CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 741

Addio a Mack Smith, il professore che non fu mai maestro

di Pier Franco Quaglieni

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E’ morto a 97 anni Denis Mack Smith celebre storico inglese che si occupò in modo sistematico di storia italiana risorgimentale e contemporanea. Dotato di grandi capacità  divulgative,riuscì ad avvincere il pubblico italiano che ne decretò il successo. Ad introdurlo in Italia fu Benedetto Croce che ne favorì gli studi e le ricerche


Croce aveva fondato l’Istituto italiano di studi storici a Napoli a palazzo Filomarino dove 
il filosofo abitava a Napoli. Una grande scelta a favore dei giovani:in quell’istituto si formò la migliore storiografia italiana del dopoguerra. In quell’ambito ci fu il contatto con Croce che lo introdusse anche presso Vito  Laterza che era l’editore la cui fama fu inizialmente dovuta proprio alla pubblicazione delle opere del  filosofo e storico napoletano. Ebbi modo di  conoscere Mack Smith  a Roma nei primi anni ’70.Me ne offrì l’opportunità, davvero straordinaria per un giovane ancora universitario, Nicolò Carandini che era stato ambasciatore  italiano a Londra dal 1944 al 1946 ed aveva riallacciato i rapporti  tra l’Italia  e l’Inghilterra ancora nel corso della II Guerra Mondiale.
Carandini era stato anche, insieme ad Arrigo Olivetti, editore del “Mondo” ed era uno dei primissimi soci del Centro “Pannunzio” che nella sua fase nascente aiutò molto con il suo prestigio e i suoi contributi economici. Carandini mi presentò Mack Smith che mi apparve il vero gentiluomo anglosasone ,paragonabile come stile,raffinatezza ed equilibrio allo stesso Carandini.
Io ero già in rapporti,sia pure allora molto timidi, con Rosario Romeo ,il grande storico di Cavour,che detestava lo storico inglese che mieteva tra il pubblico italiano molti consensi. Romeo l’aveva liquidato con poche battute,parlando del suo libro su Cavour come di un libello. Una volta mi disse che Mack Smith- che Romeo non considerava uno studioso serio- poteva essere paragonato ad Indro Montanelli. Forse fu troppo severo con l’inglese, anche se il gusto per la semplificazione e per l’aneddoto lo accomunava sicuramente  al giornalista italiano.

 

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Per altri versi, lo storico Ettore Passerin  d’Entrèves di estrazione cattolica (quindi totalmente diverso dallo zio Alessandro che invece era di matrice liberale, aveva insegnato a Londra  ed amava la cultura anglosassone )una volta non mi lasciò neppure finire una frase e mi disse perentorio: Mack Smith non è uno storico,è un semplice divulgatore. Se si confronta la monumentale biografia di Cavour scritta da  Romeo con il libro di Mack Smith sullo statista  si colgono -al di là delle valutazioni soggettive – l’abissale differenza tra la statura di gigante dello storico siciliano e la dimensione modesta dell’inglese che  si occupava di storia italiana senza neppure sfiorare la ricerca storica praticata da Romeo nel corso dei decenni. In un’altra occasione Romeo mi disse che Mack Smith ,forse inizialmente attratto emotivamente dall’Italia come molti inglesi che amavano trascorrervi le vacanze e  certo condizionato dal culto che Garibaldi ebbe nell’isola,era sostanzialmente  un antitaliano. Anche qui, forse, una definizione troppo netta,ma nella sostanza vera e difficilmente confutabile. L’inglese sottovalutò l’opera di Cavour,sopravvalutando Garibaldi. Anzi ,finì di vedere la corruzione politica italiana nel trasformismo spregiudicato,anzi corrotto e corruttore  del Conte.  Finì, più o meno consciamente, di ripetere la vulgata di Gobetti sul fascismo come autobiografia della nazione,individuando un nesso molto forte,anzi fatale, tra i ceti dirigenti risorgimentali e il fascismo. Alda Croce,figlia del filosofo che lo conobbe da vicino,essendo la più diretta collaboratrice del padre, mi disse che Mack  Smith era partito molto bene e poi, via via, finì di “italianizzarsi” nel senso di far propri certi schemi mentali della storiografia nostrana. In un suo libro del 1998 la “Storia manipolata” parlò del vizio-non capitale- di abbellire la storia,ma non fu capace di individuare i torbidi vizi dell’ ideologia insiti nella  storiografia nostrana che considerò  gli schemi gramsciani come oro colato. Raimondo Luraghi, lo storico che aveva a lungo insegnato negli Stati Uniti, disse”
che quando  la  politica  si infiltra nella storiografia è come un’iniezione di cianuro:finisce di ucciderla”. Nulla di paragonabile venne mai scritto da Mack Smith che pure proveniva da un scuola storica anglosassone abituata da sempre a diffidare dalle interpretazioni ideologiche.
Ed in effetti non si può dire che l’inglese avesse una matrice ideologica.

 

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I marxisti gli rimproveravano un eccesso di interesse per le classi dirigenti,per le biografie e un ‘insufficiente attenzione per le classi subalterne e il movimento operaio. C’ è chi lo definì un gran borghese,ma in effetti egli  finì per identificarsi con una  certa borghesia del nostro Paese 
che vive di simpatie e di antipatie,senza adeguati approfondimenti. Non si può certo dire che il suo punto di riferimento fosse la scuola storica liberale,sia pure in senso lato.Forse si può considerare espressione di certo radicalismo che in Italia si è identificato in certi giornali e in certe case editrici,oltre che in certo mondo accademico . Ebbe sicuramente più successo in Italia che non nella madre patria. La sua “Storia d’Italia dal 1861 al 1997”, che sarebbe il suo capolavoro ,era stata scritta per il pubblico inglese  :venne invece pubblicata in Italia  su iniziativa di Laterza nel 1959.
Inutilmente Federico Chabod e Gaetano Salvemini sconsigliarono l’autore di pubblicarla in Italia,senza adeguate revisioni. I lettori italiani decretarono il successo di Mach Smith, gli studiosi ne videro i limiti. C’è chi dice per invidia, anche  se le obiezioni avanzate erano più che fondate proprio sul piano scientifico. Bertrand Russell che ebbe grandi meriti ,ma prese anche molte cantonate,diceva che la storia di una nazione dovrebbe essere scritta da uno straniero perché l’amore per il proprio paese spesso impedisce l’imparzialità. Diceva una cosa sbagliata ,non foss’altro perché l’imparzialità è un’utopia e ciò che si richiede allo storico non è l’umanamente impossibile imparzialità,ma la ricerca costante di quella che a lui,in base alle fonti accertate con il necessario distacco,appare la verità. E ,proprio rispetto  al  durissimo lavoro di ricerca propedeutica alla scrittura l’opera dell’inglese,appariva lacunosa:le fonti apparivano prevalentemente,se non esclusivamente, di seconda mano. Inoltre l’edizione che si ferma al 1997 rivela un altro limite vistoso: Mack Smith non coglieva il  periodo che deve intercorrere tra la cronaca e la ricerca storica ,non potendo lo storico, per evidenti ragioni, essere uno storico del presente.Anche qui un’illusione inconsciamente gobettiana. Per scrivere di storia contemporanea occorre un periodo di sedimentazione critica.In ogni caso, il 1997 non rappresentò nessun momento di svolta,se non quello dell’uscita dell’edizione ampliata dell’opera che l’autore aveva già aggiornato al 1969 che poteva, invece, significare qualcosa,anche se il processo aperto dal’68 non era sicuramente concluso in quell’anno,come dimostreranno gli “anni di piombo”. Gli storici veri colgono i periodi di continuità e di frattura,specie nella storia contemporanea dove i tempi della storia sono fortemente accelerati e quindi più semplici da cogliere rispetto al passato.

