SPETTACOLI- Pagina 5

Gianfelice Facchetti racconta il suo Grande Torino

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Nel giorno dell’anniversario della tragedia di Superga, Gianfelice Facchetti, il figlio di Giacinto Facchetti, considerato uno dei più forti giocatori italiani della storia, porta al teatro Superga di Nichelino il suo racconto sul Grande Torino, scritto con il giornalista Marco Bonetto. Sul palco, insieme all’attore, scrittore e regista teatrale, gli Slide Pistons, cioè Raffaele Kohler alla tromba, Luciano Macchia al trombone e Francesco Moglia al banjo.

Dopo “Eravamo quasi in cielo” e “La tribù del calcio”, Gianfelice Facchetti chiude la su trilogia dedicata allo sport più popolare al mondo con un racconto teatrale che arriva dopo un podcast realizzato per Rai Play Sound.

Cosa c’è nella valigia di un calciatore che torna da una lunga trasferta o da una sfida memorabile ? Quali oggetti, quali cose si conservano sul fondo della borsa? Ci saranno scarpe, indumenti da gioco, una tuta, calzettoni, una fascia da capitano; ci sarà una maglia scambiata con un avversario, mappe per visitare la città dove si è stati, souvenir da portare a chi è rimasto a casa ad aspettare, artigianato locale, una bambola, un barattolo di canfora per ungere i muscoli. Nelle valigie recuperate dai rottami del velivolo Fiat G 212, che il 4 maggio 1949 si schiantò su Superga, erano presenti tutte queste cose, ma anche molto di più. C’erano i sogni ritrovati di una generazione e di un Paese intero, il nostro, che a quella squadra si era aggrappato come si fa con qualcosa di salvifico quando tutto si sta deteriorando.

Immaginiamo che quel giorno del 1949 non sia accaduto nulla, nessuna tragedia, spostiamo indietro il calendario e sfogliamo l’album dei ricordi: prima cartolina, seconda, terza, fino a ritrovare le radici e i protagonisti di una pagina storica rimasta incollata agli occhi della memoria. Nomi, cognomi, luoghi, date. Il Grande Torino era una cartolina da un Paese diverso, da un luogo in cui le valigie della gente non contenevano nulla, erano state svuotate dalla guerra, povere e da riempire ancora di tutto, di necessità, di rivalsa, di sogni e di vita.

La favola tragica dei ragazzi in maglia granata parla dei sogni infranti di una generazione che, dopo la seconda guerra mondiale, si era rimboccata le maniche e aveva cercato di riprendersi la vita in mille maniere diverse. Una di queste è stata sicuramente lo sport. Prima il ciclismo, poi il calcio, grazie a quel Torino che tutti amavano, da nord a sud. C’era fame di vita e fiducia in qualcosa da cui cominciare a ricostruire, sete di rivincite, vittorie e orgoglio calpestato da troppo tempo. In un quadro rassegnato, fu lo sport a fornire qualche appiglio al Paese intero. Per questo, quando il cielo inghiottì gli Invincibili granata, venne giù tutto; fu un lutto così potente da cancellare ogni slancio di avvenire per tanti italiani. Ricordarlo vuol dire rinnovare i fili del tempo e restituirci un frammento di ciò che siamo stati e che, in qualche maniera, vorremmo un po’ tornare a essere.

Info: teatro Superga, via Superga 44, Nichelino

biglietteria@teatrosuperga.it – 011 6279789 – orari: dal martedì al venerdì dalle 15 alle 19

Gian Giacomo Della Porta

Lovers Film Festival 2025, il bilancio della quarantesima edizione

 

8 giorni, 70 film in programma da 26 Paesi e più di 70 ospiti fra registi e attori nazionali e internazionali – fra i quali Alan Cumming che ha ricevuto il premio Stella della Mole e Karla Sofia Gascon, Palma d’oro a Cannes e prima donna trans ad aver ricevuto tale riconoscimento – personaggi dello spettacolo, cantanti, performer, scrittori e giornalisti. Questi i numeri del Lovers Film Festival – il più longevo festival sui temi LGBTQI+ (lesbici, gay, bisessuali, trans, queer e intersessuali) d’Europa – che si è svolto a Torino, presso il Cinema Massimo del Museo Nazionale del Cinema dal 10 al 17 aprile e che quest’anno ha compiuto 40 anni.

“Siamo soddisfatti del successo del 40° Lovers Film Festival e del forte valore che – in un momento particolarmente difficile – continua con forza a dare la propria testimonianza nella lotta per i diritti civili” sottolineano Enzo Ghigo e Carlo Chatrian, rispettivamente presidente e direttore del Museo Nazionale del Cinema di Torino.

