DAL LAZIO
La donna ha cercato di rianimarlo tentando di farlo respirare, ma vedendo che il bimbo di poco più di un mese non si riprendeva, ha chiamato il 118. Per il neonato non c’era nulla da fare. Il fatto è avvenuto ieri a Tor San Lorenzo, località balneare vicino a Roma, in un complesso di edifici in preda al degrado. Il neonato non era con la madre, al momento irrintracciabile perché pare fosse fuggita in Francia alcuni giorni fa, ma con una donna romena di 63 anni alla quale la donna lo aveva affidato. La morte sarebbe avvenuta per cause naturali, il medico legale non avrebbe riscontrato segni di violenza. Il decesso potrebbe essere stato causato da un rigurgito, il soffocamento o una patologia che non era stata diagnosticata. E’ stata comunque disposta l’autopsia.
Svolta democratica in Libia?
FOCUS INTERNAZIONALE di Filippo Re
Da leader indiscusso di mezza Libia a uomo forte di tutto il Paese nordafricano, riunito sotto la sua autorità. Non l’ha mai nascosto, il suo grande obiettivo è quello di comandare le forze armate libiche unificate
La campagna militare lanciata dal feldmaresciallo della Cirenaica Khalifa Haftar all’inizio dell’anno per la conquista del sud-ovest libico non incontra quasi resistenza e candida il generale al ruolo di nuovo padrone della Libia. Mentre i carri armati di Haftar avanzano tra le dune del deserto del Fezzan, protetti dai raid dell’aviazione, il suo rivale Al Sarraj ha poteri e margini di manovra sempre più ristretti. Le speranze di normalizzare la Libia, sconvolta da otto anni di anarchia e guerra civile, corrono su due binari molto distanti tra loro, sul piano diplomatico e su quello militare. Mentre si cerca freneticamente un accordo per stabilizzare la Libia, il generale Haftar st conquistando con il suo esercito personale quasi tutto il Paese e al prossimo vertice potrà trattare da una posizione di assoluta forza. Resta invece ben poco spazio per le ambizioni del premier di Tripoli nonchè presidente del “Governo di accordo nazionale” Fayez al Sarraj, spinto sempre più nell’angolo dall’uomo forte della Cirenaica e, a questo punto, di quasi tutta la Libia. Khalifa Haftar comandante dell’Esercito nazionale libico e il premier di Tripoli Sarraj hanno raggiunto un accordo ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi, per indire elezioni generali in Libia. I prossimi passi della “road map” dell’Onu per la Libia dovrebbero essere una “Conferenza nazionale” di riconciliazione, prevista per fine marzo,una sorta di grande Assemblea libica per far ripartire il dialogo politico e uscire dal caos attuale. Sarebbe questo, secondo Ghassam Salamè, l’inviato speciale dell’Onu, il processo necessario per arrivare a una nuova Costituzione, a una nuova legge elettorale e ad elezioni parlamentari e presidenziali. Haftar è in netto vantaggio sul debole Sarraj, che controlla solo Tripoli ma nella stessa capitale è in difficoltà per la presenza di numerose milizie che non riesce a sottomettere. Ma Sarraj è pur sempre il leader di un governo voluto dalle Nazioni Unite nel tentativo, finora fallito, di stabilizzare la Libia che dal 2011 non conosce pace. Ma se manca l’intesa Haftar-Sarraj non si va da nessuna parte, ripetono i negoziatori. La stabilizzazione della Libia passa soprattutto attraverso il rilancio economico di un Paese ricco di petrolio e gas e al rafforzamento di organismi vitali come la Banca Centrale e la Compagnia nazionale per il petrolio (Noc). All’incontro di Abu Dhabi era presente il presidente della Noc, Mustafa Senalla, che sta negoziando la riapertura dei campi petroliferi di Sharara, uno dei giacimenti più importante della Libia (300.000 barili di petrolio al giorno) passato di recente sotto il controllo di milizie alleate ad Haftar. La Noc aveva chiesto, già alcuni mesi fa, la chiusura di Sharara dopo le proteste dei dipendenti, sostenuti da gruppi armati, che avanzavano richieste economiche alla compagnia petrolifera. Negli Emirati la Noc avrebbe raggiunto un accordo di massima ma non è chiaro quando i campi saranno riaperti e quando potranno