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Anche Croce scrisse una Storia d’Italia dal 1871 al 1915.Sarebbe ingeneroso anche solo stabilire un confronto tra le due storie perché Croce attese il 1928 a pubblicare il suo”schizzo di una storia dell’Italia dopo la conseguita unità di Stato”,cogliendo nel 1915 un momento di svolta con l’ingresso dell’Italia nella Grande Guerra,evitando di inoltrarsi oltre perché le vicende belliche e  post-belliche non apparivano  storicizzabili. In Croce c’era il “senso della storia” di cui  parlava Omodeo,in Mach Smith quel senso appare quasi assente.   Lo storico inglese fu ingiusto nei confronti di Vittorio Emanuele II e troppo severo nei confronti di Casa Savoia. Un astio,direi tutto inglese.Al contrario, mise in eccessivo risalto il ruolo di Mazzini,trascurando quello non indifferente di Cattaneo.
Anche la sua biografia di Mussolini,se confrontata all’opera ciclopica di Renzo De Felice,finisce di essere ben poca cosa.De Felice venne accusato dall’inglese di aver eretto “un monumento al Duce” e di aver riabilitato il fascismo,un’accusa che si levò anche  da certi ambienti accademici italiani che si accanirono in modo anche vile nei confronti di quello che oggi appare un Maestro. In sintesi,si può dire che Mach Smith sia stato uno stimato professore di Oxford,ma  che non divenne mai un maestro neppure in patria. E’ del tutto indimostrabile la frase giornalistica che insegnò la storia agli italiani che ho appena letto.L’Encilopedia Treccani lo liquida sette righe. Franco Antonicelli,presentando Mack Smith a Torino, all’Unione Culturale, nel 1972,volle parlare di lui come una sorta di allievo di Croce “che ci aveva insegnato che il titolo di merito di un intellettuale è la ricerca della verità”. Peccato che, in primis, lo stesso Antinicelli che aveva frequentato Croce a Pollone durante le” vacanze operose” si fosse totalmente allontanato dal magistero crociano. Un certo moralismo manicheo fu forse il limite più vistoso dello storico inglese. Morale e politica non possono coincidere , ci insegnava Machiavelli e ci ripeteva Croce. Le regole della politica sono diverse e “distinte ” da quelle dell’etica. Se si crea confusione tra le due sfere anche la storiografia entra in corto circuito e ci impedisce di capire la grandezza politica e anche morale di Cavour del quale, non a caso, Narciso Nada-criticando sia pure indirettamente le tesi Mack Smith e di certa storiografia nostrana- evidenziava “una passione oserei dire furibonda,che in qualche momento lo portò sull’orlo del delirio e addirittura(…) a ventilare propositi di suicidio,secondo i più tipici ed eroici modelli della letteratura romantica”.

 

quaglieni@gmail.com

Da Raffaello a Balla al forte di Bard

 

FINO AL 7 GENNAIO 2018

Bard (Aosta)

Da Raffaello a Balla. Si cavalcano cinque secoli di eccezionale storia dell’arte, visitando la mostra in corso al Forte di Bard ( certamente oggi fra i poli artistico-culturali più interessanti a livello nazionale, e non solo) fino al 7 gennaio del prossimo anno. Datate dal XVI al XX secolo, sono 115 le opere in rassegna concesse in prestito al Forte valdostano dall’Accademia Nazionale di San Luca, una delle più antiche e importanti istituzioni culturali italiane, fondata a Roma da Federico Zuccari nel 1593 e che vanta oggi oltre mille dipinti, trecento sculture, più di cinquemila disegni e stampe e medaglie raccolte nella sede di Palazzo Carpegna attraverso concorsi, doni e lasciti di accademici e collezionisti privati. Curata da Vittorio Sgarbi, Francesco Moschini e Gabriele Accornero, la rassegna è ospitata nelle sette sale delle “Cannoniere” (le più prestigiose dell’antica roccaforte sabauda) seguendo un andamento cronologico attraverso il quale si alternano oli su tela, tavole, bronzi, terrecotte e gessi di notevole interesse storico e artistico appartenenti soprattutto al Sei e Settecento. Mostra grandiosa, per la quantità – mai prima d’ora un corpus tanto ricco di opere aveva lasciato in un sol colpo Palazzo Carpegna – e la

 

“grandezza” dei pezzi esposti, capace di emozionare fin da subito, al via di un percorso che si apre con una replica frammentaria del “Putto reggifestone” (1511-1512) attribuito a Raffaello Sanzio e parte dell’affresco “Il Profeta Isaia”, il più michelangiolesco di Raffaello, commissionato all’Urbinate dal protonotaro apostolico Giovanni Goritz e conservato nella Basilica di Sant’Agostino a Roma. Capolavoro assoluto, insieme ad altri che documentano, fra Toscana e Veneto, i due centri rinascimentali d’eccellenza per quanto riguarda l’arte italiana, con opere del manierista fiorentino – nonché ritrattista ufficiale alla corte di Cosimo I de’ Medici – Agnolo Bronzino e del fiammingo (attivo soprattutto a Firenze) Giambologna, insieme ad altre firmate da Jacopo da Bassano e da Palma il Giovane. Dal Cinquecento al Seicento, il secolo del Barocco è rappresentato in tutto il suo esuberante splendore da opere del Guercino, dall’”Allegoria della Fortuna” con corona in mano, dipinto della maturità (1637) del bolognese Guido Reni e dal possente modello in terracotta per il “Leone” della Fontana dei Quattro Fiumi ( posta al centro di piazza Navona a Roma) realizzata da Gian Lorenzo Bernini nel 1651 su commissione di Papa Innocenzo X. Del Seicento, a Bard si possono ammirare anche capolavori di pittori fiamminghi e olandesi, fra i quali Peter Paul Rubens (“L’Abbondanza coronata dalle Ninfe”) e Anton Van Dyck con la sua simbolica “Vergine con angeli musicanti”, eseguita dal pittore durante uno dei suoi soggiorni romani fra il 1622 e il 1623. Il veneziano Giovan Battista Piazzetta e le splendide vedute archeologiche del piacentino Giovanni Paolo Pannini ben rappresentano la sezione dedicata al Settecento, che si chiude con il bellissimo olio di Angelica Kauffmann (nata in Svizzera, cresciuta in Austria e romana per scelta di vita), “L’Allegoria della speranza” che nel 1763 le spalancò le porte, a soli 23anni, dell’Accademia di San Luca. Sotto il segno del “ritratto” si snoda invece la sezione dell’Ottocento, con dipinti e sculture su cui primeggiano i gessi neoclassici del “nuovo Fidia” Antonio Canova e l’imponente “Atleta Trionfante” di Francesco Hayez, che nel 1859 realizzerà il famoso “Bacio”, conservato a Brera e considerato il manifesto dell’arte romantica italiana. A chiudere la rassegna, opere degli Scapigliati milanesi, da Tranquillo Cremona a Federico Faruffini, insieme a due oli, assai lontani dall’avventura futurista e così “magici” che non smetteresti mai di guardarli del torinese Giacomo Balla: il grande “Contadino” (di stampo divisionista) del 1902 e un intenso “Autoritratto” del 1950, perfino dolente con quella giovane figura femminile riflessa alle spalle che inesorabilmente accentua la distanza con l’immagine gravata dal tempo del vecchio artista.