Alla premiazione è intervenuto anche il sindaco Stefano Lo Russo: “il Lovers Film Festival – ha detto – non è soltanto un festival cinematografico, ma uno spazio di libertà, di ascolto, di visione condivisa. Un evento che parla anche della nostra identità, una Torino che crede nei diritti, nella cultura, nella forza delle differenze”.

Il bilancio per gli organizzatori risulta positivo con un’affluenza complessiva di 6.008 presenze (fra appuntamenti gratuiti e a pagamento). L’anno scorso erano state 4.731. Gli incassi sono aumentati del +6,45 % rispetto alla passata edizione con +22,19 % del numero dei biglietti venduti e sono stati 438 gli accrediti registrati con un + 3,79% rispetto al 2024 e con +37,88 % del numero di passaggi degli accreditati.

Quanto al social engagement, il Lovers, nel 2025, ha raggiunto oltre 3,3 milioni di persone (+2,6M rispetto al 2024) e 4,5 milioni di visualizzazioni. Instagram guida il coinvolgimento con +36% di interazioni medie per post e sostiene soprattutto la crescita delle conversazioni del 124%, segno di un dialogo più rilevante con le community grazie ai nuovi format narrativi.

Il Lovers Film Festival è realizzato dal Museo Nazionale del Cinema di Torino e si svolge con il sostegno del MIC-DG Cinema, della Regione Piemonte, della Città di Torino, di Fondazione CRT e con un contributo straordinario di Fondazione Compagnia di San Paolo.

TORINO CLICK

Debutta in prima nazionale “Festa grande di aprile” di Franco Antonicelli,regia di Giulio Graglia

In programma dal 23 aprile al 4 maggio 2025 al teatro Gobetti

Mercoledì 23 aprile prossimo, alle 20.45, debutta in prima nazionale al teatro Gobetti “Festa grande di aprile” di Franco Antonicelli, con la drammaturgia di Diego Pleuteri, la consulenza storica di Gianni Oliva e la regia di Giulio Graglia. Saranno in scena Francesco Bottin, Hana Daneri, Matteo Federici, Jacopo Ferro, Celeste Guliandolo, Diego Pleuteri, Michele Puleio e lo stesso Gianni Oliva. Le scene sono di Fabio Carpene, i costumi di Giovanna Fiorentini, le luci di Antonio Merola e le musiche originali di Andrea Chenna, la cura dei movimenti scenici di Antonio Bertusi. Lo spettacolo, prodotto dal Teatto Stabile di Torino – Teatro Nazionale, in collaborazione con il Polo del 900, resterà in scena fino a domenica 4 maggio prossimo.

“Festa grande di aprile” è quella della Liberazione, un anniversario che anno dopo anno si allontana da quel 25 aprile 1945 che ha sancito l’inizio di una nuova vita per il nostro Paese. Si tratta di un testo teatrale con cui Franco Antonicelli, singolare figura di scrittore, poeta, giornalista, Presidente del CLN Piemonte, politico, ripercorre le vicende italiane dal 1924 al 1945, dai giorni del delitto Matteotti alla Resistenza e alla Liberazione. “Festa grande di aprile” venne pubblicato da Einaudi nel 1964 nella collezione di teatro diretta da Paolo Grassi e Gerardo Guerrieri, e nel medesimo anno ottenne il Premio Tricolore come testo drammatico sulla Resistenza. Attraverso una sequenza di numerosi e rapidi quadri, come una carrellata cinematografica di immagini e fotogrammi, l’autore porta sul palcoscenico una tragedia perfetta: da un delitto, attraverso l’acne di una crisi morale di coscienza, si giunge alla catarsi. Lo spettacolo “Festa grande di aprile” è un accorato invito a partecipare in modo consapevole e collettivo a questa rappresentazione popolare della nostra storia, fatta di uomini e donne, ma anche di canti e musica del periodo eseguiti dal vivo. Nell’ultima scena, figure evanescenti di condannati a morte ci chiamano a un’assunzione di responsabilità; un ricordo che, pur nel giorno della Liberazione finale, vuole essere intriso di rispetto e riflessione, il desiderio di rileggere la nostra storia oggi. Un teatro civile che ci conduca a sensibilizzare le coscienze di tutti e, in particolare, quelle dei giovani.

