“Nel solco di quanto già tracciato dalla precedente Amministrazione, ho depositato un atto di indirizzo che impegna il Consiglio comunale di Torino ad istituire un registro della bigenitorialita‘. Parallelamente ho ritenuto utile sollecitare la Regione Piemonte affinché promuova analoga iniziativa presso i Consigli comunali dei Comuni piemontesi, e il Parlamento italiano affinché dia finalmente seguito alla modifica del testo della legge sull’affido condiviso (L.54/2006)”. Così il consigliere comunale Pd di Torino Enzo Lavolta, vicepresidente della Sala Rossa. Una recentissima indagine ISTAT (novembre 2016) analizzando i dati dal 2005 al 2015 ha rilevato che “….al di là dell’assegnazione formale dell’affido condiviso, che il giudice è tenuto a effettuare in via prioritaria rispetto all’affidamento esclusivo, per tutti gli altri aspetti considerati in cui si lascia discrezionalità ai giudici la legge non ha trovato effettiva applicazione.” Si tratta, aggiunge Lavolta, di “un’iniziativa quanto mai opportuna, per difendere e rafforzare i diritti dei figli di genitori non più conviventi ad avere un rapporto stabile con entrambi, e ricevere le cure, l’educazione e l’affetto che meritano.”
È stato audito in aula a Palazzo Lascaris il Professor Costa dell’ASL TO3 in merito ai dati epidemiologici della città di Torino.
Gli studi esposti hanno analizzato quarant’anni di salute a Torino in relazione alle principali trasformazioni e alle politiche che le hanno accompagnate o contrastate. La riorganizzazione della sanità regionale dovrà infatti basarsi su una piattaforma di analisi dei bisogni e dei problemi necessaria per la futura programmazione.
A Torino esiste un sistema di indagine retrospettivo che guarda alla situazione di salute fin dagli anni ‘70. Esso mostra che la speranza di vita è salita senza interruzione per tutti i gruppi sociali, ma il titolo di studio è una chiave fondamentale: in cima alla scala ci sono infatti i laureati.
La posizione sociale della persona e il suo grado di controllo sul proprio destino influenzano fortemente la salute, perché incidono sulla dose di esposizione ai fattori di rischio psicosociali, ai fattori di rischio ambientale, ai fattori di rischio legati agli stili di vita pericolosi e alle barriere all’accesso alle cure migliori. Il paradosso è dunque che chi ne avrebbe più bisogno è meno capace di utilizzare le risorse di cui necessita.
Alla fine degli anni 2000 a Torino, a ogni kilometro percorso sulla linea 3 del tram dalla collina alle Vallette e Falchera si perde un anno di speranza di vita. Ciò significa che la città ha ereditato ancora delle differenze, di cui occorre indagare origini e soluzioni. Inoltre, i migranti sono più esposti perché meno in grado di cogliere i messaggi di prevenzione, che quindi vanno adeguati.
In generale, a ogni posizione della scala sociale corrisponde uno stato di salute. Ciò significa che le politiche selettive non bastano, ossia non serve concentrare gli interventi a favore di chi si trova sotto una data soglia. Servono invece politiche universalistiche proporzionate al bisogno. Occorre ad esempio intervenire sui contesti capacitanti e contrastare i singoli fattori di rischio tramite la sanità e le opportunità offerte da smart city, preoccuparsi dell’allocazione delle risorse e moderare le conseguenze sociali dell’esperienza di malattia.
“Appare chiaro che la sanità pubblica in questi anni di crisi abbia attutito il colpo della recessione. Tuttavia, tutto ciò che è sempre rimasto fuori dalla sanità e dai livelli essenziali di assistenza, e che quindi non è rilevato da questa ricerca, potrebbe presentare un aumento delle diseguaglianze:” – dichiara il Capogruppo di SEL Marco Grimaldi –“l’odontoiatria, per esempio, ma soprattutto le non autosufficienze legate all’invecchiamento della popolazione. Il sistema sanitario non si fa carico degli assegni di cura; quanto ciò influenza le nostre politiche? Quanto aggrava il divario fra chi ha più risorse e chi ne ha meno? Infine anche il servizio sanitario pubblico non è realmente accessibile a tutti: la popolazione migrante, che non può disporre del medico di base, è spesso tagliata fuori. Intervenire su quest’ultimo punto comporterebbe anche un risparmio per il sistema sanitario. E poi: è possibile incidere sulla qualità del vivere in città, migliorare gli stili di vita grazie a un’offensiva culturale più chiara del pubblico?”
