali e su un’efficace strategia di immagine che ne fanno una delle mete più ambite e predilette del ‘Grand Tour’ internazionale”.

Lo storico Andrea Merlotti, ripercorrendo i cento anni in un interessante saggio posto all’interno del catalogo che accompagna la mostra, annovera quale ultimo successo della Serenissima la vittoria sui Turchi a Corfù (1716), immortalata dalle note della “Juditha Triumphans”, l’unico oratorio di Antonio Vivaldi giunto sino a noi: “Solo due anni dopo, la pace di Passarowitz – nella Serbia attuale – avrebbe marcato una nuova fase nella storia della Repubblica, in cui ‘difesa’ e ‘neutralità’ sarebbero divenute le parole chiave dell’azione politica del governo della Serenissima.” Una di quelle potenze “statiche” freddamente soddisfatte dei loro territori e della situazione socio-politica conquistata, ferme nello status quo, ben lontane da quelle “dinamiche” che ancora giudicavano di dover affrontare ulteriori modifiche agli equilibri raggiunti.

Tuttavia Venezia continuava ad accrescere la propria vita culturale, a rimarcare il proprio primato nelle arti e nello svago (si pensi solo che la Venezia del Settecento possedeva ben diciassette teatri, oltre a sale da concerto, locali pubblici e privati definiti “ridotti”, dove ha modo di esibirsi l’orchestra tutta femminile diretta da Antonio Vivaldi), laddove era un preciso punto di riferimento per aristocratici e avventurieri, per i tanti fuoriusciti politici che nella laguna continuavano a riparare. Una vita culturale che sfoggia grandi esempi nella pittura e nella scultura, che primeggia ancora nelle arti decorative, dall’ebanisteria ai tessuti, dai vetri di Murano ai merletti di Burano, ogni prodotto campione di raffinata elaborazione. Un patrimonio concepito non soltanto per la città ma esportato nell’intera Europa: il trasferimento nel 1746 del Canaletto a Londra e le sue tante amicizie inglesi, la felice frequentazione di Dresda da parte del Bellotto, le commissioni e i viaggi di Giambattista Tiepolo a Würzburg (1750) e Madrid (1762) stanno a testimoniare quanto le corti straniere ancora continuassero a far propria la cultura veneziana, nella venerazione dei grandi nomi. Con il 1797, con il trattato di Campoformio, in cui Napoleone cede la città e buona parte dei territori di terraferma all’Austria, si segnerà la fine definitiva della grandezza veneziana, della cultura, del fascino e dello splendore che l’hanno accompagnata per secoli.

La mostra dell’Accorsi è il prima della fine, nove aree tematiche svolte negli spazi espositivi del Museo e all’interno delle sale dedicate alla collezione permanente, in un eccellente simbiosi, ogni opera derivata da collezioni private, da fondazioni e da musei, come il Francesco Borgogna di Vercelli. Dai simboli alle allegorie disseminati lungo tutto il secolo alle sale dedicate ai grandi maestri dell’arte, gli artefici delle grandi decorazioni e della ritrattistica, della sontuosità delle corti e dei luoghi di culto, da Sebastiano Ricci (“Testa di carattere”, primo trentennio del Settecento), Rosalba Carriera, Pietro Longhi con “Mosè salvato dalle acque” (1735 circa), Giambattista Tiepolo e Francesco Guardi. Poi le immagini della città lagunare, la grande piazza e la darsena, le chiese e gli angoli più nascosti, Rialto e la chiesa della Salute, una serie di vedute realizzate dai grandi Canaletto e Luca Carlevarjis e Michele Marieschi (“Veduta del Campo dei Frari”, 1738-40 o “San Giorgio Maggiore”, dove il terzo decennio del secolo mostra ancora le imponenti navi della flotta pronte a prendere il largo).

Trovano posto anche i grandi eventi annuali, come la festa dell’Ascensione, con lo Sposalizio del Mare, o, ancora in una tela attribuita a Gabriele Bella, la rappresentazione del “Ridotto pubblico”, tra ricchezza di abbigliamenti e un panorama di maschere, dietro cui religiosi e nobili e borghesi nascondevano le sembianze e il loro definito stato sociale. Da una collezione privata parigina arriva “La macchia di cioccolata”, del lombardo Bartolomeo Lazzari, un attimo di vita, un felice siparietto entro cui uno sconosciuto cicisbeo aiuta una gentildonna a rimettere in sesto l’abito toccato dal prezioso liquido. Forse uno dei momenti più gustosi dell’intera mostra.

I mandolini raccolti nelle vetrine ci lasciano immaginare i tanti intrattenimenti musicali che allietavano le serate non soltanto del patriziato, gli elementi d’arredo mostrano il lavoro dei minusieri veneziani, non ultimi i mobili laccati, e le “chinoiserie” che invadevano gli ambienti. Una eleganza che si riversava sulle tavole, preziosa argenteria e porcellane vantate per le pregiate paste dure, per le quali veniva impiegata materia prima locale, ovvero il caolino del Tretto, nel Vicentino. In ultimo uno sguardo alla Venezia ebraica, risalente al X secolo, e alle nuove vedute di Giuseppe Bison con cui si entra nell’Ottocento. Ma il mito rimane e il “Palazzo Ducale” di Giorgio De Chirico è chiamato a chiudere la mostra: ma non cercate più i precisi particolari e le intagliature cromatiche che hanno fatto grande quella antica pittura. Gli anni Cinquanta del secolo appena trascorso sono tutta un’altra un’epoca.

Elio Rabbione

Antonio Molinari (Venezia, 1655 – 1704), “La traslazione del corpo di San Marco”, dopo il 1695, olio su tela, Vercelli, Fondazione Museo Francesco Borgogna; Bartolomeo Nazzari (Clusone, 1699 – Milano, 1758), “La macchia di cioccolata”, metà del XVIII secolo, Parigi, coll. privata, Courtesy Cabinet Turquin; Manifattura veneziana, “Coppia di commode per corredo da sposa”, metà del XVIII secolo, legno intagliano e laccato, Torino, Museo Accorsi-Ometto; Francesco Guardi (Venezia, 1712 – 1793) e bottega, “Le Fondamenta Nuove di Venezia con la Laguna e l’isola di San Michele”, circa 1758, Torino, Museo Accorsi-Ometto; Giorgio De Chirico (Volo, Grecia, 1888 – Roma, 1978), “Venezia, Palazzo Ducale”, 1955, olio su cartone applicato su tela, Coll. privata, Courtesy Galleria Bottegantica, Milano.

Al Mao Evicshen ospite del terzo appuntamento del public program di Buddha10 Reloaded

EVICSHEN

Performance nell’ambito della mostra Buddha10 Reloaded

Martedì 22 agosto ore 19

MAO Museo d’Arte Orientale, Torino

 

 

Nome di battaglia della sound artist Victoria Shen, Evicshen crea una musica che si stacca dalle convenzioni musicali armoniche e ritmiche a favore di trame estreme e toni gestuali.

