Dall Italia e dal Mondo- Pagina 36

Il genovese che fu pascià, il calabrese che fu ammiraglio

FOCUS INTERNAZIONALE / STORIA  di Filippo Re

Sono almeno due gli italiani che hanno fatto grande l’Impero della Mezzaluna. Da nord a sud, da Genova a Isola di Capo Rizzuto. Il nobile di origine genovese Scipione Cicala e il calabrese Giovanni Dionigi Galeni. Diventeranno Sinan Kapudan pascià e Uluc Alì pascià, detto anche Occhialì. Entrambi catturati dai corsari barbareschi entreranno nella storia e nella leggenda del Cinquecento come celebri ammiragli della flotta ottomana. Un genovese è diventato un famoso pascià e un calabrese ha guidato la flotta della Mezzaluna nientemeno che alla battaglia di Lepanto. Entrambi furono rapiti nelle acque del Mediterraneo dai corsari turchi. Portati a Costantinopoli e convertiti all’Islam servirono il sultano per il resto della loro vita. Schiavi fortunati ma che vita avventurosa e straordinaria…Il giovane Scipione Cicala, raggiunta la capitale sul Bosforo, rinnegò la sua fede (è costretto a farlo), venne educato e istruito nel Serraglio e diventò in poco tempo il favorito di Solimano il Magnifico, di cui sposa due nipoti, e soprattutto di suo figlio, il sultano Selim II. Entrato nelle grazie del Gran Signore fece una gloriosa e rapida carriera fino a diventare il potente ammiraglio Sinan Kapudan Pascià, comandante delle forze navali ottomane, a cui Fabrizio De Andrè ha dedicato una nota canzone, non certo per osannarlo ma anzi per denigrarlo. Il Cicala infatti si sarebbe subito arreso al nemico senza combattere, comportandosi come un codardo. Nella primavera del 1561 il corsaro Visconte Cicala salpò dalla Sicilia con il giovane figlio Scipione con destinazione la Spagna di Filippo II ma il viaggio durò poco. Ambedue furono catturati dalle galee turche e portati prima a Tripoli e poi a Costantinopoli, in dono al sultano. Nella capitale imperiale sul Bosforo il padre fu rinchiuso nella fortezza-prigione delle Sette Torri in cui morì tre anni più tardi mentre il figlio Scipione entrò nel palazzo sultaniale ma, prima, fu costretto a convertirsi all’Islam. Educato alle leggi, alla religione e alle arti militari ottomane Scipione combattè nella lunga guerra contro i persiani e fu nominato beylerbey (governatore generale) e capo dei giannizzeri, il celebre corpo militare ottomano. Al comando di una flotta corsara compì nel 1595 violente incursioni nell’Italia meridionale, particolarmente in Calabria e a Napoli. Per i suoi meriti venne nominato Kapudan pascià, ovvero Grand’Ammiraglio della flotta turca e poco dopo diventò addirittura gran visir (seconda carica dell’Impero) sotto il regno di Maometto III, anche se solo per quaranta giorni. Scipione Cicala usò però metodi troppo forti e violenti contro i nemici interni ed esterni, come i Tartari di Crimea che si erano ribellati. Il malcontento nei suoi confronti dilagò nell’Impero e Scipione venne deposto il 5 dicembre 1596. Ma la sua storia non finì qui perchè fu inviato di nuovo in Italia al comando di una flotta corsara e nel 1604 assunse il comando del fronte orientale per combattere nuovamente contro i persiani. Sconfitto, il rinnegato italiano Cicala dovette ritirarsi e morì durante la marcia di ritorno nel dicembre 1605. Schiavo, corsaro, ammiraglio ottomano fu anche Uluc Alì o Occhialì che in realtà si chiamava Giovanni Dionigi Galeni, un calabrese nato a Le Castella, borgo marinaro, frazione di Isola Capo Rizzuto. Visse nella stessa epoca di Cicala ma è più famoso del genovese. Come Cicala Kapudan pascià anche Occhialì trascorse la sua vita sulle coste e sulle acque del Mediterraneo, un grande mare di antiche civiltà, di commerci, di guerre e battaglie navali. Sfidò i Cavalieri di Malta, combattè a Lepanto contro Gian Andrea Doria riuscendo a distruggere diverse galee cristiane, devastò le coste italiane con incursioni e razzie, dalla Liguria al meridione, e diventò ammiraglio della flotta turca. Fu l’unico tra i capitani turchi a salvare la pelle nella disfatta di Lepanto nel 1571, l’unico comandante della flotta del sultano a tornare incolume a Costantinopoli. Figlio di pescatori e contadini fu rapito all’età di 16 anni dal corsaro Khayr al Din (Barbarossa) nel 1536 sulle spiagge calabresi, vicino a casa sua. Dopo aver passato alcuni anni, forse ben 14 lunghissimi anni, ai remi di una galea come schiavo, si convertì all’islam e iniziò la carriera di corsaro. Divenne bey (governatore) di Algeri e di Tripoli, e cercò addirittura di catturare Emanuele Filiberto di Savoia al largo di Nizza. Dopo Barbarossa e Dragut toccò a lui guidare la flotta ottomana. Nel 1574 riconquistò Tunisi che solo l’anno prima era stata presa dai cristiani. Per premiarlo il sultano Selim II lo nominò ammiraglio della flotta turca, e dopo essersi comportato da eroe a Lepanto, malgrado la sconfitta, ottenne il nome di Kalige-Alì, ovvero Alì la spada o Alì la scimitarra. Si costruì una moschea tutta per lui sul Bosforo che ancora oggi è visitata dai turisti e dagli stessi turchi. Se i calabresi lo hanno quasi dimenticato, la Mezzaluna ha di lui un ricordo più vivo e duraturo.