Il presidente del Consiglio regionale Mauro Laus: “atteggiamento inquisitorio, molesto e squadrista usato dal gruppo di attivisti del Movimento 9 Dicembre Forconi”
Forconi scatenati: “in nome del popolo italiano la arrestiamo”, così alcuni aderenti al movimento (nella foto) hanno circondato e aggredito il capogruppo di Forza Italia al Comune di Torino, Osvaldo Napoli, che si trovava a Roma davanti a palazzo Montecitorio. L’ex deputato credeva si trattasse di uno scherzo e così ha gentilmente risposto alle domande dei manifestanti che però lo hanno strattonato e immobilizzato. I carabinieri sono intervenuti per “salvare” Napoli dagli esagitati. . “Neppure sapevano chi fossi – ha commentato l’esponente azzurro -, avrebbero bloccato qualunque politico. Sono soltanto dei delinquenti”. Solidarietà al politico torinese dai suoi colleghi di partito e anche dal presidente del Consiglio regionale piemontese, Mauro Laus: “Qualunque protesta o contestazione deve sempre svolgersi nel rispetto delle persone e delle istituzioni. Pur comprendendo lo scontento dei cittadini per il particolare momento politico ed economico in cui si trova il nostro Paese, non condivido l’atteggiamento inquisitorio, molesto e squadrista usato dal gruppo di attivisti del Movimento «9 Dicembre Forconi», che questa mattina ha costretto ad un processo di piazza, davanti all’entrata di Montecitorio, il consigliere comunale di Torino ed ex deputato, Osvaldo Napoli – ha commentato il presidente dell’assemblea piemontese Mauro Laus – La messa in scena è andata al di là del lecito, arrivando perfino all’aggressione fisica, un gesto che, in un paese democratico, non può essere tollerato. Esprimo dunque, a nome del Consiglio regionale del Piemonte, solidarietà al consigliere torinese”.
STORIE DI CITTA’
di Patrizio Tosetto
Avremmo voluto Piero Fassino ministro della Repubblica, perché politico capace con una pluridecennale esperienza . Per l’ennesima volta siamo stati intempestivi. Ed abbiamo sbagliato nell’essere speranzosi . La mia intempestività si è spinta oltre facendo gli auguri di buon lavoro a Piero . Nadia con la sua cortesia mi ha messo sul chi vive . Attento Patrizio, mi sa che prudenza e pessimismo sono d’obbligo . Perché sono scattatati veti incrociati soprattutto della vecchia guardia del PD . Insistevo: ma Piero è capace , anzi è proprio il suo lavoro . Patrizio mi sorprendi : proprio tu che sei di lungo corso ti stupisci. Le cose vanno diversamente rispetto alla meritocrazia . Alfano agli Esteri
conferma questa elementare verità . Alcuni commentatori sottolineavano che un ministro degli Esteri dovrebbe conoscere tre lingue oltre la nostra . Alfano (forse) conosce solo la nostra . Non sono d’accordo, non è un governo fotocopia . Lo testimonia la Boschi che perdendo il referendum e dicendo che si ritirava dalla vita politica è stata premiata diventando sottosegretaria alla Presidenza . Auguri ai senatori e parlamentari del PD nel votare la fiducia a questo governo. A noi rimane la convinzione che non nominando Piero Fassino hanno perso , anche questa volta, un’occasione.
Province e Città Metropolitana
A poco più di un anno dall’approvazione della legge regionale n.23/2015, che ha riordinato le funzioni amministrative conferite alle Province e alla Città Metropolitana in applicazione della Legge Delrio, si è tenuto a Palazzo Lascaris, su iniziativa dell’Ufficio di presidenza dell’Assemblea legislativa, un seminario sul tema: “Lo stato di applicazione della legge regionale 29 ottobre 2015, n.23 – Riordino delle funzioni amministrative conferite alle Province in attuazione della legge 7 aprile 2014,n.56 -Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province sulle unioni e fusioni di comuni, ad una anno dalla sua approvazione”. “Con l’approvazione della legge regionale – ha aperto i lavori Gabriele Molinari, consigliere segretario, che ha portato i saluti del presidente del Consiglio regionale Mauro Laus e dell’intero Ufficio di presidenza – la Regione Piemonte ha aperto un cantiere di riforme, disegnando enti di area vasta così come previsto dalla legge Delrio e costruendo una pista di atterraggio per la riforma costituzionale che proprio in quei giorni veniva approvata dal Parlamento. A maggior ragione oggi, alla luce dell’esito referendario, è necessario questo confronto per ragionare insieme, a partire dallo stato di attuazione della legge, e riprendere il percorso legislativo già intrapreso, un modello di confronto che potremo replicare anche sui territori”.