Gianni Milani

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“I capolavori dell’Accademia Nazionale di San Luca. Da Raffaello a Balla”

Forte di Bard (Aosta), tel. 0125/833811 – www.fortedibard.it

Fino al 7 gennaio 2018

Orari: da mart. a ven. 10/18; sab. e dom. 10/19; dal 31 luglio al 3 settembre, da lun. a dom. 10/21

 

 

 

 

 

Le immagini:

– Raffaello: “Putto reggifestone”, affresco, 1511-1512
– Gian Lorenzo Bernini: “Leone”, terracotta, 1651
– Anton Van Dyck: ” Vergine con angeli musicanti”, olio su tela, 1622-1623
– Angelica Kauffmann: “Allegoria della speranza”, olio su tela, 1763
– Francesco Hayez: “Atleta trionfante”, olio su tela, 1813
– Giacomo Balla: “Autoritratto”, olio su tela, 1950

 

Musica nel Bosco “In taberna”

8° Edizione con l’Ensemble Clerici Vagantes, il Coro FormiChieri diretto da Anna Siccardi ed i performers di CaDanTeanell’allestimento di Franca Dorato con lo spettacolo

Il vino in occidente è stato sempre immortalato nella pittura, nelle pagine della grande letteratura, nelle composizioni musicali sia colte che popolari. Il vino impegna tutti i sensi dell’uomo: la mano che afferra il bicchiere, l’olfatto, il gusto e la vista incantata dal suo colore, ma anche l’udito dell’intenditore che percepisce dallo scorrere dalla bottiglia al calice la sua intrinseca qualità. Non c’è da stupirsi che le arti e il vino abbiano avuto continui incontri, perché il vino non è esclusivamente materia, colore e gusto, ma luminosità e metamorfosi: caraffa, bicchiere, fiotto, effervescenza
ma anche grappolo, paesaggio, gioco, ritmo e musica. Una festa, questo concerto, che percorre brani musicali inerenti al vino e alla danza dal medioevo al rinascimento ed oltre, corredato da letture di aforismi sul vino di ogni epoca. I Clerici Vagantes sono un gruppo fondato con lo scopo di riscoprire il grande patrimonio di musica dal XII al XVI secolo. Il gruppo, il cui organico varia in funzione del repertorio, è formato da musicisti di vasta esperienza professionale che si dedicano alla ricerca, allo studio e all’interpretazione di antiche musiche. Essi si sono specializzati nella prassi esecutiva di strumenti storici presso i più importanti centri di studio internazionali e svolgono un’intensa attività concertistica e didattica. Il loro repertorio spazia dalla tradizione monodica dei canti trobadorici alle più complesse composizioni polifoniche dell’Ars Subtilior e del Cinquecento europeo, con l’intento di restituirne la vitalità anche mediante il recupero della tecnica dell’improvvisazione. I musicisti, che si occupano da decenni della prassi esecutiva medioevale e rinascimentale, fanno uso di strumenti copie fedeli
tratte dall’iconografia e ricostruiti secondo la trattatistica coeva Hanno al loro attivo un grande numero di esecuzioni. Il coro FormiChieri si è costituito in Chieri nel 2014 sotto la guida di Anna Siccardi. E’ una corale polifonica amatoriale che si è già esibita in alcuni concerti proponendo un repertorio diverso
dall’usuale e ottenendo l’apprezzamento del pubblico. La maggior parte dei brani è a carattere profano, con alcune inclusioni di pezzi di argomento religioso. Un repertorio cosmopolita che spazia dal medioevo ai giorni nostri, con armonizzazioni di brani classici o popolari in lingua originale.

CARLO VERDONE ARRIVA IN AUTUNNO PER “PIÙ CINEMA PER TUTTI”

Dal 2 all’11 ottobre al Cinema Massimo

Il prossimo 2 ottobre a Torino sarà l’attore Carlo Verdone a inaugurare la rassegna Più cinema per tuttiun ciclo di proiezioni aperte a tutti, con audio descrizione per non vedenti e sottotitoli per non udenti, che si terrà al Cinema Massimo dal 2 all’11 ottobre.

 

L’iniziativa Più cinema per tutti, sviluppata dall’Associazione Museo Nazionale del Cinema e coordinata da Rosa Canosa, permetterà la fruizione cinematografica in sala da parte di disabili sensoriali, non udenti e non vedenti, attraverso proiezioni accessibili che non intendono essere eventi speciali e “dedicati”, bensì parte integrante della normale programmazione delle sale e rivolte ad un pubblico misto.

 

Carlo Verdone incontrerà il pubblico di Più cinema per tutti nella serata inaugurale di lunedì 2 ottobre al Cinema Massimo e presenterà il suo film Borotalco, primo dei nove titoli del regista e attore romano in programma, di cui sette saranno accessibili anche a persone con disabilità sensoriali.

Sono molto fiero del fatto che l’Associazione Museo Nazionale del Cinema di Torino abbia scelto alcuni dei miei film – commenta Carlo Verdone – per un’iniziativa così lodevole e di grande sensibilità. Nella mia vita ho sempre lavorato per il pubblico, per la gente, e mi riempie di gioia e di orgoglio sapere che tutti, anche persone che hanno qualche piccola difficoltà, potranno vedere alcune delle mie opere. Ringrazio di cuore l’organizzazione di “Più cinema per tutti” per la generosità e l’impegno con cui hanno creato questo evento.

 

Terzo film di Verdone, Borotalco è una storia dove sogni e realtà si confondono e nella quale il personaggio interpretato da Verdone stesso cerca di emergere dal grigiore di una vita piatta e borghese. Un carosello di equivoci dove Sergio (Verdone), imbranato e grigio venditore porta a porta, assume l’identità di un affascinante viveur per far colpo sulla bella Nadia (Eleonora Giorgi). Ma a poco a poco, il vortice delle menzogne sulle quali ha costruito il suo rapporto con Nadia lo porta a non riuscire a liberarsi del personaggio che millanta di essere, con conseguenze tragicomiche.  Un film molto divertente e originale, che Verdone sceneggia e dirige, con una splendida colonna sonora di Lucio Dalla.