Info: teatro Gobetti, via Rossini 8, Torino

Orari spettacoli: martedì, giovedì e sabato alle 19.30 – mercoledì e venerdì ore 20.45 – domenica ore 16 – lunedì riposo

Biglietteria: teatro Carignano, piazza Carignano 6, Torino

Tel: 011 5169555

Email: biglietteria@teatrostabiletorino.it

Mara Martellotta

Lee come William Borroughs, una discesa all’inferno

Sugli schermi, “Queer” di Luca Guadagnino

PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione

 

Nelle traduzioni che si sono susseguite da noi in una quindicina d’anni, “Queer” – il romanzo che William S. Borroughs scrisse tra il 1951 e il ’53 e che Luca Guadagnino ha portato sullo schermo, con il viatico della vetrina internazionale di Venezia – è stato etichettato come”Diverso” o più crudemente “Checca”, è tornato a possedere il proprio titolo originale nell’edizione di Adelphi del 2013 e il regista di “Chiamami col tuo nome” identicamente ce lo propone. Un romanzo che il regista lesse a diciassette anni e che è riuscito a realizzare a cinquantatré, “il suo film più desiderato”. Una discesa all’inferno, consapevole e continuata, il racconto dei bar malfamati ed estremi di Città del Messico visitati da parte del protagonista Lee – chiaramente, autobiograficamente negli abiti bianchi e venati di sporcizia di Borroughs, anche le unghie alonate di nero denunciano estrema trasandatezza – alla ricerca di birre e di bicchieri di tequila, di quantità non indifferenti di varie droghe da assumere e soprattutto di bei ragazzi da trascinarsi in casa, con tanto di pistola nella fondina, in mezzo a incontri occasionali e a relazioni che guardano soltanto al denaro lasciato sul tavolino accanto al letto come ad altre che farebbero sperare in qualcosa di più duraturo e coinvolgente. Come quando Lee fa gli occhi dolci (ma anche il compiacente giullare) al giovane Gene Allerton, ben pettinato ed elegantino, un passato di spia e di battaglie, un danno di guerra in quella costola rotta immediatamente denunciata, sfuggente e incontrollabile come i rapporti che mantiene con una donna, oggetto d’amore per un susseguirsi di pedinamenti attraverso le strade della città – ricostruite a Cinecittà nelle scenografie assai belle di Stefano Baisi e fotografate da un eccellente Sayomphu Mukdiphrom, capace di ricreare atmosfere e deliri con entusiasmante esattezza ma anche con una tristezza che non si dimentica mai di aleggiare attorno al protagonista -, in un alternarsi di ricerca del desiderio e del corpo e del sesso esplicito soddisfatta come di ribellioni calate all’improvviso tra loro da parte della “vittima”.

È questo inizio, decadente e intriso di ogni calura, la parte più bella e convincente – sarebbero sufficienti le immagini iniziali, sui titoli di testa, il silenzio e il letto sfatto zeppo di occhiali, pistole, cartine geografiche, emblematiche – che Guadagnino ricostruisce con le immagini allo spiegamento del romanzo, fatto di sguardi e di gesti, di passi che si susseguono, l’uno appresso all’altro, di sole e di ombre, del chiuso della camera e dell’insegna dell’hotel che si riflette nella finestra, dei commenti al veleno che gli appartenenti gay della comunità americana ospite scambia con Lee, delle particolarità dell’avventure vissute.

Tre capitoli e un epilogo (la sceneggiatura è firmata da Justin Kuritzkes, già collaboratore di Guadagnino per il penultimo “Challengers”), che hanno una parte centrale capace si sprofondare nel viaggio che la coppia compie nella giungla, in un profondo sudamerica, alla ricerca della radice yagé, allucinogena, che porterebbe alla conquista maggiore della telepatia chiunque l’assuma, per arrivare all’unione di anime e di corpi soprattutto, di mani che vagano sotto la pelle, dove tutto pare una coreografia, di luci che abbagliano e di serpenti che fuggono davanti all’uomo terrorizzati, dietro lo sguardo di una fattucchiera locale: procedimenti sconosciuti a chi scrive, libero pure della lettura del romanzo, ma che paiono prendere forma, in una sorta di movie B degli anni Cinquanta con una scenografia, questa sì, falsificata e falsa, con un qualcosa anche di ridicolo, di cenni psichedelici non facilmente controllabili, di momenti che sfuggono al regista mentre cerca di concretizzarli. Un vero punto morto della trasposizione. Se non imbarazzante. Con il ritorno a casa, in solitaria, si torna ai livelli alti quando la storia di Lee/Borroughs si conclude, sulla china della più completa autodistruzione, al termine della scrittura e dei romanzi, degli articoli giornalistici, della droga che ha corrotto ogni cosa, di un’esistenza che ha anche visto lo scrittore nelle vesti di rapinatore e spacciatore, barista e operaio, di padre e madre che per una vita intera hanno sovvenzionato il figlio fuori da ogni regola, dell’incidente alla moglie Joan a cui lui, in vena d’imitazione di Guglielmo Tell, dopo averle posato un bicchiere colmo di cognac sulla testa, sparò un colpo di pistola, gesto per il quale fu condannato a soli due anni per omicidio colposo, mai scontati, giudizio su cui pesarono quattrini familiari e avvocati con un bel paio di baffi, gesto che Guadagnino ha la “bellezza” narrativa e cinematografica di riprendere qui sotto altra veste, come uccisione dell’oggetto desiderato, come fine di una passione che porta nelle scene finali alla morte. Sottolineò all’epoca lo scrittore: “Guardando “Queer” a metà, sentivo un blocco, mi sentivo impossibilitato a leggerlo, figuriamoci a scriverlo… il passato era un fiume velenoso, mi sentivo ‘fortunato’ a esserne uscito, quella forza che mi bloccava era ciò che aveva generato il libro stesso, un evento che non viene mai citato, né nominato, ed evitato con cura: l’incidente che uccise Jean nel 1951.” Momenti di difficile interpretazione, semmai, magari da memorizzare soltanto, che magari ci spingono a entrare e a guardare ancora una volta, con occhio curioso o riflessivo, allo scrittore del secolo scorso.