“La legge regionale piemontese – ha spiegato Rosario Ferrara, docente di Diritto amministrativo del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino – è una buona legge, che si basa su alcuni importanti elementi, tra cui la scelta di riallocare alcune funzioni in capo alla Regione e l’enfatizzazione del ruolo giocato dalla Città metropolitana, prevista in Costituzione dal 2011, collocata al centro di un processo di riorganizzazione dei poteri locali, con funzioni vitali come ambiente, trasporti e servizi. Vi è poi un terzo aspetto, molto importante, che riguarda le relazioni tra Regione, Comuni e Città metropolitane, che apre la strada a modelli di accordi e intese, grazie ai quali si creano soluzioni non vincolanti che possono portare a soluzioni vincolanti. La politica e le scelte che si compiranno diranno se il modello è quello giusto, l’importante è che sia chiaro chi fa che cosa”.
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“L’esito referendario – è intervenuta Anna Maria Poggi, docente di Diritto pubblico alla facoltà di Giurisprudenza Università di Torino – apre molti scenari di riflessione sia a livello nazionale che locale, che la poltica dovrà sciogliere tenendo conto di molti elementi. Il primo: lo scenario costituzionale su cui ragioniamo è il titolo V, e segnatamente l’articolo 117, primo comma, che assegna allo Stato la competenza esclusiva sulla legislazione elettorale e sulle funzioni degli enti locali. Quindi, se lo scenario immaginato era quello di una Regione con funzioni più amministrative che legislative, quella che noi oggi continuiamo ad avere è invece una regione a forte competenza legislativa, che permane come elemento di governo, di snodo e di coordinamento. Secondo: la sentenza della Corte costituzionale che ha salvato la legge Delrio dai numerosi rilievi di legittimità costituzionale è stata condizionata dall’esistenza della legge di revisione costituzionale, che aboliva le Province e alleggeriva le Regioni. Il governo che si sta formando in queste ore non credo sia così forte da poter rimettere mano alla legge Delrio, quindi bisogna capire cosa si può fare a livello locale, partendo da due riflessioni: se questa Città metropolitana sta funzionando dal punto vista dell’impalcatura della governance, e se strumenti come le Città metropolitane, inserite in Regioni come il Piemonte, possono servire, ricordando che tutte le altre Province non hanno più organi politici di indirizzo, fondamentali per lo sviluppo economico e produttivo”.
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Dopo le relazioni dei due giuristi, sono stati numerosi gli interventi dei presenti in sala, a partire dai consiglieri regionali. Andrea Appiano (Pd) ha sottolineato alcune perplessità rispetto alla legge Delrio, anche alla luce dei primi passi mossi dalla riforma e dai segnali che sono arrivati. “Ad esempio – ha evidenziato – uno dei temi su cui riflettere riguarda la coincidenza tra il presidente della Città metropolitana e il sindaco del comune capoluogo. Il rischio è che in questo modo i territori, indipendentemente dal colore politico, non si sentano coinvolti”. Per Mauro Campo (M5S) è necessario un quadro reale dello stato di attuazione della legge. “Quello che sappiamo – ha detto – è che siamo in ritardo, ad esempio, sulla stipula delle convenzioni e sulla definizione della legge per la gestione dei rifiuti. In più si sono ristretti gli spazi di democrazia per i cittadini a causa di una pessima legge nazionale, che la Regione ha dovuto approvare obtorto collo per salvare il personale e le importanti funzioni che le Province svolgevano” . Per il consigliere regionale Domenico Rossi (Pd) “si apre l’opportunità di una riflessione nuova. Se è vero che la Città metropolitana, nel nuovo disegno della Delrio e della 23, fa passi avanti nella logica europea, per gli altri territori, quelli che sono lontani da Torino, le difficoltà sono moltissime. La 23 è stata una buona legge ma è chiaro che qualunque disegno, senza risorse e personale, non sta in piedi”. Rossiha poi invitato a riflettere sul tema della gratuità delle cariche provinciali.