La pratica di Shen si basa sulla fisicità del suono e sulla sua relazione con il corpo umano tramite l’uso di sintetizzatori modulari analogici, dischi in vinile/resina e strumenti elettronici autocostruiti, come le Needle Nails, delle unghie in acrilico con puntine per giradischi incorporate che le consentono di riprodurre fino a 5 tracce di un disco contemporaneamente.

L’approccio DIY di Shen va oltre i soli strumenti, coinvolgendo anche le sue pubblicazioni musicali.

Il suo LP di debutto, Hair Birth, ha una copertina in rame che si trasforma in un altoparlante attraverso il quale è possibile riprodurre il disco. Ogni pezzo non solo supporto musicale riproducibile, ma anche oggetto d’arte unico.

Il calendario completo degli eventi sul sito.

Tariffe: 15 € intero acquistabile presso la biglietteria del Museo dal martedì alla domenica dalle 10 alle 16.

16,50 € intero (con prevendita 1,50 €) su Ticketone.

10 € ridotto studenti, acquistabile solo in biglietteria.

Castellamonte, torna la mostra della ceramica

Da sabato 19 agosto

 

L’Amministrazione Comunale, insieme al curatore Giuseppe Bertero, già responsabile delle precedenti mostre, ha stabilito di dedicare la sessantaduesima edizione della Mostra della Ceramica alla Città di Faenza, a tutti i nostri amici faentini e a quelli dell’intera l’Emilia e Romagna colpiti dalla recente, devastante e tragica alluvione. Un atto dovuto come concreto segno di solidarietà.

La Città di Castellamonte, il Canavese, la Città Metropolitana di Torino e la Regione Piemonte attendono ogni anno, con grande curiosità e interesse questa Mostra della Ceramica, una manifestazione unica nel suo genere, caratterizzata da molteplici ed articolate esposizioni distribuite su tutto il territorio. Esposizioni che spaziano dalle famose stufe in ceramica, passando dalla scultura e dal design per arrivare all’artigianato tradizionale.

Fra le molte iniziative si torna a proporre il progetto “ritorno alla rotonda antonelliana” che nelle passate edizioni ha riscosso un grandissimo successo durante tutto il periodo dell’esposizione ma anche ben oltre il termine della mostra. In questo spazio suggestivo è prevista l’esposizione di grandi e medie opere realizzate dagli artisti di Castellamonte, Faenza, della “Baia della Ceramica” (Savona, Albissola Marina, Albisola Superiore e Celle Ligure), Lucca, Roma, Montelupo Fiorentino e dalla Francia. Un’occasione prestigiosa per gettare uno “sguardo” aggiornato sulla contemporaneità della scultura in ceramica.

Fra le arcate del Palazzo Antonelli, sede del Comune, saranno esposte le famose stufe di Castellamonte sia quelle della tradizione che quelle contemporanee di squisita fattura e sempre più famose nel mondo, che si confermano uno dei simboli della Città.

Al piano terra del prestigioso Palazzo Botton, recentemente restaurato, la mostra si apre con una particolare dedica a “Castellamonte: terra, arte, vita”. Per l’arte un particolare omaggio è rivolto ad un artista molto noto ed ammirato, Angelo Pusterla, le cui opere riprendono il tema della terracotta nel suo naturale colore appena ravvivato da patinature trasparenti.

Su questo stesso piano è allestita la mostra delle opere selezionate per il concorso internazionale “ceramics in love 2023”. Il concorso, che giunge quest’anno alla sua quinta edizione, raccoglie un insieme di opere di grandissimo interesse estetico, 130 il numero delle opere provenienti dall’Italia e da ben 22 diverse nazioni del mondo.

Fin dalle sue origini il concorso si è posto l’obiettivo di accogliere e consentire ad un nutrito numero di artisti italiani e stranieri di poter mostrare la loro creatività sulla ribalta del prestigioso palcoscenico della Mostra di Castellamonte.

Al piano nobile del Palazzo Botton, è allestita la mostra dell’artista faentino Mirco Denicolò con le sue particolarissime “ceramiche” frutto del suo soggiorno a Castellamonte. Le opere sono commentate da 16 disegni. Nella medesima sala anche le opere degli studenti del Liceo Artistico Statale “Felice “Faccio” realizzate durante uno stage condotto dallo stesso Mirco Denicolò insieme ai docenti della sezione design della ceramica nell’anno scolastico 2019/2020.

Sul medesimo piano si trova la mostra omaggio al Marocco, alla sua splendida e sfavillante ceramica. Un omaggio caldeggiato dall’Amministrazione della Città, con il patrocinio dell’Ambasciata del Marocco a Roma dal suo Ambasciatore S.E. Youssef BALLA. Un omaggio rivolto alla numerosa comunità marocchina presente sul territorio castellamontese e canavesano.

Ancora al piano nobile:

Nell’ambito della collaborazione nata fra le Tre terre Canavesane e la città di Matera, l’installazione di Damiana Spoto e Raffaele Pentasuglia  “Attraversamento meridiano”.

Un’opera dal carattere fortemente identitario della Basilicata, pensata per evocare il concetto di ponte. Una terra attraversata ogni anno da grandi carovane di mucche podoliche che collegano territori molto diversicome i calanchi o l’altopiano della Murgia che richiamano paesaggi nordafricani. Le stampe dei tessuti racconteranno di questo territorio e dei suoi cambiamenti insieme ai bovini grandi e bianchi che lo attraversano. Sculture in terraglia terracotta patinata e teli in fibra di latte stampati.

La scuola di Castellamonte dall’infanzia al liceo artistico sarà presente con i lavori in ceramica realizzati dai bambini e dagli studenti delle diverse classi con la terra rossa che tanto identifica il nostro territorio.

Al secondo piano del Centro Congressi Piero Martinetti, sarà ospitata la Collezione permanente delle “ceramiche sonore”, ovvero i fischietti in terracotta provenienti da tutte le parti del mondo raccolti dal grande ceramista Mario Giani noto a tutti come CLIZIA e da lui donati alla città. Nella medesima Collezione sono esposti altresì i fischietti del primo concorso “Ceramiche Sonore”2022.

Nella stessa sede espositiva faranno bella mostra i fischietti in terracotta del recente concorso “Ceramiche sonore” 2023, con opere provenienti da tutta Italia e anche dalla Polonia, 50 gli artisti con ottanta opere.

Al primo piano è esposto l’ampio e articolato progetto di restyling della rotonda antonelliana realizzato dagli studenti della Facoltà di architettura di Torino, già allievi del Liceo Artistico Statale “Renato Cottini”. Un progetto volto al futuro per una maggior fruibilità dello spazio visto soprattutto come luogo d’incontro, ma anche per sostare all’ombra degli alberi e ammirare opere d’arte.

Al piano terra del Centro Congressi Martinetti, come buona consuetudine, il CNA propone le sue ceramiche da “indossare”.