 

Il progetto Più cinema per tutti è realizzato con il sostegno della Compagnia di San Paolo nell’ambito dell’edizione 2016 di OPEN, e in collaborazione con Museo Nazionale del Cinema, ANPVI Associazione Nazionale Privi della Vista e Ipovedenti, APIC Associazione Portatori di Impianto Cocleare, APRI Associazione Pro-Retinopatici e Ipovedenti, CPD Consulta per le Persone con Disabilità, ENS Ente Nazionale Sordi, FIADDA Famiglie italiane associate per la difesa dei diritti degli  Audiolesi, Torino + Cultura Accessibile, TVO Tactile Vision Onlus, UICI Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti, Giovani per Torino.

Da Beethoven a Glanert nei concerti del Regio

Una stagione caratterizzata da grandi direttori e solisti di fama internazionale sarà quella della Stagione sinfonico-corale del teatro Regio di Torino 2017-18, che affiancherà e completerà quella lirica e di balletto. Per un totale di tredici appuntamenti, si tratta di un’offerta   comprendente concerti, sinfonie, musica da film, poemi sinfonici, Lieder, un oratorio e una prima italiana, tra cui il Concerto doppio per due pianoforti e orchestra di Detlev Glanert e il nuovo spettacolo di Marco Paolini e Mario Brunello. L’apertura della stagione concertistica sarà affidata al maestro Gianandrea Noseda, sabato 21 ottobre prossimo, sul podio dell’Orchestra del teatro Regio, con in programma la Sinfonia n. 9 in re maggiore di Gustavo Mahler. Si tratta di una partitura imponente, quasi un denso romanzo che contiene un mondo spirituale in sé compiuto, di cui il primo movimento fu definito dall’amico del compositore, Alban Berg, “la cosa più bella che Mahler abbia scritto, l’espressione di un amore inaudito per questa terra”. La Sinfonia n. 9 è la più complessa e trascendentale tra quelle scritte dal compositore boemo. Il 13 novembre sarà la volta della musica del Novecento e il tema quello caro all’Orchestra del teatro Regio, quello dei compositori americani nella storia della musica. In programma ” Un americano a Parigi” di George Gershwin, composto durante il suo soggiorno europeo nel 1928. A dirigere la Filarmonica del teatro Regio il maestro Donato Renzetti. Sabato 25 novembre Marek Janowski, al suo debutto al Regio di Torino, dirigerà l’Orchestra in un programma dedicato all’anima più profonda del Romanticismo tedesco. Di Richard Wagner verranno presentati alcuni estratti sinfonici tratti da “I maestri cantori di Norimberga”, il Preludio all’opera e quello al terzo atto, capaci di esprimere lo spirito sacro dell’arte tedesca,   elemento di coesione nazionale e Weltanshaung dell’opera wagneriana. Sempre di Wagner verrà proposto l’Idillio di Sigfrido, una pagina delicata e commovente che il compositore regalò alla moglie Cosima nell’anno del loro matrimonio. A Wagner verrà accostato Robert Schumann, anima romantica tormentata, di cui sarà eseguita la Sinfonia n. 4.

 

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Il 18 dicembre Timothy Brock dirigerà la Filarmonica nell’esecuzione delle musiche della “Febbre dell’oro” di Charlie Chaplin, uscito come film muto nel 1925, e dallo stesso Chaplin riadattato nel 1942, inserendo una traccia orchestrale e la propria voce come commento sonoro, in sostituzione delle didascalie. Bernstein e Dvorak costituiranno il programma del concerto prenatalizio del 22 dicembre, con Pinchas Steinberg sul podio dell’Orchestra e Coro del teatro Regio. Di Bernstein verrà presentata l’ Ouverture del Candide, operetta scritta nel 1956 con debutto a Broadway, seguita dai “Chichester Psalms”. Di Dvorak verrà eseguita la celeberrima Sinfonia n. 9 “Dal nuovo mondo”. Un programma a sorpresa sarà, invece, quello che il maestro Gianandrea Noseda riserverà al pubblico nel concerto del 22 gennaio 2018, realizzato con il contributo della Fondazione Crt. Strauss sarà il protagonista del concerto in programma il 23 febbraio, diretto sempre dal maestro Noseda, con l’esecuzione delle pagine “Aus italian” e “Don Quixote”, entrambe partiture di elevato virtuosismo da parte dell’orchestra. Gianluca Cascioli e Enrico Pace saranno i pianisti solisti del concerto in programma il 28 febbraio 2018, diretto dal maestro tedesco Karl-Heinz Steffens. Sarà l’occasione per la prima esecuzione italiana del Concerto doppio per due pianoforti e orchestra di Detlev Glanert compositore tedesco classe 1960. Venerdì 30 marzo sarà la volta di un nuovo appuntamento del progetto Mahler, con in programma i suoi Kindertotenlieder e la Sinfonia n.5.

 

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Il 5 aprile a dirigere l’orchestra sarà il maestro Sergey Galaktionov; verranno eseguite le Due invenzioni per archi di Bruno Bettinelli del 1939, il Concerto in re minore per violino e orchestra di Mendelssohn Bartholdy e, a conclusione, il Quartetto n. 14 intitolato ” La morte e la fanciulla” di Schubert, trascritto per orchestra da Mahler. Brahms e Schubert saranno i compositori le cui musiche risuoneranno nel concerto del 27 aprile, con l’atteso ritorno del maestro Michele Mariotti. A conclusione domenica 20 maggio verrà eseguito l’ Elias, composto da Mendelssohn Bartholdy, per la direzione di Pinchas Steinberg, e il 25 e 26 maggio andrà in scena un atteso appuntamento, con il ritorno al Teatro Regio di Marco Paolini e Mario Brunello in un nuovo spettacolo intitolato “#Antropocene”, con la partecipazione anche del rape Frankie hi-nrg-mc. Paolini sarà la voce narrante e Mario Brunello direttore d’orchestra e violoncello solista, in una serata di teatro di narrazione, che vuole essere un viaggio sull’evoluzione umana in ambito tecnologico, indagando il rapporto tra uomo e natura.

 

Mara Martellotta

Tino Aime il piemontese internazionale

di Pier Franco Quaglieni
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E’ mancato  Tino Aime,nato a Cuneo  nel 1931 e residente a Gravere,in valle di Susa, da molti anni. Il suo nome, così  legato al Piemonte, ebbe anche un risalto internazionale.Fu meno noto in Italia,come spesso accade nel nostro Paese che è vittima del pregiudizio del provincialismo. Era un pittore, uno scultore,ma soprattutto fu noto come incisore dalla tecnica raffinata. Non raggiunse i livelli artistici e poetici di Francesco Tabusso che alla montagna ha dedicato tante tele, acquaforti e tempere (Tabusso amava la montagna di Rubiana dove soggiornava d’estate e soprattutto Bardonecchia, lui amante dello sci),ma certamente si tratta di una figura di artista destinata a lasciare il segno non soltanto nei confini regionali.  Non era un pittore di scuola, non frequentò l’Accademia di Belle Arti e questo fatto suscitò una qualche  perplessità in Mario Soldati che era stato amico di Felice Casorati e si era