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Al seminario, hanno partecipato, oltre ad Appiano, Campo e Rossi, i consiglieri regionali Silvana Accossato, Paolo Allemano, Giorgio Bertola, Valentina Caputo, Giovanni Corgnati, Francesca Frediani, Domenico Ravetti. Presenti in sala anche molti rappresentanti delle Province e delle autonomie locali. Il primo a prendere la parola è stato Stefano Costa, presidente del Cal, il Consiglio delle autonomie locali, e della provincia del Verbano Cusio Ossola, il quale ha ricordato che la legge regionale è stata pesantemente condizionata dalla necessità di adeguarsi a quella nazionale, pena gravi sanzioni, tra cui il commissariamento delle Regioni inadempienti e l’obbligo di coprire il costo delle funzioni non fondamentali. “La radicalizzazione – ha ragionato – ha costretto a un riordino incompleto e non paragonabile a passate stagioni di riforme. Dal canto suo, la Regione si è caricata sulle spalle il disagio causato dalla riduzione progressiva dei trasferimenti statali con tagli lineari e prelievi forzosi di tributi propri degli enti locali. Ci siamo concentrati sulla difesa dei livelli occupazionali e sulla tenuta dei servizi minimi essenziali. Oggi dobbiamo cercare una soluzione nella logica di continuare a garantire i servizi ai cittadini”. Franca Biglio presidente di Anpci, associazione nazionale dei piccoli comuni, sindaco di Marsaglia (CN), ha invece criticato aspramente la legge Delrio, “che – ha detto – non ha tenuto conto della storia millenaria italiana fatta di tanti piccoli comuni, sentinelle del territorio, e neanche della geografia italiana, un territorio difficile che ha bisogno dei presidi comunali. È stata un errore gravissimo, che i cittadini hanno bocciato con il voto referendario. Adesso abbiamo bisogno di una legge organica, che però sia condivisa da tutte le organizzazioni dei comuni, non solo da Anci”. Marco Bussone (Uncem) ha invece posto l’accento sul fatto che la legge regionale è il frutto di una lunga concertazione in un tavolo che continua e che ha prodotto buoni risultati. “La nascita della Città metropolitana – ha aggiunto – può realizzare una felice sperimentazione di sinergie fra le aree urbane, la città, e quello che c’è fuori, le aree rurali e montane”. Critico l’intervento di Carlo Riva Vercellotti, presidente della Provincia di Vercelli, il quale ha affermato che “In Italia è avvenuto un fatto che è un pericoloso precedente, e cioè si è stravolto l’assetto istituzionale del paese sulla presunzione che la Costituzione sarebbe stata cambiata, un fatto certamente anomalo”. Riva Vercellotti ha sottolineato poi il problema del personale: “per quanto riguarda le funzioni delegate alle Province – ha spiegato – non c’è più il personale che le può gestire, e, contestualmente, il personale che dalle Province è passato alle Regione ha carichi di lavoro molto diversi e una professionalità che non è più ben spesa”. Cruciale anche il nodo dei finanziamenti: “non è chiaro – ha concluso – il finanziamento delle funzioni delegate e trasferite, così come non è chiaro a quanto ammonti il reale risparmio di questa riforma”.
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Alberto Avetta, vicepresidente della Città metropolitana, ha poi sottolineato che la legge Delrio aveva due obiettivi, proiettare il sistema di governo degli enti locali nel contesto europeo e accorciare la catena di comando, mettendo nelle mani dei sindaci il governo degli enti locali. “Adesso – ha detto – sarebbe folle buttare tutto a mare. Il problema delle risorse esiste, oggi come ieri, quando c’erano le Province. Il lavoro fatto in questi tre anni va riconosciuto e preservato per capire se i due obiettivi di partenza sono ancora validi”. Per Mauro Barisone, vicepresidente vicario di Anci, infine, “l’esito del referendum ha cambiato le carte ma noi dobbiamo guardare in casa nostra, in Piemonte, che è un territorio con oltre 1200 comuni. La Delrio è una buona legge, che può essere migliorata, ma non possiamo buttare via il bambino insieme all’acqua sporca”.Al seminario hanno partecipato anche le organizzazioni sindacali. Francesco Lo Grasso, della Uil Piemonte, ha sottolineato come la riforma delle Province non abbia ridotto i costi della politica ma il finanziamento delle strutture, evidenziando innanzitutto il problema delle risorse stanziate e dell’assenza di organi di governo. Francesco Candido (Cgil Città metropolitana) ha evidenziato i problemi dei centri per l’impiego, “la cui competenza – ha detto – è della Città metropolitana ma le cui funzioni sono state assegnate all’Agenzia Piemonte Lavoro. Esiste un problema di tenuta del sistema, solo l’anno scorso abbiamo vissuto il dramma occupazionale di venti precari ma i centri per l’impiego sono destinati a chiudere se non hanno il personale”. “La Regione Piemonte – ha aggiunto – deve essere in prima fila nel chiedere al governo di restituire le risorse a Regioni, Province e Città metropolitane”. Per Graziella Rogolino (Cgil) ”l’abolizione delle province era nei programmi elettorali di tutti i partiti, del resto avevamo troppi centri decisionali. La legge 23 è stata concertata in sede regionale e ha tutelato tutto il personale delle Province, adesso non si può pensare di smontare tutto”.
