SPETTACOLI- Pagina 6

Scuola Flic: “Surreale”, i progetti vincitori

La FLIC Scuola di Circo di Torino, prima scuola professionale di circo contemporaneo in Italia curata dalla Reale Società Ginnastica, sta rinnovando il suo impegno verso la scena circense internazionale con la stagione CALEIDOSDOPIO 2024-2025. Nel corso di 22 anni, il centro di formazione e promozione circense ha costruito un vasto network di relazioni che l’hanno resa un punto di riferimento per il settore a livello internazionale.

Il secondo tempo della stagione prosegue domenica 23 marzo 2025 con la presentazione del workshop in progress dei progetti vincitori di SURREALE – residenze di circo contemporaneo, call internazionale per artisti di circo contemporaneo under 35. Si tratta di un progetto finalizzato alla produzione e alla diffusione del circo contemporaneo a cura della Reale Società Ginnastica di Torino e della sua FLIC Scuola di Circo, centro di valenza internazionale abitato da artisti e docenti provenienti da tutto il mondo, in cui arte, sana follia, sensibilità e un’esperienza di 22 anni sono presupposti importanti per dare inizio a nuovi lavori di creazione e sperimentazione. Il progetto è sostenuto dal Ministero della Cultura e dalla Regione Piemonte, nel quadro delle azioni trasversali atte a consentire lo sviluppo di progetti di residenza “Artisti nei territori”, e gli artisti vincitori vengono accolti in residenza allo Spazio FLIC, Centro Internazionale per le Arti Circensi di Torino.

Quattro nuovi progetti creativi dal forte impatto emotivo e innovativo, consigliati a un pubblico a partire dagli 8 anni in su, vengono presentati ad ingresso gratuito cominciando dalle ore 16 presso la Casa del Quartiere Bagni Pubblici di via Agliè 9, con “FAILLES – un invito a cadere” del Collectif Des Foules. Le due artiste Elie Chateignier e Pia Bautista mettono in scena due persone che giocano con le norme, oscillando ai confini tra finzione e realtà, in una performance che invita a riflettere sull’equilibrio e sulla caduta attraverso un intreccio di corpi e pensieri. Alle ore 18 l’appuntamento allo Spazio FLIC di via Paganini con la presentazione di altri tre progetti e biglietti gratuiti che verranno distribuiti a partire dalle ore 17. Viene presentato “Abel” della compagnia Cie del Caravaggio, composta da Alessandro Travelli, Rita Carmo Martins e Marylou Aupic, come il “making of di un’opera teatrale dove quel che viene mostrato nasconde la storia vera. Uno spettacolo troppo ambizioso che non riesce a trovare soluzione, un racconto fittamente intessuto di sensazioni che tutto a un tratto si presenta squarciato da una voragine senza fondo, come se la pretesa di manifestare la pienezza vitale rivelasse il vuoto sottostante”.

La compagnia Phonofobia porta in scena “Fast Food Emotion”, un circo viscerale che attraversa stereotipi, dualismi e convenzioni estetiche. Un’opera che mescola danza, musica, teatro, riciclo e moda per interrogarsi su come i nostri corpi abitino lo spazio e secondo quali regole, codici e limiti scegliamo di muoverci. Due artiste Karita Tikka e Maristella Tesio esplorano il confine tra il bello e il mostruoso, lasciando che il pubblico si interroghi su dove tracciare la linea di demarcazione tra i due, e su come il circo possa diventare un linguaggio di trasformazione sociale e ambientale. L’ultimo progetto si intitola “Ça-Bug-Unicycle Duo”, di Cata e Jay, un’esplorazione poetica e provocatoria che sfida le convenzioni dell’equilibrio in coppia su un monociclo. Con uno stile unico e in continua evoluzione, i due artisti Catarina Vilas Boas e Lorenzo Jay sfidano le convenzioni della stabilità dando vita a un continuum di curve, salite, cadute e nuovi tentativi. Attraverso il loro viaggio in equilibrio precario si perdono e si ritrovano, aprendo nuove possibilità e inaspettate porte che li conducono verso scoperte sempre nuove. La performance, che a gennaio è stata presentata al prestigioso festival Mondial du Cirque de Demain di Parigi, è un invito a lasciarsi trasportare dalla imprevedibilità della scena.

