redazione il torinese

SALA ROSSA: IL 28 GENNAIO L'ELEZIONE DELL'UFFICIO DI PRESIDENZA

Presidente e vice presidenti del Consiglio comunale di Torino saranno eletti dalla Sala Rossa il 28 gennaio prossimo. Secondo il Regolamento del Consiglio comunale, infatti, l’Ufficio di presidenza resta in carica 30 mesi dal momento del suo insediamento, all’indomani delle elezioni amministrative. L’attuale organismo, composto dal presidente Fabio Versaci, dalla vice presidente Serena Imbesi e dal vice presidente vicario Enzo Lavolta, essendo giunto al completamento di metà mandato, dovrà quindi essere rinnovato. Tuttavia, presidente e vice presidenti sono rieleggibili. 

Dal Marocco alla Tunisia si scaldano le piazze

FOCUS INTERNAZIONALE  di Filippo Re

Sembra tornato il clima delle Primavere arabe del 2011 con nuove proteste popolari che sferzano il nordAfrica, dall’Egitto al Marocco, chiedendo democrazia, libertà, lotta alla corruzione e ai salari da fame, ma ben sappiamo che anche questa volta si tratterà di pura illusione

La speranza non muore mai ma anche il 2018 per il mondo arabo si chiude senza buone notizie. Anzi, le dittature arabe sono tornate più forti e repressive dopo il fallimento delle “Primavere”. Terrorismo, guerre infinite in Siria e nello Yemen, massacri e fosse comuni, la bestialità dei movimenti jihaidisti, gli attacchi ai cristiani e alle altre minoranze, il secolare scontro tra musulmani sunniti e sciiti che continua tuttora e, appunto, le dittature, come quella egiziana, che dopo aver cancellato i nefasti Fratelli musulmani, con il plauso dell’Occidente, calpesta i diritti umani e reprime sistematicamente oppositori e attivisti nell’indifferenza della comunità internazionale che finge di non vedere per difendere i propri interessi nell’area. Non c’è proprio nulla da salvare in questo Medio Oriente in profonda trasformazione. In Arabia Saudita, sotto il “riformista e modernizzatore” Mohammad bin Salman, giovane principe ed erede al trono, vero uomo forte del regno guidato dall’anziano padre, le esecuzioni sono raddoppiate. Tra il giugno 2017 e marzo 2018 sono state uccise 133 persone mediante decapitazione in piazza. La monarchia saudita è tra i primi cinque Stati al mondo per condanne a morte inflitte per terrorismo, violenza sessuale, rapina a mano armata e traffico di droga. Mohammad bin Salman, numero due del regime saudita, ideatore della guerra yemenita e ritenuto il mandante dell’omicidio del giornalista dissidente saudita Jamal Khashoggi a Istanbul è diventato un temuto dittatore, forse ancora più autoritario e tirannico degli ayatollah iraniani. Nell’Egitto del presidente al Sisi, alla vigilia del Natale copto del 7 gennaio, non accenna a diminuire il terrorismo islamista che cerca di destabilizzare il regime e mettere in ginocchio l’economia egiziana colpendo militari, forze di sicurezza e cristiani copti. L’attentato del 28 dicembre presso le piramidi di Giza, vicino al Cairo (4 morti per una bomba che ha fatto saltare in aria un bus turistico) era diretto contro il turismo egiziano, seconda fonte di entrate del Paese del Nilo. Si è trattato del primo attacco di estremisti islamici contro turisti stranieri da oltre un anno. Negli ultimi mesi c’è stata una ripresa del turismo ma il Paese resta molto lontano dai 14 milioni di turisti del 2010. Da decenni il gigante nordafricano combatte contro i terroristi nel nord del Sinai e nel governatorato di Minya dove il bersaglio preferito sono i cristiani. Corrono qualche rischio anche i turisti che affollano la zona del Mar Rosso. Nell’estate 2017 tre stranieri furono uccisi a coltellate a Hurghada mentre nel 2015 l’Isis rivendicò l’attentato che fece precipitare il velivolo con a bordo 224 turisti russi, sul Sinai, poco dopo il decollo da Sharm el-Sheik.