riprendere la produzione. L’Esercito nazionale libico di Haftar ha anche annunciato di aver assunto il controllo dell’importante giacimento libico El Feel gestito dall’ Eni al 33% (produce oltre 70.000 barili di petrolio al giorno) insieme alla Compagnia petrolifera nazionale libica (Noc). Mentre la diplomazia avanza faticosamente sulla strada indicata dall’Onu, le forze armate cirenaiche proseguono la loro cavalcata nel deserto del Fezzan (oltre 600.000 chilometri quadrati di territorio nella regione sud-occidentale) occupando le città meridionali di Sabha e Ubari, e portando dalla loro parte quasi l’80% del territorio libico. Una nuova Libia pacificata e unificata sarebbe determinante per allontanare i gruppi di terroristi che nell’attuale disordine generale trovano terreno fertile per espandersi. Il pericolo è rappresentato da alcune migliaia di miliziani fuggiti dalle zone del defunto Califfato proprio in Libia e nei Paesi del Sahel. La minaccia terroristica è sempre presente nel Paese nordafricano. Da anni, sia l’Isis che “Al Qaeda nel Magreb islamico” (Aqmi), l’ex Gruppo salafita per la predicazione e il
combattimento (Gspc) nato in Algeria durante la guerra civile anni Novanta e poi diventato Aqmi nel 2005, dispongono di basi e campi di addestramento e trovano rifugi sicuri nel deserto. La cacciata dei combattenti di Al Baghdadi da Sirte quasi tre anni fa e le offensive di Haftar in Cirenaica non hanno espulso del tutto la presenza dei jihadisti dal Paese maghrebino. Al Qaeda in realtà non ha mai abbandonato la Libia. Gruppi estremisti erano presenti in Cirenaica già negli anni Novanta uniti nel Gruppo Combattente Islamico Libico, successivamente confluiti in Al Qaeda. Dopo essere stati cacciati dalle zone costiere, da Sirte, Sabrata e Derna, i movimenti jihadisti si sono trasferiti a sud in zone non controllate da nessuno come tra le dune del Sahara dove non è difficile riorganizzarsi per l’assenza di militari e di autorità. Mentre l’Isis aveva stabilito le basi a sud di Sirte, i qaedisti si sono rifugiati nel Fezzan al confine con il Niger speculando sul traffico di armi e sul transito di migranti diretti a nord. Negli ultimi anni la Libia è diventata un vero e proprio laboratorio di terroristi, anche grazie agli ingenti aiuti finanziari inviati dal Qatar alle organizzazioni islamiste. A metà febbraio gli americani hanno bombardato postazioni di Al Qaeda a Ubari, città nel sud-ovest del Paese, presa di recente da Haftar. Il raid è avvenuto nei pressi del giacimento petrolifero di Sharara, il più grande del sud della Libia, controllato al 30 % dalla francese Total. Alla fine del 2018 invece il Comando militare degli Stati Uniti in Africa (Africom), in coordinamento con il governo libico, aveva colpito con missili un campo di addestramento vicino ad Al Uwaynat, in Libia, uccidendo undici membri di “Al Qaeda nel Maghreb islamico” (Aqmi).
Intanto, dal suo rifugio tra le montagne al confine tra Pakistan e Afghanistan il giovane Hamza, figlio di Bin Laden, ritenuto l’erede di suo padre e di Al Zawahiri alla guida di Al Qaida, esalta il jihad nel Levante e nel Maghreb e invoca una nuova “Internazionale del terrore” sul modello di quella creata dal padre Osama alla fine degli anni Novanta. Nel Fezzan, terra di nessuno e terra oggi di conquista da parte di Haftar, è di nuovo operativo il nuovo comando logistico dei qaedisti maghrebini.
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Dal settimanale “La Voce e il Tempo”
VOCI DAL SILENZIO

COMPLESSO MONUMENTALE DELLA PILOTTA
Voltoni del Guazzatoio Piazzale della Pilotta 15 – Parma
Con una modalità nuova, basata sulla condivisione di un linguaggio artistico che si fa portatore di contenuti educativi e di altro valore sociale, la mostra spalanca una porta su un tema purtroppo di forte attualità: l’omicidio di genere, meglio conosciuto come femminicidio. L’arte in questo caso si fa strumento affinché l’onda emotiva generata dal tema sia utile e si trasformi in azioni concrete, non esaurendosi nelle reazioni istintive di sdegno e condanna.
