FOCUS INTERNAZIONALE di Filippo Re
Pare che Imran Khan non sia affatto interessato alle minoranze religiose del suo Paese. Ha promesso di difendere la legge sulla blasfemia che penalizza i cristiani e di cancellare tutto ciò che concerne la laicità dello Stato. Eppure Imran Khan, 65 anni, leader politico del Pakistan Tehreek-e-Insaf (Pti), partito vincitore delle elezioni del 25 luglio in Pakistan, ha annunciato pubblicamente di voler seguire l’eredità di Mohammad Ali Jinnah, il fondatore del Pakistan, il 14 agosto 1947, secondo il quale l’obiettivo prioritario è quello di creare uno stato sociale in cui il governo è responsabile per l’istruzione, la salute e l’occupazione dei suoi cittadini. Il “Movimento per la Giustizia” di Khan, partito vicino ai militari e ai gruppi radicali islamisti, ha ottenuto il maggior numero di seggi (151) ma non la maggioranza assoluta, scavalcando nettamente la “Lega
musulmana” (64 seggi) dell’ex premier Nawaz Sharif finito in prigione per corruzione. Nonostante le accuse di brogli elettorali sollevate dalla Chiesa pakistana, gli osservatori dell’Unione Europea hanno riferito che le condizioni del voto sono state “soddisfacenti”. Il nuovo esecutivo, auspicano i vescovi pakistani, è chiamato a promuovere la libertà di pensiero, l’abolizione della corruzione, a contenere la discriminazione religiosa e a difendere le minoranze perseguitate dalla legge sulla blasfemia. Se Imran Khan sarà in grado di farlo vi sarà un grande cambiamento nella storia del Pakistan ma le perplessità sono molte. Ex campione di cricket, il nuovo premier, che ha studiato nelle università inglesi, è sempre stato ambiguo sui Talebani nei suoi discorsi e intollerante con le minoranze. Il suo partito ha già amministrato diverse città pakistane lasciando ai margini proprio i non musulmani. Dopo la sua vittoria che fine faranno i cristiani?
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Quale sarà la sorte di Asia Bibi, la donna cristiana in carcere da nove anni, condannata a morte per blasfemia perchè giudicata colpevole da un tribunale pakistano di aver offeso Maometto durante un banale litigio con la moglie dell’imam della sua città e tuttora in attesa di una sentenza di appello della Corte Suprema? Che ne sarà della famigerata e controversa legge anti-blasfemia? Finora chi ha tentato di riformarla è finito molto male come l’ex ministro cattolico delle Minoranze, Shahbaz Bhatti e l’ex governatore del Punjab, Salman Taseer, uccisi entrambi nel 2011. A partire dal 1990, settanta persone sono state linciate a morte in Pakistan per presunte accuse di blasfemia mentre altre quaranta sono morte o stanno scontando l’ergastolo. Ora vedremo come vorrà agire il nuovo governo e come Khan
contrasterà gli estremisti religiosi che perseguitano le donne cristiane spesso costrette a matrimoni forzati. Il primo caso nella sua nuova era politica è già divampato e riguarda uno studente, Quatab Rind, falsamente accusato di blasfemia, e per questo ucciso ad agosto da altri studenti del college per risolvere una volta per tutte questioni personali. Imran Khan è talmente ben visto dai militari e dai servizi segreti, il potente Isi, che sarebbe stato aiutato a vincere le elezioni proprio dai gruppi estremisti e dalle fazioni radicali dell’esercito. Non solo, ma le accuse di corruzione all’ex primo ministro Sharif che lo hanno eliminato dalla scena politica e condotto in prigione sono molto deboli. Secondo i sostenitori di Sharif, dietro la sentenza che ha cacciato in carcere l’ex premier, ci sarebbero proprio i militari e lo stesso Khan. Molto ambigui sono sempre stati i suoi rapporti con i Talebani. Alcuni anni fa Imran Khan dichiarò che la guerra santa degli studenti coranici in Afghanistan era giustificata dalla legge islamica e quando Bin Laden fu ucciso dagli americani si scagliò aspramente contro il blitz segreto dei corpi speciali statunitensi avvenuto sulla sua terra. Washington accusa da sempre il Pakistan di sostenere i Talebani e ha cancellato i finanziamenti all’esercito mentre Khan ha chiesto il ritiro parziale delle truppe americane (circa 15.000 militari) dal Paese asiatico. Dopo decenni di estremismo religioso sono scarse le speranze di migliorare la situazione delle minoranze, cristiani, ahmadi, indù e sikh. Ne sono convinti i leader cristiani e gli attivisti dei movimenti per i diritti umani. I cristiani in Pakistan sono circa quattro milioni (due milioni i cattolici) su 200 milioni di abitanti e costituiscono il 2% della popolazione del Paese.