Il secondo tempo di CALEIDOSCOPIO sta andando in scena dal 18 gennaio e durerà fino al 29 giugno, con in programma 11 spettacoli e 16 appuntamenti presso lo Spazio FLIC, e un gran finale con la terza edizione di OSCILLANTE.

MARA MARTELLOTTA

Il tramonto doloroso del grande intellettuale

Casanova”, scritto da Fabrizio Sinisi, all’Astra sino a domenica 23

Quando, ad inizio della stagione, Andrea De Rosa, direttore del TPE, chiese al regista Fabio Condemi come il suo spettacolo “Casanova” si potesse inserire in un calendario che riuniva ogni partecipazione sotto il termine “fantasmi”, lui rispose: “Il fantasma risiede proprio in questa parola, “memoria”, perché Casanova ricorda se stesso da giovane proprio sull’orlo del 1700, quando il secolo sta per finire e lui non ne fa più parte.” Il testo, che s’alterna tra vita e filosofia, tra rammarico e ricordi, sempre tenendo un profilo alto e raffinato, che a tratti corre forse il rischio di cadere nel (troppo) letterario, lo ha ricavato Fabrizio Sinisi – a dicembre avevamo già applaudito il suo “Orlando”, dal romanzo della Woolf, anche qui un enigma che s’intreccia tra opera e biografia – dalla “Storia della mia vita”, da quei “Mèmoirs” che lo scrittore il seduttore il filosofo il giocatore d’azzardo il politico l’esoterista l’avventuriero – a Sinisi interessa soprattutto l’intellettuale – scrisse in lingua francese tra il 1789 e il ’98: sarebbero stati pubblicati giusto duecento anni fa in una versione censurata. Clima d’anniversari dunque, un altro “Casanova” sta circolando sui nostri palcoscenici, ad opera di Ruggero Cappuccio.

In un inverno di fine secolo, Casanova continua a svolgere i suoi compiti di bibliotecario, da tredici anni al servizio del Conte di Waldstein, nel castello di Dux in Boemia, dove esprime tutta la sua rabbia e la sua solitudine, tutta la stanchezza, in mezzo a servitori che con lui s’esprimono in tedesco, lingua che gli è completamente ignota, mortificandolo, sbeffeggiandolo: lì riceverà la visita di un medico che professa la dottrina mesmerica, anticamera dell’ipnosi, che non lo convince appieno ma che vuole sperimentare, e con quella visita ecco aprirsi il passato e la memoria dell’uomo ed è un susseguirsi di premonizioni e di fumose visioni e di personaggi che prendono corpo. Ecco apparire sulla scena il monaco Balbi, incapace di scegliere tra nobildonne e monache per far figli, chiuso nelle prigioni veneziane all’ennesima reprimenda dei superiori, la dolce Henriette (su cui la Storia non ha ancora saputo mettere un punto fermo), l’amore di una vita intera, la marchesa D’Urfé che teme più d’ogni altro la vecchiaia e lo sfacelo del proprio corpo e chiede aiuto. Monologhi, parole piene di fascino, momenti che s’immergono nel pieno di una magia, “Casanova” sceglie alla fine la decisione di non disturbare oltre quei fantasmi, d’incamminarsi lungo la via dell’oblio. “Questo è il vostro mondo, non è più il mio” confessa amareggiato Casanova, tra i fumi che continuano a invadere la scena resta soltanto una piccola mongolfiera simile a quella che aveva attraversato anni prima il cielo di Parigi, come poco prima s’è affacciato il ricordo di una giovane donna bionda, regale, i capelli tagliati e una sottoveste bianca, che poneva tra le urla di un pubblico corso a godersi la scena la testa sotto la lama della macchina che la Rivoluzione aveva inventato.

