redazione il torinese

“ELEGGIAMO PRIMA DI NATALE IL NUOVO SEGRETARIO REGIONALE DEL PD”

Il Presidente del Gruppo Pd in Consiglio regionale

“Non perdiamo tempo per eleggere il nuovo Segretario Regionale del Partito Democratico. L’esito delle Primarie per eleggere il nuovo Segretario Regionale del PD ci consegna una situazione nella quale i tre candidati, Mauro Marino (41,52%), Paolo Furia (35,97%) e Monica Canalis (22,51%) non hanno superato la soglia del 50% dei voti. Per regolamento, l’elezione avverrà in Assemblea Regionale con voto segreto. Il Partito non può attendere oltre il periodo natalizio. Non possiamo permetterci di rinviare l’Assemblea all’anno nuovo perché il rischio è quello di arrivare con grande ritardo rispetto all’organizzazione delle campagne elettorali per le Europee, per le Regionali e per le Amministrative 2019.Siamo stati per troppi mesi senza Segretario, non possiamo attendere ancora. Dal mio punto di vista di Capogruppo in Consiglio regionale ritengo necessario che questo vuoto venga colmato in tempi strettissimi”.

Domenico Ravetti

Capogruppo PD

Consiglio Regionale

Palazzo Lascaris, nuove leggi per un Piemonte moderno

Il Consiglio regionale, in tutta la legislatura e anche nell’ultimo anno, ha realizzato un deciso rinnovamento e una forte semplificazione del corpus giuridico subalpino

Lo ha fatto intervenendo su quasi tutte le materie, nell’ambito dell’esercizio della propria potestà normativa, anche grazie al lavoro assiduo dell’Aula e dei consiglieri di maggioranza e opposizione: sotto la guida oggi di Nino Boeti e prima di Mauro Laus, l’Assemblea ha registrato nei cinque anni percentuali di presenza in Aula molto alte da parte dei consiglieri. “Una legislatura contraddistinta da un’elevata produttività e da una significativa presenza da parte di tutti i consiglieri regionali, superiore all’85%. Mai si era registrato un così alto numero di presenze. Non solo, maggioranza e opposizione hanno lavorato nel reciproco rispetto e con senso di responsabilità, anche nei momenti di confronto più acceso”, dichiara il presidente Boeti. Che aggiunge: “Finalmente è finita l’epoca in cui si parlava solo di risparmi, di tagli, di scontrini. Il Consiglio regionale in questi anni ha lavorato all’insegna della sobrietà e della trasparenza e ora è una macchina efficiente che deve essere potenziata e valorizzata, a partire dalle risorse umane, dai funzionari e dipendenti che ogni giorno dimostrano di lavorare con passione e competenza”. Con oltre 1.200 sedute di Commissione (302 nel 2018) e 372 dell’Assemblea legislativa (82 nel 2018), il Consiglio regionale ha operato profonde riforme. Nella sintesi si trova un elenco più completo: qui ricordiamo la nuova legge per l’eccellenza artigiana e quella per le Comunità energetiche; la legge di contrasto all’usura e al sovraindebitamento e quella contro bullismo e cyberbullismo. Ma anche la nuova disciplina di bed and breakfast, case vacanze e ostelli, nonché il nuovo Piano paesaggistico regionale (Ppr). Rinnovati anche gli strumenti di contrasto all’inquinamento luminoso e il sistema integrato dei rifiuti e i relativi strumenti di pianificazione.
Da non dimenticare anche la norma di contrasto alla violenza di genere e per il patrocinio legale alle donne vittime di violenza e maltrattamenti e ai Centri Antiviolenza con case rifugio.
Si sta lavorando a semplificare l’intera materia dell’agricoltura (abrogate 32 vecchie leggi) ed è conclusa quella della cultura, con l’eliminazione di 31 norme previgenti.
In tema di sanità nella legislatura sono stati approvati l’utilizzo di farmaci cannabinoidi per finalità terapeutiche, la diffusione delle tecniche di rianimazione pediatrica e il contrasto e prevenzione dell’endometriosi. Dopo l’uscita dal piano di rientro, c’è stato il recepimento del piano nazionale cronicità e del piano di salute mentale, approvato in Commissione e in attesa di definitiva adozione.