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Come sempre accade la risposta del governo è immediata e ampiamente pubblicizzata dai media per mettere in evidenza che il Paese dei Faraoni è costantemente sicuro e sotto controllo. Anche questa volta il governo egiziano di Abdel Fatah al Sisi è intervenuto drasticamente eliminando una quarantina di sospetti terroristi in diverse zone del Paese. Le misure di sicurezza attorno alle chiese del Cairo e delle altre principali città sono state rafforzate per il timore di attentati durante le festività degli ortodossi. Nel recente passato la minoranza copta è stata duramente colpita da gruppi di estremisti islamici e molti degli attacchi alle chiese si sono verificati durante le principali feste come il Natale o la Pasqua. I cristiani, in gran parte copti ortodossi, sono una minoranza pari al 10-15% del totale della popolazione. Fra il 2016 e il 2017 alcuni gravi attentati hanno colpito la comunità cristiana. L’attacco ai pellegrini copti del 2 novembre scorso nella provincia di Al Minya, rivendicato dall’Isis, ha causato 11 morti ma i più gravi si sono verificati nell’aprile 2017, nel giorno della Domenica delle Palme, quando 45 persone furono uccise in due attacchi dei miliziani dell’Isis contro la chiesa copta di Tanta e la cattedrale di Alessandria. Non è solo la paura del terrorismo a incendiare nuovamente il Medio Oriente ma anche la rabbia popolare contro la crisi economica, l’aumento del costo della vita e della disoccupazione giovanile. E a scendere in piazza sono soprattutto i giovani egiziani, i tunisini e i marocchini per protestare contro il caro benzina e l’incremento dei prodotti alimentari, del gas, dell’acqua, della luce e del pane. A Tunisi, al Cairo, a Rabat, la rivolta si fa di nuovo sentire, otto anni dopo le Primavere arabe. L’ira dei tunisini è divampata a Kasserine dove un giovane reporter, rimasto senza lavoro, si è bruciato vivo, accendendo la collera di migliaia di tunisini. Con la disoccupazione al 30% e l’inflazione che sfiora il 10% i grandi passi in avanti compiuti dalla Tunisia verso la democrazia e le libertà fondamentali non sono ancora sufficienti a garantire stabilità al Paese africano. E come un anno fa, nel gennaio 2017, anche oggi, a otto anni dalla fine della dittatura di Ben Alì, la rivolta dei tunisini riesplode nelle strade con manifestazioni e proteste anti-governative. Il cammino democratico è troppo lento e le difficoltà economiche sempre più pesanti da sopportare. Ai leader al potere si chiedono condizioni di vita migliori. La “rivoluzione dei Gelsomini” ha causato troppe illusioni. Ne è convinto Ilario Antoniazzi, arcivescovo di Tunisi, secondo cui la democrazia non è un regalo o un’imposizione “ma è il frutto di un lungo cammino che qui ancora non abbiamo fatto. Se a livello di diritti in Costituzione non sono mancati passi in avanti l’economia è in grave difficoltà e a pagare il prezzo più alto sono i giovani e il sud del Paese già povero nonostante proprio da quel sud oggi dimenticato sia iniziata la rivoluzione”. Per i tunisini è passato nel frattempo un altro anno segnato da proteste, dal malcontento popolare e da una preoccupante ripresa del terrorismo. I giovani tunisini in questi otto anni dalla caduta del regime di Ben Ali hanno fortemente sperato di trovare posti di lavoro che purtroppo non si sono materializzati. Il popolo tunisino aspetta e spera ma nel frattempo il sogno del lavoro e del benessere tarda a realizzarsi. Ma è l’intero Maghreb a scuotersi e a chiedere di rispondere in modo concreto alla crisi economica. Tra il caos libico e un’ermetica Algeria dominata dall’esercito, dalla corruzione e dall’oppressione, anche il Marocco è sceso in piazza a chiedere l’aumento dei salari e, colpito per la prima volta dall’Isis nei giorni di Natale con la barbara uccisione di due turiste scandinave sui monti dell’Atlas, si è scoperto meno tranquillo e stabile.

Dal settimanale “La Voce e il Tempo”

Il tempo lento, dalle piante “barometro”alle tavole della lunazione

di Marco Travaglini

Il tempo, il clima, i ritmi delle stagioni, le “lune” hanno scandito – come un grande orologio biologico – la vita della civiltà contadina. E in montagna, dove il “tempo della lentezza” non ha abdicato di fronte ai ritmi convulsi imposti dalla cultura della simultaneità, quest’orologio non ha mai cessato di muovere le sue immaginarie lancette

Che si veda, che si senta oppure no, il tempo batte lentamente e segna, scuote, scava la sua storia. Ancor di più in un’epoca di paradossi: viviamo in una società che adora e odia gli orologi, ma dove quasi nessuno conosce più il significato e il valore del tempo.Tra le prime preoccupazioni dell’uomo, uno spazio centrale veniva occupato dalla misura del tempo e dello spazio.La civiltà rurale ha quindi tramandato nel tempo, come una preziosa eredità da generazione in generazione, da una comunità all’altra, pratiche, proverbi, aneddoti e saperi legati all’osservazione del cielo e, in particolare, della luna. La misurazione del tempo nell’arco della giornata non era affidata al conteggio delle ore e dei minuti ma bensì ad altre osservazioni : la lunghezza delle ombre, l’altezza del sole, il comportamento degli animali, i propri ritmi biologici, la vita della flora. Cose che oggi spesso se non sempre si trascurano  mentre un tempo ci si prestava più attenzione e rispetto. Del resto è l’esperienza, la “prova in campo”, che ha  sempre insegnato come, nonostante la rigidità delle leggi dell’astronomia, sia il tempo meteorologico a segnare i passaggi stagionali. Pochi sapevano leggere e scrivere e non era