Se ne va il passato, se ne va il Secolo dei Lumi. Non la spudorata allegria di Comencini o le avventure di Hallström ma lo sfaldamento di Fellini. Lentamente, nella memoria a tratti perduta dell’uomo, e Sinisi altrettanto lentamente accompagna questo crepuscolo. La regia di Condemi costruisce con note appropriate e con trepidazione il personaggio del titolo, soprattutto sfrutta al meglio l’impianto scenografico (“scene e drammaturgia dell’immagine” recita con esattezza la locandina) pensato da Fabio Cherstich, costruendo esatte inquadrature cinematografiche (c’è anche un omaggio al pre-cinema, con il corredo di lanterne magiche come c’è un omaggio alla pittura chiaroscurale), candele antiche e lampade moderne, un tappeto e un soffitto di coloratissimi riquadri, la distesa di volumi che accuseranno lo sconquasso, naturale e non soltanto, il ritratto giovanile del Nostro a opera di Mengs (Casanova ha 35 anni, è il 1760), la finestrella entro cui apparirà Voltaire a raccontare del terremoto di Lisbona, il grande tavolo su cui posano i “Mémoirs” che l’autore continua a completare. Ma non per molto, siamo arrivati alla fine. Una scena nitida, esemplare. Interprete Sandro Lombardi, a costruire appieno il tramonto fisico e mentale del suo personaggio, le ombre e le luci, gli ardori di un tempo e i dolori del presente, le amarezze. Con lui Marco Cavalcoli, Alberto Marcello, Simona De Leo, il piccolo Edoardo Desana sicuro per la sua prima volta in scena e Betty Pedrazzi che fa della sua marchesa un essere umano che ben s’accompagna allo sguardo finale dello scrittore.

Elio Rabbione

Le immagini dello spettacolo sono di Luca Del Pia.

Rosanna Vaudetti e Mariagiovanna Elmi al Museo della Radio e Tv

L’abito donato dall’ex annunciatrice  Mariagiovanna Elmi al Museo RAI di Torino, indossato con una collana della principessa Helietta Caracciolo al Festival di Sanremo 1978, da ieri a fianco di quello donato nel 2022 dalla collega “Signorina Buonasera” Rosanna Vaudetti con il quale fece il primo annuncio a colori della televisione italiana nell’agosto 1972, in occasione delle Olimpiadi di Monaco.

 

Le indimenticabili “Signorine Buonasera” della Rai Rosanna Vaudetti e Mariagiovanna Elmi al Museo della Radio e Tv di via Verdi a Torino mentre ascoltano il brano “Guarda che luna” eseguita dal tenore Andrea Del Principe accompagnato al pianoforte di colore rosa suonato per anni dal grande Fred Buscaglione nello storico locale cittadino “Le Roi” dal Maestro Luca Rizzo ed al sassofono da Marco Cerrato.

IGINO MACAGNO

Igino Macagno

 

 

Il pianoforte rosa di Fred Buscaglione trova casa al Museo della Radio e della Tv

Dopo numerose vicissitudini, il pianoforte rosa appartenuto a Fred Buscaglione torna a Torino e da oggi potrà essere ammirato al Museo della Radio e della Televisione della Rai. Grazie a un dialogo tra la Città di Torino, il Museo e l’imprenditore Tony Campa, questo testimone di un’epoca d’oro della musica italiana trova così il luogo ideale per essere valorizzato. L’evento di presentazione, ieri mattina, ha visto anche la partecipazione di Rosanna Vaudetti e Maria Giovanna Elmi, storiche presentatrici televisive, che hanno donato al museo gli abiti utilizzati in momenti significativi della storia della televisione.

“È una giornata di grande emozione – ha dichiarato l’assessora alla Cultura della Città di Torino Rosanna Purchia – e voglio esprimere la mia gratitudine a tutti coloro che hanno creduto in questo progetto. I colloqui sono iniziati due anni fa, quando ho incontrato Tony Campa al Le Roi Music Hall, dove questo pianoforte era custodito. Era giusto trovargli una collocazione che ne esaltasse il valore e sono certa che anche Fred Buscaglione sarebbe felice di sapere che il suo strumento è qui, in un luogo che celebra la storia della radio e della televisione italiana”.