I numeri di Aula e Commissioni

Grande produttività da parte dei consiglieri, si diceva, ma anche la Giunta, che chiaramente in media è meno tenuta a partecipare a tutte le sedute del Consiglio, ha messo a referto ottimi numeri nelle partecipazioni e il presidente Sergio Chiamparino si è distinto con un 77 per cento di presenze, vale a dire che sulle 372 sedute svolte, in 287 casi era in Aula.  
Una situazione che è stata confermata anche nell’ultimo anno, visto che ben 7 consiglieri hanno partecipato alla totalità delle sedute e nella maggioranza dei casi si supera il 90 per cento; si registrano percentuali un po’ più basse esclusivamente per quei consiglieri che sono stati eletti in Parlamento e che quindi hanno avuto un paio di mesi di interregno – in tutto 20 sedute – durante i quali hanno ridotto i propri numeri statistici. Una legislatura che si è distinta per l’ammodernamento del corpus giuridico, ma anche per i tanti provvedimenti economico-finanziari tesi alla messa in sicurezza dei conti. Un grande lavoro che ha visto riunirsi le sei Commissioni permanenti oltre 1.200 volte (la prima Commissione Bilancio ha registrato quasi 400 sedute) per preparare il lavoro d’Aula. Nell’ultimo anno le Commissioni si sono riunite per 302 sedute, delle quali 63 per audizione, 5 consultazione, 5 sopralluoghi e 6 volte in sede legislativa. Sono stati licenziati all’Aula complessivamente 114 provvedimenti, tra progetti e disegni di legge, pareri preventivi o consultivi e altro. Nella legislatura sono stati presentati 335 progetti di legge (114 disegni e 221 proposte): sono stati approvati 83 disegni di legge e 37 proposte. Gli atti di indirizzo presentati sono 1.512, quelli approvati 642. Le interrogazioni e le interpellanze sono state 982, i question time 1463. Nel 2018 le sedute d’aula sono state 85. L’attenzione al tema dei diritti umani e della loro difesa contro ogni discriminazione è stata amplificata con l’istituzione del Comitato regionale per i diritti umani, unico nel panorama regionale italiano. Tra i tanti appuntamenti organizzati, anche la partecipazione del medico congolese Denis Mukwege, insignito nell’ottobre scorso del premio Nobel per la pace. Ai concorsi organizzati durante la legislatura hanno partecipato oltre 18.000 ragazze e ragazzi, mentre sono state 38.853 le persone che hanno visitato Palazzo Lascaris nel quinquennio (di cui 1.432 classi); circa 500  allievi e allieve degli istituti superiori sono stati coinvolti nella prima edizione di “Ambasciatori e Ambasciatrici del Consiglio regionale”, innovativo progetto di alternanza scuola-lavoro.


Sono state 102 le mostre allestite durante la legislatura nella galleria Carla Spagnuolo, all’Urp e alla Biblioteca della Regione Piemonte, per un totale di circa 50mila visitatori, che confermano il ruolo dell’Ente quale promotore attivo di cultura, anche attraverso importanti collaborazioni con partner come ad esempio il Museo nazionale della montagna, il Polo del ‘900, il Mef (Museo Ettore Fico), l’associazione Culturando Insieme. Nel corso del 2018 sono poi state organizzate tre aperture straordinarie di Palazzo Lascaris, avvenute il 12 maggio in occasione della Notte bianca della fotografia, il 6 ottobre per Portici di carta e il 5 novembre per l’inaugurazione serale della mostra “Dalla guerra alla pace 1918-2018”. La razionalizzazione dell’organizzazione, nella legislatura, ha portato notevoli risparmi sul bilancio del Consiglio. La spesa corrente è infatti passata da 64,5 milioni di euro del 2014 a 42,5 del bilancio 2018. Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il 23 settembre 2016 ha apposto la medaglia d’oro sul gonfalone della Regione durante una cerimonia ufficiale a Palazzo Lascaris. Il conferimento al Merito civile – la cui candidatura era stata avanzata dai presidenti di Regione e Consiglio, su impulso del Comitato Resistenza e Costituzione – è stato motivato per gli esempi di solidarietà umana mostrati dalla popolazione piemontese durante la guerra di Liberazione.

Palazzo Madama nel nuovo video di Marco Mengoni

Sony Music annuncia l’uscita, questa sera alle 21 su YouTube, del nuovo video ufficiale Hola (solo version) di Marco Mengoni.