laureato in storia dell’arte con Lionello Venturi. Fece molti omaggi di opere a Soldati che scrisse una sola volta di lui e che volle regalarmi le opere di Aime che, secondo lui, non potevano stare nella sua casa di Tellaro insieme alle tele di Carlo Levi,Enrico Paulucci ed altri maestri. Così nelle mie case ci sono tante opere di Aime che invece io, meno sofisticato di Soldati, apprezzavo molto. Trovò una profonda consonanza con Mario Rigoni Stern che aveva scritto tanto di montagna e di quella che oggi si chiama” la salvaguardia del territorio”. Paradossalmente Rigoni Stern aveva anticipato tanti temi che oggi sono di estrema attualità,anche se il suo nome è stato dimenticato. Un’altra forte amicizia solidale  di Aime era il poeta dialettale Walter Curreli che pubblicò le sue poesie insieme alle sue incisioni. Un’accoppiata perfetta.Il piemontese era la loro koiné, ma i loro animi e le loro emozioni avevano un valore universale, senza rimanere imbrigliate nelle vallate alpine tanto amate. Un altro che ha dialogato a lungo con Aime è stato Edoardo Ballone,giornalista e sociologo, attento non solo alla gastronomia,ma alle minoranze etniche. Anche Ballone è stato presto dimenticato. L’accademico del Cai Massimo Mila apprezzava molto Aime che resta un personaggio vivo,non incasellabile  criticamente,un artista  sicuramente libero che sentì la vita sobria della montagna anche come anelito di libertà. A Torino, lui cuneese,non viveva bene, sentiva la necessità di tornare spesso a Cuneo,ai luoghi della sua infanzia.Si trovò a suo agio solo quando si trasferì a Gravere. Il suo è stato un lungo impegno artistico iniziato nel 1963 ed è merito della galleria torinese “Fogliato” aver contribuito a farlo conoscere ed apprezzare. Lui sarebbe stato una sorta di “lupo della steppa”, saldamente ancorato ai valori tradizionali della famiglia e della vita semplice dei montanari. La Valle di Susa piange un artista che le ha dato lustro,scegliendo di vivere in un paese sopra Susa ,un comune al riparo dalla notorietà turistica, dove la vita è rimasta cadenzata con i ritmi di un tempo che non c’è più e  che Aime ha trasfigurato nella sua arte semplice,lineare,trasparente come la sua anima. 

quaglieni@gmail.com

L’opera scolpita e il suo disegno

Museo di Arti Decorative Accorsi – Ometto,

Torino  14 luglio – 10 settembre 2017

A quindici anni dalla sua scomparsa e a sei dall’ultima importante personale, la Fondazione Accorsi – Ometto desidera omaggiare lo scultore marchigiano con la rassegna GIO’ POMODORO. L’opera scolpita e il suo disegno (Museo Accorsi – Ometto, 14 luglio – 10 settembre 2017)

In questo nuovo percorso espositivo, realizzato in collaborazione con lo Studio Berman di Giuliana Godio, le sculture dialogano con una ricca selezione di opere pittoriche su carta, per sottolineare l’assoluta importanza che l’artista attribuiva al progetto e all’ideazione, fasi imprescindibili da cui partire per la creazione delle sue opere. 

Il Maestro dava assoluta importanza al progetto della scultura: l’opera disegnata (il progetto, appunto), sia concepita a mano libera, in totale libertà segnica, sia rigorosamente progettata a tecnigrafo, secondo le leggi della Sezione Aurea, è sempre stata, per lo scultore, un momento indissolubile della propria ricerca, tanto da divenire opera a sé stante, che vive di vita propria per l’alta qualità pittorica che contraddistingue il lavoro di Gio’ Pomodoro pittore.

57 capolavori in mostra, coprendo il periodo 1954 – 2001, offrono, pertanto, un esaustivo esempio di opere tri e bidimensionali dei cicli più importanti del Maestro (segni, tensioni, contatti, soli e opere architettoniche): accanto a 23 sculture in bronzo, marmo e pietra, sono esposti 30 disegni (alcuni dei quali inediti), fra i quali spicca il grande acquerello intitolato Nutritore, che rappresenta un maestoso Sole, di due metri per due.

Completano il percorso espositivo 4 preziose scatole-scultura, anch’esse inedite, in oro e pietre dure, a testimonianza del lavoro di Gio’ Pomodoro nel campo delle arti applicate e dell’oreficeria.

Rivoli, ecco la collezione Cerruti

Un importante accordo, siglato da Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea e Fondazione Francesco Federico Cerruti per l’Arte, conferisce al primo museo dell’Arte Contemporanea italiano la cura, lo studio, la valorizzazione e la gestione di una straordinaria collezione sconosciuta ai più restituendo in tal modo alla collettività un patrimonio inestimabile, frutto della vita discreta e riservata di Francesco Federico Cerruti (Genova, 1922 – Torino, 2015), imprenditore e collezionista scomparso nel 2015 all’età di 93 anni.

Un progetto ambizioso che prevede la ristrutturazione e la messa in sicurezza della villa che lo stesso Cerruti aveva fatto costruire a Rivoli, a pochi passi dal Castello, per custodire le sue opere e che diventerà nel gennaio 2019 la sede della Collezione Cerruti.

 

Quasi trecento opere scultoree e pittoriche che spaziano dal medioevo al contemporaneo, a cui si aggiungono quasi duecento libri rari e antichi, legatorie, fondi d’oro, e più di trecento mobili e arredi tra i quali tappeti e scrittoi di celebri ebanisti: un viaggio nella storia dell’arte, dai mobili alle arti antiche, dal Rinascimento all’Ottocento fino alla modernità, per una collezione privata di altissimo pregio, difficilmente paragonabile ad altre in Europa e nel mondo. Capolavori che vanno dalle opere di Segno di Bonaventura, Bernardo Daddi e Pontormo a quelle di Renoir, Modigliani, Kandinsky, Klee, Boccioni, Balla e Magritte, per arrivare a Bacon, Burri, Warhol, De Dominicis e Paolini. Una collezione iniziata a metà degli anni Cinquanta del secolo scorso che va vista nella sua interezza com’era nei desideri dello stesso Cerruti che, dopo una vita spesa a custodire gelosamente i suoi capolavori, affida ai posteri il compito di farla scoprire nella sua bellezza e complessità. Nello statuto della Fondazione, Cerruti ha scritto esplicitamente come avesse “deciso di volgere a beneficio della collettività nazionale e internazionale” la sua Collezione nell’auspicio “di poter perpetuare i valori che lo avevano animato, nonché il senso di mecenatismo, così da contribuire a rendere la Collezione Cerruti realtà sempre viva e motore di crescita culturale”.

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Andreina Cerruti, Presidente della Fondazione Francesco Federico Cerruti per l’Arte, afferma: “Siamo felici che il sogno di Francesco Federico, di poter vedere la sua casa collezione aperta al pubblico, possa oggi avverarsi grazie all’unione con il Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea. Questa iniziativa del Museo di Rivoli e della nostra Fondazione apre al mondo la straordinaria collezione d’arte di mio fratello – aprire al mondo così diceva e voleva lui –. La collezione è anche un racconto di vita, il dischiudersi della propria vita nel linguaggio esclusivo che è proprio dell’arte e della poesia”.