materialmente possibile far conto sul calendario, quello con i numeri, mentre tutti seguivano lo scorrere  del tempo attraverso le festività dei santi. Solo gli anziani, gli “ultimi” rappresentanti di una quasi del tutto scomparsa civiltà rurale, coloro che piegano la schiena nel lavorare la terra, oggi rispettano ancora questa scansione del tempo, segno anche di un forte legame ancestrale con la stessa religione ( vissuta e praticata ognuno a modo suo ) , in quanto si riteneva che tutto quanto avviene in natura è frutto di un disegno superiore e il rispetto di divinità e santi è un motivo in più per sperare in una buona annata.La montagna, splendida riserva di biodiversità, d’acqua,aria,spazi, contenitore di culture e di saperi, ha da sempre stipulato un “suo” patto con il tempo.E forse non stupisce nemmeno che la meccanica perfetta, organizzatrice della danza sincronizzata che si nasconde dentro la cassa di un cronografo, abbia trovato in Svizzera la sua terra d’elezione: nel cuore delle Alpi, non altrove.Dunque il tempo è per il contadino, l’alpigiano, il montanaro il senso stesso del rapporto – per l’appunto “ritmico” – tra clima e stagioni, lunari e lavoro, venti e coltivi.

 

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I segni del tempo sono numerosissimi. Ad esempio le “piante barometro”, come la Carlina comune e la Carlina spinosa, o il Camaleone , la “Carlina nera” le cui brattee interne sono sensibili all’umidità e quanto l’aria n’è satura la “sentono” fino a chiudere il fiore. Un po’ come il “fiorrancio”,la Calendula pluviale ,che con la sua varietà spontanea permette di leggere il tempo e di azzardare indicazioni meteorologiche, visto che il fiore – quando il clima è secco – si apre alle 7 del mattino e resta così fino alle 16 pomeridiane; viceversa si rinchiude in anticipo o addirittura non si apre del tutto quando l’aria diventa umida e non promette nulla di buono. Gli animali sono sensibili e assumono atteggiamenti “indicatori”: i gatti si sentono prudere dietro alle orecchie, le mucche provano il desiderio di sdraiarsi sul prato per leccarsi le zampe anteriori, le mosche diventano “noiose”, le lumache si “spandono” a terra, le trote “bollano” per catturare al salto gli insetti costretti a volare a pelo d’acqua a causa della bassa pressione.Se il tempo è bello gli uccelli volano in alto , i pipistrelli volteggiano fino a sera inoltrata e le ragnatele in campagna si presentano allentate (se “marca” pioggia sono invece belle tese, come corde di violino).Nelle case contadine non mancavano poi forme chimiche di “marcatempo”, che reagivano all’umidità. Dal tradizionale “bossolo” del sale grosso (quante volte mi è capitato di sentire dire da mia nonna “deve piovere, il sale è umido! “) a quell’igroscopio del tutto particolare che si otteneva usando alcuni sali, tra i quali il cloruro di Cobalto. Miscelato con una soluzione gommosa (di solito gomma arabica o colla di pesce) dipinta su di un cartoncino, il cloruro assumeva un tenero colore roseo in presenza dell’umidità mentre era di un bell’azzurro brillante quando l’ambiente era asciutto. In quante case di contadini alla parete della cucina (che era poi il luogo più frequentato e “vissuto” dell’intera abitazione) mancava la cartolina raffigurante un santo – di solito S.Antonio – che teneva ben stretto nella mano un giglio? Quel fiore, trattato con gomma al cloruro di Cobalto, era il “marcatore”, soggetto a cambiare colore a seconda che l’aria fosse leggera o greve. La ricerca del tempo giusto aveva però un punto cardinale nella luna. Un legame fortissimo, quasi inscindibile, quello tra gli agricoltori e l’astro cantato da Leopardi (“Che fai tu, luna ,in ciel?dimmi, che fai,Silenziosa luna? Sorgi la sera, e vai..”).Venivano seguite con particolare attenzione tutte le fasi di luna e ancora oggi sono tenute in considerazione da molti, tant’è che la maggior parte dei calendari le riporta. In particolare è la luna nuova che si aspetta, osservando il tempo meteorologico del giorno, per poter prevedere come questo si manifesterà per tutti i giorni del ciclo lunare seguente. Il nostro satellite non è quindi solo un affascinante astro del cielo ma è sempre stato un fondamentale punto di riferimento per l’uomo. La sua continua mutevolezza di forma, posizione e luce l’ha affascinato.