Diego Testolin, disegnatore di identikit e analista della scena del crimine della Polizia scientifica del Triveneto, scava in vicende umane che la sua vita professionale gli ha posto di fronte, rileggendo la realtà con sguardo intimo e atteggiamento rispettoso, nell’intento di restituire attraverso le sue tele, quell’umanità e quella dignità estetica che la brutalità dell’uomo ha strappato via. Ecco quindi che alcune figure femminili prese dall’iconografia artistica del passato vengono rivisitate in chiave moderna secondo il principio di bellezza assoluta e spirituale, diventando portatrici di un messaggio di speranza: “la bellezza salverà il mondo”.
Parte integrante della mostra, la videostallazione Il silenzio del dolore, di e con Elena Ruzza. Il cortometraggio, presentato al 36° Torino Film Festival e tratto da una storia realmente accaduta, restituisce il punto di vista umano e professionale di Katia Ferraguzzi, poliziotta della Squadra Mobile e psicoterapeuta, che porterà con sé per sempre il ricordo degli occhi di un bambino che, suo malgrado, ha assistito al “femminicidio” della madre da parte del padre.
Il progetto è promosso da Legal@rte Onlus, associazione che nasce dalla volontà di un gruppo di appartenenti alla Polizia di Stato, con lo scopo di promuovere la legalità attraverso gli strumenti che la cultura mette a disposizione, nell’intima ambizione di contribuire alla nascita di nuove resilienze.
FOCUS INTERNAZIONALE di Filippo Re
Bombe jihadiste contro i cristiani, contro il dialogo, gli accordi di pace e le riforme. Dall’Egitto dei copti alle cattoliche Filippine non c’è pace per i cristiani uccisi e terrorizzati dagli estremisti islamici da un continente all’altro. Ancora sangue che scorre dentro e fuori le cattedrali. Il bersaglio è ancora una volta la comunità cristiana con le sue chiese. Nelle lontane Filippine, uno dei pochissimi Stati asiatici a maggioranza cristiana, i jihadisti hanno voluto colpire gli accordi di pace firmati tra il governo e i separatisti musulmani dopo decenni di guerriglia e ancora una volta, per dimostrare il loro disprezzo contro le fede cristiana, si sono scagliati contro le chiese, bersagli facili da attaccare perchè poco protetti e affollati di fedeli.
L’obiettivo dichiarato dei terroristi è di creare uno Stato islamico nel Mindanao occidentale e fondare in seguito un Sultanato panislamico in tutto il sud est asiatico governato dalla sharia e in stretto contatto con i gruppi jihadisti mediorientali. Bombe e kamikaze hanno dilaniato una ventina di fedeli dentro la cattedrale di Nostra Signora del Monte Carmelo, sull’isola di Jolo, nella provincia di Sulu, nelle Filippine meridionali, che in passato aveva già subito due attacchi, e un altro ordigno è esploso nel parcheggio vicino causando una nuova strage. Complessivamente una ventina di morti e quasi 100 feriti. Jolo City è stata per anni presa di mira dai terroristi che hanno attaccato villaggi e città, prendendo in ostaggio i civili per poi decapitarli. Diversi gruppi islamisti operano da tempo sull’isola diventata la roccaforte di Abu Sayyaf, l’ex gruppo qaedista che conta migliaia di combattenti jihadisti.
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L’attentato contro la chiesa di Jolo è solo l’ultimo di una lunga scia di sangue che ha colpito le Filippine con decine di migliaia di vittime. Abu Sayaff è il movimento più spietato tra le varie milizie islamiste del sud con decine di rapimenti sia di filippini che di stranieri, tra cui sacerdoti e operai. Alcuni anni fa le sirene del califfo iracheno hanno raggiunto l’estremo oriente contagiando anche Abu Sayaff che si è trasformato nel braccio armato dell’Isis nell’arcipelago. I sospetti sull’attentato si sono concentrati inizialmente su un lungo elenco di sigle e di formazioni islamiste in grado di lanciare assalti che, oltre ad Abu Sayyaf, comprendono il gruppo Maute, Ansar Kalifah, separatisti e ribelli. L’attacco è avvenuto a poche ore dal referendum sulla regione autonoma, a maggioranza musulmana, di Bangsamoro (la Nazione dei Moro), nell’isola di Mindanao, in cui hanno prevalso i “sì” all’autonomia negoziata con il governo centrale. In sostanza, nascerà la regione autonoma di Bangsamoro nel Mindanao musulmano al posto della vecchia regione autonoma considerata troppo dipendente dal governo e accusata di corruzione. Un esito positivo che fa ben sperare per il futuro e che dovrebbe porre fine a 50 anni di scontri armati e guerriglia tra l’esercito di Manila e i gruppi islamici separatisti. Una guerra civile che ha causato oltre 150.000 vittime mettendo in ginocchio il sud delle Filippine. Putroppo però il risultato della consultazione è stato bocciato proprio nella provincia di Sulu, nel Mindanao musulmano, dove si trova Jolo. Qui le tensioni restano perchè ha vinto il “no” alla nuova Regione sostenuto fortemente da Abu Sayyaf e da altri movimenti ribelli in lotta contro il Fronte islamico Moro che ha invece firmato l’accordo sull’autonomia con il governo e dovrà gestire la politica della nuova Regione che si occuperà di questioni fiscali e amministative lasciando al governo la sicurezza nazionale e la politica estera. La nuova entità politica ha però suscitato il malumore delle altre etnie musulmane, favorevoli piuttosto a una soluzione federale, mentre la comunità cattolica di Mindanao ha espresso sostegno al progetto autonomista definendolo “un’occasione concreta per raggiungere una pace durevole a Mindanao”.