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La maggior parte dei cristiani pakistani vive nella provincia del Punjab, pochi hanno un lavoro, sono privi di coperture assicurative e sanitarie e sono discriminati dalle organizzazioni sindacali. Anche se siamo un piccolo gregge, osserva mons. Joseph Arshad, presidente della Conferenza episcopale pakistana, il servizio che offre la Chiesa è riconosciuto e apprezzato da tutta la popolazione e dal governo. “Il nostro contributo è benvoluto in particolare nel settore dell’educazione, delle cure sanitarie e dei servizi sociali. Le nostre istituzioni offrono un gran sostegno alla gente e alla nazione pakistana”. Le prospettive per la libertà religiosa rimangono però negative e sono strettamente legate
alla situazione politica del Pakistan. Nel suo ultimo Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo, l’Acs (l’Associazione Aiuto alla Chiesa che soffre) scrive: “negli ultimi anni il tentativo dei diversi governi che si sono succeduti ad Islamabad di combattere la violenza settaria e la discriminazione nei confronti delle minoranze ha riscosso modesti successi mentre la società pachistana ha subito una sempre maggiore islamizzazione. La Costituzione del 1993 afferma nel preambolo e agli articoli 20, 21 e 22 che tutti i cittadini godono della libertà di praticare e professare la propria fede. Tuttavia tale diritto è limitato in modo considerevole dalle strutture politiche, giuridiche e costituzionali del Pakistan che favoriscono un diverso trattamento dei musulmani rispetto alle minoranze”. I sacerdoti, aggiunge mons. Arshad, hanno la libertà di spostarsi per celebrare la messa nelle chiese nel Paese. “Tra i nostri fedeli possiamo professare liberamente gli insegnamenti di Cristo. Ma dappertutto esiste un problema di sicurezza. E tengo a sottolineare che il problema è per tutti, non solo per i cristiani. Anche le moschee e le scuole musulmane vengono attaccate dai fondamentalisti”. Nel suo comizio dopo la vittoria Imran Khan ha promesso che i principi fondamentali della Costituzione saranno rispettati ma è rimasto silenzioso quando i suoi più stretti consiglieri hanno definito i cristiani “kaafir” (infedeli) e di casta inferiore. Alcuni mesi fa è spuntato un nuovo problema poiché l’Alta Corte di Islamabad ha confermato l’obbligo per tutti i pakistani di denunciare la religione sulla carta d’identità. Per gli attivisti dei diritti umani si tratta di un duro colpo per le minoranze che rischiano di essere ulteriormente discriminate nel lavoro. La quota di posti di lavoro riservati per legge alle minoranze è pari al 5 % ma in diverse aree del Paese raggiunge solo il 2-3%.