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La luna genera la vita con i suoi influssi, è capace di risvegliare e accrescere i fluidi vitali di ogni organismo vivente.In tutte le civiltà del passato è stata osservata con estrema attenzione, deducendone nozioni, tecniche agricole, mediche e tanto altro ancora.I Babilonesi basavano il loro calendari sulla luna, mentre per gli Egiziani era meno importante rispetto al Sole. I Greci la consideravano al pari di una divinità, con il nome di Artemide, dea delle selve e delle montagne. Anche i Celti avevano realizzato un calendario lunare, ma non occorre andare molto indietro nel tempo per vedere come nel terzo millenio la luna continui a essere il punto di riferimento fondamentale per fissare la festività della Pasqua. Questa cade nella domenica successiva alla prima fase di luna piena che si ha dopo l’equinozio di primavera. Ricordo di aver visto da piccolo, vicino al camino della casera dei miei nonni all’alpe Scèrea – tra Campino e Levo, sui fianchi del Mottarone – una vecchia copia di quello che era chiamato “al taccùin”, il calendario dove andavano annotate le cose da ricordare e che vicino ai giorni riportava le fasi della luna. Ogni data richiamava un’esigenza, un’azione da compiere, un fatto. O una divinazione. Al dieci di gennaio una bella giornata annuncia una buona annata. Se nevica il dieci di febbraio “l’inverno si accorcia di quaranta giorni”. Gennaio fa i ponti di ghiaccio, febbraio o li lascia o li rompe. Se febbraio è secco e bello, conserva il fieno per i mesi che verranno. Quando a marzo fa il tempo d’aprile non bisogna togliersi gli indumenti. Se piove il Venerdì Santo piove tutto quanto maggio. Il terzo giorno di aprile per quaranta giorni comanda. La grandine a maggio porta via vino, pane e formaggio (cioè , compromette tutti i raccolti) Se fa brutto il giorno della Candelora (2 febbraio) l’inverno è quasi finito.Se piove la Domenica delle Palme pioverà per sette domeniche di fila.Se invece  piove il giorno di Sant’Anna (26 luglio) “è tutta manna”. Guai seri, invece, se l’angelo (S. Michele, il 29 settembre) “si bagna le ali”: è facile che piova fino a Natale. Viceversa, se fa bello il giorno di Tutti i Santi (1 novembre) “andremo tutto l’anno nei campi”.