Antonella Parigi, Assessora alla Cultura e Turismo Regione Piemonte, dichiara: “Si tratta di un accordo inedito e di grandissimo rilievo, che dimostra l’impegno della Regione Piemonte nell’ambito dell’arte e quanto il Castello di Rivoli si stia affermando sempre di più come un centro culturale di assoluta importanza, capace di dialogare efficacemente con numerosi soggetti e istituzioni. In questo contesto, la collaborazione con la Fondazione Francesco Federico Cerruti per l’Arte rappresenta un risultato straordinario, che restituirà alla collettività un patrimonio di immenso valore, nonché la testimonianza del punto di vista di un grande amante dell’arte. Il nostro lavoro, al fianco delle istituzioni coinvolte, proseguirà quindi per garantire la valorizzazione della Collezione e, grazie anche alla riapertura della villa rivolese di Francesco Federico Cerruti, amplierà l’offerta culturale e artistica del nostro territorio”.

Il Castello di Rivoli, primo luogo di interscambio tra arte contemporanea e sperimentazione di nuovi linguaggi, vuole dimostrare proprio attraverso questa importante collaborazione che conferisce la gestione della Collezione e della casa al Museo, come sia possibile e fruttuoso il dialogo fra l’arte contemporanea e il suo passato. Questo importante lascito, come dice il direttore del Castello di Rivoli nonché della Fondazione stessa, Carolyn Christov-Bakargiev, sarà “un motore di creatività per il Museo, in un dialogo inedito tra antico e contemporaneo, attraverso programmi educativi, artistici e curatoriali. Dietro a questa straordinaria collezione c’è la figura ideale di un amante dell’arte come Francesco Federico Cerruti, un uomo discreto e riservato, poco incline alla rumorosità del mondo che ricercava nel silenzio del suo museo privato il trasalimento e lo stupore dinanzi all’enigma della creazione artistica. Pur frequentando la casa di Rivoli e curandone la disposizione delle opere e degli arredi in un equilibrio che facesse convivere la prossimità e la lontananza delle opere, Cerruti scelse di non abitarvi, continuando a vivere in un alloggio semplice nei pressi della sua fabbrica LIT (Legatoria Industriale Torinese) a Torino. La sensibilità e la generosità del collezionista Cerruti, la trama nascosta della sua passione sono ora parte integrante del nuovo polo museale, unico nello scenario italiano e internazionale, uno spazio straordinario che sarà aperto al pubblico con visite guidate e che vedrà la partecipazione di artisti, scrittori, filosofi, storici dell’arte, filmmaker, impegnati in un dialogo serrato per cogliere la voce nascosta, le sfumature, le vibrazioni che si celano nelle pieghe dell’arte capace di accogliere l’eredità del passato, il suo respiro, il suo ritmo e di collocarli nel cuore pulsante del tempo presente. Nella nostra era digitale, innovativa, tecnologica ma proiettata all’archiviazione acritica del passato, i musei enciclopedici come il Metropolitan a New York, l’Hermitage a San Pietroburgo e il Louvre a Parigi aprono sezioni dedicate all’arte contemporanea; il Castello di Rivoli sceglie un percorso diverso – nella consapevolezza del legame ineludibile tra le opere del passato e del presente, di un cammino come quello dell’arte che è oltrepassamento di ogni soglia spazio temporale – e vuole essere il primo museo d’arte contemporanea al mondo che, grazie a questo accordo, apre una sezione dedicata all’arte del passato”.

Francesco Federico Cerruti, la sua vita e la sua collezione, sono il tema dell’incontro tenutosi oggi al Castello di Rivoli per presentare questa straordinaria figura e il nuovo corso del Museo.

Inaugurato il 18 dicembre 1984, il Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea è ospitato all’interno di una Reggia Sabauda progettata dall’architetto Filippo Juvarra. Nel 1960 il Castello è inserito in un programma per il restauro dei monumenti più rappresentativi dell’area piemontese e nel 1967 si inizia il lavoro di recupero. Nel 1979, su incarico della Regione Piemonte, l’architetto Andrea Bruno inizia i lavori di restauro. Dal 1997 il Castello di Rivoli è iscritto nella lista del Patrimonio Mondiale dell’Umanità dall’UNESCO. Quando nel 2000 anche la Manica Lunga restaurata apre al pubblico, tutto l’edificio torna a rivivere. Il Castello di Rivoli raccoglie una prestigiosa collezione di opere dal secondo dopoguerra ad oggi e al suo interno è conservata una delle più importanti raccolte di Arte povera al mondo.

Oggi al cinema

LE TRAME DEI FILM NELLE SALE DI TORINO

A cura di Elio Rabbione

 

Le Ardenne – Oltre i confini dell’amore – Drammatico. Regia di Robin Pront, con Jeroen Perceval, Kevin Janssens e Veerle Baetens. Film belga candidato all’Oscar 2017, opera prima. Dave scampa a una rapina finita male, suo fratello Kenneth no, sarà lui ad essere arrestato e a farsi quattro anni di galera. L’unica cosa che lo sostiene è uscire di lì per poter ritrovare Sylvie: ma che farà quando vedrà che il fratello e la ragazzo hanno iniziato una vita insieme? Durata 96 minuti. (F.lli Marx sala Harpo)

 

Aspettando il re – Commedia drammatica. Regia di Tom Tykwer, con Tom Hanks e Tom Skerritt. Periodo non felice per Alan Clay (ha appena divorziato dalla moglie, è senza casa e non ha il becco di un quattrino per pagare la retta della scuola della figlia, rischia persino il lavoro se non porterà a casa in grosso contratto) è inviato dalla sua società di informatica in Arabia Saudita per ottenere l’appalto dei servizi telematici nella città che si sta costruendo nel deserto. La burocrazia temporaggia e il sovrano imprenditore si fa attendere. Alan avrà così tutto il tempo per fare un bilancio della propria esistenza. Durata 98 minuti. (Greenwich sala 2)

 

Baywatch – Commedia. Regia di Seth Gordon, con Zac Efron e Dwayne Johnson. Al cinema i vecchi quanto gloriosi telefilm con il divo David Hasselhoff e la procace Pamela Anderson (dal ’93 al 2001 sui teleschermi di casa nostra), tra sole e spiagge, muscoli e bikini ridotti, avventure e indagini in cui cui si misurano Mitch, capitano dei lidi di Santa Monica, e le giovani reclute alle sue dipendenze. Durata 116 minuti. (Uci)

 

Bedevil – Non installarla – Regia di Abel e Buriee Vang, con Saxon Sharbino. Mai si dovrebbe scaricare sul proprio smartphone l’app “Bedevil”: cinque ragazzi subiranno tutte le conseguenze delle loro scelte. (Massaua, The Space, Uci)

 

Civiltà perduta – Avventura. Regia di James Gray, con Charlie Hunnam, Robert Pattinson e Sienna Miller. L’autore mai troppo lodato di film intimisti o immersi in un ambiente noir ottimamente descritto come “I padroni della notte” e “Two lovers” si affida oggi ad un diverso genere cinematografico, quello dell’avventura, ma anche qui quell’”avventura” che mina allo stesso tempo il corpo e la mente. La storia di Percival Fawcett, ufficiale di carriera britannico, che all’inizio del Novecento ha l’incarico dalla Società Geografica Reale di recarsi al confine tra Brasile e Bolivia per effettuale importanti rilievi cartografici. La società, la famiglia, le difficoltà, la malattia, l’ossessione della ricerca di una città perduta, tutto contribuisce a rendere un ritratto e un film forse d’altri tempi ma comunque autentico, avvincente, degno della storia di un regista che amiamo. Durata 141 minuti. (Ambrosio sala 2, Eliseo Blu, Uci)