“Questo momento riunisce tanti elementi preziosi della nostra memoria – ha dichiarato il direttore del Centro di produzione Rai di Torino Guido Rossi -. Il Museo della Radio e della Televisione è un luogo in continua evoluzione, che racconta la storia della comunicazione e dello spettacolo in Italia, che ospita costumi, cimeli e documenti di grandi protagonisti della radio e della televisione. Accogliere il pianoforte di Fred Buscaglione significa aggiungere un altro tassello alla narrazione di un’epoca straordinaria, che arricchirà ulteriormente il percorso espositivo, insieme all’abito di Maria Giovanna Elmi, con cui condusse, prima donna nella storia, il Festival di Sanremo nel 1978, accanto a Mike Bongiorno. Un gesto che segue quello di Rosanna Vaudetti, che un anno e mezzo fa ha donato il vestito con cui annunciò la nascita della televisione a colori in Italia”.

Tony Campa, collezionista e imprenditore che ha custodito il pianoforte per anni, ha raccontato la storia dello strumento, originariamente ospitato al Le Roi Music Hall, il celebre locale torinese che ha visto esibirsi alcuni dei più grandi artisti italiani tra cui Lucio Dalla, Ornella Vanoni, Gino Paoli e un giovane Lucio Battisti. Rimasto a lungo nei magazzini del Le Roi, fu rilevato dallo stesso Campa, finché, durante una tournée a Torino, Massimo Ranieri lo scoprì e lo volle per il suo programma televisivo “Sogno o son desto”. Il pianoforte restò poi a Ranieri per sette anni, prima di fare finalmente ritorno a Torino.

TORINO CLICK

Le trasgressioni e la forza di una donna e di una fotografa di guerra

Sugli schermi “Lee Miller” con Kate Winslet

PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione

Elizabeth “Lee” Miller fu musa e amante (di Man Ray), fu modella e fotografa di guerra, fu artista ambiziosa – una leggenda del mondo dell’editoria e della moda racconta che a bella posta si sia messa davanti a un’auto in corsa per essere salvata da Condé Montrose Nast, all’epoca l’uomo più influente di quei mondi; realtà che, nel 1929, ventiduenne, abbia visto pubblicata una sua foto a pubblicizzare degli assorbenti – e donna anticonformista e capace di farsi desiderare, una vita spericolata e avventurosa in un mondo che prevedeva soltanto uomini, e infaticabile, che la vide attraversare le stanze della sede inglese di “Vogue” (in cui s’aggirava il “nemico” Cecil Beaton) come gli scenari di combattimenti (la battaglia di Saint-Malo dopo lo sbarco in Normandia) e i campi di concentramento, a descrivere corpi scheletriti e buttati in orribili mucchi e bambine dagli occhi terrorizzati alla ricerca di una pagnotta di pane (la rabbia successiva quando quelle foto non verranno pubblicate perché ”troppo sconvolgenti”), obbligata a camuffarsi tra le file dei soldati americani le cui gerarchie la respingevano, rifiutando l’idea di una donna al fronte. Una donna dalla giovinezza non facile, la perdita della madre e la coabitazione con il padre, anch’egli fotografo che la usò giovanissima per le sue immagini di nudo, un rapporto per cui qualcuno ha avanzato anche l’idea di violenza. Una donna che aveva come amici Paul Eluard e Picasso e Jean Cocteau, la Dietrich e Colette, con i quali anche collaborò in vario modo, una donna che, arrivata nella casa di Monaco del dittatore tedesco, all’indomani della resa, si fece fotografare da Dave Sherman, collega di “Life”, nella vasca da bagno, in “quella” vasca da bagno, gli stivali usati per mesi a imbrattare di fango il piccolo tappeto e preoccupata che “le tette non si devono vedere, la censura non approverebbe”. Le nozze niente affatto tranquille con Roland Penrose, il bicchiere perennemente in mano e l’immagine di una sigaretta sempre chiusa tra le labbra, un passato che continuava a tormentarla, il sospetto di spionaggio per conto dell’Unione Sovietica, le memorie dettate al figlio Anthony (ne nascerà “The Lives of Lee Miller”), il cancro che la porta via a settant’anni.