Film scandaloso se ci si fermasse alla “pelle” sbandierata e non ci si accorgesse di quella tristezza di cui sopra. Affatto, quindi. Con la bravura di Drew Starkey, silenzi ammiccamenti desideri di fuga e di passioni, grande interpretazione di un Daniel Craig tutto da scoprire, lasciate in un angolo della memoria il macho di 007 o l’ironico detective di “Cena con delitto” e guardatevi l’attore pronto a prendersi maledettamente sul serio, a rimettersi completamente in gioco, questo uomo stazzonato e sfatto, intristito e arrapato, solo e fragile, alla ricerca di una droga e di una passione che dovrebbero aiutarlo a vivere.

I vincitori del Lovers Film Festival 2025

Il più longevo festival sui temi LGBTQI+ d’Europa e terzo nel mondo diretto da Vladimir Luxuria

 

I FILM PREMIATI | LE MOTIVAZIONI

ALL THE LOVERS/ OTTAVIO MAI AWARD FOR THE BEST FEATURE

Presidente di giuria: Giovanni Minerba

 

Queerpanorama di Jun Li

La poetica di ogni film ci ha portato ad accostarci a un’opera dalla forte importanza cinematografica e politica, un lavoro che usa la corporeità come strumento per infondere il desiderio di un’utopia.  Per noi è stato un discorso sull’identità che ha la forma di un sogno ad occhi aperti.

 

REAL LOVERS / REAL LOVERS AWARD FOR BEST DOCUMENTARY

Presidente di giuria: Vera Gemma

 

Topli Film di Dragan Jovićević

Per l’impegno nella ricerca di materiale di repertorio e la capacità di creare una struttura narrativa coinvolgente, in grado di ibridare performance e realtà. In particolar modo per la capacità di mettere in discussione dei preconcetti radicati coinvolgendo registi e attori in un dialogo vivo e autentico.

 

MENZIONE SPECIALE

 

Eros di Rachel Daisy Ellis

Un quadro eterogeneo composto da corpi autentici che si autorappresentano mettendosi a nudo e aprendo attraverso lo schermo spazi intimi quali sono le stanze dei motel brasiliani.

FUTURE LOVERS / FUTURE LOVERS AWARD FOR BEST SHORT FILM

Presidente di giuria: Raffaele Cataldo

 

Next Door di Lukas März

Per il linguaggio – a metà tra il grottesco e l’horror – capace di travalicare i confini del genere, la giuria ha scelto di premiare un cortometraggio che intercetta e mette in scena paure e angosce che credevamo di esserci lasciati alle spalle, ma che invece continuano a vivere accanto a noi.

MENZIONE SPECIALE

 

Solo Kim di Javier Prieto De Paula e Diego Herrero

Un cortometraggio che, unendo a doppio filo vita personale e posizione sociale, racconta una storia di marginalizzazione su più piani in grado di arrivare dritta al cuore.

 

PREMIO TORINO PRIDE

Outerlands di Elena Oxman

In questi giorni abbiamo avuto il piacere di vedere film e documentari di vario tipo che hanno messo in luce la pluralità dei temi che affrontiamo quotidianamente all’ interno delle nostre associazioni. Ogni lungometraggio ci ha aiutato a capire quanto la lotta sia ancora lunga e complessa, soprattutto in un momento storico in cui lo spazio dei diritti sociali e civili sta diminuendo. Il film che abbiamo scelto di premiare sottolinea la complessità delle nostre vite, della cura, delle famiglie allargate e della capacità di saper riconoscere il proprio passato per poter abbracciare il proprio futuro.