Protagonista del progetto video, realizzato per la prima volta in partnership con YouTube Music, è la popstar italiana insieme a Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica di Torino, già partner di Google Arts & Culture. Il nuovo video è stato girato la notte dello scorso 25 novembre tra le maestose sale del Museo, e sarà pubblicato sui canali ufficiali dei partner e della Fondazione Torino Musei.   L’unico emozionante piano sequenza di Hola vede Marco Mengoni uscire dal Gran Salone dei Ricevimenti che affaccia su via Po, per attraversare la Sala del Senato di Palazzo Madama, mostrando i meravigliosi affreschi del soffitto. Il video prosegue con l’incontro e il dialogo tra Mengoni e i musicisti che suonano live sul monumentale Scalone, capolavoro del barocco internazionale progettato da Filippo Juvarra, per poi scendere nell’atrio e uscire in Piazza Castello, cuore di una Torino che nel video appare in tutto il suo fascino, in una notte invernale bagnata dalla pioggia. Il video ufficiale sarà disponibile dalle 21 a questo link: https://www.youtube.com/watch?v=go_1LiPnmBI&feature=share

 

Qualità della vita, Torino 78^

Torino  si piazza nella 78esima posizione nella classifica della  qualità della vita, secondo l’indagine realizzata e pubblicata dal quotidiano economico  Italia Oggi. Al primo posto  Bolzano,  al 55esimo  Milano e  all’85esimo Roma. Il capoluogo piemontese ha perso una posizione rispetto al 2017, mentre nel 2016 era 70esima.

“La sabbia nella mente” di Antonio Migliorisi

“La sabbia nella mente” è un thriller con un particolarissimo filo conduttore che sfocia, man mano che ci si addentra nella lettura,  in una serie di considerazioni che spingono il lettore ad interrogarsi su temi di assoluta attualità. Non è un libro, però, che vuole trasmettere un messaggio, da condividere o rifiutare, ma contiene molti spunti che ognuno può raccogliere per una riflessione. L’intreccio è originale e si snoda intorno a un tema di fantasia sulle capacità di manipolare la mente al fine di affermare la supremazia di un sapere elitario. Il romanzo racconta una storia surreale, dove un’inspiegabile e sconosciuta anomalia al cervello è motivo per imporre con protervia una dottrina assoluta e contorta. E un interrogativo inquietante sorge quando la lesione cerebrale colpisce, stranamente e in maniera improvvisa, soltanto personalità illustri, che vedono aggredite le loro menti e le facoltà cognitive fatalmente compromesse: può una disfunzione cerebrale invalidare la mente fino al punto di condizionare un’intera società e costringerla a una regressione? Il professor Murray, un accademico molto noto e considerato uno dei massimi esperti in neurologia, viene incaricato di scoprirne le cause e trovare i possibili rimedi, prima che il fenomeno possa espandersi. Il tentativo di Murray di cercare una terapia efficace si incrocia con un omicidio, che ben presto si rivela un caso equivoco per le modalità di esecuzione e per una serie di stranezze riscontrate nella vittima. Un cocciuto e scorbutico capitano di polizia si ritrova a districare, tra mille avversità, un complesso groviglio che lo porterà ad una verità sconvolgente. L’autore, fin dalle prime pagine, accompagna il lettore nell’impervio cammino verso la ricerca di una verità, dove la mente diventa il vero teatro di conflitti. La realtà dei personaggi è un’identità di cui dubitano essi stessi, incapaci di determinare cosa sia reale o frutto della loro mente: ragione, emozione, memoria e intelletto. Ma davvero nessuno può cambiare ciò che gli accade intorno? Con uno stile raffinato ed un linguaggio appropriato, l’autore regala una lettura carica di tensione e trepidazione. Con “La sabbia nella mente” Antonio Migliorisi è al suo primo romanzo ed è risultato tra i finalisti nella sezione narrativa “Il mio esordio” edizione 2018. Disponibile nelle librerie e su Ibs, La Feltrinelli, Amazon e nella pagina dedicata de “Il mio libro”.

 

Informazione promozionale

 

 

Attenzione al finto vigile del fuoco che ruba nelle case

Diverse le truffe messe in atto fingendosi vigile del fuoco. Faceva  sopralluoghi per  compiere furti. Si tratta di pregiudicato 50enne che è stato denunciato dai carabinieri di Susa dopo avere perquisito la sua abitazione in seguito a un furto in un appartamento di Condove. Con la refurtiva, in casa sono state trovate casacche, tute e un distintivo di riconoscimento dei vigili del fuoco.

Rissa alla recita scolastica: mamme si prendono a calci e pugni

DALLA SICILIA

Durante la recita di Natale dei bambini di una scuola elementare a Gela, è scoppiata una rissa tra due mamme che cercavano di accaparrarsi  il posto migliore per girare il video dello spettacolo in cui recitavano i rispettivi figli. Gli  scolari sul palco vestiti da angioletti piangevano spaventati mentre Le due donne si prendevano a pugni, calci e schiaffi. Coinvolti nella rissa anche alcuni  loro familiari, mentre molte altre mamme hanno lasciato la scuola portandosi via i bambini. E’ dovuta intervenire la polizia per riportare la calma.