Alcuni di questi tratti di vita racconta Ellen Kuras in “Lee Miller”, un racconto frammentato, una sequenza di immagini ed episodi, in ampi flashback, di circa due ore per riempire il volto e il corpo della donna e dell’artista. Forse il tutto si snoda con assoluta tranquillità, troppa, senza che ci siano nel racconto impennate o improvvisi battiti d’ali, tutto resta troppo raccontato, un episodio attaccato all’altro, un ricordo che segue a un ricordo, l’orrore rischia per assurdo di rimanere chiuso in quelle fotografie e di non essere trasmesso appieno a chi lo sta guardando. Si ha l’impressione di déjà vu. Si ha l’impressione – vera – che la volontà prima della Kuras sia stata “rifare” le immagini personali e costruite di Lee, fare un copia e incolla dal passato, giocare con la eccessiva “identificazione” e con una classicità di scrittura (una sceneggiatura rifinita a sei mani) e d’impostazione del progetto che avrebbero dovuto nutrire un ben altro respiro. Il film finisce con l’appassionare a balzelloni, a colpire a tratti, a far amare una donna che ha fatto dell’irruenza e della sfrontatezza la propria ragione di vita.

Irruente e decisa, aspramente testarda, come la sua fotografa, Kate Winslet – candidata ai Golden Globe -, anche in veste di coproduttrice, ha atteso quindici anni perché il progetto si consolidasse e ne fosse a capo la Kuras con cui, nella veste di fotografa, aveva già collaborato nel 2004 per “Se mi lasci ti cancello” – oggi il direttore della fotografia è Pawel Edelman, già dietro la macchina per “Il pianista” di Polanski. Tutta la rabbia, le lotte portate avanti giorno dopo giorno, le risate che precedono il conflitto e le delusioni, i ricordi e le visioni di corpi martoriati e già in putrefazione, il puzzo e l’orrore all’apertura dei vagoni dei treni, il buio degli spazi, la trasgressione delle regole, le trincee e gli scoppi, la volontà a costruire un proprio personalissimo mondo, una vita a repentaglio, le tante testimonianze, l’attrice di “Titanic” e di “Revolutionary Road” e dell’Oscar “The Reader” se li porta al contrario appresso, in maniera autenticamente viscerale, offrendo una delle sue più convincenti interpretazioni (che vale da sola il biglietto). Tutti gli altri compagni di viaggio, pur bravi, inevitabilmente, ridotti a figurine che finiscono per avere un leggerissimo spessore (Alexander Skarsgård, Marion Cotillard, Andrea Riseborough), le restano indietro. “Lee Miller” “è” lei, con la dimostrazione, se ancora ce ne fosse bisogno, d’essere una delle attrici più affascinanti del nostro tempo.

Hiroshima mon Amour, la pièce “The Snow Goose” per la regia di Renzo Sicco

A dieci anni di distanza ritorna giovedì 20 marzo

Presso l’Hiroshima Mon Amour, in via Bossoli 83, giovedì 20 marzo prossimo alle ore 21 si terrà lo spettacolo “The Snow Goose”, piccola opera musical teatrale liberamente ispirata alle musiche e alle parole di ‘The Snow Goose’, musiche originali dei Camel. Interpreti Cristiana Voglino, Alberto Barbi, Chiara Biancardi, Arturo Gerace, Pierluigi Vancheri. Suoni e flauto di Alfredo Ponissi, immagini video di Renato De Gaetano. La regia è di Renzo Sicco.

I Camel sono stati un gruppo musicale inglese degli anni Settanta particolarmente importanti nella corrente del cosiddetto rock progressive. Erano dei giovani appassionati, come tanti loro coetanei inglesi, di un libro che ha ispirato una delle loro opere più interessanti “The Snow Goose”, di cui composero un’omonima suite musicale di circa 50 minuti, che hanno eseguito anche a Torino in un memorabile bellissimo concerto tenutosi proprio al Centro Culturale Hiroshima Mon Amour il 20 marzo 2014.