 

MENZIONE SPECIALE

 

The Secret of Me di Grace Hughes-Hallett

Per la capacità di trasmettere l’elaborazione della propria esperienza personale connettendola ad altre, per definire percorsi di una soggettività ancora relativamente riconosciuta come quello dell’intersessualità.

PREMIO GIO’ STAJANO

Quir di Nicola Bellucci

Per aver raccontato con magica umanità e una struggente fotografia una delle comunità Queer più sorprendenti d’Italia, che vive nel cuore pulsante di Palermo, dove Massimo e Gino accolgono e raccolgono da più di quarant’anni nella loro grande famiglia, persone la cui bellezza umana va ben oltre al personaggio. Un film vero, bello e utile, di grande qualità che racconta storie queer e non, in una Sicilia dove le testimonianze di giovani trans e gay danno la dimensione che tanto è stato fatto ma tanto rimane ancora da fare. O si è felici o si è complici: questo è il grande insegnamento di Massimo e Gino.

 

GIURIA YOUNG LOVERS – PREMIO MATTHEW SHEPARD

Lesbian Space Princess di Emma Hough Hobbs e Leela Varghese

Per aver utilizzato un linguaggio visivo e referenziale che guarda in modo diretto, ironico e non scontato all’attualità e alla contemporanea generazione teen, attraverso simboli, sintesi e significati importanti e urgenti, creando un film per tutti e per ciascuno.

 

RIFLESSI NEL BUIO

I Have to Run di Oleg Hristolübskiy

Perché il buio che vedevamo fuori dai nostri confini si sta diffondendo in modo sempre più allarmante intorno a noi, perché l’attenzione su chi nega i diritti della comunità LGBTQIA+ fuori e dentro dall’Europa sia alta e nulla sia dato come definitivamente acquisito.

 

I PREMI DEL PUBBLICO – AUDIENCE AWARDS

 

ALL THE LOVERS

A Night Like This di Liam Calvert

 

REAL LOVERS

Topli Film di Dragan Jovićević

 

FUTURE LOVERS

Next Door di Lukas März

 

 

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Il Lovers Film Festival è realizzato dal Museo Nazionale del Cinema di Torino e si svolge con il sostegno del MIC-DG Cinema, della Regione Piemonte, della Città di Torino, di Fondazione CRTe con un contributo straordinario di Fondazione Compagnia di San Paolo.

Lunathica presenta la prima edizione di Fili Sottili

È stato presentato il nuovo progetto di Lunathica, la prima edizione di Fili Sottili, festival di arte, salute e inclusione che avrà luogo dall’8 al 10 maggio 2025 nei comuni di Cirié e Lanzo Torinese. Il festival offrirà spettacoli, convegni e dibattiti, workshop teatrali e laboratori creativi, tutti a ingresso libero. Si tratta di un progetto innovativo volto a raccontare e condividere le esperienze artistiche e teatrali in ambito sociale, ma anche un’occasione per riflettere e confrontarsi sui temi della malattia psichiatrica e della disabilità, e su quali attività e azioni possono rendere la nostra società più inclusiva. Si tratta di temi a cui Lunathica, che coordina i diversi appuntamenti che compongono il ricco cartellone di eventi, ha sempre prestato attenzione all’interno della sua programmazione.

“Questo festival rappresenta un naturale sviluppo di ciò che negli anni abbiamo creato a Lunathica con dedizione e entusiasmo – afferma Cristiano Falcomer, coordinatore del festival – Lunathica è sempre stata anche comunità e partecipazione, un’opportunità per costruire insieme qualcosa che abbia un valore e una rilevanza per la collettività. Ci fa piacere che questo senso di comunità (testimoniato non solo dalla grande partecipazione di pubblico, ma anche dal coinvolgimento spontaneo di un gruppo spontaneo di volontari), si è esteso anche al di fuori del festival e si manifesta anche al di fuori di questa nuova iniziativa, e questo senso di inclusione, questa capacità è volontà di stare davvero insieme che segna tutte le iniziative proposte da Lunathica e dona loro un significato”.