 

Codice criminale – Drammatico. Regia di Adam Smith, con Michael Fassbender e Brendan Gleeson. Uno sguardo sulla comunità dei nomadi irlandesi, ormai per la maggiorate del tempo stanziali se non fosse per certi ordini a lasciare le piazze occupate, visti i disordini e i furti che i loro soggiorni portano con sé. Il vecchio Colby, capo riconosciuto della comunità, deve fare i conti con la decisione del figlio Chad di cambiar vita, considerando anche il cambio di vita che si vorrebbe prospettare alle generazioni future. Il tutto nella lotta continua tra un padre e un figlio, tra chi vorrebbe mantenere ben ferme certe tradizioni e un comportamento di vita del tutto discutibile e chi sente ancora saldi quei rapporti di affetti e di complicità che inviluppano du persone delle stesso strettissimo sangue. Durata 99 minuti. (Massaua, Lux sala 1)

 

2:22 – Il destino è già scritto – Thriller. Regia di Paul Currie, con Michael Huisman e Teresa Palmer. Il controllore del traffico aereo Dylan Boyd si ritrova a veder ripetere strani eventi che sempre eguali a se stessi culminano alle 2:22 in punto alla stazione ferroviaria di New York. Tutti quei fatti prendono il via da un significativo accadimento avvenuto sul luogo di lavoro, ovvero la collisione tra due aerei turistici evitata all’ultimo momento. Tra coloro scampati all’incidente Sarah, una bellissima ragazzata cui Dylan si sente attratto. Durata 99 minuti. (Massaua, Greenwich sala 3, Ideal, The Space, Uci)

 

Lady Macbeth – Drammatico. Regia di William Oldroyd, con Florence Pugh, Christopher Fairbank e Cosmo Jarvis. Una delle opere più belle e convincenti viste all’ultimo Torino Film Festival, che fortunatamente la distribuzione di Teodora ha portato nelle sale. Ricavandone la vicenda dal romanzo “Lady Macbeth nel distretto di Mtsensk” scritto dal russo Nikolaj Leskov e portato poi nel mondo lirico da Shostakovich, qui trasportata da quei panorami alle brughiere dell’Inghilterra del 1865, la diciassettenne Katherine è costretta dalla volontà del padre a un matrimonio senza amore con un uomo più anziano di lei, che non la desidera e apertamente la trascura. Soffocata dalle rigide norme sociali dell’epoca, all’allontanamento del marito per questioni di lavoro, inizierà una relazione clandestina con un giovane stalliere alle dipendenze del marito, ma l’ossessione amorosa la spingerà in una spirale di violenza dalle conseguenze sconvolgenti, nell’eliminazione di chiunque voglia cancellare quella passione. L’autore è un giovane, trentasettenne, drammaturgo che ambienta la sua storia nel chiuso opprimente nelle stanze del grande palazzo, con pochissime concessioni all’esterno, scavando appieno ed egregiamente nei tanti caratteri, in specialmente in quello della sua protagonista, anti-eroina perfettamente lucida e sanguinaria. Durata 89 minuti. (Nazionale sala 1)

 

Maryland – Drammatico. Regia di Alice Winocour, con Matthias Schoenaerts, Diane Kruger e Paul Hamy. Vincent è un soldato francese delle Forze Speciali appena tornato dall’Afghanistan, affetto da un disturbo da stress post-traumatico. È stato assunto per garantire la sicurezza di Jessie, la moglie di un ricco uomo d’affari libanese nella lussuosa villa a “Maryland”. Mentre inizia a provare uno strano fascino per la donna che deve proteggere, Vincent sembra vedere sempre più in paranoia. A meno che non si stia sbagliando e il pericolo sia davvero reale. Durata 100 minuti. (Classico)

 

La mummia – Avventuroso. Regia di Alex Kurtzman, con Tom Cruise, Russell Crowe, Sofia Boutella e Annabelle Wallis. Nell’antichità, una principessa egizia in odore di divenire faraone fino al giorno in cui il padre ebbe generato il figlio maschio: grande ecatombe e vendetta della suddetta ma anche vendetta dei dignitari di corte che la seppelliscono viva e la trasportano in una sontuosa tomba al centro del lontano territorio persiano. Nei tempi nostri, la sempre suddetta principessa Ahmanet si risveglia tra gli sconquassi delle guerre orientali e porta distruzione sino a Londra, tra pugnali e pietre preziose e riti che coinvolgono l’appassito e rintontito ex eroe Tom Cruise che per stare a galla dello star system è costretto ancora una volta a ingarbugliarsi nelle sue solite mission impossible, in una lotta tra bene e male che cerca di nobilitarne il personaggio di soldato fanfarone e truffaldino. Il bello (si fa per dire) della storia affidata per il 99% alle dinamiche dei computer e per il restante all’espressività degli attori è di prendere la decisione sul finale di tener aperta la porta di un sequel che se ancora interesserà il pubblico potrà riempire un’altra volta le tasche di divo e divette. Durata 107 minuti. (Massaua, Ideal, The Space, Uci)

 

Nerve – Azione. Regia di Henry Joost e Ariel Schulman, con Juliette Lewis, Emma Roberts e Dave Franco. Il titolo del film si ricollega ad un gioco, uno di quei giochi clandestini che spopolano su Internet, cui quasi per scommessa s’affida la giovane e problematica Vee. Imprese che mettono alla prova il tuo coraggio e cascate di dollari in caso di vittoria. All’inizia tutto sembra indicare la vittoria finale ma man mano che la sfida prosegue non tutto ha l’odore del successo. Durata 96 minuti. (Reposi, The Space, Uci)

 

Parigi può attendere – Commedia drammatica. Regia di Eleanor Coppola, con Diane Lane, Arnaud Viard e Alec Baldwin. L’americana Anne accetta un passaggio in macchina da Cannes a Parigi da parte di un socio in affari del marito, troppo preso dal suo lavoro: con il suo nuovo accompagnatore la donna trascorrerà giornate da ricordare, scoprirà ancora una volta (finalmente) luoghi da sogno, non rinuncerà alle tentazioni della buona cucina. Opera prima della ottantenne moglie di Francis Ford Coppola, alle spalle un esclusivo passato di documentarista. Durata 102 minuti. (Nazionale sala 2)

 