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Ha concluso i lavori il vicepresidente della Giunta regionale con delega agli Enti Locali Aldo Reschigna, il quale ha spiegato che “stiamo parlando di un sistema che faceva fatica da molti anni. Prima della legge regionale e dopo la riforma Delrio, le Province erano allo stremo, tanto è vero che tutti gli enti hanno adottato provvedimenti di riduzione del personale ben oltre la percentuale imposta dalla legge di stabilità del 2015, e questo ha certamente provocato la progressiva diminuzione della capacità tecnico professionale, uno dei problemi più grandi. In quel contesto, l’operazione della Regione non è stata centralista. Abbiamo sottoposto tutte le funzioni a una verifica di efficacia ed efficienza, stabilendo anche chi faceva che cosa ed eliminando le sovrapposizioni. Con la legge 23 abbiamo disegnato le aree vaste, attraverso le convenzioni, un obiettivo che rimane anche oggi, abbiamo valorizzato la Città metropolitana come vero motore di sviluppo di un’area, abbiamo riconosciuto la specificità montana del Verbano Cusio Ossola e rivisitato le funzioni, riportandone in casa alcune su cui c’era una domanda forte da parte dei territori. La mancata modifica della Costituzione non impedisce che la Regione, nella sua attività di programmazione, individui ambiti territoriali ottimali per l’esercizio di alcune funzioni, e su questo stiamo lavorando. Penso che la scelta delle aree vaste e della gestione associata delle funzioni fosse una risposta a quella crisi e mantenga pienamente la sua utilità anche dopo la consultazione referendaria. Rimarranno dunque le Province, ma l’area vasta permetterà anche la costituzione di strutture tecnico-professionali efficaci, in grado di migliorare l’esercizio delle funzioni proprie. In questi giorni abbiamo definito di concerto con le Province un testo di convenzione per la gestione associata delle attività estrattive, della caccia e della pesca, e contiamo di concludere l’iter entro l’anno. E stiamo procedendo anche con la Provincia montana del VCO alla definizione di una convenzione”. “Certo – ha concluso – ora restano aperti alcuni problemi. Primo fra tutti garantire alle Province, che sono rimaste in Costituzione, le risorse sulle funzioni fondamentali, definendone anche i costi di esercizio, per non tornare a un passato di sperequazioni. Resta aperto anche il tema delle funzioni, là dove sono state gestite centralmente in modo confuso, come nel caso dei centri per l’impiego e delle politiche attive sul lavoro, o sulla viabilità. L’esito referendario – ha concluso – non deve essere affrontato come un ritorno al passato, ma spingerci a trovare soluzioni per la nostra regione in un percorso che richiede costante confronto e aggiornamento“.
EM – www.cr.piemonte.it
(foto: il Torinese)
Cherio, dialogo con un liberale democratico
STORIE DI CITTA’ / di Patrizio Tosetto
Ho chiesto a Sandro come si definiva politicamente. Senza esitare ha risposto: liberale democratico Poi sollecitato ha completato : liberale per uno Stato che regola ma non opprime , popolare visto che , in democrazia, un voto vale quanto l’altro .
“Ti confesso un certo fastidio per una certa sinistra che vede solo se stessa portatrice di un’idea politica, relegando chi come me fa politica nel centro desta il ruolo di portatore di propri interessi .
A 18 anni giovane democristiano e segretario del circolo di San Mauro. Sandro Cherio ha accettato la proposta di Parisi di essere coordinatore locale del nuovo movimento . Missione : unificare le forze politiche e sociali di un centrodestra oggi chiaramente in difficoltà . Consigliere Comunale per Forza Italia quando il Berlusca era ” sceso in campo “.
Si vanta di essere sempre stato nelle retrovie . “Portatore di acqua ” del fratello Nino sindaco a San Mauro e parlamentare di Forza Italia . Fieramente sostiene : lui è il primogenito
Perché sei Presidente del Collegio costruttori ?
“Qui la politica non c’entra . Con cari amici e mio fratello sono imprenditore edile e sono al terzo mandato con delega, visto il limite di due . Qui ho cercato di rappresentare i piccoli e medi : la Crisi per il nostro settore è stata devastante .
Vero che Berlusconi ti ha proposto di fare il candidato sindaco A Torino?
“Precisamente Pichetto, ma ho rifiutato perché non c’erano le condizioni di un unità politica”.
La maggiore delusione ?
“Finita l’esperienza di consigliere comunale ho scritto una lettera al Sindaco e ai rappresentanti della maggioranza ringraziandoli per l’ esperienza umana e politica che mi aveva arricchito. Non ho ricevuto risposta”.
Maggiore soddisfazione ?
“Quando mio Fratello è diventato sindaco di San Mauro.I miei genitori immigrati dalla campagna hanno lavorato sodo per insegnarci l ‘impegno per raggiungere ed ottenere . Nulla è regalato e deve essere condotto correttamente . Mio fratello coronava tutto”.
Come mai questo rientro nella politica attiva?
“Passione e voglia di fare”.
Grazie del tuo tempo Sandro Cherio. Per me sei anche un amico.
Riceviamo e pubblichiamo
A un primo censimento degli abitanti delle palazzine ex Moi, svolto dall’Anagrafe della città di Torino e risalente alla dichiarazione di residenza del 2014, si aggiunge la prima concreta ricognizione tra gli stabili occupati di via Giordano Bruno, effettuata e ultimata in questi giorni dalle forze dell’ordine.