“per il Dipartimento di Salute Mentale ASL TO 4, il festival Fili Sottili rappresenta un’occasione per promuovere il benessere psichico, abbattere lo stigma e favorire l’integrazione sociale – sottolinea Silvana Lerda, direttrice di Dipartimento – attraverso workshop, conferenze e performance, il festival sarà un momento di riflessione e sensibilizzazione, volto alla depatologizzazione delle diversità. Una comunità inclusiva e solidale che valorizzare la disabilità è la base per generare salute mentale e favorire crescita e arricchimento per tutti”.

“la ragione per il quale il CIS di Cirié ha contribuito alla realizzazione di Fili Sottili – spiega Lorenzo Gregori, che ne è il direttore – scaturisce dal fatto che fin dalla loro nascita i centri diurni per persone con disabilità hanno avuto e hanno l’ambizione di essere una risorsa e un centro di attivazione di risorse, finalizzato a individuare contesti e luoghi per migliorare il benessere, il livello di autonomia e favorire l’inclusione sociale delle persone che lo frequentano. Da questo punto di vista, Fili Sottili rappresenta l’esempio concreto di un’iniziativa messa a disposizione dal territorio, generata anche dai luoghi, i centri diurni che, oltre ad attingere da quanto già presente sul territorio, si propongono come risorsa utile alla comunità”.

Con il patrocinio della Città di Cirié, della Città di Lanzo Torinese e della Città Metropolitana di Torino, con il sostegno di Iveco – Orecchia Spa, in collaborazione con il presidio ospedaliero Fatebenefratelli, la cooperativa sociale Ippogrifo, Associazione Volare alto e società cooperativa sociale La forma dell’acqua.

Il programma si può consultare sul sito www.lunathica.it

Tutti gli appuntamenti sono a ingresso libero.

Mara Martellotta

Inviato dall’app Tiscali Mail.

Rock Jazz e dintorni. Il Torino Jazz Festival entra nel vivo

 

Martedì. Ultima anteprima del TJF al Circolo dei Lettori alle 18 con “Talkin To Jazz” voci dal TJF con il sassofonista Simone Garino.

Mercoledì. Inaugurazione del Torino Jazz Festival al teatro Juvarra alle 18 con Domenico Brancale & Roberto Dani. Alle 21 al teatro Colosseo suona il quintetto di Enrico Rava con il nuovo progetto “Fearless Five”. Al Blah Blah si esibiscono gli Acidmammoth. Al Jazz Club sono di scena i FunFunk. Al Vinile si esibiscono i Godfather of Soul &Funny Machine. Allo Ziggy suonano i The Devils.

Giovedì. Il TJF presenta alle 21 al teatro Colosseo i Calibro 35 con il loro progetto “JazzPloitation” mentre al Bunker alle 23 suona il settetto di Don Karate.

Venerdì. Il TJF al teatro Vittoria alle 11 presenta Zoe Pia con un quintetto di percussionisti. Alle 17 al Conservatorio suona il pianista Vijay Iyer. Giornata della festa della liberazione per il TJF  con  la GP Big Band e la JCT Big Band al Mauto alle 18 e in replica alle 21. Per il TJF All’Hiroshima Mon Amour alle 22 si esibisce Jan Bang Sextet.

Sabato.  Al teatro Vittoria alle 11 il TJF presenta la pianista Margaux Oswald. Alla Casa teatro Ragazzi e Giovani alle 18 il settetto di Tiziano Tononi / Daniele Cavallanti .  Al Conservatorio alle 21 Enrico Pieranunzi Trio  & Orchestra Filarmonica Italiana con il progetto “Blues And Bach”. Alla Divina Commedia suona la Pyramid Band. Al Jazz Club si esibiscono i The Boomers. Al Blah Blah suonano i Downtown’s Bad Company.

Domenica. Il Tjf alle 11 al teatro Vittoria presenta il quartetto Korale. Alle 18 al Conservatorio si esibisce Amaro Freitas al pianoforte e percussioni. Alle 21 al teatro Monterosa suona l’ottetto di Furio Di Castri. Alla Divina Commedia  è di scena Toni Scanta Group. Al Jazz Club si esibisce Lisa De Stefano & Fast Frank. 

Pier Luigi Fuggetta

“Le sette ultime parole di Cristo” di Haydn: all’Auditorium Rai di Torino, il concerto di Pasqua

In prima serata con Ottavio Dantone e la voce di Mario Campa per “Le sette ultime parole di Cristo” di Haydn.

Si ispira a quelle che per la tradizione cristiana sono state le ultime parole di Gesù Cristo  morente, il brano di Haydn, che l’OSN Rai propone per il suo tradizionale concerto di Pasqua in data unica e fuori abbonamento. La serata, in programma all’Auditorium Rai, verrà trasmessa in diretta su Radio 3 e in prima serata alle 21.15 su RAI 5. Sul podio sale Ottavio Dantone, uno dei più apprezzati interpreti di musica antica e non solo. Nato come clavicembalista, è poi salito sui podi più prestigiosi del mondo, dalla Scala al Festival di Salisburgo, passando per il Proms di Londra, è uno dei direttori dell’Orchestra RAI, che lo ospita regolarmente.