Mondiali in vasca corta, Alessandro Miressi chiude con il record italiano nella 4×100 mista

Si sono chiusi a Hangzhou i Mondiali in vasca corta 2018, edizione caratterizzata da tanti nuovi primati italiani

L’ultimo di questi è della 4×100 mista, che nella notte italiana ha mancato l’accesso alla finale per 37 centesimi. Simone Sabbioni (51″61), Nicolò Martinenghi (57″23), Matteo Rivolta (49″89) e Alessandro Miressi (47″38) hanno chiuso in 3’26″11 e cancellato il 3’27″05 risalente ai Mondiali di Doha 2014. Un po’ di rammarico per la mancata qualificazione tra le prime otto staffette, con l’Australia distante meno di quattro decimi. A livello individuale Alessandro Miressi aveva concluso il suo mondiale ieri, terminando le semifinali dei 100 stile libero al decimo posto ed eguagliando il primato personale in 46”84.
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SALVAMENTO: Campionati Italiani Assoluti Invernali, le medaglie piemontesi – riepilogo medaglie

6 ORI
Cristina Leanza (Aquatica Torino) 50 manichino, 100 percorso misto, 50 manichino dall’acqua
Federico Gilardi (Fiamme Oro/Rari Nantes Torino) 200 super lifesaver
Davide Petruzzi (Rari Nantes Torino) 100 manichino pinne e torpedo
Jacopo Musso (Rari Nantes Torino) 50 pinne

4 ARGENTI
Francesca Cristetti (Rari Nantes Torino) 50 manichino dall’acqua
Jacopo Musso (Rari Nantes Torino) 200 super lifesaver
Andrea Vivalda (Sa-Fa 2000 Torino) 50 pinne
Paola Lanzilotti (Rari Nantes Torino) 200 super lifesaver

6 BRONZI
Federico Gilardi (Fiamme Oro/Rari Nantes Torino) 200 ostacoli
Greta Pezziardi (Rari Nantes Torino) 100 manichino pinne e torpedo, 100 manichino pinne, 200 super lifesaver
Francesca Cristetti (Rari Nantes Torino) 100 percorso misto
Jacopo Musso (Rari Nantes Torino) 100 manichino pinne

La sintesi della prima giornata su https://www.federnuoto.piemonte.it/finpiemonte/home_new/appro_new.asp?id_info=20181216080727&area=6&menu=agonismo&read=salvamento
La sintesi della seconda giornata su https://www.federnuoto.piemonte.it/finpiemonte/home_new/appro_new.asp?id_info=20181216174922&area=6&menu=agonismo&read=salvamento

TUFFI: Trofeo di Natale a Bolzano, le medaglie di Eduard Timbretti Gugiu (Blu 2006 Torino)
Tutti i dettagli su https://www.federnuoto.piemonte.it/finpiemonte/home_new/main_new.asp?area=3&read=tuffi&menu=agonismo

PALLANUOTO: Serie A2, la Reale Mutua Torino 81 Iren supera Lavagna 90 nella quarta giornata
Il comunicato stampa della Torino 81 su https://www.federnuoto.piemonte.it/finpiemonte/home_new/appro_new.asp?id_info=20181216084914&area=2&menu=agonismo&read=pallanuoto

In ricordo del XVIII dicembre

Questa mattina in piazza XVIII dicembre si è commemorata la strage di Torino del 1922, quando i fascisti uccisero per rappresaglia 11 persone e fecero una ventina di feriti, distrussero la Camera del lavoro, il Circolo anarchico dei ferrovieri, le sedi  del giornale “L’Ordine Nuovo” e del Circolo Carlo Marx. Oggi, nell’anniversario, in piazza i rappresentanti della Città, l’Anpi e i sindacati hanno ricordato l’eccidio.
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LA STORIA