Per questa 62aEdizione della Mostra il manifesto è stato creato da Guglielmo Marthyn con immagini molto colorate e fluttuanti nello spazio.

Anche per l’edizione di quest’anno sono confermati i punti espositivi privati che da sempre accompagnano il percorso ufficiale della mostra.

La storica Fornace Pagliero 1814 vede tra le sue mura la presenza della mostra Kéramos della Galleria Gulli di Savona, una personale dell’artista Nino Ventura e un’esposizione delle opere dell’Associazione Artisti della Ceramica in Castellamonte.

Al Cantiere delle Arti si potranno ammirare le ceramiche artistiche di Sandra Baruzzi, Guglielmo Marthyne Davide Quagliolo, raccolte nelle collezioni “Sussurro della Terra” e “Sinfonie”.

La Casa della Musica ospita invece una personale di Brenno Pesci, dal titolo “Musicanti”.

Saranno ovviamente aperte e visitabili le aziende e le botteghe dei ceramisti castellamontesi, quali la ditta “La Castellamonte” di Roberto Perino, le “Ceramiche Castellamonte” di Elisa Giampietro, le “Ceramiche Camerlo”, di Corrado Camerlo e le “Ceramiche Grandinetti”, di Maurizio Grandinetti, luoghi dove si potranno approfondire le tecniche di realizzazione dei manufatti in ceramica e acquistare oggetti e opere dalle più svariate fattezze.

LA 62MOSTRA DELLA CERAMICA DI CASTELLAMONTE SARÀ INAUGURATA SABATO 19 AGOSTO ALLE ORE 17 IN PIAZZA MARTIRI DELLA LIBERTÀ.

Orari della mostra dal martedì al venerdì ore 16, 00 – 20,00; sabato e domenica dalle ore 10,00 alle 20,00. Ingresso libero.

MANIFESTAZIONI COLLATERALI ALLA MOSTRA 2023

Come per la precedente edizione, nei giorni prefestivi e festivi, è prevista una navetta per un sopralluogo ai suggestivi “castelletti”, da dove si ricava la famosa argilla rossa di Castellamonte.

Ad arricchire la rassegna ceramica vi saranno molteplici iniziative di intrattenimento, che l’Amministrazione e le associazioni locali offriranno ai visitatori e ai loro concittadini per far vivere al meglio l’evento mostra e per valorizzare tutto il territorio.

L’arte come una “Jam Session”

Al “Flashback Habitat” di Torino le arti visive dialogano con la musica in un armonico intreccio di voci

Fino al 1° ottobre

Variazioni improvvisate ma perfettamente gestite. Libere nel gioco virtuoso delle note e nell’assoluta arbitrarietà di segno e colore. Una vera e propria Jam Session, totalmente dedicata alla creatività e alla “ricerca metropolitana”. Di qui il titolo, “Torino Jam Session. Energiche e liberatorie ibridazioni nell’arte”, dato alla mostra con cui prende avvio l’estate 2023 di “Flashback Habitat. Ecosistema per le Culture Contemporanee”, il nuovo hub culturale aperto nel novembre scorso in corso Giovanni Lanza a Torino, in occasione di “Flashback Art Fair”, la Fiera diretta da Ginevra Pucci e Stefania Poddighe. Nata da una bizzarra ma brillante idea di Alessandro Bulgini, artista e direttore artistico di “Flashbak Habitat”, la rassegna, in agenda fino a domenica 1° ottobre, si pone ai visitatori come una sorta di “display espositivo” in cui far confluire il più variegato gioco di nuove, e perfino improbabili, sperimentazioni attraverso la musica e le arti visive. Le cifre: 70 opere, per 15 differenti Jam Session, “risuonanti” in 15 sale, che allo stesso tempo sono “luogo di partenza e luogo di arrivo della composizione”. Come nasce l’idea della mostra ce lo spiega lo stesso Bulgini: “Nel 1989 avevo un ‘blues bar’ a Livorno, ‘Vernice Fresca’, un luogo dove arti visive e musica si mescolavano. In una di quelle sere vennero a mangiare da noi due importanti musicisti afroamericani della grande ‘jazz band’ di Lionel Hampton che si trovava in città per due spettacoli. Mentre mangiavano pensai di provocarli chiedendo al mio amico Richard di suonare al piano uno ‘standard’ per vedere le loro reazioni. La reazione non tardò ad arrivare, entrambi lasciarono le forchette e imbracciarono tromba e sax. A fine serata ubriachi di ‘Vecchia Romagna’, ringraziando Dio per quanto avvenuto, chiesero di poter tornare il giorno dopo e così fu, e con loro gli altri trenta componenti della band più altrettanti musicisti livornesi. Ne nacque una serata indimenticabile nonostante fosse improvvisata”.

Da ripetere, in versione “Flashback Habitat”. Ed eccoci all’oggi, al secondo piano dell’hub di corso Giovanni Lanza , con “terzetti” e “quartetti” di opere di artisti visivi combinati in intriganti atmosfere scandite dal ritmo della batteria di Donato Stolfi. In un suggestivo percorso “misto”, che ci porta dai “Dervisci” di Aldo Mondino alle tele dal “forte ritmo musicale” di Giorgio Griffa. Dai plurimaterici lavori di Marco Gastini ai paesaggi alieni di Pierluigi Pusole e alle fotografie di Monica Carocci, per non dimenticare i “taciti ritratti” della tedesca, torinese d’adozione, Elke Warth e gli scatti “etici” di Turi Rapisarda, ideatore nell’‘80 del torinese “Gruppo Fotografia Psicogeografica”. E via ancora con le creative composizioni di Bartolomeo Migliore,Victor Kastelic (origini americane da Salt Lake City), Luigi Gariglio, Enzo Obiso con il suo “Fish Eye”, Pierluigi Meneghello, Alessandro Rivoir e Bruno Zanichelli. Per finire nello spazio esterno della struttura. Dove, nell’ambito del progetto “Vivarium” (parco artistico in divenire), troviamo una nuova opera a firma di Fabio Cascardi, una surreale installazione in acciaio e vernice antirombo dal titolo “Sedie nello spazio”: nulla di strano per l’artista torinese, la cui costante è proprio il riutilizzo e la conversione di oggetti e di materiali di recupero.

In questo caso sedie riattate e prolungate in altezza in un “gioco” d’arte in cui immaginazione e creatività fanno sentire alla grande i loro diktat. Il tutto, mentre fuori dagli spazi di “Flashback Habitat”, nella Barriera di Milano in piazza Bottesini, mercoledì 21 giugno scorso, s’è avviata la nona edizione (creatura sempre di Alessandro Bulgini) di “Opera viva, il Manifesto”, che quest’anno porterà il titolo originale di “Opera viva, Luigi l’addetto alle affissioni”, con manifesti che si ritroveranno (per sbaglio di Luigi?) tutti capovolti, testa all’ingiù. Primo appuntamento con Sergio Cascavilla e il suo “L’arte povera E’ INGombraNTE OBsoleTA”.