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L’isola di Mindanao è un bastione del gruppo islamista Abu Sayyaf che fa parte della lista nera degli Stati Uniti come organizzazione terrorista accusata di gravi e sanguinosi attentati tra cui l’assalto a un traghetto nel porto di Manila che nel 2004 provocò 116 vittime. Sulla matrice anti-cristiana dell’attentato non sembrano esserci dubbi. Le vittime sono state uccise per la loro religione. Ormai da parecchi anni nella regione musulmana di Mindanao i cristiani subiscono terribili attacchi da parte degli estremisti islamici di Abu Sayyaf affiliati all’Isis. Oltre l’80% della popolazione delle Filippine è di fede cattolica e solo il 5% è di religione islamica, concentrata soprattutto nel sud delle Filippine. Dura condanna della violenza e vicinanza alla popolazione del sud è stata espressa dai vescovi cattolici delle Filippine che hanno definito il grave fatto di sangue un vero atto di terrorismo. La maggior parte delle vittime è composta da persone che ogni domenica si recavano alla messa delle otto di mattina e sul fatto che si tratti di un attentato anticristiano non ci sono dubbi. Nei suoi rapporti sulla libertà religiosa nel mondo l’associazione “Aiuto alla Chiesa che Soffre” ha più volte denunciato che nella regione a maggioranza islamica di Mindanao i cristiani subiscono da anni sanguinosi attacchi da parte degli estremisti islamici di Abu Sayaf affiliati ad Isis. “Siamo però sicuri, scrive l’Acs, che nessun attacco. né violenza anticristiana potrà mai sradicare la fede dal cuore dei cattolici”.
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Dal settimanale “La Voce e il Tempo”
DALLA LOMBARDIA
Un ragazzo di 25 anni è rimasto gravemente ferito dopo essere stato investito da un treno. Il giovane, sudamericano, ha attraversato i binari, questa mattina nella stazione ferroviaria di Castronno, nel varesotto. Non si sarebbe accorto del convoglio in arrivo e ha continuato a camminare sulle rotaie. E’ stato portato in serie condizioni all’ ospedale di Varese.
A Matera, sfruttando gli anfratti naturali, in maniera sempre più sistematica, l’uomo si insinua all’interno del banco calcarenitico giungendo a plasmarlo. Così facendo arriva a conferirgli la forma più consona rispetto alla destinazione d’uso prescelta. Questo lavorìo ottenuto “per via di levare” viene svolto prevalentemente all’interno. Pertanto, nel caso di edifici adibiti al culto, la corrispondenza degli elementi artistico-architettonici caratterizzanti la tipologia edilizia è rispettata. Contrapposto al lavoro di scultura degli interni, all’esterno si procede “per via di porre”. Tanto nel caso più semplice, tompagnando l’apertura naturale della cavità, quanto in quello più complesso, elevando veri e propri corpi di fabbrica esterni. La commistione di queste due tecniche edilizie fa di Matera uno scenario fuori dal comune, sia in senso architettonico che paesaggistico. Il sito è stato riconosciuto di interesse mondiale date le caratteristiche geo-morfologiche del suo territorio in cui ancora oggi sopravvivono tracce materiali delle capacità tecniche dell’uomo che nel corso dei millenni ha adattato il banco calcarenitico alle sue esigenze.