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Dai semplici taccuini alle sofisticatissime “tavole della lunazione”, ancor oggi – nella campagna della bassa pianura come sugli alpeggi – c’è chi consulta questi strumenti del tempo e non smette di guardare la luna per seminare e fare gli innesti, per il maggese (il periodo in cui il terreno non è coltivato affinché possano ricostituirsi le sostanze nutritive, in assenza della quali sarebbe povero e sterile) e per falciare il fieno quand’è maggengo, agostano o terzuolo, per spargere il letame , raccogliere le patate e conservarle senza che marciscano. Sul taglio della legna l’influenza della luna ci apre gli occhi su di un’infinità di regole e di “buone pratiche”. Il legname del tetto va tagliato ai primi di marzo. Se dovesse andare a fuoco la casa, le travi rimarrebbero sane; scure, annerite, affumicate ma sane e riutilizzabili. Se non si vuole che il legno marcisca sotto le intemperie allora va tagliato, indipendentemente dalla luna, gli ultimi giorni di marzo. Sarà quasi impermeabile. La legna da ardere va tagliata d’inverno, da novembre in poi, solo in luna calante.Se poi si vuole un bosco sano e forte, andrebbe tagliato ad ottobre, in luna crescente. Ma spesso non si fa così. Mi ha colpito un racconto di Mauro Corona, lo straordinario scultore-alpinista-scrittore di Erto. Scriveva che tagliando in quel periodo il bosco si rigenera rapidamente ma la legna tagliata in quel momento pesa meno e quindi i boscaioli storcevano il naso:“meno peso, meno guadagno”. E pazienza se il business sopravanzava l’ecologia.Il legno per una baita non può essere scelto a caso: tagliato d’inverno, in luna calante, durerà a lungo.La stessa linea di crescita di un albero è importante. Dipende da tante cose e non è uguale per tutti anche se tutti crescono in verticale.L’andatura di crescita può andar su dritta ma anche girare a destra o a sinistra. Se si vuol lavorare il legno per delle scandole o una grondaia, bisogna lasciar perdere quello dalla corteccia che si “avvita”: prima o poi si torcerà. Anche i fulmini scelgono gli alberi dove cadere. Mai su quelli ad andatura diritta, sempre su quelli che “girano” tant’è che la “lésna”, la saetta, provoca uno squarciamento che va giù a spirale, dalla cima al piede. Se un albero soffre, non “butta” più, fa crescere poche foglie, bisogna mozzargli subito la cima in luna piena. Se si è attenti e rapidi, se non è troppo compromesso, si riprenderà mentre con certe lune anche il solo taglio di un ramo potrebbe essere esiziale e condurre la pianta a morte certa. Per eliminare le erbacce non ci sono solo i diserbanti. Se si strappano in luna giusta e in certo periodo dell’anno, non ricrescono più. E il periodo buono è a fine aprile. Un cespuglio intralcia il passaggio su un sentiero?Per non vederlo più basta tagliarlo in luna crescente, a febbraio. Ma l’influenza della luna nello scandire gesti e guidare scelte va ben oltre.Il bucato andava fatto con la luna nuova, pena il formarsi di cerchi concentrici e ombrati nel mastello che avrebbero irrimediabilmente macchiato la biancheria. La luna era – ed è ancora – fondamentale per andare in cerca di funghi e tartufi; il maiale era macellato con la luna nuova di dicembre; la legna da ardere andava tagliata nella luna del primo quarto, mentre quella da lavoro (per assi, mobili, ecc.) alla luna vecchia d’agosto. La luna doveva essere propizia per confezionare a regola d’arte sottaceti e sott’olii, per preparare le conserve e persino per tagliarsi le unghie ed i capelli (nell’ultimo quarto). Il camino si spazzava tra la luna nuova e la luna vecchia perché la canna fumaria stesse più a lungo pulita,senza incrostarsi di fuliggine. La carne secca e salata si conservava più a lungo ed era più buona se la sua preparazione avveniva tra l’ultimo ed il primo quarto. Il cambio stagionale di stalla per il bestiame si organizzava garantendo il “passaggio” con la posizione dell’astro in luna calante, evitando così l’eccesso d’umidità e la sovrabbondanza di moscerini. Anche lo scasso del terreno per la ricerca e la captazione dell’acqua si eseguiva con la luna crescente poiché con quella calante gli affioramenti sorgivi erano molto modesti se non addirittura scarsi. La luna regola l’imbottigliamento del vino e ci sono ancora tavole della Lunazione (o del mese sinodico), relative alla terra e al sole – formate da 29 giorni, 12 ore, 44 minuti e 2,8 secondi – che indicano i giorni migliori per imbottigliare il nettare di Bacco, dando anche modo di conoscere l’età della luna, che è poi la chiave dell’intera disciplina della lunazione. E dove collocare, poi, la messe di “detti” sulla luna? Luna smorta, pioggia alla porta; luna rossastra il vento la guasta, luna lucente bel tempo si sente; con la luna calante fai cosa importante; luna d’agosto, bagno nel mosto; o la fatalissima “ da luna crescente fino al quarto primo va bene ai ricchi ed a chi li conta in stimo, dalla calante fino all’ ultimo quarto di luna va male ai poveri ed a color che hanno sfortuna”. L’anno solare – di 12 mesi – eccede l’anno lunare – di 12 lunazioni – di 10 giorni,21 ore e 1 minuto per cui la tredicesima luna si ha matematicamente ogni 997 giorni, cioè ogni 2 anni e quasi 9 mesi, e in genere le lunazioni si rassettavano ai mesi solari con la Pasqua che cade sempre – come già ricordato – nella domenica successiva al plenilunio che segue immediatamente l’Equinozio di primavera,il 21 marzo.Il contadino non si affidava ai calcoli matematici ma guardava direttamente il cielo.

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Tutto questo fa sorridere ? Può darsi. Stando però a quanto sostengono gli studiosi della “cronobiologia”, che si occupano essenzialmente dei ritmi biologici, l’influenza della luna è tutt’altro che una leggenda. E la lentezza non è tempo perso. E’ un tempo diverso. E’, appunto, il “tempo della lentezza” che ancora oggi, soprattutto in montagna, si pratica per scelta o perché obbligati dall’ordine naturale delle cose. E’ il tempo che amava Alex Langer, una delle personalità più straordinarie e sensibili della seconda metà del secolo scorso,  quando scriveva: “Il cuore della traversata che ci sta davanti è probabilmente il passaggio da una civiltà del di più ad una del può bastare o del forse è già troppo. Dopo secoli di progresso, in cui l’andare avanti e la crescita erano la quintessenza stessa del senso della storia e delle speranze terrene, può sembrare effettivamente impari pensare di regredire, cioè di invertire o almeno fermare la corsa….Bisogna dunque riscoprire e praticare dei limiti: rallentare (i ritmi di crescita e di sfruttamento), abbassare (i tassi d’inquinamento, di produzione, di consumo), attenuare (la nostra pressione verso la biosfera, ogni forma di violenza). Un vero e proprio regresso, rispetto al più veloce, più alto, più forte. Difficile da accettare, difficile da fare, difficile persino a dirsi”. La Carlina Spinosa, l’impasto di colla e cloruro di cobalto per colorare il santino segnatempo, le tavole della lunazione e lo sguardo che si perde nel cielo alla sera non rappresentano un desiderio di regresso verso qualcosa che non c’è più o se c’è ancora è perché accompagna il nostro immaginario: suggeriscono una possibilità, uno stile e una cultura di vita. Per riflettere seriamente sul nostro tempo e sul bisogno di far valere i nostri tempi. E, in fondo, avere un tempo per noi.