La composizione, come il libro, tratteggia vivamente l’esistenza attorno ad un faro, dove abita un personaggio bizzarro e marginale che incontrerà una bambina e un pennuto ferito, a cui dedicherà cure amorevoli, che gli ridaranno la possibilità di volare. Il tutto si svolge, però, in tempi di guerra, durante la seconda guerra mondiale. La partitura musicale è totalmente strumentale e priva di testo cantato. La proposta di Assemblea Teatro è stata quella di realizzare un ascolto di questa suite musicale nella sua versione integrale, ma arricchita di frammenti che ricompongono i percorsi della storia, attingendo alle pagine letterarie che l’hanno ispirata, in una chiusura del cerchio, dalla pagina alla musica al racconto, confermando così la forte possibilità di incontro tra musica e letteratura che lega musicisti e autori di romanzi, narrazione musicale e letteraria, e che da sempre caratterizza il percorso di Assemblea Teatro ( “After Punk Revolution”, “Nei segni dell’alveare”, “Camaleonte”, “L’aria triste che tu amavi tanto “ e ”The dream of reason”)

Sembra un assurdo rappresentare un libro senza le parole, ma lo si poteva fare perché in quel periodo la musica era decisamente visionaria. Con Pink Floyd, Amon Düül, Grateful Dead, è stata visione, melodie e suoni, da un lato all’altro degli oceani, e il libro racconta proprio una storia sull’oceano dove avvenne anche la battaglia di Dunkerque.

Ed è così che ci piace ricordare, come Assemblea Teatro, eleven years after, quella data del 2014, tornando sul palco di Hiroshima Mon Amour per proporre una nuova replica di “The Snow Goose”.

Hiroshima Mon Amour, via Bossoli 83, 20 marzo ore 21

Biglietti 10euro (ingresso unico)

Mara Martellotta

In scena al Teatro Carignano “Come gli uccelli”

Già presentato in anteprima al 28esimo Festival delle Colline Torinesi, su testo di Wajdi Mouawad

In scena al teatro Carignano, da martedì 18 a domenica 23 marzo prossimi, la pièce teatrale intitolata “Come gli uccelli” di  Wajdi  Mouawad, nella traduzione di Monica Capuani e l’adattamento di Lorenzo De Jacovo, che firma anche la regia dello spettacolo. Saranno in scena Federico Palumeri, Lucrezia Forni, Barbara Mazzi, Irene Ivaldi, Rebecca Rossetti, Aleksandar  Cvjetkovic, Elio d’Alessandro , Said Esserairi e Raffaele Musella.

“’Come gli uccelli’ – spiega il regista Marco Lorenzi nelle sue note di regia –  ci ha dato l’occasione di costruire un cast unico capace di mescolare attori italiani ad attori provenienti da altre parti del mondo, da altri Paesi, con origini e biografie diverse e con un’eterogeneità linguistica e culturale  che, durante il processo di  creazione dello spettacolo, ha riprodotto quel percorso di incontro, quell’andare verso l’altro che, come per Mouawad così per il Mulino di Amleto, è una ragione di vita e di poetica.

Ho chiesto a questo incredibile cast di interpreti  ( e a me stesso) di lasciare alle spalle quello che sappiamo sul teatro, per andare alla ricerca di un significato più sottile delle parole che usiamo, delle relazioni che costruiamo, dell’ascolto che porgiamo all’altro. Ho chiesto loro di entrare in uno spettacolo che, per tre ore, si reggerà interamente sulle loro spalle, sulla loro forza, sul loro grande talento. Ho chiesto loro di immergersi in un viaggio di conoscenza non scontato  e di imparare a recitare in altre lingue oltre la propria, con l’aiuto di esperti linguistici e culturali. ‘Come gli uccelli’ risuonerà di una  molteplicità linguistica, per cui, oltre che in italiano, gli attori reciteranno in arabo, tedesco, ebraico (…)

Come cittadino e come artista del XXI secolo credo che continuare a ragionare secondo visioni e  sistemi superati e fallimentari sia l’unico errore da non fare.  Ragionare secondo categorie identitarie auto riferite e continuare a creare un teatro (un’arte borghese che, per quanto sia d’avanguardia, rimane sempre arte identitaria ed espressione di una visione parziale),  non abbia più senso nel capitalismo globale dove non esiste più  la possibilità di rimanere esterni, di non fare finta di nulla e dove i muri non hanno più senso e dove solo i ponti sono una possibilità di futuro”.

Il testo narra una storia ambientata nel presente e in esso è possibile ravvisare quella realtà che affonda le radici in anni di lotta tra due popoli destinati all’odio reciproco. Un muro è  metafora di separazione, è presente in scena nella sua enorme struttura mobile che i personaggi spingono a fatica per guadagnarsi uno spazio in cui pare impossibile entrare definitivamente.