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Nei secoli IX-X, Matera, già contesa da Bizantini, Longobardi e Saraceni e logorata da battaglie, saccheggi e assedi, assistette all’insediamento delle comunità monastiche, provenienti dalla dalla Sicilia musulmana.La Basilicata e Matera non furono così innovate nel loro abituale sistema di

DALLA LOMBARDIA
Sono quattro gli italiani in stato di fermo, accusati di avere ucciso e murato in una cavità nascosta da una parete un albanese scomparso da Genova nel 2013 e i cui corpo è stato scoperto il 15 gennaio 2019 in appartamento nei pressi di Monza. Secondo procura e carabinieri l’uomo sarebbe stato assassinato per ritorsione per un furto di preziosi alla sua ex compagna e perché ha interrotto una relazione sentimentale con la donna, amica di uno degli indagati. Il proprietario dell’abitazione è risultato estraneo ai fatti.
“Il giardinaggio è un’attività che ho imparato nella mia giovinezza quando ero infelice. Forse devo ai fiori l’essere diventato un pittore” scriveva uno dei padri dell’Impressionismo, Claude Monet, rivelando una passione per la natura, per i giardini e per i fiori che fu al centro dei suoi dipinti e che lo accompagnò per tutta la vita.
Nel 1890, il pittore francese, dopo essere riuscito a conquistare una certa sicurezza economica, acquistò una casa a Giverny, un piccolo villaggio agricolo dell’Alta Normandia, dove aveva vissuto, fin dal 1883, con la moglie Camille, prematuramente scomparsa, e con i figli. L’amore di Monet per Giverny era nato quasi per caso, vedendo questa località dal finestrino del treno che, partendo dalla Gare de Saint Lazare, percorreva la campagna francese fino ad Argenteuil. Fu in questo luogo di pace che Claude Monet potè realizzare un giardino fiabesco e tele di immensa poesia come i pannelli delle “Ninfee”, l’ultima fatica della sua esistenza, donate dall’artista al governo francese ed esposte al Museo dell’Orangerie di Parigi. Giverny divenne il luogo dove la fantasia si concretizzò nella realtà e dove la realtà si trasformò in immagine, raggiungendo, attraverso il colore e l’arte, l’immortalità. Claude Monet creò intorno ad una grande casa rosa il Clos Normand, un giardino nel quale mescolò specie innumerevoli di fiori, iris, papaveri, rose, peonie, verbene, campanule, tulipani, narcisi che, ancora oggi, convivono, si intersecano, si fondono in una sorta di disordine ordinato. Accanto ad essi venne collocato anche uno stagno perché potesse ospitare quelle che Proust definì “i fiori sbocciati in cielo”, le ninfee, delicate e tenaci, che sembrano scivolare sullo specchio lacustre e catturare e riflettere la luce in un caleidoscopio di colori. Il giardino, la casa, lo stagno, il
ponticello giapponese divennero la fonte di ispirazione per molti dei quadri che Monet dipinse fino al 1926, anno della sua morte, e il luogo incantato che aveva creato a Giverny fu il suo locus amoenus, il suo rifugio ma, al tempo stesso, rappresentò un tormento per la difficoltà, anche causata da una malattia agli occhi, di riprodurre sulla tela in modo per lui soddisfacente quello che lo circondava, in particolare le ninfee che sembravano inafferrabili, incoglibili. L’ossessione per la luce aveva accompagnato Monet fin dalla realizzazione delle sue prime opere tanto da spingerlo a dipingere lo stesso
soggetto in ore diverse della giornata, tentando di cogliere i modi diversi con i quali la luce lo illuminava, ora cruda e tagliente, ora morbida e ovattata, ora debole e fioca ed erano nate così le serie: i covoni, le cattedrali, i pioppi, le falesie, le ninfee dove sono soltanto i colori a mutare in un lotta disperata contro il tempo per fermare l’attimo come se l’occhio del pittore potesse diventare simile all’obiettivo di una macchina fotografica che imprigiona ed eternizza il soggetto in uno spazio temporale ben definito. A Giverny questo bisogno di fissare sulla tela ciò che vedeva divenne ancora più forte tanto da spingere l’artista a dipingere tutto il giorno e a sognare di dipingere durante la notte. Riferendosi ai dipinti delle Ninfee, Monet scrisse: “Non dormo più per colpa loro. Di notte sono
continuamente ossessionato da ciò che sto cercando di realizzare. Mi alzo rotto dalla fatica […] dipingere è così difficile e torturante. L’autunno scorso ho bruciato sei tele insieme con le foglie morte del giardino. Ce né abbastanza per disperarsi. Ma non vorrei morire prima di aver detto tutto quel che avevo da dire; o almeno aver tentato. E i miei giorni sono contati”. L’insoddisfazione accompagnò Claude Monet fino alla morte. Questo artista visionario, infatti, non riuscì mai a fissare il mondo che si presentava davanti ai suoi occhi e trascorse la vita a cercare di fermare un’impressione, ad attendere il “domani”, il giorno nel quale sarebbe riuscito a dipingere il suo quadro più bello.