 

 

TORNANO LE OLIMPIADI INVERNALI DI 50&PIU’

Dopo il successo delle prime due edizioni, tornano le Olimpiadi invernali di 50&Più dedicate agli atleti over 50 che saranno ospitate nella cornice innevata di Sansicario (TO) al centro delle Alpi dell’Alta Valle di Susa, a 1700 m di altitudine

 

Per gli amanti dello scii e della neve, l’appuntamento con la 3° edizione delle Olimpiadi invernali di 50&Più è dal 27 gennaio al 3 febbraio sulle piste del comprensorio sciistico della Vialattea che vanta ben 400 km di piste sul confine italo-francese, 69 impianti di risalita, oltre che essere stata location di gara durante la 20° edizione delle Olimpiadi Invernali di Torino nel 2006. Il divertimento è assicurato anche per i non sportivi, infatti Sansicario con Cesena Torinese e le sue frazioni offre diversi itinerari alla scoperta del patrimonio culturale, artistico e naturalistico dell’Alta Valle di Susa, come escursioni con motoslitta e cani da slitta. Discesa slalom (in doppia manche), sci di fondo classicosci di fondo pattinato e camminata di regolaritàsono le 4 discipline nelle quali si sfideranno i partecipanti che gareggeranno divisi in categorie in base all’età e in squadre provinciali. Le competizioni si concluderanno il 3 febbraio con l’assegnazione delle coppe 50&Più ai 3 migliori classificati, uomini e donne, che totalizzeranno il maggior punteggio in assoluto, le coppe regionali 50&Piùalle regioni che totalizzeranno i 3 migliori punteggi e infine le coppe provinciali 50&Più alle squadre provinciali che si classificheranno con i 3 migliori punteggi. La provincia vincitrice riceverà il Trofeo 50&Più che verrà poi rimesso in palio l’anno successivo e assegnato definitivamente alla provincia che vincerà per 3 anni, anche non consecutivi, i giochi invernali di 50&Più. Vincitrice delle due precedenti edizioni è stata la provincia di Belluno, che ha trionfato con i suoi atleti over 50 nelle classifiche assoluti uomini e donne.  

 

TORNANO LE OLIMPIADI INVERNALI DI 50&PIU’

Dopo il successo delle prime due edizioni, tornano le Olimpiadi invernali di 50&Più dedicate agli atleti over 50 che saranno ospitate nella cornice innevata di Sansicario (TO) al centro delle Alpi dell’Alta Valle di Susa, a 1700 m di altitudine

 

Per gli amanti dello scii e della neve, l’appuntamento con la 3° edizione delle Olimpiadi invernali di 50&Più è dal 27 gennaio al 3 febbraio sulle piste del comprensorio sciistico della Vialattea che vanta ben 400 km di piste sul confine italo-francese, 69 impianti di risalita, oltre che essere stata location di gara durante la 20° edizione delle Olimpiadi Invernali di Torino nel 2006. Il divertimento è assicurato anche per i non sportivi, infatti Sansicario con Cesena Torinese e le sue frazioni offre diversi itinerari alla scoperta del patrimonio culturale, artistico e naturalistico dell’Alta Valle di Susa, come escursioni con motoslitta e cani da slitta. Discesa slalom (in doppia manche), sci di fondo classicosci di fondo pattinato e camminata di regolaritàsono le 4 discipline nelle quali si sfideranno i partecipanti che gareggeranno divisi in categorie in base all’età e in squadre provinciali. Le competizioni si concluderanno il 3 febbraio con l’assegnazione delle coppe 50&Più ai 3 migliori classificati, uomini e donne, che totalizzeranno il maggior punteggio in assoluto, le coppe regionali 50&Piùalle regioni che totalizzeranno i 3 migliori punteggi e infine le coppe provinciali 50&Più alle squadre provinciali che si classificheranno con i 3 migliori punteggi. La provincia vincitrice riceverà il Trofeo 50&Più che verrà poi rimesso in palio l’anno successivo e assegnato definitivamente alla provincia che vincerà per 3 anni, anche non consecutivi, i giochi invernali di 50&Più. Vincitrice delle due precedenti edizioni è stata la provincia di Belluno, che ha trionfato con i suoi atleti over 50 nelle classifiche assoluti uomini e donne.  