Per tutti gli occupanti, l’istituzione di un indirizzo virtuale presso il Moi è stata cruciale, perché consentiva l’iscrizione all’anagrafe e l’inserimento in progetti di sostegno. A quanto ne risulta, gli occupanti delle palazzine sono in larga maggioranza regolari per la legge (almeno mille dei 1190 censiti in questi giorni), perché hanno chiesto e ottenuto asilo «per motivi umanitari». Sono sbarcati in Italia col «Progetto Nord Africa» e poi sono stati trasferiti a Torino, in fuga dai conflitti armati tra il 2011 e il 2013. Per molti di loro, il permesso di soggiorno, vicino alla scadenza, sarà rinnovato l’anno prossimo. La notte del 23 novembre, dopo una situazione di tensione tra un gruppo di profughi e un piccolo gruppo di tifosi, vi sono stati scoppi di petardi contro una sala scommesse frequentata dagli stranieri e bombe carte contro le stesse palazzine. Centinaia di migranti hanno protestato con forza, condannando il movente razzista del gesto e denunciando di non essere stati difesi. La Sindaca Appendino ha dichiarato di essere al lavoro per trovare una soluzione per le palazzine. Il piano di Torino per superare l’emergenza Moi dovrebbe essere giunto al Viminale, mentre 150 militari sono ancora attesi per l’inizio del pattugliamento del presidio della zona. Negli scorsi giorni, Amnesty International ha sollecitato le autorità a elaborare soluzioni rispettose degli standard internazionali sui diritti umani e a usare lo sgombero come un’opportunità per assicurare migliori condizioni abitative ai migranti ai richiedenti asilo. Oggi in aula l’Assessora Cerutti si è resa disponibile a favorire la realizzazione di azioni positive di inclusione socio-lavorativa delle persone in condizioni di particolare svantaggio, tramite servizi di orientamento, ricerca attiva e accompagnamento al lavoro, tutoraggio e contributi per l’indennità di tirocinio. “Bisogna procedere al superamento dello stato di sovraffollamento del MOI, purché si individuino spazi alternativi adeguati e si coinvolgano servizi socio assistenziali, mediatori culturali, psicologi e – aggiungo – gli occupanti stessi” – dichiara Grimaldi. – “Al contempo condivido il punto di vista dell’Assessora: potrebbe essere importante il lavoro della Regione sull’inserimento lavorativo dei migranti”.
In attesa di conoscere i prossimi dictat della Giunta Appendino prima della pausa natalizia, anche durante il ponte dell’8 dicembre gli appassionati dei lavori in Sala Rossa hanno di che bagolare. L’ultima perla sciorinata dalla consigliera grillina Carlotta Tevere, nientepopodimeno che Presidente della Commissione “Legalità e contrasto dei fenomeni mafiosi”, durante l’ultima seduta del Consiglio è stata: “ Esprimo solidarietà ai 38 cittadini recentemente condannati per gli scontri in Val di Susa”, affermazione seguita da interventi di indignazione delle opposizioni immediatamente repressi dal “Pippo Baudo di periferia”, come alcuni lo definiscono nei corridoi municipali, che da qualche mese dirige le sedute, Fabio Versaci, con una sospensione del Consiglio Comunale per punire i consiglieri che non mostrano rispetto per i lavori dell’Aula. Punizione ovviamente rivolta ai consiglieri che hanno osato indignarsi. Ad aggravare la posizione dei Pentastellati è stata poi la replica del Capogruppo Alberto Unia avvalorando la dichiarazione della Tevere con il sostegno di tutto il gruppo grillino.
“Affermazione grave e seria dare solidarietà politica ai delinquenti. La solidarietà umana si dà a tutti quelli che hanno bisogno, ma dare solidarietà politica è grave perché si disconoscono principi e regole dello Stato” questo il commento del consigliere-notaio Alberto Morano che, insieme al capogruppo della Lega Fabrizio Ricca, Osvaldo Napoli di Forza Italia e Roberto Rosso hanno chiesto le immediate dimissioni di Carlotta Tevere in considerazione anche del suo ruolo di Presidente della Commissione Legalità.
A condire di ulteriore indecenza politica la posizione del Movimento Cinque Stelle in Comune, è stata poi la consigliera Maura Paoli, – non era forse “militante” del centro sociale Gabrio? – , che proprio durante la Commissione Legalità, sulla richiesta di dimissioni della benemerita Presidente Tevere ha dato sfogo al suo ardito pensiero arrivando a favoleggiare anche su Silvio Berlusconi e sugli eredi del Pci: “Noi non prendiamo lezioni di moralità da chi è legato alla storia di partiti come Forza Italia e Pd che hanno insabbiato la trattativa stato-mafia” .