Per l'eredità investe con l'auto la cognata

DALLA TOSCANA Un idraulico quarantanovenne è stato arrestato dai carabinieri. Ha infatti  investito volutamente la cognata con la sua auto, a Barberino del Mugello. Lei è una pensionata di 65 anni, ora ricoverata all’ospedale di Borgo San Lorenzo (Firenze) e non sarebbe in pericolo di vita. L’aggressione è probabilmente avvenuta per dissapori su  questioni di eredità.

Per l’eredità investe con l’auto la cognata

DALLA TOSCANA Un idraulico quarantanovenne è stato arrestato dai carabinieri. Ha infatti  investito volutamente la cognata con la sua auto, a Barberino del Mugello. Lei è una pensionata di 65 anni, ora ricoverata all’ospedale di Borgo San Lorenzo (Firenze) e non sarebbe in pericolo di vita. L’aggressione è probabilmente avvenuta per dissapori su  questioni di eredità.

Assassinato perché pedofilo? Due arresti

DALLA CALABRIA

E’ possibile si tratti di una vendetta per le tendenze pedofile della vittima. L’omicidio di un uomo di 45 anni, avvenne in un agguato a Vibo Valentia nel  2015: gli spararono mentre stava parcheggiando l’auto. La polizia  questa mattina ha arrestato due persone accusate dell’assassinio. L’uomo potrebbe essere stato ucciso perché avrebbe tentato di adescare uno o più minori vicini a persone che avrebbero successivamente organizzato la vendetta nei suoi confronti.  L’assassinio  e la scoperta delle tendenze pedofile della vittima diedero il via a un’indagine del Commissariato di Vibo Valentia che debellò un giro di pedofilia in cui era coinvolto anche un sacerdote.