Al centro della vicenda è la storia d’amore tra due ragazzi che si incontrano in una biblioteca a New York. Sono Eitan ( Federico Palumeri), ebreo, e Wahida ( Lucrezia Forni), araba. I due non sono legati alle tradizioni dei loro Paesi e vogliono vivere la loro storia d’amore indipendentemente dalle loro rispettive origini. Eitan è preoccupato dall’ossessione paterna verso il mondo arabo e intuisce che nella sua famiglia, emigrata in Germania prima della sua nascita,  esista un segreto che vuole scoprire. Decide allora di recarsi con Wahida in Israele per incontrare la nonna che non ha mai conosciuto perché lei aveva abbandonato la famiglia, convinto che sia lei depositaria di quel segreto. Qui resta vittima di un attentato terroristico sul ponte che collega Israele  e Germania e cade in coma…

Si tratta certamente di un penetrante affresco teatrale, crocevia di vite, memorie e culture straniere in cui la storia d’amore tra i due giovani Eitan e Wahida guida gli spettatori  alla scoperta delle moderne contraddizioni esistenziali, sempre in bilico tra lo sfatato presente e il potere ostinato  che il passato e la storia esercitano sulle emozioni.

Da martedì 18 a domenica 23 marzo 2025.

Teatro Carignano.  Piazza Carignano 6, Torino

Mara Martellotta 

Il Gattopardo di Netflix: la nuova serie è stata girata anche a Torino

La nuova serie Netflix “Il Gattopardo”, tratta dall’omonimo romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, ha debuttato il 5 marzo 2025 sulla piattaforma streaming

Questa reinterpretazione moderna vede protagonisti Kim Rossi Stuart, Benedetta Porcaroli, Deva Cassel e Saul Nanni.
La serie, diretta da Tom Shankland, Giuseppe Capotondi e Laura Luchetti, è stata girata in diverse location tra cui Roma, Palermo, Siracusa, Catania e Torino.
La serie “Il Gattopardo” racconta la storia della famiglia Salina durante il periodo dell’unificazione italiana, esplorando temi di potere, decadenza e cambiamento sociale. La nuova interpretazione di Netflix promette di offrire una visione fresca e coinvolgente di questo classico della letteratura italiana.

Torino parte della serie

Torino, con il suo fascino storico e architettonico, ha ospitato le riprese del quinto episodio della serie, diretto da Laura Luchetti.
Le scene sono state girate in luoghi iconici come Palazzo Civico, il Parlamento Subalpino e il Parco del Valentino. La città sabauda, con la sua bellezza senza tempo, ha offerto un’ambientazione perfetta per le vicende della famiglia Salina, capeggiata dal principe Don Fabrizio.
Le riprese a Torino si sono svolte a settembre 2023 e hanno coinvolto numerosi professionisti locali. Tra le location torinesi spiccano Piazza Carignano, Via Carlo Alberto, Piazza Palazzo di Città e il Museo Nazionale del Risorgimento.
La regista Laura Luchetti ha espresso grande emozione nel tornare a girare a Torino, città che aveva già ospitato le riprese del suo film “La Bella Estate”.
Questo episodio rappresenta un momento chiave della serie, incentrato sulle tematiche dell’amore, della passione e della rivelazione delle verità nascoste di alcuni personaggi.
Uno degli elementi più affascinanti dell’episodio è la scena del “Nabucco”, che ha richiesto la gestione di un intero coro e di centinaia di comparse all’interno del teatro.
Questa sequenza ha aggiunto una dimensione teatrale e corale alla narrazione, rendendo l’episodio particolarmente suggestivo.
Dal punto di vista tematico, il quinto episodio si distingue per il focus sui personaggi femminili, con Concetta, interpretata da Benedetta Porcaroli, che assume un ruolo centrale. Concetta, che fino a quel momento aveva vissuto all’ombra del padre Principe Fabrizio, interpretato da Kim Rossi Stuart, trova finalmente la forza di ribellarsi e reclamare il proprio spazio.
La sua evoluzione nella serie rappresenta un riscatto rispetto alla versione cinematografica di Visconti, rendendola una figura più autonoma e incisiva.
Parallelamente, il personaggio di Angelica, interpretato da Deva Cassel, viene mostrato in una luce più malinconica.
Pur essendo riuscita a conquistare la sua posizione attraverso la bellezza e lo charme, Angelica si ritrova intrappolata in un matrimonio che si rivela essere solo una facciata di felicità. La scena in cui Fabrizio e Concetta visitano Angelica e Tancredi nella loro casa da sposi svela le crepe di un’unione apparentemente perfetta.
Il quinto episodio assume dunque un valore simbolico, mostrando il contrasto tra il vecchio e il nuovo, tra il potere che si sgretola e le nuove generazioni che cercano il proprio posto nel mondo.
La frase pronunciata dal protagonista, “siamo una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi e i nuovi”, sottolinea il senso di transizione e di perdita che permea l’intera serie.
Attraverso la scelta di Torino come sfondo per questi momenti cruciali, la serie conferisce ulteriore profondità e autenticità alla narrazione, rendendo la città non solo un semplice set, ma un elemento narrativo capace di arricchire il racconto di “Il Gattopardo” con il suo fascino senza tempo.