E probabilmente questa volta la consigliera pentastellata Paoli, prima di recarsi in sala dell’Orologio, avrà inalato una scia chimica per non rendersi conto che non era di fronte alle barricate di qualche malsana manifestazione di protesta con tanto di passamontagna e cori carichi di insulti sterili, bensì in un aula di Palazzo Civico in pieno svolgimento di un’attività istituzionale. Parole irricevibili, secondo Osvaldo Napoli, Silvio Magliano, Francesco Tresso e la democratica Elide Tisi che hanno abbandonato la seduta.
Ora sia destra che sinistra, insieme, chiedono le pubbliche scuse, in assenza delle quali minacciano di non sedersi più ad un tavolo di Commissione Legalità con chi li accusa di mafia. Il PD ha dichiarato che chiederà il verbale della seduta di Commissione e la registrazione audio per avanzare eventuali azioni legali a tutela dell’immagine del partito, dei militanti e degli elettori. Se come d’abitudine oramai, il sindaco Chiara Appendino soprassederà anche a queste ultime sortite dei suoi consiglieri, non si potrà più confutare l’analisi di chi sostiene che il Movimento Cinque Stelle è solo la nuova espressione della sinistra populista più estrema.
(foto: il Torinese)
Il Consiglio regionale del Piemonte ha approvato l’accorpamento dell’ASL TO1 e dell’ASL TO2 in un’unica azienda sanitaria, a partire dal prossimo 1° gennaio. Il documento, presentato per la Giunta regionale dall’assessore alla Sanità Antonio Saitta, è stato licenziato a maggioranza dalla IV Commissione. “Oggi la città è spaccata in due e serve un’omogeneizzazione dei servizi – ha spiegato l’assessore illustrando la delibera – e il nostro obiettivo è creare valore, individuare i punti del sistema che sono in grado di occuparsi meglio delle prestazioni. Il miglior utilizzo degli spazi comporterà la liberazione dei locali per sviluppare a Torino l’assistenza territoriale, oltre ad assicurare risparmi. Nessuno sarà licenziato, ma piuttosto saranno migliorati i servizi”.L’atto aziendale della nuova Asl unica – che prenderà il nome di Azienda sanitaria locale Città di Torino – sarà pronto entro giugno 2017 e sarà oggetto di un percorso di valutazione condivisa con il Comune di Torino e con le Circoscrizioni.”Si tratta di un percorso di riorganizzazione dei servizi sanitari che ritengo necessario – dice il vicepresidente del Consiglio regionale, Nino Boeti, Pd – e che sono certo potrà portare conseguenze utili e positive per i cittadini torinesi. Occorre, però, che la futura unica grande azienda sanitaria della Città di Torino abbia come obiettivo prioritario non solo quello del risparmio, bensì garantire l’omogeneizzazione e l’ottimizzazione dei servizi affinché tutti i torinesi, che abitino a Barriera di Milano come a Mirafiori Sud, possano ricevere cure eguali, appropriate ed efficienti. Sull’azienda Sanitaria unica, interviene anche il consigliere Marco Grimaldi (SEL): “La creazione di un’unica Azienda Sanitaria per la città di Torino è anche un’opportunità per riflettere sugli obiettivi della sanità regionale, in primo luogo l’accessibilità al servizio per tutte e per tutti. L’ampliamento del servizio di assistenza domiciliare e della sanità di prossimità, lo sviluppo delle politiche di Prevenzione e Promozione della Salute su tutto il territorio cittadino, l’integrazione ma anche la diffusione del servizio dovrebbero andare in questa direzione. Per questo il Gruppo SEL ha richiesto di partire dall’analisi di prossima pubblicazione a cura del Prof. Costa, sullo stato della salute e delle diseguaglianze nella sanità torinese, che verrà presentata in commissione giovedì prossimo”. Stando alle previsioni a cura delle due Asl, la nuova Azienda coinvolgerà circa 900mila abitanti, di cui l’11,6% tra gli 0 e i 13 anni, l’11,5% tra i 65 e i 74 anni, il 13,9% ultrasettantacinquenne, nonché un 15,3% di stranieri residenti. “Lottiamo contro le diseguaglianze in tutti i campi, vogliamo che questa sfida sia anche il primo obiettivo della sanità pubblica e dell’unione tra le due Asl torinesi” – aggiunge Grimaldi. – “Facciamolo contro il lavoro povero, facciamolo garantendo la mutua ai migranti, leghiamo i risparmi prodotti dall’integrazione a maggiori investimenti per realizzare tutto ciò. Fuori dal piano di rientro è ora necessario unire gli investimenti a nuove assunzioni. Quello di oggi è solo un piccolo passo. Chiediamo da subito un confronto di un anno con città, operatori, medici, lavoratori e territori per realizzare un piano strategico per la salute”. In materia di sanità, polemiche le opposizioni: “Abbiamo nuovamente chiesto a questa giunta regionale di rivedere la propria posizione sulla chiusura dell’ospedale