La straordinaria partitura, considerata dallo stesso Hayd uno dei suoi lavori migliori, fu commissionata dal canonico della Cattedrale di Cadice e fu eseguita per la prima volta in occasione del Venerdì Santo del 1786. Si compone di 9 brani: un’introduzione maestosa, 7 sonate che si ispirano alle ultime frasi pronunciate da Cristo sulla Croce e che avrebbero dovuto alternarsi alle parole del celebrante durante la liturgia, e Il terremoto conclusivo, che segna simbolicamente la fine del calvario di Gesù, il momento che accompagna la sua morte, secondo le parole del Vangelo di Matteo. Alla versione orchestrale originale, eseguita dalla compagine Rai e da Dantone, Haydn ne fece seguire poi altre tre: una per quartetto d’archi, una per tastiera sola e una in forma di oratorio per soli, coro e orchestra. Nell’esecuzione del Concerto di Pasqua della Rai trova spazio anche la voce fuori campo di Mario Acampa che, prima delle varie sezioni di lavoro di Haydn, declama le sette frasi ritenute dai Vangeli le ultime sette parole di Gesù Cristo dette e pronunciate da Gesù Cristo prima di spirare sulla Croce.

Già protagonista del Concerto di Natale, ha iniziato la sua carriera come primo attore al Teatro Stabile Privato di Torino. Dopo numerosi ruoli in film e serie televisive internazionali, ha continuato la sua formazione e tra l’Italia e Lo Angeles. Nel 2015 ha debuttato alla regia lirica al Carignano di Torino con “Il Piccolo Principe”, e ha scritto e diretto concerti in tutta Italia, dal Teatro Regio di Torino al Massimo di Palermo. Tra questi “il processo a Nureyev”, “La vestale di Elicona”, “Donne alla guerra di Troia” presso il Teatro Antico di Taormina. Dal 2021 ha iniziato la collaborazione con il Teatro alla Scala,,dove recentemente ha curato la regia del “Cappello di Paglia di Firenze” di Nino Rota.

Biglietti per il Concerto di Pasqua: presso la biglietteria dell’Auditorium Toscanini e sul sito dell’OSN Rai

Info: 011 8104653

Mara Martellotta

“Franciscus” guarda alla sua epoca per parlare al mondo di oggi

Simone Cristicchi sul palcoscenico del Gioiello, soltanto sino a domani

 