(dal settimanale “La Voce e il Tempo”)


Moro e poi la Valsesia dal Colle del Turlo. Attorno al XIII secolo, interi nuclei familiari con i bambini più piccoli trasportati nelle gerle, si misero in cammino lungo le antiche mulattiere per risalire le valli, superare nei punti più convenienti le montagne e ridiscendere a sud delle Alpi in cerca di luoghi ove dar vita a nuovi villaggi. A fine Settecento, il ginevrino Horace Benedicte de Saussure, appassionato studioso, nel corso del suo viaggio intorno al Monte Rosa, li definì nei suoi diari “sentinella tedesca” in territorio italiano. Macugnaga è composta dalla frazione più grande – Staffa – insieme a quelle di Pestarena e Borca, le più basse, e Pecetto, la più alta. Macugnaga ospita alcuni interessanti e originali musei. A Borca, ad esempio, c’è la Casa-museo Walser, abitazione d’epoca comprensiva di tutti gli arredi e gli oggetti di un tempo e anche il museo della miniera d’Oro della Guja, prima miniera-museo in Italia, percorribile per un chilometro e mezzo nel ventre roccioso della montagna, dove si è estratto il prezioso metallo dal 1710 fino al 1945. A Staffa, invece, si può trascorrere un po’ di tempo al museo della Montagna e in quello del contrabbando che racconta la secolare storia degli “spalloni” che valicavano con i loro carichi di merce il confine tra l’Italia e la Svizzera, sfidando i rischi naturali e i controlli della Finanza. A poca distanza dal centro del paese, nel Dorf – l’antico borgo fatto da abitazioni costruite con tronchi di larice incastrato – davanti alla Chiesa Vecchia si trova il vecchio tiglio. Sotto all’imponente albero pluricenteneario, dalla circonferenza di oltre sette metri, un tempo si tenevano i mercati, s’incontravano le genti delle diverse valli del Rosa, si svolgevano, come in una sorta di tribunale all’aperto, riunioni giudiziarie e amministrative. A fianco della Chiesa Vecchia c’è il cimitero degli alpinisti. La storia ci dice che, il 22 luglio 1872, Ferdinand Imseng di Saas, ma residente a Macugnaga, con una guida e un portatore condusse tre inglesi alla vetta della Dufour direttamente da Macugnaga. Da quel momento iniziò un’epoca di grandi ascensioni e, come capita sulle grandi montagne, anche di parecchie tragedie, la prima delle quali causò proprio la scomparsa di Imseng
assieme a un suo cliente, Damiano Marinelli, e alla guida Battista Pedranzini. Un evento che provocò una sollevazione dell’opinione pubblica al punto che furono proibite le ascensioni sul Rosa, ma il provvedimento non venne preso in grande considerazione visto che, cinque anni dopo, venne inaugurata la capanna Marinelli, per aiutare gli scalatori che tentavano le ascensioni dirette da Macugnaga. Nel cimitero, tra le tombe che ospita, molte portano il nome dei “caduti del Rosa”, sfortunati alpinisti che trovarono la morte nel bianco perenne della grande montagna. Un luogo suggestivo, dove spesso sono state intonate struggenti invocazioni al “Signore delle Cime”. Tra lapidi e foto, immagini di corde, piccozze e ramponi ci sono anche delle tombe vuote perché i corpi sono ancora sepolti nel ghiaccio della parete Est e chissà mai se verrà il giorno in cui la montagna consentirà di trovarne le povere spoglie. In qualche caso è passato anche più di mezzo secolo, come quando – nel 2007 – vennero alla luce un femore, alcune costole, un dito e dei brandelli di abiti che, l’esame del Dna, attribuì ad Ettore Zapparoli, alpinista, scrittore e musicista, scomparso sul Rosa nell’agosto del 1951 durante un’ascensione solitaria e nonostante le ricerche, mai ritrovato. Ora anche lui, come tanti, riposa nel vecchio cimitero, sotto il portichetto dove una lapide ricorda i soci defunti del Gruppo italiano scrittori di montagna, del quale Zapparoli era membro. Un sonno eterno, quello dell’ “unico vero alpinista solitario” – come lo definì il grande alpinista Emilio Comici, proprio davanti all’imponente incanto della Est, la parete più alta delle Alpi, con le sue insidiose rocce, i seracchi e i ripidi pendii di neve.