Gianni Milani

“Torino Jam Session. Energiche e liberatorie ibridazioni nell’arte”

“Flashback Habitat. Ecosistema per le Culture Contemporanee”,corso Giovanni Lanza 75, Torino; tel. 393/6455301 o www.flashback.to.it

Fino al 1° ottobre

Orari estivi: ven. sab. e dom. 11/20

Nelle foto:

–       Aldo Mondino: “Dervisci”, olio su linoleum, 1999

–       Fabio Cascardi: “Sedie nello spazio”, acciaio e vernice antirombo, 1995

–       Sergio Cascavilla: “L’arte povera E’ INGombraNTE OBsoleTA”

Un anno di eventi raccontati attraverso gli scatti dei fotografi dell’“Agenzia Ansa”

“PHOTOANSA 2022” Dal 1° luglio al 22 ottobre

In mostra al valdostano “Forte di Bard”

Bard (Aosta)

Ecco tutto il 2022, raccontato nei suoi momenti di “storica” rilevanza in Italia e nel mondo, attraverso le immagini realizzate dai fotografi dell’“Ansa”, prima Agenzia multimediale in Italia e tra le prime a livello internazionale. Scatti di grande resa visiva nonché di formidabile “confezione” tecnica contenuti nell’edizione 2022 (la XVIII) del volume fotografico “PHOTOANSA” e che, in base ad un accordo fra la stessa “Ansa” ed il “Forte di Bard”, possiamo ammirare, all’interno dell’ “Opera Mortai” della Fortezza, da sabato 1° luglio a domenica 22 ottobre.

Tema di primissimo piano, ovviamente (e purtroppo), il sanguinoso conflitto in Ucraina che continua a tenere l’Europa e il mondo con il fiato sospeso, con il racconto della distruzione e della morte portata dall’aggressione russa. Scatti che raccontano anche la fuga dei profughi, mentre dall’altra parte del confine, ma anche nella stessa capitale ucraina, la vita va avanti comunque. A seguire, altre immagini che cristallizzeranno, in modo indelebile, un anno che, per quanto concerne il nostro Paese, ha visto la nascita del governo di centro – destra guidato da Giorgia Meloni,  primo “esecutivo” guidato da una donna nella storia d’Italia. E poi le immagini del lungo addio della Regina Elisabetta II ai suoi sudditi dopo aver festeggiato il 2 giugno i suoi 70 anni di regno e, con lo sfarzo frenato dell’antico cerimoniale, la salita al trono di suo figlio primogenito, con il nome di Carlo III.

Cento le immagini complessivamente esposte. Accanto ai temi legati alla Politica e al Sociale, non mancano pur anche narrazioni di quanto il 2022 ci lascerà nei campi della Cultura e della Musica, così come nello Sport e nella Scienza.

Ecco allora il ritorno sul palco di tanti artisti dopo i due anni di pandemia, con l’esplosione del fenomeno dei “Maneskin” e le emozioni e le lacrime per i concerti di Vasco RossiJovanottiLigabueGianna NanniniCesare Cremonini e per la vittoria della “Kalush Orchestra” – gruppo musicale ucraino formatosi nel 2019 -all’“Eurovision Song Contest”. E, accanto alla Musica, il riesplodere della grande Cultura, con la riapertura al pubblico dei  Musei e delle Gallerie che tornano a proporre e ad esporre opere di inestimabile valore. E poi lo Sport. Con il delirio dei giocatori e dei tifosi rossoneri per lo scudetto al Milan, il diciannovesimo della sua storia, e la gioia per i trionfi degli atleti azzurri agli “Europei di nuoto”, ai “Mondiali di ginnastica” e alla “Coppa del mondo” di pallavolo.

Uno spazio, in mostra, è anche dedicato al tema della “grande sete”, la siccità che per mesi ha piegato tante regioni italiane, in particolare nel Centro Nord del Paese.

Per finire, di grande interesse, il “tema dell’innovazione” con le immagini straordinarie del telescopio spaziale “James Webb” a raggi infrarossi (successore del telescopio “Hubble”), il principale osservatorio scientifico nello spazio, orbitante intorno al Sole ad una distanza di 1,5 milioni di chilometri dalla Terra, cui si deve l’individuazione di quello che, ad oggi, risulta essere il “buco nero” più antico mai osservato dall’uomo: uno strumento all’avanguardia, risultato della collaborazione tra le eccellenze mondiali dell’ingegneria e della tecnologia, tra l’“Agenzia Spaziale Statunitense (NASA)”, l’“Agenzia Spaziale Europea (ESA”) e l’“Agenzia Spaziale Canadese (CSA)”.

Gianni Milani

“PHOTOANSA 2022”

Forte di Bard, via Vittorio Emanuele II, Bard (Ao); tel. 0125/833811 o www.fortedibard.it

Dal 1° luglio al 22 ottobre

Orari: feriali 10/18; sab. dom. e festivi 10/19

Nelle foto:

–       Sergey Dolzhenko/EPA/ANSA: “15 settembre, Kiev, Ucraina. L’incontro fra la presidente della ‘Commissione Europea’ Ursula von der Leyen e il presidente ucraino Zelensky”

–       Ettore Ferrari/ANSA: “23 ottobre, Roma, Italia. Giorgia Meloni al termine della cerimonia della campanella a Palazzo Chigi”

–       Rebecca Brown/EPA/ANSA: “19 settembre, Londra, Regno Unito. Il corteo funebre accompagna la regina Elisabetta dopo la cerimonia all’Abbazia di Westminster”

Elsa Martinetti. Peintre

(Verres, 11.12.1921 – Torino, 18.08.2018)

Amava la montagna e, quando, costretta a lasciare Saint Vincent,dove i piromani appiccavano il fuoco sempre più vicino a casasua, si trasferì a Torino, in un palazzo di quella Porta Palazzo che la penna di Gozzano ebbe a definire la gran cuoca della città continuò contenta di avere conservato intorno a sé l’arco alpinoperché non aveva perso quel riferimento importante per lei.

L’avevo incontrata, forse nei primi anni Novanta, a una cena, a casa della sorella che abitava nel suo stesso palazzo, al piano superiore al suo … e, subito, con simpatia e cordialità, si presentòin tutta l’ampiezza dei suoi interessi e la profondità delle sue vedute, con parole semplici che fluivano in una conversazione piacevole che sapeva guidare, perché, pur aprendola acaleidoscopio su mille argomenti, la indirizzare abilmente ora suuno, ora sull’altro.