 

Monorotaia di Italia ’61: oggi è un cumulo di travi

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Era il simbolo della fiducia nel progresso

Uno dei più emblematici simboli di Italia ’61, la celebre monorotaia Alweg, giace oggi ridotta ad un cumulo di travi abbandonate in un prato a Nichelino, a pochi metri dalla tangenziale di Torino, presso la stazione di servizio Nichelino Sud ed il cavalcavia di via Napoli. L’avveniristico treno soprelevato di Italia ’61 copriva un percorso di 1.2 chilometri, congiungendo la stazione Sud a quella Nord, che sorge in Corso Unità d’Italia 70, in prossimità dell’attuale sede del Museo Nazionale dell’Automobile, struttura nata originariamente come centro congressuale, in occasione delle celebrazioni del primo centenario dell’Unità nazionale. Attualmente, mentre la Stazione Sud versa in uno stato di completo abbandono, quella Nord è stata riconvertita quale sede di casa UGI (Unione dei genitori italiani contro i tumori dei bambini), per accogliere i parenti dei piccoli degenti del vicino ospedale Regina Margherita. L’infrastruttura della monorotaia, inaugurata il 6 maggio 1961, venne smantellata all’inizio degli anni ’70 dopo che il convoglio era stato mantenuto attivo ancora qualche anno dopo l’esposizione, soltanto il sabato pomeriggio e la domenica. Già nel 1965 venne, però, dismesso a causa dei suoi alti costi di manutenzione, allora pari a 6 milioni di lire annui. Nel 1975 il sindaco Novelli dichiarava: “Se qualche ditta è disposta a lavorare gratis, il Comune le regalerà tutto il materiale che potrà portare via, salvo un troncone di rotaia che terremo per ricordo e la stazione Nord”.  Oggi della monorotaia rimane, come testimonianza, presso il laghetto di Italia ’61, soltanto un piccolo tratto di appena 14 campate su 58. “E’ triste constatare – spiega l’ingegnere Luca Valzano che lavora ad un progetto di recupero e riconversione di questa infrastruttura – come il simbolo dello spirito avveniristico e della fiducia nel progresso espressi dall’expo di Italia ’61, ben incarnati nella sua monorotaia, risultino oggi dispersi rispetto alla sede originaria, in parte in un prato abbandonato di Nichelino e, in parte, per quanto riguarda una decina di travi, in una discarica abusiva presente nel parco del Meisino”. “Le travi – precisa l’ingegnere Luca Valzano – sono in calcestruzzo armato precompresso, a sezione cava, di altezza pari a 1.4 m, di lunghezza di circa 20 metri e del peso di circa 40 tonnellate ciascuna. I convogli del sistema Alweg sfruttavano carrelli di ruote gommate aventi sia funzione di appoggio sulla trave sia di trazione mediante trazione elettrica. La soluzione adottata era l’esito di uno sviluppo tecnologico che risaliva agli inizi del Novecento con le prime realizzazioni in Germania. L’infrastruttura, all’epoca rappresentata alla stregua di un aeroplano, era largamente ammirata per il suo carattere visionario. In quegli stessi anni, d’altronde, proprio in Germania, nell’ambito della sperimentazione, venivano realizzati appositi circuiti per testare i convogli che già procedevano ad alta velocità”. “E’ ancora più triste constatare – conclude l’ingegnere Valzano – in quale stato di abbandono sia stata ridotta e versi l’intera infrastruttura. Inoltre il mezzo che correva lungo la monorotaia è andato in parte distrutto da un incendio e da diversi atti di vandalismo. La parte sopravvissuta è stata smantellata nel 1981 dal demolitore Ovan che, a quell’epoca, lavorava alla dismissione dei mezzi dell’Atm, l’allora azienda di trasporti metropolitani”.

 

Mara Martellotta

 

Il Piemonte vuole l’autonomia. Nasce il comitato

L’autogoverno del Piemonte e la salvaguardia dell’identità e della lingua piemontese sono gli obiettivi prioritari del neo-costituito Comitato per l’Autonomia Piemont.