E’ il 18 dicembre del 1922. Il fascismo ha da pochissimo tempo effettuato la Marcia su Roma (che probabilmente sarebbe potuta venire spazzata via dalle truppe regie, se il re Vittorio Emanuele III avesse firmato lo stato di assedio) e Benito Mussolini è il capo del governo ma non ancora il padrone delle sorti italiche. In una Torino non ancora fascistizzata, un tramviere, militante comunista, ha uno scontro con un gruppo di squadristi. L’uomo, Francesco Prato, è originario di Valmacca ma vive a Torino, in Barriera di Nizza apre il fuoco e uccide 2 fascisti. Poi riuscirà, nei giorni successivi, a lasciare la città e l’Italia riparando nella Russia dei Soviet. Ma quel giorno e nei successivi 19 e 20 dicembre si scatena la rappresaglia, e perdono la vita 11 persone, mentre una ventina di altri riportano ferite. E in un’intervista apparsa su “La Stampa”, il console della Milizia, Piero Brandimarte, afferma: “Abbiamo voluto dare un esempio, perché i comunisti comprendano che non impunemente si attenta alla vita dei fascisti”. La vicenda viene ripercorsa nel libro di Giancarlo Carcano “Strage a Torino – Una storia italiana dal 1922 al 1971” (che è l’anno della morte di Brandimarte considerato il maggiore responsabile di quei fatti) edito per i tipi de La Pietra di Milano nel 1973.

 

Massimo Iaretti

(foto archivio)

Giansiro e il tesoro dell’isola di San Giulio

Giansiro guardava orgoglioso la sua barca. Sulla chiglia – anche se le lettere erano un po’ sbiadite – si leggeva ancora il nome: “Lampreda IV”. Una gran bella lancia da lago: poco meno di quattro metri tra prua e poppa. Per lui era la vita