Elsa
Martinetti aveva radici piemontesi, infatti suo padre,muratore quindi impresario, era Luigi Giovanni, figlio di Giacomotroviamo un suo omonimo tra le maestranze occupate al castello di Agliè a metà Ottocento e orfano di Angela Borghi che, pur senato a Caltignaga in provincia di Novara il 12 dicembre 1894, si diceva imparentato con il filosofo canavesano Piero Martinetti, mentre la madre Cristina (Catarina) Peracca, canavesana la era, in quanto nata a Nomaglio il 24 luglio 1895. Orfana del padre,(Gioanni Battista) Ferdinando, quella giovane aveva lasciato la madre, Gioanna Maria Allamanno, per passare a vivere a Borgofranco di Ivrea, dove avrebbe incontrato l’uomo da lei poi sposato a Nomaglio, il 25 febbraio 1920, quando riconobbero loroTeresina, la figlia nata fin dal 25 aprile 1915.

In seguito si trasferirono a Verres, ed Elsa fu la prima dei figli venuti alla luce in Vallée.

Quei natali montanari furono sempre motivo d’orgoglio per leiche si sentiva un frutto genuino di quella Terra e che, essendouna persona semplice, di quelle che non rinnegherebbero mai le loro origini, le riconosceva fondamentali per essere state le costanti, a monte di ogni suo interesse e di ogni sua indagine.Autodidatta dichiarata, Elsa Martinetti era profonda nel pensiero. Dalle prime indagini, alle ultime conclusioni, infatti vaste e obiettive erano le une e felici le altre, che, con naturale savoirfaire, sapeva esporre con chiarezza, suscitando in tutti immediata simpatia. Discreta per educazione e anche per sensibilità, non era priva di arguzia, e questo la rendeva sempre un’ospite gradita,proprio come la bagna caoda con le noci che aveva cucinato quella sera…

Nel turbinoso guazzabuglio che ha connotato il mio ventennio fin de siècle, tra i tanti intoppi e tutti gli acciacchi che neanche in seguito, non mi hanno lasciato, più ebbi occasione di rivederlaancora una prima volta, non ricordo in che occasione, né quando, né come, e altre volte ancora e subito mi stupiva per lanaturalezza con cui mi chiedeva notizie di cose mie, delle qualinon potevo averle fatto cenno mai. Capii che era così per natura,perché era una sensitiva! Allora decisi che le avrei raccontato io, prima che ritornasse a stupirmi dicendomi ancora lei di cose mie.Molto presto però, cambiavo ancora di atteggiamento e, quando la incontravo o la sentivo, dopo i saluti, spontaneo le domandavo: tu cos’hai da dirmi oggi? certamente non alludevo a questioni frivole ma al quotidiano, alle cose serie e ai tanti problemi che mi assillavano, e, su tutto, lei qualcosa da dirmi aveva sempre

Un forte legante per noi era l’arte, e, pur se nessuno dei due partecipava p a mostre, era naturale che parlassimo di esposizioni, ambienti artistici e artisti, che avevamo incontrato e anche frequentato nei nostri diversi, rispettivi passati. Allora le veniva facile mostrarmi qualche lavoro, non solo suo, o unapubblicazione che dicesse qualcosa della sua arte, o le foto di qualcuno dei suoi, o della casa che aveva lasciato a Saint Vincente che, da sola, aveva costruito e tutti i percorsi evocativi li compiva volentieri, senza risparmiava mai i suoi commenti.

Della casa che aveva fatto in Valle andava molto orgogliosa: mi aveva raccontato come, pezzo per pezzo, avesse acquistato l’intero lotto, sul quale aveva poi costruito, andando alla ricerca dei singoli proprietari che vivevano sparsi per ogni dove in Arpitaniae raccontava tutto, con innata modestia e somma discrezione, mentre accennava al suo vissuto, conscia, prima di tutto, dei limiti che aveva avuto, per essere donna e montagnina, ancorché autodidatta Perché si era fatta tutta da sola, e così, a pezzetti o, come preferiva dire, a bocconi, si era fatta una cultura(che non era così poca e nemmeno piccola), perciò era davvero quello che si può dire una studiosa seria e dedicata, che, nel suo piccolo, aveva affrontato argomenti impegnativi anche molto diversi tra loro. Ma era anche cosciente di essersi spesso trovata tra personaggi presuntuosi, che ‘grandi’ si erano fatti per le loro pose e che, anche se erano riusciti ad imporsi, non erano affattointelligenze migliori ma mediocri. Comunque, lei andava fieradel diploma che attestava la sua appartenenza all’Accademia di Sant’Anselmo, ne parlava sempre con un sorriso, scherzandoci su, con ironia… e poteva farlo perché conosceva davvero le debolezze umane! era psicologa, non solo per natura, ma per aver frequentato alcuni corsi, come quello di grafologia, che aveva interrotto ai primi livelli, perché si teneva a Torino, mentre lei abitava ancora in Valle ...

 

Aveva interessi molto diversi tra loro: dall’arte alla letteratura,dall’ipnosi alla radioestesia, dalla simbologia alla linguistica, dal folclore alla storia, dalla magia alla religione, dai colori alle forme. Tutto la interessava e, soprattutto, tutto quello che era espressione di pensiero e di cultura l’appassionava. Non si arrestava mai, neppure davanti agli sforzi più notevoli. Lei, che, guidata da intuito e sensibilità, era una lettrice onnivora e vorace,bene informata su ogni cosa, perché, se suo padre non mancava mai di leggere ogni giorno il suo giornale, lei era abituata a vederne sempre più di uno e a mettere da parte almeno le pagine che le sembravano più importanti. Le piaceva tanto la cartastampata dei quotidiani che ne ammucchiava dappertutto per la casa… ma era così, e spesso mi confessò di essere andata a rivedere fogli vecchi, anche di anni, e di avervi ritrovatoargomenti importanti, ancora attuali

Da sola aveva imparato il francese, quando, giovanissima, aveva cercato lavoro in Confederazione, poi, al ritorno in Valle, aveva voluto appropriarsi anche del patois, e aveva approfondito i temi relativi all’autonomia, e aveva conosciuto personalmente non solo gli esponenti del movimento valdostano, ma i documenti, come la Carta di Chivasso, che hanno segnato la sua epoca.

Amante sincera della libertà, era sensibile alle tradizioni e, ad Aosta, dove si era trasferita, aveva finito per conoscere anche tantiartigiani presenti alla Fiera di Sant’Orso e, visitandoli nelle loro abitazioni, sparse per i monti, aveva apprezzato le loro creazioniche riteneva autentiche opere d’arte, ed era diventata una appassionata collezionista di quei lavori.

Grazie alla sua naturale intraprendenza, partecipava, addirittura, ai rallies e finì persino per compiere un giro di pista con la sua utilitaria all’autodromo di Monza: nulla poteva scoraggiarla o impedirle di fare quanto si prefiggeva: era una lottatrice, una donna di razza! Ebbe pure occasione di viaggiare, e fu in America,e anche nel Giappone, e si avvicinò all’inglese, che avrebbe continuato a studiare per tutta la vita. In realtà era affascinata da tutte le lingue e a tutte le lingue si accostava, sempre con passione ed entusiasmo. In questo modo aveva ampliato gli orizzonti del suo sapere e, siccome sentiva forte la necessità di partecipare agli altri le sue emozioni, cercava di coinvolgerli dicendo ora una parola in una lingua, ora in un’altra, poi invitava chi le era più vicino a fare lo stesso e, così facendo, riusciva a contagiare, se non tutti, tanti!