Bisogna salvare lo Yemen

FOCUS INTERNAZIONALE  di Filippo Re

Questo straordinario patrimonio viene sistematicamente distrutto dai raid aerei che da quattro anni devastano l’angolo sud-occidentale della penisola arabica

Bisogna salvare lo Yemen, porre fine alla guerra civile, ai lutti e alle sofferenze di decine di migliaia di yemeniti e difendere il grande patrimonio culturale di cui è ricco lo Yemen, fatto di arte, architettura e archeologia. Ma oggi questo straordinario patrimonio viene sistematicamente distrutto dai raid aerei che da quattro anni devastano l’angolo sud-occidentale della penisola arabica. L’accorato appello per proteggere i tesori dell’antica Arabia Felix è stato lanciato da Enzo Ravagnan, direttore dell’Istituto Veneto per i Beni Culturali, intervenendo a un convegno sulla guerra in Yemen presso il Circolo della Stampa di Torino. Ma tutto si è bruscamente interrotto nel marzo 2015 quando la capitale Sana’a fu occupata dai ribelli sciiti Houthi. In quel momento Ravagnan era a Sana’a, dove ha fondato un Centro italo-yemenita che ospita una scuola di restauro, ma con l’aggravarsi della situazione ha dovuto lasciare lo Yemen insieme ai suoi allievi. “Stavamo sistemando la moschea di Sana’a, per la quale eravamo in dirittura d’arrivo coi lavori e la moschea di Al-Ahrafiyya a Taiz, racconta Ravagnan. Già altre volte, in contesti che stavano diventando pericolosi, siamo rimasti lo stesso sul campo ma questa volta la situazione era troppo grave. Non c’erano più le condizioni per restare. Gi Houthi hanno occupato la capitale e di fronte al nostro Istituto hanno piazzato una grossa mitragliatrice, spari e bombe erano a un centinaio di metri dal nostro gruppo. Siano fuggiti dopo i primi bombardamenti”. Renzo Ravagnan, architetto e responsabile dell’Istituto Veneto per i Beni Culturali, racconta la sua storia di fuga dallo Yemen, insieme ad una decina di colleghi italiani. Ravagnan ha messo in piedi a Sana’a un laboratorio di restauro e conservazione e da 15 anni collabora con il ministero della cultura yemenita. In tutti questi anni ha formato decine di giovani yemeniti per la conservazione dei beni culturali. Oltre ad operare in Italia, l’Istituto veneto, con sede a Venezia, è presente anche all’estero come in Terra Santa dove sono stati condotti i restauri alla cappella di Sant’Elena nella Basilica della Natività di Betlemme, al muro crociato della Basilica dell’Annunciazione a Nazareth e alla cappella dell’Invenzione della Croce della Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme. Accordi di collaborazione sono stati firmati con le autorità israeliane anche per interventi di ristrutturazione nella splendida Cittadella crociata di Akko (San Giovanni di Acri). L’Istituto Veneto per i Beni Culturali è già intervenuto nel restauro di altri patrimoni storico-architettonici come la Spianata delle Moschee in Terra Santa dal 1997 al 2009. Il centro italo-yemenita era impegnato in Yemen nella ristrutturazione di due importanti luoghi di culto yemeniti. La Grande Moschea di Sana’a Al Jami al Kabir, risalente al 630 d.C., due anni prima della morte di Maometto, costruita dagli arabi al posto dell’antica cattedrale della capitale, e la moschea di Al Ashrafiyya alle pendici del monte Saber presso la città di Taiz nel sud dello Yemen, eretta alla fine del Trecento. I lavori avrebbero dovuto terminare nell’estate 2015 ma la situazione è precipitata e la missione è rientrata di fretta in Italia. Non era la prima volta che succedeva ma questa volta, con l’aggravarsi della guerra civile, non si poteva più rimanere nel Paese. La maggior parte del lavoro veniva svolto nel centro storico di Sana’a con il restauro di 8000 case con torri antichissime, composte da mattoni cotti al sole, che con il degrado e l’incuria rischiavano di crollare. Un prezioso patrimonio costituito in particolare dalle due moschee in cui l’Istituto di Ravagnan stava lavorando, soprattutto quella di Sana’a con decorazioni antichissime e che durante il restauro ha fatto riemergere sostegni in legno dei primi secoli dopo Cristo. “Abbiamo cercato di mettere in pratica il sogno di Pasolini, ha affermato Ravagnan, nell’antichissimo centro città della capitale yemenita, che Pier Paolo Pasolini nei primi anni Settanta volle difendere dalla selvaggia speculazione edilizia”. La tragedia yemenita continua nonostante le tregue imposte dall’Onu con alterna fortuna. “La speranza è l’ultima a morire ma, credetemi, ha aggiunto Ravagnan, gli yemeniti non vogliono la guerra mentre il loro Paese vive da quattro anni gli effetti di uno scontro geopolitico che va ben oltre i suoi confini”. In Svezia il lodevole inviato dell’Onu per lo Yemen Martin Griffiths è riuscito a far sedere allo stesso tavolo tutti gli attori del conflitto ma il futuro del Paese resta denso di incognite.