Parliamo delle mie donne – Commedia drammatica. Regia di Claude Lelouch, con Johnny Hallyday e Sandrine Bonnaire. Il regista francese (com’è lontano il ’66 quando apparve sulla ribalta internazionale del successo con “Un uomo, una donna”) viaggia da decenni con le sue stelle comete della vita e dell’amore, dell’amicizia, dei piccoli e grandi tradimenti, con gli amori che si ritrovano, della famiglia, tra immagini sontuose e sceneggiature che gironzolano qua e là disseminando sentenze. Prendere o lasciare: ma “Les una et les autres” – “Bolero” da noi” – non si dimentica. Lelouch continua la sua filosofia di vita in questo secolo ormai più che avviato, questa volta radunando, grazie all’amico medico Frédéric, attorno alla tavola del fotoreporter Jacques Kaminsky – un rispolverato Hallyday -, eclissatosi tra i bellissimi panorami delle Alpi, le quattro figlie avuto parecchio distrattamente da altrettante diverse unioni. Il film è del 2014, arriva oggi qui da noi, un’occasione anche per chi ha (persino) dimenticato il nome di Lelouch o chi non lo ha mai scoperto. Durata 124 minuti. (Ambrosio sala 3, F.lli Marx sala Groucho)

 

Pirati dei Caraibi: La vendetta di Salazar – Avventura. Ragia di Joachim Ronning e Espen Sandberg, con Johnny Depp, Javier Bardem, Orlando Bloom e Geoffrey Rush. Cambio di regia e quinto episodio per Jack Sparrow e le sue avventure attraverso i mari, questa volta alle prese con la ricerca di un tridente magico che ha il potere, per chi ne viene in possesso, di assicurargli il comando dell’oceano e di fare piazza puliti di precedenti incantesimi. Se la dovrà vedere contro una squadraccia di letali marinai fantasma fuggiti dal Triangolo del Diavolo e guidati dall’orripilante Capitano Salazar e dovrà chiedere l’aiuto di un’affascinante astronoma e e di un ardimentoso quanto giovane marinaio. Durata 129 minuti. (Massaua, Ideal, Reposi, The Space, Uci)

 

Spider-Man: Homecoming – Fantasy. Regia di Jon Watts, con Tom Holland, Michael Keaton, Marisa Tomei e Robert Downwy jr. Ancora un’avventura per il giovane Peter Parker, che questa volta ha il volto del ventunenne Tom Holland – anche sugli schermo come spirito intraprendente e avventuriero e figlio del viaggiatore Fawcett in “Civiltà perduta” -, dopo quelli di Tobey Maguire e Andrew Garfield. Ancora la ricerca di un perfetto equilibrio nella vita quotidiana, con l’aiuto del miliardario Iron Man, sempre a mezza strada tra lo studente liceale in mezzo alle strade di New York e la maschera rossoblù del supereroe, una ricerca continua fino a che si profila all’orizzonte la figura del nuovo nemico da sconfiggere: l’avvoltoio. Durata 130 minuti. (Massaua, Centrale V.O., Grenwich sala 1, Ideal, Lux sala 2, Reposi, The Space anche in 3D, Uci anche in 3D e V.O.)

 

Transformers – L’ultimo cavaliere – Fantasy. Regia di Michael Bay, con Mark Wahrlberg, Stanley Tucci e Anthony Hopkins. L’origine degli alieni e della loro presenza nel nostro mondo sta ben ancorata nel tempo di Re Artù, dei Cavalieri della Tavola Rotonda e di Mago Merlino che ha nascosto nella propria tomba un segreto di cui l’uomo di oggi dovrà venire a conoscenza se vorrà salvare il mondo da creature non poco pericolose. Poi, oggi, ci sono i transformers, coloro pronti a mutarsi in mostruose automobili o in robot altrettanto terrificanti, una colonia di alieni in cui si nascondono buoni e cattivi che l’uomo dovrà comunque conoscere sino in fondo. Durata 150 minuti. (Massaua, Grenwich sala 2, Ideal, Reposi, The Space, Uci)

 

Il tuo ultimo sguardo – Drammatico. Regia di Sean Penn, con Charlize Theron, Jean Reno e Javier Bardem. La storia d’amore tra il dottor Miguel Leon, un medico impegnato in una missione di aiuto umanitario, e la dottoressa Wren Petersen, direttrice di una organizzazione umanitaria. Sullo sfondo di una Liberia devastata dalla guerra, Miguel e Wren dovranno trovare il metodo per mantenere vivo il loro rapporto in condizioni estremamente difficili e affrontare anche il problema che le loro opinioni per risolvere il conflitto che li circonda sono diametralmente opposte. Durata 130 minuti. (Eliseo Grande, Reposi)

 

Tutto quello che vuoi – Commedia. Regia di Francesco Bruni, con Giuliano Montaldo, Donatella Finocchiaro e Andrea Carpenzano. Tratto liberamente dal romanzo “Poco più di niente” di Cosimo Calamini, è la storia del giovane Alessandro, romano di Trastevere, che vive le proprie giornate tra il bar, lo spaccio e l’amante che è la madre di un suo amico. Sarà l’incontro con un “non più giovane” poeta dimenticato a fargli riassaporare socialmente e culturalmente il gusto per la vita, in un bel rapporto che si va a poco a poco costruendo, senza lasciarsi alle spalle tutta la rabbia e quella speranza che i due si portano inevitabilmente appresso. Durata 106 minuti. (Eliseo Rosso, Greenwich sala 3)

 

Una doppia verità – Thriller. Regia di Courtney Hunt, con Keanu Reeves, Jim Belushi e Renée Zellweger. L’avvocato Ramsey ha deciso di difendere il giovane Mike dall’accusa di aver ucciso il padre. Ma il verdetto sembra già scritto, il ragazzo è stato trovato accanto al cadavere con un coltello in mano e ora si trincera dietro un silenzio assoluto. Nuove prove, interrogatori, assolute certezze, la reticenza di una vedova, depistaggi, ambigui personaggi, depistaggi, le regole di quelle storie ambientate in un’aula di tribunale più che rispettate: ma forse quello che appare è ben lontano dalla verità. Diretto dall’autrice dell’indimenticabile “Frozen River” girato otto anni fa. Durata 93 minuti. (Lux sala 3)

 

Wonder Woman – Fantasy. Regia di Patty Jenkins, con Chris Pine e Gal Gadot. La principessa amazzone Diana passa dalle spiagge dell’isola di Themyscira al conflitto della Prima Guerra mondiale che sta distruggendo l’Europa. Tratto dal fumetto di William Marston. Durata 141 minuti. (Massaua, Uci)

 

Il ritorno di Kappa FuturFestival

L’8 e 9 luglio dalle 12,00 alle 24,00 al Parco Dora di Torino torna per la sesta edizione Kappa FuturFestival – Torino Summer Music Festival: l’unica rassegna di settore in Italia, unitamente a Movement Festival, a ricevere il patrocinio della Commissione Europea negli anni 2016 e 2017. Il format di musica elettronica e arti digitali outdoor, estivo e 100% diurno è il solo festival dedicato alla musica dance presente nella classifica SIAE – top al Botteghino 2016, con oltre 40mila spettatori registrati lo scorso anno.

Il Festival si svolgerà su 3 palchi coinvolgendo 45 artisti tra i più importanti della scena internazionale, tra i quali Fatboy Slim, Paul Kalkbrenner e Carl Cox. In scaletta anche 21 musicisti italiani, di cui 15 torinesi. Si stimano 36.000 presenze, di cui circa 7.500 provenienti da 48 paesi.