Provate voi, a lasciare insoddisfatte richieste come quelle sue

Capìto quali argomenti storici io andassi studiando e da quantotempo, e temendo che non avrei mai reso pubblici gli esiti di nessuna mia ricerca, fece di tutto perché scrivessi e pubblicassi la biografia di Carlo Antonio Napione e, poi, perché continuassi a scrivere altri libri. Sapeva come chiedere perché le sue richieste avessero seguito: insisteva come fanno i bambini, e lo faceva addirittura perché scrivessi apposta per lei anche dei versi….

Vale la pena qui ricordare come richiamasse la mia attenzione suitemi gozzaniani... siccome, come ho riferito, amava suggerirmi qualche lettura, era arrivata a prepararmi le fotocopie degli articoli o dei volumi che voleva proprio che leggessi. Fu così che mi fece trovare l’epistolario di Guido Gozzano con Amalia Guglielminettie, nel darmelo, disse convinta: vedrai quanto ti sarà utile, più avanti (Per chiudere, almeno per ora, l’argomento disoltanto che fu, quasi sempre per sua sollecitazione, se negli ultimi vent’anni ho dedicato a temi gozzaniani tanta attenzione, non solo ma va pure ricordato che, quando, preso dallo sconforto perché mi sembrava di poter riuscire ad affrontare un impegno così grande,per tre volte almeno, quando interruppi i miei studi, fu lei ainsistere perché assolutamente dovevo concluderli…) Questo soloper accennare a miei lavori di saggistica, ma Elsa Martinetti ebbe il merito di farmi scrivere quasi tutti i volumi che ho pubblicatonegli ultimi vent’anni. Mi persuadeva perché sapeva davvero essere convincente ….

Qui rileverò una sola coincidenza, per me esemplare, che riguarda lei… La sua cerimonia funebre avvenne a Torino, nella chiesa diSan Gioacchino (che era la sua parrocchia) e poiché non penso che si sappia io ricorderò che, con lo stesso nome dell’avo di Cristo, lei aveva uno zio, (Gioanni) Gioacchino Peracca (fratello maggiore di sua madre, nato a Nomaglio il 5 settembre 1885 e là, il 27 gennaio 1910, unito in matrimonio a Serafina Guglielmetti), perché, da me interrogata, mi aveva detto che quell’uomo, che doveva essere un maestro elementare, era anche lui un sensitivo, efu proprio grazie a lui, nella semplicità del vivere quotidiano inmontagna, i nipoti si erano abituati ai prodigi!

Lascerò che altri approfondiscano la sua biografia, e terminerò soffermandomi su quattro che oltre ad essere emblematici della sua produzione, sono innegabili e autentiche espressioni artistiche. Sembra quasi impossibile credere che Italo Mus fosse l’unico suo maestro! I suoi lavori, per essenzialità e sintesi, si impongono come frutto della sua ricerca e, nello specifico i soggetti ritratti – un fiore (reale e nel suo concetto metafisico) e un volto umano (abbozzato secondo gli stilemi della maschera antropica primitiva, e nella percezione ectoplasmatica) – hanno un contenutofortemente spirituale perciò si può dire che il processo creativo della sua pittura è la sintesi del suo pensiero e l’espressione della sua cultura. Questo potessere verificato anche per le altre sue opere, nelle quali tutte si evidenzia l’importanza che, nel processo creativo, ebbe per lei il parco, e tutt’altro che banale, uso del colore. Un colore talora ridotto a traccia, cangiante, come quelladi una chiocciola, e forse anche troppo allusiva, ma che riveladavvero grande sensibilità, affidandola appena a reminiscenze cromatiche. Questo si percepisce dal vago insistere sui toni rossi everdi, che sono resi pallidi, prima che, quasi per incanto, la superficie esploda, in un gioco di cromismi – cromosomi? – consegnando la sua tela all’informale – infernale? e lasciando al bruno o al grigio ogni reminiscenza coloristica

En haut, dunque, cara Elsa, e, dall’alto continua ad approfondire il rapporto tra effimero e Eterno, tu che, sulle tracce del divino,memore sempre della pochezza umana, eri costantemente alla ricerca del bello: motiva ancora i passi di chi risale la valle, quasia ricercare, in un processo storicamente inverso, l’eterno senso delpassato. Aiuta ancora, indicando un migliore cammino, l’umanaprogenie di queste Valli et merci bien encore!

Carlo A. M. Burdet

Un’estate di grande fotografia. Porte sempre aperte a “CAMERA” con la retrospettiva su Dorothea Lange

Narratrice della “Grande Depressione”, e gli scatti di “FUTURES 2023”

Fino all’8 ottobre

In parete, fra le oltre 200 immagini esposte fino a domenica 8 ottobre, è ben presente anche una delle massime icone fotografiche del secolo scorso, la toccante che di più non si può “Migrant Mother” datata 1936, autentico pilastro della ritrattistica documentaria del Novecento. A firmarla, la grande Dorothea Lange, cui– dopo l’esposizione su Eve Arnold, oltre 27mila visitatori – “CAMERA-Centro Italiano per la Fotografia” dedica la sua “estate – fotografica”, sempre sotto il segno delle più celebri fotografe del XX secolo. In contemporanea, in “Project Room”, il “Centro” di via delle Rosine a Torino presenta un’altrettanto interessante collettiva dedicata a sei giovani talenti del Progetto “FUTURES Photography”, titolata “FUTURES 2023: nuove narrative”. Curata dal direttore di “CAMERA”, Walter Guadagnini, e da Monica Poggi, la mostra “Dorothea Lange. Racconti di vita e di lavoro” presenta la carriera della Lange (Hoboken, New Jersey, 1895 – San Francisco, 1965) in particolare negli anni Trenta e Quaranta, apice assoluto della sua attività e decennio nel quale la fotoreporter (“per scelta un’osservatrice sociale e per istinto un’artista” com’ebbe acutamente a definirla John Szarkowski, fotografo e direttore emerito del Dipartimento di Fotografia del “Museum of Modern Art” di New York) seppe documentare con ruvida ma poetica umanità gli eventi epocali che drasticamente modificarono l’assetto economico e sociale degli States.  Fra il 1931 e il 1939, il Sud degli Stati Uniti fu infatti colpito da una grave siccità e da continue tempeste di sabbia, che misero in ginocchio l’agricoltura dell’area, costringendo migliaia di persone a migrare.