Figlio di un pescatore, aveva anche lui il lago nel sangue. Quell’acqua che durante i giorni di tempesta – rari e bellissimi – diventava di un verde ramarro, era anche la chiave dei suoi sogni. E, come gli accadeva da anni, quasi tutte le notti di bel tempo, saliva in barca per guardare le stelle e sognare. Molti anni prima, appena calavano le prime ombre sul lago, mollava gli ormeggi dal porticciolo di Oira e, lentamente, con un ritmico cadenzare, remava al largo, verso l’isola di S. Giulio. Lì, dove le due coste erano solo strisce nere con pochi puntini luminosi, lasciava cadere in acqua le sue reti per poi lasciarsi cullare dalle onde e aspettare – fumando la pipa – che la brezza del mattino lo svegliasse, soffiando via gli astri dal cielo. “Bei tempi, quelli…”, si diceva Giansiro, masticando la pipa e scuotendo lievemente il capo. Ora, con i capelli bianchi e una faccia rugosa scavata dagli anni, quando prendeva il largo non portava più con sé le reti. Di pesce non ce n’era più nemmeno l’ombra. “Colpa di quei maledetti e delle loro fabbriche – imprecava il vecchio – ; ci hanno buttato di tutto nel lago: acidi, solventi, ammoniaca e chissà quante altre schifezze…”. Ora, salendo in barca, pensava solo a sognare. E, con i sogni, correva lontano. Solcava le acque del Cusio, il buon Giansiro, con le vele spiegate del suo immaginario tre alberi, sfruttando ogni piccolo refolo del mergozzolo che soffiava, generoso, dai monti. S’immaginava così, capitano di lungo corso, al timone di un vascello, intento a percorrere il lago d’Orta in lungo e in largo, a caccia di tesori e ricchezze che a volte non sono proprio come s’immaginano, ma si nascondono più facilmente nell’animo degli uomini piuttosto che in solidissimi forzieri. Giansiro sognava, ma i suoi sogni fantastici non li teneva solo per sé. Gli piacevano i bambini. E a loro, nei pomeriggi d’autunno, quando il lago prendeva il colore malinconico delle foglie ingiallite e la scuola era chiusa, raccontava ai suoi piccoli amici le sue avventure. I ragazzini, seduti sulle vecchie sedie di paglia nell’ampia cucina della sua casa sul lago, lo ascoltavano a bocca aperta, rapiti. Tra le storie che suscitavano maggior interesse c’era quella di Norberto Lanfranchi, conte di Brolo, diventato pirata alla ricerca del tesoro dell’isola di S. Giulio. Giansiro, a richiesta, avviava la narrazione con voce calma e profonda.“Erano i tempi in cui Norberto aveva fissato la sua dimora sull’altra sponda del lago, tra lmolo e Gozzano, dentro le mura della Torre di Buccione, una fortezza che saliva alta verso il cielo.  Da lassù, nelle giornate serene, il suo sguardo si perdeva sul lago e sui monti che lo circondano. Il conte, scacciato dai signori di Nonio – il Duca Filippo De Lampis e suo fratello Gedeone – si era ripromesso terribili vendette e da signorotto abituato a cavalcare sulle sue terre e oziare, aveva cambiato vita, diventando un pirata”. Purtroppo, per triste che fosse, era quella una consuetudine assai diffusa in quel tempo, soprattutto sul Lago Maggiore dove i pirati Mazzarditi dei castelli di Cannero avevano – tanto per fare un esempio – dettato legge sulle coste lombarde, piemontesi e persino svizzere per molti anni.  “Norberto , nottetempo, con la sua ciurma arruolata nei paesi vicini, scivolava come un’ombra tra i paesi, compiendo saccheggi e rapine”, raccontava Giansiro. “ La sua fama incuteva terrore. L’eco di queste gesta  ben presto valicò il Mottarone, lambendo le sponde del Maggiore e salendo su per le valli ossolane, fin dentro i casolari di montagna. Norberto, incattivito dall’avidità, desiderava possedere sempre di più. E nei paesi, tra artigiani e pescatori, quel di più era quasi impossibile da trovare. Fu così che decise, dopo aver ascoltato il racconto di un viandante, di dare la caccia al tesoro dell’isola di S. Giulio. Si diceva, infatti, che i frati del Sacromonte che sorgeva alle spalle di Orta avessero raccolto un grande tesoro, celandolo dentro una cripta nascosta sull’isola. Non un tesoro qualsiasi, gli aveva confidato il viandante, ma un forziere colmo di gioie: brillanti, rubini, ori, zaffiri, e monili di ogni fattezza”. Norberto non dormiva la notte; quel tesoro, per lui, era come un incubo. Un desiderio che gli bruciava il corpo e la mente, togliendogli il sonno. In realtà – reputando insicura l’isola – i frati (aiutati da alcuni pescatori del posto) avevano, in una notte senza luna, trasportato il forziere sulla terra ferma. Un viaggio breve, che durò però parecchio tempo. Con lenti movimenti, facendo finta di gettare le reti, due pescatori e una coppia di frati, condussero l’imbarcazione fino alle porte di Omegna,  ormeggiarono a Borca e da lì, su un carro tirato da un grosso bue, salirono verso Agrano. In un paese di poche anime e poche case, a lato della strada che saliva inerpicandosi tra i boschi  verso Armeno e il Mottarone, il tesoro sarebbe stato al sicuro tra le solide mura del vecchio castello di Agrano. “Ma dov’è questo castello? C’è ancora?”, chiese uno dei bambini. Giansiro –  che i più piccoli, un po’ per l’età e un po’ per i capelli bianchi che quasi gli cadevano sugli occhi, chiamavano nonno – interrotto, spiegò subito. “Vedete, quel castello ora non c’è più. Ma vi posso dire dove si trovava. Avete presente il campo da gioco di Agrano?”