Vabbè, uno dice è un grande, un grandissimo cantante, un’isola a sé, uno fuori di ogni schema, solitario come una perla rara sul palcoscenico più canoro dello Stivale e ben altrove, ne ascolti la voce e lo ammiri: ennò, non soltanto quella, Simone Cristicchi è un cultore della parola, non solo nella bella dizione che si porta appresso e che ti godi, esclusa da un certo variopinto farfugliamento che ti ritrovi a volte sui palcoscenici, uno di quelli che la parola la sanno comporre e ricomporre, amalgamare, incrociare e dispiegare, rafforzata dall’Idea che avvince e coinvolge il pubblico. Andate al Gioiello a gustarvi il suo “Franciscus. Il folle che parlava agli uccelli”, scritto con Simona Orlando (al Gioiello sino a domani giovedì 10 aprile), e preparatevi a essere avvolti dentro questo testo – e abbiate il coraggio tutto umano di commuovervi – che non è solo la rappresentazione di una figura umana che ha messo la sua profonda impronta su un’epoca ma dell’epoca stessa, che è fuori da ogni “santino” che vi possa essere capitato tra le mani, la figura di un santo che ha preso alla lettera le parole del Vangelo, che è il frutto di studi portati avanti con profondità, con saggezza, attingendo a quanti hanno guardato nell’intimo del santo d’Assisi, da Bonaventura da Bagnoregio per arrivare all’Ottocento del francese Paul Sabatier, con una divulgata miscela di riflessioni e di divertimento, un inno alla povertà e una sferzata inconfutabile al superfluo, circa 100 minuti monologali di meditazione più vicini alla Cavani che non a Zeffirelli, dove scorgi la “letitia” e l’inno alla natura – ma vivaddio non a quell’ecologismo di attuale facciata dietro cui molti oggi sbavano e si nascondono con grande comodità -: e l’autore/attore, al termine, a salutare con commozione e a ringraziare la sala stracolma, il pubblico in piedi e sotto il palcoscenico, tra applausi senza condizione, non come l’interprete che ha vinto la sua battaglia, ma come l’uomo pieno di dignità e di timidezza che ha ancora ben presente quanta strada ci sia da fare a completare la strada.
“Franciscus” non è che la tappa, attuale, di un cammino di un uomo completo di spettacolo che non ha ancora saltato la barriera dei cinquanta, che è stato obiettore di coscienza e volontario in un centro di igiene mentale, che s’è all’inizio dato ai tormentoni tipo “Vorrei cantare come Biagio” e che ci ha regalato poi capolavori come “Ti regalerò una rosa” e “Abbi cura di me”, “Studentessa universitaria” e “Quando sarai piccola”, che è passato attraverso le scritture di “Mio nonno è morto in guerra” e “Magazzino 18”, intorno al dramma delle genti istriane, giuliane e dalmate del dopoguerra, e “Manuale di volo per l’uomo”. Prove che l’hanno sempre più fatto immergere nel teatro – anche d’organizzazione, per tre anni è stato direttore dello Stabile d’Abruzzo -, alla piena consapevolezza della ricerca di un teatro “di civiltà” o civile, un cammino – lo ascoltavo dalla platea in certi a parte, in certe parole in cui più veniva messo a fuoco il pensiero di Cristicchi autore, con delucidazioni, con ampi pensieri, con ragionamenti, con commiserazione della attualità, che abbracciavano anche miserevoli percentuali del nostro vivere quotidiano – che lo sta felicemente portando a vivere quelle stesse aree già frequentate da Giorgio Gaber (è da manuale il brano del centro commerciale, con la fame che tutti conosciamo di gettare oggetti dentro il carrello della spesa; e come non avvicinare i due autori, di epoche diverse, in quel tema della finzione, “fingendo di essere liberi” l’uno, “far finta di essere sani” l’altro?) in quegli stessi anni in cui Cristicchi è nato. E lui, ben saldo sul palcoscenico, potrebbe essere il signor C. degli anni futuri.
Franciscus il rivoluzionario e l’estremista, l’innamorato della vita e capace di vivere un sogno, forte e momentaneo se già certi suoi seguaci preferirono rinnegare nella maggiore comodità il suo insegnamento, il folle che parlava agli uccelli, che riusciva a vedere la bellezza del Creato nell’acqua come nella morte. L’uomo che compone negli ultimi anni della sua vita il “Cantico delle creature”, che s’è rifugiato tra i lebbrosi e ha ucciso uomini nella guerra tra Perugia e Assisi, che è “così pazzo da cambiare il mondo”, che “è tutto e il contrario di tutto”, che è un alternarsi di “studi silenzi isolamenti”, che con i mattoni e le pietre ha costruito chiese e con la propria esistenza ha per un attimo rimesso in sesto una Chiesa traballante, che s’è spogliato davanti al tempio di Minerva, come c’insegna Giotto, in una scelta radicale di povertà, rinnegando gli averi di ser Bernardone – magari messo a confronto (parola grossa!) con gli spogliarelli di oggi che vanno tanto per la maggiore, che viveva di religiosità e di dubbi, che viveva di utopie, che ha perso la partecipazione alla Crociata ma riesce a stabilire egualmente, a Damietta, sulle rive del Nilo, un legame con il futuro sultano al-Malik al-Kamil. “Ci fu un tempo in cui c’era ancora tempo” recita Cristicchi e in quel tempo pone la santità del suo uomo: ponendogli a filtro Cencio, stracciaiolo girovagante con il proprio carretto su cui raccoglie quei brani di stoffa, seta e quant’altro, che poi porterà alla cartiera perché divengano preziosa carta a cui ridaranno vita infaticabili amanuensi, uomo rude e imbronciato, caustico e certo non grande ammiratore del poverello, inventore di una lingua sua che Cristicchi con bell’approccio diversifica e offre al pubblico con simpatia. E con la bravura di sempre ripone all’interno dello spettacolo, che ha la bella struttura scenografica lignea di Giacomo Andrico, otto canzoni, scritti con Amara, che con l’aiuto della chitarra sono parte non secondaria della serata. Uno spettacolo da non perdere, una faccia non troppo rivisitata di quel Teatro con la lettera maiuscola che ci spinge, che ci aiuta a crescere. Una rabbia, una laicità, un affetto anche che fanno grande un momento teatrale. Che ha il potere, autentico, di chiamarci a testimone e di coinvolgere.

Elio Rabbione

Le immagini dello spettacolo sono di Edoardo Scremin.