E proprio in quei terribili anni Dorothea Lange fu chiamata a far parte del gruppo di fotografi chiamati dalla “Farm Security Administration” (agenzia governativa incaricata di promuovere le politiche del “New Deal”) a documentare la storica “Grande Depressione” e l’esodo dei lavoratori agricoli in cerca di un’occupazione nelle grandi piantagioni della “Central Valley”. La Lange realizzò, in quei terribili frangenti, migliaia di scatti, raccogliendo storie e racconti, riportati poi nelle dettagliate didascalie a completamento delle immagini. E proprio in questo contesto, realizzò il ritratto, passato alla storia, della giovane madre disperata e stremata dalla povertà (“Migrant Mother”), che vive insieme ai sette figli in un accampamento di tende e auto dismesse. Scatti di realtà remote, eppur così vicine.

Crisi climatica, migrazioni, discriminazioni, povertà e disperanti umiliazioni: nonostante ci separino diversi decenni dalle immagini cristallizzate da Dorothea Lange, i temi da lei trattati ritornano oggi di assoluta attualità e forniscono spunti di riflessione e occasioni di dibattito sul presente, oltre a evidenziare una tappa imprescindibile della storia della fotografia del Novecento. “La mostra – sottolineano i curatori – offre quindi ai torinesi e ai turisti un’occasione imperdibile per conoscere meglio l’autrice di una delle immagini simbolo della maternità e della dignità del XX secolo e interrogarsi sul presente”.

Sempre fino all’8 ottobre e in parallelo alla retrospettiva dedicata a Dorothea Lange, “CAMERA” propone anche la collettiva “FUTURES 2023: nuove narrative”, a cura di Giangavino Pazzola, coordinatore dei suoi progetti di ricerca. Oltre 40 gli scatti esposti, incentrati sul tema della “rappresentazione visiva” della contemporaneità e realizzati da sei giovani talenti fotografici, selezionati per il programma europeo di promozione e valorizzazione degli artisti emergenti “FUTURES Photography”, cofinanziato dal “Programma Europa Creativa” dell’UE.

I loro nomi: Andrea Camiolo (Leonforte, 1998), Nicola Di Giorgio (Palermo, 1994), Zoe Natale Mannella (Londra, 1997), Eleonora Roaro (Varese, 1989), Sara Scanderebech (Nardò, 1985), Alex Zoboli (Guastalla, 1990). “Attingendo a diverse pratiche di creazione fotografica, da quelle di riutilizzo di immagini e materiali di archivio fino a quelle che prevedono l’impiego di software e nuove tecnologie – spiega Giangavino Pazzola – i progetti presentati indagano non solo usi e costumi della società odierna, ma anche le nuove tendenze che attraversano il panorama della fotografia contemporanea”.

Gianni Milani

“Dorothea Lange. Racconti di vita e di lavoro” e “FUTURES 2023”

“CAMERA-Centro Italiano per la Fotografia”, via delle Rosine 18, Torino; tel. 011/0881151 o www.camera@camera.to

Fino all’8 ottobre

Orari: lun. merc. ven. sab. dom 11/19; giov. 11/21; mart. chiuso

 

–       Dorothea Lange: “Migrant Mother”, Nipomo, California, 1936

–       Dorothea Lange:”Toward Los Angeles”, California, 1937

–       Dorothea Lange: “Nisei girl with baggage”, Oakland, California, 1942

–       Nicola Di Giorgio: “Borgo Nuovo 1957-1983, diciottesimo quartiere di Palermo”, 2022

–       Zoe Natale Mannella: dalla serie “Taxidi”, 2018

 

Dai bruciaprofumi ai candelieri ai vassoi, in mostra al “MAO” l’arte islamica medievale

“Metalli sovrani”

 

Fino al 17 settembre

Dopo la suggestiva rassegna “Lustro e lusso dalla Spagna islamica”, il “MAO-Museo d’Arte Orientale” di Torino continua il suo viaggio di avvicinamento alla grande mostra del prossimo autunno, incentrata sull’arte dei “Paesi tra Estremo Oriente e Centro Asia fino alle sponde del Mediterraneo”, con la presentazione, all’interno della “galleria islamica” e fino a domenica 17 settembre, di un progetto espositivo dedicato ai più raffinati oggetti di arte islamica medievale in metallo. Dal titolo “Metalli sovrani. La festa, la caccia e il firmamento nell’Islam medievale”, la mostra – curata da Veronica Prestini – rappresenta la prima collaborazione fra il “Museo” di via San Domenico e la britannica “The Aron Collection”. Bruciaprofumi, bottiglie porta profumo, portapenne, candelieri, vassoi, bacili e coppe: in esposizione troviamo una mirata selezione di quella “metallistica” datata XII – XV secolo che, insieme alla “miniatura”, può essere considerata fra le più alte espressioni della creatività artistica islamica e che dalla Persia raggiungeva a Oriente l’India e la Cina, arrivando in Occidente fino alle pendici dell’Atlante e alla stessa Europa, dimostrando quanto le percezioni estetiche viaggino sempre per conto loro, assolutamente incuranti di frontiere politiche e religiose. Fra i soggetti preferiti, in fase di decorazione, al primo posto é sicuramente quello della “caccia”, in particolare l’iconografia del re a cavallo affiancato da alcuni animali (falconi e ghepardi, soprattutto) e da una schiava (artista scienziata o musicante); non meno “gettonati” i temi dell’“astronomia” e dell’“astrologia” che rivestivano un ruolo centrale nella vita dei sovrani, influenzandone le scelte politiche, militari e perfino amorose. Altri soggetti, realizzati non di rado dagli artigiani del tempo, erano le “scene di festa e banchetto”, legate al genere letterario Bazm-o-Razm, ovvero “banchetto e battaglia” ad indicare come le piacevolezze della pace non potessero mai disgiungersi dal ciclico ardore dei combattimenti. E’ dunque un repertorio artistico “straordinario e metafisico”, quello che possiamo leggere in mostra, associato ad uno stupefacente “rigore calligrafico” applicato in prevalenza negli oggetti destinati all’illuminazione, quali candelieri e lampade, fondamentali nella vita quotidiana, ma anche nella più sfarzosa dimensione spirituale e sacra.Fra gli oggetti più raffinati in esposizione troviamo un “Portapenne incrostato in argento” (Mosul, Iraq, fine XIII secolo), che reca una raffigurazione del sole circondato dai pianeti (motivo iconografico tipico degli oggetti destinati a governanti e ad altri membri dell’élite nonché emblema dell’iconografia astrologica nell’Islam medievale) e un grande “bacile in ottone inciso e ageminato in argento” (Fars, Iran meridionale, XIV secolo) dalla decorazione altamente simbolica, con scene di caccia che ricorrono su tutta la superficie dell’oggetto, espressione di una prerogativa reale che, rimandando alle eccezionali qualità di combattente del sovrano, ne legittimavano il potere.