Oftalmico, e di fare un passo indietro per il bene dei cittadini. La risposta ricevuta è stata disarmante: l’assessore Saitta ha chiaramente detto che lui decide e non accetta suggerimenti, e gli stessi consiglieri di maggioranza che fino a ieri godevano dei flash per la tutela dell’oftalmico oggi hanno bocciato la nostra proposta” lo dichiara Gian Luca Vignale,consigliere regionale di Forza Italia e firmatario di un ordine del giorno bocciato oggi dal centrosinistra. Prima della votazione della delibera l’Assemblea ha discusso sette atti d’indirizzo collegati e ne ha approvati tre. Quello presentato dalla prima firmataria Valentina Caputo (Pd) impegna la Giunta regionale “a individuare, nell’ambito del processo di accorpamento delle Asl To1 e To2, gli strumenti più idonei a consentire il massimo coinvolgimento del Consiglio regionale affinché tale processo sia improntato ai principi di partecipazione, condivisione e gradualità ed evitando, d’altro canto, l’adozione di semplici automatismi conseguenti a una mera fusione tra le due attuali Aziende”. I due presentati dal primo firmatario Davide Bono (M5S) impegnano rispettivamente la Giunta regionale “ad investire risorse per la manutenzione ordinaria e straordinaria del presidio Amedeo di Savoia, sulla base di un progetto dell’Azienda, per mantenere la sicurezza e il decoro delle strutture in cui vengono attualmente erogate le attività sanitarie sino a ricollocamento in strutture più idonee” e “a chiedere al direttore generale dell’Asl To la sollecita costituzione di un tavolo sindacale aziendale che segua tutte le questioni connesse alla nuova organizzazione al fine di garantire il mantenimento e il potenziamento dell’offerta sanitaria”.
(Foto: il Torinese)
QUI LEGA NORD
Referendum Costituzionale, il giorno dopo. Molinari “Questa notte ripaga di anni di sacrifici e lotte”. E aggiunge: “Si restituisca il diritto di voto per le Province. Il centralismo ha fallito”. All’indomani del Referendum Costituzionale, che ha visto una schiacciante vittoria del fronte del ‘no’, è tempo di ringraziamenti e bilanci. “Ha vinto il Popolo, contro tutto e tutti – commenta Riccardo Molinari, segretario nazionale della Lega Nord Piemont – Questa notte ripaga di anni di sacrifici e lotte. Questa notte dimostra che la passione e battaglia politica, in questo mondo dominato dai media e dai soldi, ha ancora valore e senso. Grazie a tutti i compagni di viaggio di questa avventura, abbiamo fatto qualcosa di straordinario. Abbiamo salvato la democrazia e l’autonomismo nel nostro Paese”.La gioia, però, lascia spazio anche alle proposte per il domani e Molinari avanza una proposta concreta. “La consultazione ha visto la maggioranza schiacciante dei cittadini votare contro ad una riforma pesantemente centralista. La prima cosa da fare è riconsegnare ai cittadini il diritto di voto per le Province, dal momento che il progetto Renzi-Delrio-Boschi è stato respinto dal Popolo sovrano. Gli italiani si sono espressi e hanno dimostrato quanto stia loro a cuore la possibilità di decidere del proprio futuro: è ora di prenderne atto e di restituirci ciò che ci spetta di diritto”.
QUI PD
REFERENDUM; GARIGLIO (PD): RENZI RIMANGA SEGRETARIO, NON SI RIPETANO ESPERIENZE DI GOVERNI TECNICI
“Credo che Renzi debba rimanere a guidare il PD, garantendo la continuità della nostra proposta riformatrice: dopo questa esperienza di Governo, non possiamo tornare alla vecchia politica, alle trattative infinite, alle coalizioni litigiose”. Lo dichiara il segretario regionale del Piemonte del PD, Davide Gariglio, commentando l’esito del voto sul referendum costituzionale di ieri. “Dobbiamo rafforzare il partito – prosegue Gariglio – dedicare tempo alla sua riorganizzazione sul territorio, aprirne le porte a tutti coloro che si sono impegnati nei comitati per il SI, fare un congresso che si esprima sulla linea delle riforme da perseguire. Dobbiamo assicurarci che nel futuro – sottolinea -, salva la libertà di coscienza dei singoli, non sia più possibile che chi sta dentro il partito si allei con i peggiori avversari esterni per far cadere il proprio leader. Poiché siamo la forza di maggioranza relativa nei due rami del Parlamento – rimarca – abbiamo l’onere di garantire che venga approvato la legge di stabilità e che proseguano gli interventi a favore delle popolazioni colpite dai terremoti e dall’alluvione. Il prima possibile si torni però a dare voce agli elettori, che si devono esprimere per indicare chi debba guidare questo Paese nei prossimi cinque anni. Non si ripetano esperienze di anni di governi tecnici o di grandi coalizioni – conclude Gariglio – siano gli italiani a stabilire il loro destino”.