. “Sì, sì – gridarono in coro i bambini – ; E’ quello dove si gioca al pallone e dove c’è lo scivolo” – disse uno dai capelli rossi e dalle gote cosparse di lentiggini.  “Esatto – rispose Giansiro -, è proprio quello. Ecco vedete, tutti pensavano che tra quelle mura il tesoro fosse al riparo dalle scorrerie di Norberto e dei suoi pirati. Anche perché i contadini non erano armati solo di forconi e bastoni, ma anche di una bella spingarda e di qualche archibugio. Però, e c’è sempre un però, non avevano fatto i conti con l’oste “. Infatti, l’oste della locanda del “Ferro di Cavallo”, una specie di ristoro per i viaggiatori proprio a Borca, aveva visto tutto. Quella notte, soffrendo d’insonnia, era uscito sul balcone per prendere un po’ d’aria quando, proprio lì sotto, passarono i pescatori, i frati e il carro trainato dal bue con sopra il forziere. Insospettitosi, l’oste seguì di nascosto, a una certa distanza, quella silenziosa processione. E, ascoltando da dietro un albero il parlottare sommesso dei frati, scoprì il segreto. L’oste, tornato di corsa verso casa, chiuso l’uscio dietro alle spalle, si precipitò in cucina. Dopo aver bevuto non uno e nemmeno due, ma ben tre (o forse quattro? Mah! ..) boccali di vino, per farsi coraggio, prese il mantello e, una volta sellato il cavallo, partì al galoppo verso la Torre di Buccione. Giansiro continuò il racconto. “ Non si sa se l’oste sciolse la lingua – spifferando a Norberto tutto quanto aveva visto – per paura delle scorrerie del pirata o dietro il miraggio di un lauto compenso. E non si sa nemmeno se Norberto ricompensò in moneta sonante l’oste impaurito e chiacchierone. E’ certo, in ogni caso, che quella locanda – con i suoi letti, il suo vino e il nostro oste – rimase aperta per molti anni ancora. Ma torniamo al nostro Conte di Brolo che, appena appresa la notizia, iniziò a camminare in lungo e in largo per la sua stanza, tormentandosi la barbetta nera che gli incorniciava il volto. Come arrivare ad Agrano? Passando per la strada costiera, no di certo: era fin troppo facile essere avvistati. Non restava che una via: il lago. Certo, era una buona idea. Bastava attendere una notte piovosa, di quelle in cui nessuno caccia il naso fuori di casa e, voilà, il gioco era fatto. Salire fino ad Agrano sarebbe stato il meno”. E così fece. Due giorni dopo sulla zona del lago pioveva a dirotto. Con la sua ciurma, Norberto si imbarcò sulla “Anguilla nera”, la sua nave da scorreria. In un battibaleno raggiunse Borca e, lasciata l’imbarcazione alla fonda, salì, alla testa di un manipolo di uomini decisi a tutto, la strada di montagna. Fu per caso che Giovanni Buonanima, un pastore che viveva proprio ad Agrano, vide quella torva masnada salire i tornanti. Gli era scappata una pecora dall’ovile e, mentre cercava di recuperare la sua Bianchina, si arrestò di colpo, dietro un cespuglio. Cento metri (la distanza è approssimativa, data l’ora e il tempo da lupi) più sotto, una trentina di persone avvolte in lunghi mantelli neri come la pece, saliva di buon passo. Non erano certo dei pellegrini che andavano al Santuario della Madonna di Luciago, pensò Giovanni, con il cuore in gola. E corse via, con le gambe in spalla, verso il paese. Il racconto di Giansiro lasciava i ragazzini a bocca aperta. “Giovanni conosceva due o tre scorciatoie che gli risparmiarono un bel pezzo di strada e quando arrivò alle porte di Agrano avvertì i due contadini che erano di sentinella, uno con in mano una falce e l’altro armato di un archibugio più grande di lui. Quando anche Norberto fu in vista di Agrano, non tardò a capire che era già pronto il “comitato di benvenuto”. La strada, sbarrata da un carro di fieno messo lì di traverso e quelle fiaccole che illuminavano i volti arcigni e segnati dalla fatica del lavoro nei campi. I loro sguardi valevano più di ogni discorso. Sfumata la possibilità di agire con il vantaggio della sorpresa, non restava che la soluzione di forza. Cos’avrebbero potuto, dopotutto, alcune decine di poveracci, armati degli attrezzi di lavoro, contro trenta uomini armati fino ai denti? E invece, Norberto sbagliò i suoi conti”. I contadini si batterono bene. Fin troppo. E anche quando la masnada riuscì a sgombrare la strada, incendiando il carro di fieno, i contadini non mollarono. Anzi, rinserratisi tra le mura del castello, avevano azionato la colubrina, sparando a destra e manca a mitraglia: chiodi, pezzi di piombo, persino la ghiaia. E ogni volta che i masnadieri si avvicinavano alle mura, dovevano scappare in fretta per non buscarsi una pioggia di olio bollente. La battaglia durò tre giorni e tre notti. E, alla fine, con la sua truppa ormai decimata, Norberto ridiscese la montagna, sconfitto. Ma non era finita lì. “ A Borca lo aspettava un’altra sorpresa. Due notti prima gli omegnesi – guidati da un tal Gilberto del Parogno – avevano, in quattro e quattr’otto, legato come dei salami i tre uomini di guardia e appiccato il fuoco alla “Anguilla Nera”. Quello che videro gli occhi di Norberto era uno scheletro di legno bruciacchiato, che affiorava per metà