Piacevolissima sorpresa (ma neppure tanto, essendo pratica ricorrente per le mostre del “MAO”), la volontà di intrecciare arte antica e contemporanea, con l’esposizione dell’opera “Monochrome bleu” (1959) del francese, precursore della Body art, Yves Klein(1928-1962). E mai intreccio, come in questo caso, fu più centrato e illuminante. L’opera esposta di Klein (uno degli oltre mille dipinti monocromi da lui realizzati a partire dal ’56) appartiene al periodo del “solo blu”, tinta che “doveva unificare il cielo e la terra e dissolvere il piano dell’orizzonte”, quel blu oltremare “saturo e luminoso” (da Klein addirittura brevettato col nome di “International Klein Blue” che però non venne mai prodotto) che, in qualche modo rappresenta il compiersi di una ricerca che ha origini antichissime.  Il blu oltremare, il cosiddetto “blu di Persia”, domina infatti nelle pregiatissime miniature islamiche medievali ed è spesso sapientemente accompagnato dall’uso della “foglia oro”. In quest’ottica “Monochrome Bleu” permetterà di “apprezzare l’evoluzione della sapienza tecnica, artigianale e artistica, in continua tensione espressiva, divenuta un modello filosofico nell’interpretazione di Klein, e poter godere appieno della profondità dirompente del suo colore”.

Gianni Milani

“Metalli sovrani. La festa, la caccia e il firmamento nell’Islam medievale”

MAO-Museo d’Arte Orientale”, via San Domenico 11, Torino; tel. 011/4436932 o www.maotorino.it

Fino al 17 settembre

Orari: da mart. a dom. 10/18. Lunedì chiuso

Nelle foto:

–       Particolare dell’allestimento, Ph. Perottino

–       “Portapenne (qalamdam)”, Iraq (Mosul), XIII sec, Lamina di ottone, battuta, incisa ed incrostata d’argento e oro, Ph. Valerio Ricciardi

–       Yves Klein: “Monochrome bleu”, 1959, Pittura su carta, Collezione privata, Torino, Ph. Paolo Mussat Sartor

La mostra multimediale: un viaggio nel mondo di Van Gogh

VAN GOGH EXPERIENCE, la mostra multimediale che abbraccia il visitatore in una nuova esperienza multisensoriale, ha registrato dalla sua apertura il 18 marzo scorso oltre 35.000 ingressi. Un successo tale da convincere gli organizzatori a posticipare la chiusura dell’esposizione, che sarà quindi visitabile fino a domenica 10 settembre.

Il viaggio nel mondo di Van Gogh sta entusiasmando il pubblico, proveniente da Italia ed estero (soprattutto Francia e Spagna) per la sua moderna forma d’espressione tecnologica e per la sorprendente originalità, capace di attirare e coinvolgere un target d’età eterogeneo.

Il percorso inizia con la conoscenza della vita dell’artista, con la sua timeline, per far conoscere i fatti più salienti che hanno condizionato la sua vita e la sua pittura.

A seguire l’immersione nei suoi pensieri geniali e folli: in un’area di oltre duecento metri quadri ogni superficie prende vita e diventa arte, avvolgendo a 360 gradi il visitatore in un viaggio a tinte scure, ricco di pathos e drammaticità, a far comprendere il tormento interiore di Van Gogh, il senso dei suoi pensieri e i suoi stati d’animo.

Il video, della durata di venti minuti circa, viene proposto in loop ed è possibile visionarlo più volte, da diversi punti di vista: in piedi o comodamente seduti sui pouf disseminati nella stanza, diventando parte integrante del quadro scenico. Mentre la colonna sonora di musica classica avvolge l’osservatore, esaltando ancora di più l’emotività dell’esperienza.

Dopo la discesa negli inferi dell’anima dell’artista, nel blu profondo de “La Notte Stellata”, la risalita verso la luce, verso i colori e quel giallo vivo che tanto amiamo nell’arte di Van Gogh.

Presenti in mostra tre scenari, ideali come selfie opportunities per il pubblico: il campo di grano, i girasoli e la camera di Van Gogh. Centinaia sono stati gli scatti che i visitatori hanno condiviso sui social ufficiali della mostra.

L’esposizione prosegue con la sezione di virtual reality(facoltativa e con biglietto accessorio del costo di tre euro)che consente al visitatore, indossato l’oculus di ultima generazione, di vedere con gli occhi di Van Gogh, intento ad osservare il mondo e a trarre ispirazione dai paesaggi a lui più famigliari per le sue opere. Area di successo soprattutto tra i più giovani che hanno dimostrato di apprezzare anche la sala video (dove, in collaborazione con la piattaforma Eduflix, il critico e storico dell’arte Flavio Caroli racconta il rapporto tra Van Gogh e i colori) e la sala didattica, dove dar libero sfogo al proprio estro creativo.

E infine il bookshop che sta registrando gli incassi più alti di sempre tra le mostre organizzate a Torino da Next Exhibition, ulteriore dimostrazione del sempre grande amore del pubblico nei confronti di Van Gogh.

GIORNI E ORARI DI APERTURA

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La mostra è aperta:

dal Martedì al Venerdì 10:00 – 18:00

Sabato, Domenica e Festivi 10:00 – 19:00

Lunedì chiuso

Ultimo ingresso consentito in mostra un’ora prima dell’orario di chiusura.

 

APERTURE SPECIALI:

lunedì 14 dalle 10 alle 18

martedì 15 agosto, dalle 10 alle 19

 

I social della mostra:

FB/ VanGoghExperienceTorino

IG/ vangogh_experience

www.vangoghexperience.it

 

 

 

 

PREZZI BIGLIETTI

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Dal martedì al venerdì: 

intero: 15,70 euro on-line; 14,50 euro box office 
ridotto: 13,70 euro on-line; 12,50 euro box office 

 

Sabato, domenica e festivi 

intero: 17,70 euro on-line; 16,50 euro box office 
ridotto: 15,70 euro on-line; 14,50 euro box office 

 

Ridotto gruppi/cral (minimo 15 persone): 11,70 euro on-line; 10,50 euro box office.                                                                                                    

Ridotto scuole (minimo 15 alunni): 9,70 euro on-line; 8,50 euro box office.

Ridotto Palazzina (per chi visita anche l’esposizione permanente alla Palazzina di Caccia di Stupinigi): 10,50 euro, acquistabile solo al box office

Open (visitare la mostra in un giorno di apertura, senza decidere la data precisa al momento dell’acquisto; ideale nel caso si regali il biglietto per la mostra): 18,70 euro on-line; 17,50 euro box office.

I bambini al di sotto dei 6 anni entrano gratuitamente.  

MODALITÀ ACQUISTO BIGLIETTI e INFOLINE

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La prevendita biglietti è attiva con il circuito Ticket One.

Biglietti in vendita anche presso il botteghino della Citroniera di Ponente della Palazzina di Caccia di Stupinigi nei giorni e negli orari di regolare apertura della mostra.

Per maggiori informazioni è attivo il numero 375/5475033 nei seguenti orari:

dal martedì al venerdì dalle 10 alle 18
sabato, domenica e festivi dalle 10 alle 19

oppure è possibile scrivere all’indirizzo e-mail info@vangoghexperience.it