Barbara Castellaro
ON. BRAMBILLA: “GRAZIE ALL’ ITALIA DAL GRANDE CUORE ANIMALISTA”
Per due domeniche consecutive “Dalla parte degli animali” – la trasmissione ideata e condotta dall’on. Michela Vittoria Brambilla, in onda alle 10,50 su Rete 4 – è stata ancora “regina degli ascolti”, la più seguita della rete Mediaset, ottenendo lo share più alto dell’intera giornata (compresa la programmazione serale) e con una media di contatti pari a 2 milioni di telespettatori a puntata. Un risultato straordinario con un trend di ascolti in costante crescita settimana dopo settimana. “L’Italia – commenta l’on. Brambilla – è un paese animalista. Coloro che amano e rispettano gli animali sono la maggioranza, quindi mi aspettavo questi risultati. Ringrazio tutti i telespettatori che fedelmente ci seguono e i tantissimi che si offrono di adottare i trovatelli a quattro zampe presentati durante la trasmissione. Sono doppiamente felice, perché, non soltanto regaliamo loro il calore di una famiglia, ma diffondiamo un messaggio importantissimo di amore e rispetto per tutti gli animali”. Il dato di ascolti premia una vera e propria novità nel panorama televisivo italiano: “Dalla parte degli animali”, giunta alla terza edizione, è la prima trasmissione che non si limita a parlare di animali ma cerca loro una casa. Si avvale di un mezzo potente come la televisione per dare impulso alle adozioni, contribuire a ridurre le ricadute negative del randagismo e a diffondere la cultura del possesso responsabile, oltre ad una nuova coscienza di amore e rispetto per tutti gli animali, indipendentemente dalla loro specie. L’autorevolezza di Michela Vittoria Brambilla, che non è solo una giornalista alla conduzione, ma direttamente interprete della difesa degli animali e dei loro diritti in Italia, nonché riferimento da decenni per il mondo delle onlus ambientaliste ed animaliste, ha certamente contribuito al successo della trasmissione. Una trasmissione che parla di amore, tra l’uomo e i nostri piccoli amici, raccontato dalla voce dei protagonisti delle tante storie di Dalla parte degli Animali”, che vedono protagonisti cani e gatti, ma anche cavalli, asinelli, pecore, caprette, maialini e persino un gallo. Del resto, sono centinaia di migliaia gli animali che nei rifugi italiani attendono solo una nuova chance e molti di più vivono una vita di sofferenze come randagi. Da una cascina della Brianza, trasformata in studio, l’on. Brambilla presenta ad ogni puntata nuovi video di trovatelli, girati in tutto il Paese, introduce servizi sulle strutture che li ospitano e sui volontari che se ne prendono cura, li propone in adozione e consegna direttamente alle famiglie adottanti il nuovo amico: un buon esempio per chiunque voglia regalare una nuova possibilità a un quattrozampe sfortunato, perché “l’amore non si compra”, come spesso ricorda la paladina degli animali. Una formula vincente dato che la quasi totalità dei trovatelli fino ad oggi presentati ha trovato una nuova famiglia. I numerosi servizi che integrano le puntate sono occasioni per promuovere importanti messaggi animalisti: contro la caccia, le pellicce, gli allevamenti intensivi, la promozione di uno stile di vita Veg e la tutela di tutti gli animali. I cavalli, gli agnelli e i maialini proposti in adozione o presentati tra le braccia dei loro proprietari (molti vip) al pari degli animali da compagnia permettono a Michela Vittoria Brambilla di riaffermare una volta di più quella che é da sempre la sua filosofia: gli animali sono i nostri compagni, i nostri amici, e gli amici non si mangiano. Dalla parte degli Animali anche il titolo dell’ultimo libro di Michela Vittoria Brambilla (Mondadori) in cui sono raccolte le storie più commoventi presentate nella trasmissione e raccontate in prima persona dai protagonisti a 4 zampe. Dalla parte degli Animali è un programma a cura di Carlo Gorla e Lucia Bucolo, con la regia di Lorenzo Annunziata, in collaborazione con la Lega Italiana Difesa Animali e Ambiente (LEIDAA).