Uomo scivola e muore annegato nel canale

DAL TRENTINO ALTO ADIGE

E’ probabilmente scivolato l’ uomo di 89 anni  che è morto annegato dopo essere caduto in un canale a Ora, in Alto Adige. Sarebbe caduto mentre passeggiava, finendo nell’acqua gelida. Sul posto sono giunti  i soccorritori della Croce bianca e i carabinieri, ma hanno solo potuto constatare il decesso.

Lo smartphone del futuro immediato è senza tasti e prese

Lo smartphone del futuro prossimo non solo avrà dispositivi pieghevoli, ma  telefoni con una scocca senza soluzione di continuità, senza  connettori, pulsanti e fori degli altoparlanti. L’azienda cinese Vivo ha illustrato un concept phone innovativo presto disponibile in Europa: Apex 2019  presenta un corpo in vetro “super unibody”, senza cornici e senza foro per la fotocamera frontale, integrata sotto lo schermo come pure  il lettore di impronte digitali, che consente lo sblocco toccando qualsiasi punto. Non sono presenti  tasti fisici, sostituiti dalla tecnologia “Touch Sense” con sensori di pressione. Niente presa Usb: la ricarica e il trasferimento dei file avvengono grazie alla la “MagPort”, ovvero un connettore magnetico. Non esistono neppure i degli speaker, rimpiazzati  da un display – altoparlante con vibrazione dello schermo.

Nelle Filippine l’Isis minaccia la pace

FOCUS INTERNAZIONALE  di Filippo Re

Bombe jihadiste contro i cristiani, contro il dialogo, gli accordi di pace e le riforme. Dall’Egitto dei copti alle cattoliche Filippine non c’è pace per i cristiani uccisi e terrorizzati dagli estremisti islamici da un continente all’altro. Ancora sangue che scorre dentro e fuori le cattedrali. Il bersaglio è ancora una volta la comunità cristiana con le sue chiese. Nelle lontane Filippine, uno dei pochissimi Stati asiatici a maggioranza cristiana, i jihadisti hanno voluto colpire gli accordi di pace firmati tra il governo e i separatisti musulmani dopo decenni di guerriglia e ancora una volta, per dimostrare il loro disprezzo contro le fede cristiana, si sono scagliati contro le chiese, bersagli facili da attaccare perchè poco protetti e affollati di fedeli.

 

L’obiettivo dichiarato dei terroristi è di creare uno Stato islamico nel Mindanao occidentale e fondare in seguito un Sultanato panislamico in tutto il sud est asiatico governato dalla sharia e in stretto contatto con i gruppi jihadisti mediorientali. Bombe e kamikaze hanno dilaniato una ventina di fedeli dentro la cattedrale di Nostra Signora del Monte Carmelo, sull’isola di Jolo, nella provincia di Sulu, nelle Filippine meridionali, che in passato aveva già subito due attacchi, e un altro ordigno è esploso nel parcheggio vicino causando una nuova strage. Complessivamente una ventina di morti e quasi 100 feriti. Jolo City è stata per anni presa di mira dai terroristi che hanno attaccato villaggi e città, prendendo in ostaggio i civili per poi decapitarli. Diversi gruppi islamisti operano da tempo sull’isola diventata la roccaforte di Abu Sayyaf, l’ex gruppo qaedista che conta migliaia di combattenti jihadisti.