dall’acqua del lago. Colmo di rabbia, il Conte Norberto di Brolo si incamminò verso Buccione e nella torre si rinchiuse. Passò così i giorni che gli restavano, senza veder nessuno, roso dalla vergogna per lo smacco subito”. Di lui non si sentì più parlare e la vita tornò ad essere tranquilla per gli abitanti delle due sponde. Anche se qualcuno, per non rischiare, si mise ad aprire porte e finestre dalla parte del lago dove, a turno, stavano di vedetta tutti i familiari. E così per un po’ di tempo: quanto basta per smaltire ogni residuo di paura. Giansiro guardò i suoi piccoli amici, cogliendo nei loro sguardi un’ombra di perplessità. “Ah, già mi aspetto la vostra domanda, a questo punto. Anzi, sapete che faccio? Vi anticipo. Voi vi state chiedendo che fine abbia fatto il tesoro, non è vero? Ebbene, quei furboni dei frati, capito che il nascondiglio non era più un segreto e che, chissà, qualcun altro poteva avere grilli per la testa e voler seguire le orme di Norberto, magari riuscendo proprio dove lui aveva fallito, decisero che era tempo di cambiargli dimora. E stavolta fecero tutto da soli, senza intermediari o altri aiuti. Dove portarono il forziere non si seppe mai. Certo in un posto sicuro”. Da quel momento si persero le tracce del tesoro dell’isola di S. Giulio. Nessuno ne parlò più. Persino ad Agrano, dove si tramandarono per generazioni – dai padri ai figli – il ricordo di quei tre giorni e tre notti d’inferno. Solo qualche vecchio, nelle sere d’inverno all’osteria, davanti a un bicchiere di vino rosso, raccontava ancora questa storia. Ma chi gli stava attorno, pur dimostrando un discreto interesse per non irritarli, non credeva a quella leggenda. Sono tante, del resto, le storie che si raccontano sul lago e quasi nessuno si è mai curato di domandarsi dove stava il confine tra la realtà e la fantasia. Giansiro aveva in serbo una sorpresa e, con aria sorniona, disse: “Ragazzi, voglio farvi una confidenza. Una volta trasportai sulla mia “Lampreda” un vecchio frate del convento del Mesma che, a forza di ascoltare le mie domande, qualcosa disse. Pensate, nel forziere c’era davvero un tesoro, ma non di quelli che bramava Norberto o che diceva di aver visto il viandante o che credeva la gente. No, c’era un altro tipo di tesoro. Qualcosa che per noi pescatori valeva più degli ori e delle pietre preziose. Ah, vi vedo già a bocca aperta e con le orecchie ben dritte. Lo volete davvero sapere cosa c’era in quella cassa? C’erano delle ricette tra le più rare in cui si narravano i modi migliori per cucinare il pesce di lago: dalla tinca in umido coi piselli all’alborella in carpione, dalla trota al burro e salvia al coregone saltato in padella con le cipolle di stagione. Una delizia! Un tesoro per il palato e per la mente di chi ama davvero mangiar bene e vuol dimostrare l’affetto per il suo lago e per chi lo abita, anche quando è seduto a tavola. Questo mi disse il frate. Anzi, mi disse che fu proprio San Giulio a suggerire la stesura di questi antichi testi e  l’idea di conservarli per poterli un giorno tramandare a chi sarebbe venuto dopo. Non vi vedo molto convinti…ma vi assicuro che è davvero quello che hanno sentito le mie orecchie, quel giorno in barca. Magari sarà anche questa una storia, ma chissà.. mi piace pensare che davvero sia andata così. Ma ve la immaginate la faccia di Norberto, che – si dice – neppure mangiasse il pesce e arricciasse il naso solo a sentirlo nominare, qualora aperto il forziere, si fosse trovato in mano delle ricette?”. Giansiro e i ragazzini ridevano a crepapelle. Poi, dopo essersi passata due volte la mano sulla bocca e sorseggiato un bel fiato di vino, il vecchio pescatore guardò fuori dalla finestra. “ Sta diventando buio, bambini. E’ ora che torniate a casa, dai vostri genitori. Altrimenti staranno in pensiero non vedendovi arrivare”. I ragazzini lo salutarono. Qualcuno lo baciò sulla guancia irsuta. Quello con i capelli rossi gli disse: “Nonno, domani ci racconti un’altra storia?”. Il vecchio “lupo di lago” sorrise. “ Vedremo, eh. Vedremo. Intanto, mi raccomando: a scuola state attenti. E studiate anche la vostra terra, la gente di qua e l’ambiente che ci circonda. Non voglio sembrare un vecchio barboso, ma ricordatevi che questa natura non è solo nostra. Dobbiamo volerle bene, conoscerla e rispettarla. Anche per gli altri. E chissà, forse un giorno torneranno anche i peci nel lago e potremo andare insieme sulla barca a pescare. D’accordo? Adesso andate, su”. Rimasto solo, Giansiro si chiuse alle spalle l’uscio di casa e andò giù al molo. Con un tozzo di pane e un po’ di formaggio in tasca, la fiasca del vino sotto braccio, guardò il sole tramontare. Pareva una tonda palla che scendeva dietro alle montagne. Di un bel rosso. Un rosso vermiglio. “ Rosso di sera, bel tempo si spera”, mormorò tra sé e sé, spingendo in acqua la sua “Lampreda”. Si mise a remare, muovendo dolcemente l’acqua, da sempre sua amica. E quando fu lontano dalla riva, tirati i remi in barca, si sdraiò sul tavolato. Le vecchie ossa scricchiolarono un po’ ma non ci fece caso. Guardò scendere la sera, in attesa della notte. Aspettava le stelle. Per sognare un’altra storia. Per lui. E per i suoi ragazzi.