Nel corso della riunione costitutiva, che si è tenuta ad Asti, è stato approvato lo statuto ed è stato eletto, all’unanimità, il comitato provvisorio di coordinamento, che è composto da Carlo Comoli (coordinatore organizzativo), Massimo Iaretti (portavoce) ed Emiliano Racca (segretario/tesoriere). Il Comitato opererà affinché il Piemonte acquisisca la maggiore autonomia, legislativa e gestionale, per le proprie risorse agricole, commerciali, industriali e naturali, nonché per la difesa e la tutela del proprio territorio, e affinché vi sia una profonda revisione della finanza locale”. “La nostra azione, in particolare, sarà rivolta – dicono Comoli, Iaretti e Racca – a perseguire la massima autonomia possibile del Piemonte, Regione, già culla delle prime rivendicazioni autonomiste, che oggi è ancora al palo nel percorso già avviato da altre realtà come la Lombardia, il Veneto o l’Emilia Romagna”. Il Comitato evidenzia, poi, che opererà affinché l’identità e la lingua piemontese (patrimonio fondante del Piemonte) vengano promosse e valorizzate in ogni modo, attraverso il sostegno e il coordinamento con le istituzioni politico – amministrative a tutti i livelli. “I nostri obiettivi – dicono ancora gli esponenti del coordinamento del Comitato – verranno perseguiti attraverso una nostra presenza nelle Istituzioni, a partire dalla presenza alle elezioni del prossimo anno.

 

Il Piemonte vuole l'autonomia. Nasce il comitato

L’autogoverno del Piemonte e la salvaguardia dell’identità e della lingua piemontese sono gli obiettivi prioritari del neo-costituito Comitato per l’Autonomia Piemont.
Nel corso della riunione costitutiva, che si è tenuta ad Asti, è stato approvato lo statuto ed è stato eletto, all’unanimità, il comitato provvisorio di coordinamento, che è composto da Carlo Comoli (coordinatore organizzativo), Massimo Iaretti (portavoce) ed Emiliano Racca (segretario/tesoriere). Il Comitato opererà affinché il Piemonte acquisisca la maggiore autonomia, legislativa e gestionale, per le proprie risorse agricole, commerciali, industriali e naturali, nonché per la difesa e la tutela del proprio territorio, e affinché vi sia una profonda revisione della finanza locale”. “La nostra azione, in particolare, sarà rivolta – dicono Comoli, Iaretti e Racca – a perseguire la massima autonomia possibile del Piemonte, Regione, già culla delle prime rivendicazioni autonomiste, che oggi è ancora al palo nel percorso già avviato da altre realtà come la Lombardia, il Veneto o l’Emilia Romagna”. Il Comitato evidenzia, poi, che opererà affinché l’identità e la lingua piemontese (patrimonio fondante del Piemonte) vengano promosse e valorizzate in ogni modo, attraverso il sostegno e il coordinamento con le istituzioni politico – amministrative a tutti i livelli. “I nostri obiettivi – dicono ancora gli esponenti del coordinamento del Comitato – verranno perseguiti attraverso una nostra presenza nelle Istituzioni, a partire dalla presenza alle elezioni del prossimo anno.

 

Uova ripiene all’antica

uovaFresche e saporite 

Ingredienti (per 4 persone)

 4 uova sode – 1 scatoletta di tonno sott’olio – 1 cucchiaio di capperi – 1 cucchiaio di maionese – Prezzemolo – Sale q.b. – Olive per decoro.

 

Tagliare a meta’ le uova, togliere il tuorlo e disporle su un piatto. Frullare per qualche secondo i tuorli, il tonno, i capperi, il prezzemolo ben lavato e  la maionese, aggiustare di sale. Riempire le uova con il composto e decorare con un’oliva e, a piacere, con  maionese in tubetto. Conservare al fresco.

E voila’, in poche mosse il piatto  e’ servito.

 

Paperita Patty

Tronzano (FI): “La sanità tradita”

La sanità tradita. Tradita da una giunta regionale a guida Chiamparino che, senza una logica comprensibile, ha già oscurato una eccellenza come l’Oftalmico, spezzettandolo e rendendolo sostanzialmente monco e inutilizzabile. Ora si appresta a trattare i bambini come degli adulti in miniatura eliminando il primo ospedale pediatrico nato in Italia: il #Regina #Margherita #Oirm. Depotenzia inoltre tutto il materno infantile portando i posti letto pediatrici da 270 a 90 e annacquandolo nella Città della Salute. Inoltre, con una delibera di Giunta regionale del 2017 e un atto urbanistico immediatamente successivo della città di Torino, il polo materno infantile, #SantAnna e Regina Margherita, potrà tranquillamente essere abbattuto per costruire degli #appartamenti. Giù le mani dal Regina Margherita e dal polo Materno Infantile.”
Andrea Tronzano
Vicepresidente Gruppo Forza Italia – Consiglio regionale del Piemonte