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L’attentato contro la chiesa di Jolo è solo l’ultimo di una lunga scia di sangue che ha colpito le Filippine con decine di migliaia di vittime. Abu Sayaff è il movimento più spietato tra le varie milizie islamiste del sud con decine di rapimenti sia di filippini che di stranieri, tra cui sacerdoti e operai. Alcuni anni fa le sirene del califfo iracheno hanno raggiunto l’estremo oriente contagiando anche Abu Sayaff che si è trasformato nel braccio armato dell’Isis nell’arcipelago. I sospetti sull’attentato si sono concentrati inizialmente su un lungo elenco di sigle e di formazioni islamiste in grado di lanciare assalti che, oltre ad Abu Sayyaf, comprendono il gruppo Maute, Ansar Kalifah, separatisti e ribelli. L’attacco è avvenuto a poche ore dal referendum sulla regione autonoma, a maggioranza musulmana, di Bangsamoro (la Nazione dei Moro), nell’isola di Mindanao, in cui hanno prevalso i “sì” all’autonomia negoziata con il governo centrale. In sostanza, nascerà la regione autonoma di Bangsamoro nel Mindanao musulmano al posto della vecchia regione autonoma considerata troppo dipendente dal governo e accusata di corruzione. Un esito positivo che fa ben sperare per il futuro e che dovrebbe porre fine a 50 anni di scontri armati e guerriglia tra l’esercito di Manila e i gruppi islamici separatisti. Una guerra civile che ha causato oltre 150.000 vittime mettendo in ginocchio il sud delle Filippine. Putroppo però il risultato della consultazione è stato bocciato proprio nella provincia di Sulu, nel Mindanao musulmano, dove si trova Jolo. Qui le tensioni restano perchè ha vinto il “no” alla nuova Regione sostenuto fortemente da Abu Sayyaf e da altri movimenti ribelli in lotta contro il Fronte islamico Moro che ha invece firmato l’accordo sull’autonomia con il governo e dovrà gestire la politica della nuova Regione che si occuperà di questioni fiscali e amministative lasciando al governo la sicurezza nazionale e la politica estera. La nuova entità politica ha però suscitato il malumore delle altre etnie musulmane, favorevoli piuttosto a una soluzione federale, mentre la comunità cattolica di Mindanao ha espresso sostegno al progetto autonomista definendolo “un’occasione concreta per raggiungere una pace durevole a Mindanao”.

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L’isola di Mindanao è un bastione del gruppo islamista Abu Sayyaf che fa parte della lista nera degli Stati Uniti come organizzazione terrorista accusata di gravi e sanguinosi attentati tra cui l’assalto a un traghetto nel porto di Manila che nel 2004 provocò 116 vittime. Sulla matrice anti-cristiana dell’attentato non sembrano esserci dubbi. Le vittime sono state uccise per la loro religione. Ormai da parecchi anni nella regione musulmana di Mindanao i cristiani subiscono terribili attacchi da parte degli estremisti islamici di Abu Sayyaf affiliati all’Isis. Oltre l’80% della popolazione delle Filippine è di fede cattolica e solo il 5% è di religione islamica, concentrata soprattutto nel sud delle Filippine. Dura condanna della violenza e vicinanza alla popolazione del sud è stata espressa dai vescovi cattolici delle Filippine che hanno definito il grave fatto di sangue un vero atto di terrorismo. La maggior parte delle vittime è composta da persone che ogni domenica si recavano alla messa delle otto di mattina e sul fatto che si tratti di un attentato anticristiano non ci sono dubbi. Nei suoi rapporti sulla libertà religiosa nel mondo l’associazione “Aiuto alla Chiesa che Soffre” ha più volte denunciato che nella regione a maggioranza islamica di Mindanao i cristiani subiscono da anni sanguinosi attacchi da parte degli estremisti islamici di Abu Sayaf affiliati ad Isis. “Siamo però sicuri, scrive l’Acs, che nessun attacco. né violenza anticristiana potrà mai sradicare la fede dal cuore dei cattolici”.