E’ stato eretto anche un bel monumento al personaggio di legno, opera degli artigiani locali fratelli Bertaina. Nella pace del cimitero comunale, l’artistica tomba dello “zio di Pinocchio” è vegliata dal burattino che piange
Il grande disegnatore scelse a Vernante la seconda compagna della sua vita, la signora Martini Margherita, ed il luogo in cui dedicarsi al lavoro artistico e trascorrere gli ultimi anni della sua vita, dal 1944 al 1954. Formatosi all’Accademia Albertina di Torino, già da studente Mussino collaborò con alcuni giornali satirici come La Luna e Il Fischietto. Lungo quasi mezzo secolo fu il rapporto con il Corriere dei Piccoli : a partire dal primo numero, pubblicato nel dicembre del 1908, fino al 1954 (anno della sua morte). Il suo lavoro più celebre, tuttavia, è rappresentato dalle illustrazioni delle collodiane “Avventure di Pinocchio”nell’edizione del 1911 edita dalla fiorentina Bemporad . Con i disegni di Attilio, come usava firmarsi, Pinocchio affrontò per la prima volta il colore e andò ben oltre i limiti in cui l’avevano confinato i primi due illustratori, Enrico Mazzanti e Carlo Chiostri. Mussino portò il burattino di Carlo Collodi dentro la grande illustrazione europea del Novecento, al punto che la sua edizione sarà la più ristampata e venduta in assoluto e, per molti versi, resterà ineguagliata. Vernante, dove è stato eretto anche un bel monumento a Pinocchio, opera degli artigiani locali fratelli Bertaina, gli ha intitolato – oltre al museo – anche la Scuola Elementare e i giardinetti pubblici. Non a caso, nella pace del cimitero comunale, l’artistica tomba dello “zio di Pinocchio” è vegliata dal burattino che piange.
Alessandro Volta, tra i più famosi fisici della storia, studioso e inventore molto prolifico che si applicò soprattutto allo studio dei fenomeni elettrici. Infatti, quella che viene comunemente chiamata la “
melmoso dell’acqua, Volta vide salire a galla e poi svanire nell’aria bollicine gassose. Incuriosito, racchiuse il gas all’interno di provette di vetro e incominciò a studiarne le proprietà e scoprì che poteva essere incendiato, sia per mezzo di una candela accesa, sia mediante una scarica elettrica(
grandi vantaggi e, già nella prima metà dell’Ottocento, l’illuminazione a gas divenne comune in molte città americane ed europee, a tal punto da modificare gli stili di vita dei cittadini: le strade, ben illuminate anche di sera, scoraggiarono i malintenzionati, la gente usciva anche di sera i luoghi d’incontro e cambiavano anche i costumi. Nel febbraio del 1822 il gas fece la sua prima apparizione a Torino, in piazza San Carlo, nel caffè del sig. Gianotti ( quello che oggi è il Caffè San Carlo) ma solo vent’anni dopo venne impiegato nell’illuminazione delle strade cittadine. Nel 1837, Carlo Alberto, autorizzò François Reymondon, architetto di Grenoble, e Hippolyte Gautier, ingegnere di Lione a costruire il gasometro di Porta Nuova e due anni dopo un nuovo tipo di illuminazione a gas entrò in funzione con 100 fiamme che divennero 1600 nel 1840. Le cronache dell’epoca raccontano che, nell’ottobre del 1846, “fra l’entusiasmo della popolazione, furono illuminate le contrade Dora Grossa e Nuova” e, poco dopo, anche le vie Po e Santa Teresa, piazza Castello, piazza San Carlo e piazza Vittorio. E tutto questo, in qualche misura, trovò origine anche da quella “nativa aria infiammabile di palude” che il Volta scoprì tra i canneti dell’isolotto sul lago Maggiore.