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Dal settimanale “La Voce e il Tempo”

 

 

 

 

 

WOPART-LUGANO ANNUNCIA L’AVVIO DI UNA COLLABORAZIONE CON BOLOGNA FIERE

WopArt – work on paper fair, la fiera che ogni settembre si svolge a Lugano (Svizzera), dedicata esclusivamente alle opere d’arte su carta, è lieta di annunciare l’avvio di una collaborazione con BolognaFiere

Nata nel 2016 con 37 gallerie, WopArt è cresciuta esponenzialmente, raccogliendo nel 2017 oltre 70 adesioni e nella terza edizione del 2018 94 gallerie provenienti da 14 Paesi del mondo. Oggi WopArt Fair è di fatto la prima fiera internazionale al mondo, per rilevanza e numero di operatori presenti, tra quelle dedicate esclusivamente ai Work on Paper.
 
L’edizione di WopArt Lugano 2019 – in programma dal 19 al 22 settembre – si avvarrà di una collaborazione con il gruppo BolognaFiere Spa.
 
BolognaFiere è tra i principali organizzatori fieristici internazionali (il primo in Italia per fatturato realizzato all’estero) con oltre 80 manifestazioni in Italia e nel mondo. La società ha sviluppato, accanto all’attività in Italia, il business internazionale sui mercati esteri più dinamici con propri eventi leader come COSMOPROF, che ha dato vita a un network espositivo presente oggi a Bologna, Las Vegas, Hong Kong e Mumbai, e la FIERA DEL LIBRO PER RAGAZZI, presente ora anche a New York (New York Right Fair) e a Shanghai con la China Shanghai International Children’s Book Fair (CCBF).

Gruppo BolognaFiere è attivo con numerose Società che realizzano una vasta offerta espositiva e che forniscono servizi specialistici e di promozione, indispensabili alle aziende per affrontare con successo ogni manifestazione fieristica.
 
L’attenzione di BolognaFiere verso WopArt – dice Antonio Bruzzone, Direttore Generale di BolognaFiere – rientra nell’impegno che il nostro gruppo riserva da molto tempo all’arte e alla sua diffusione, anche commerciale. Siamo specialisti nell’internazionalizzazione delle nostre fiere e vorremmo dare un contributo all’espansione di questa manifestazione dedicata alle opere d’arte su carta. Nell’edizione del 2019 attiveremo il nostro know-how tecnico-organizzativo per rendere WopArt adeguata a nuove sfide ma non solo: metteremo a disposizione di WopArt il network di relazioni internazionali che abbiamo costruito negli anni, per farne presto un format da esportare in molti altri Paesi”.
 
Il prof. Paolo Manazza, pittore italiano, esperto d’arte e ideatore del format WopArt, sottolinea “l’importanza di questa collaborazione con il Gruppo BolognaFiere nel segno di una crescita e di un rafforzamento di carattere industriale del progetto fieristico di WopArt nato solo tre anni fa a Lugano”. 
 
Complessivamente – dichiara Manazza – stiamo rinforzando sul piano industriale, finanziario e culturale un format fieristico sull’arte che ha dimostrato nei primi anni di vita una decisa propensione a crescere e diffondersi, in futuro, da Lugano verso altre città del mondo”.
 

www.wopart.ch

Donna muore dopo intervento all’intestino. Aperta inchiesta

DALLA TOSCANA

La procura di Firenze ha aperto una indagine sulla morte di una 54enne, deceduta il 22 gennaio in una casa di cura di Firenze, dove si trovava  per un periodo di degenza post operatoria dopo un intervento chirurgico all’intestino, effettuato  all’ospedale di Careggi. I primi accertamenti dell’autopsia non escluderebbero  responsabilità da parte del personale medico sanitario  che ha seguito la donna nel corso dell’operazione chirurgica e di quello che l’ha curata successivamente. Il fascicolo della procura sarebbe ancora a carico di ignoti.