I Costumi

I costumi della serie sono stati curati da Carlo Poggioli ed Edoardo Russo, che hanno affrontato la sfida di reinterpretare gli abiti del film di Visconti per una nuova generazione. Poggioli, allievo del celebre costumista Piero Tosi, ha creato abiti che riflettono l’opulenza e la complessità dei personaggi.
Deva Cassel, che interpreta Angelica, indossa abiti dai toni caldi e passionali, mentre Benedetta Porcaroli, nei panni di Concetta, sfoggia abiti dai toni freddi come il verde e l’azzurro.
Poggioli ha spiegato che la realizzazione dei costumi ha richiesto un’attenzione particolare ai dettagli storici e alla qualità dei tessuti.
La serie presenta una varietà di abiti nuovi, poiché molti dei costumi originali del film di Visconti non erano più disponibili o erano troppo piccoli per gli attori di oggi.
La produzione ha coinvolto circa 8.000 comparse, tutte vestite con abiti accuratamente realizzati per riflettere l’epoca storica.
Dimenticare Il Gattopardo di Visconti
Per apprezzare appieno la nuova serie “Il Gattopardo” su Netflix, è necessario dimenticare la versione cinematografica di Luchino Visconti del 1963.
La serie, infatti, si distacca dall’approccio viscontiano per offrire una reinterpretazione più moderna e accessibile al pubblico contemporaneo. La regia di Tom Shankland, Giuseppe Capotondi e Laura Luchetti si concentra su una narrazione più dinamica e visivamente accattivante, pur mantenendo l’essenza del romanzo di Tomasi di Lampedusa.
La serie esplora in profondità i personaggi e le loro relazioni, mettendo in luce le sfumature psicologiche e i conflitti interiori che caratterizzano la famiglia Salina.
La scelta di girare in location autentiche e storicamente rilevanti, come Torino, contribuisce a creare un’atmosfera immersiva e realistica, che permette agli spettatori di immergersi completamente nel mondo de “Il Gattopardo”.

Conclusione

La nuova versione di “Il Gattopardo” su Netflix merita? Non resta che fare play così da scoprirlo ognuno in maniera personale.

 

CRISTINA TAVERNITI

Rock Jazz e dintorni a Torino: Roberto Vecchioni e Anastacia

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GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA 

Lunedì. Al teatro Colosseo si esibisce Cristiano De Andrè. Alle OGR è di scena Nicole Zuraitis feat. Elio Coppola Trio.

Martedì. All’Osteria Rabezzana suona Martin Craig & The Black City. Al Blah Blah si esibiscono gli Zu.

Mercoledì. Alle OGR arriva Anastacia. Al Peocio di Trofarello suona Scott Henderson. Allo Spazio 211 si esibisce Gnuti. All’Osteria Rabezzana è di scena Valerio Liboni.

Giovedì. Al Circolino è di scena JoHnny Laplo & Arcote Project. Al Cafè Neruda suona il The Origin Trio. All’Off Topic si esibisce La Municipal.  Al Blah Blah si esibisce Sarram. 

Venerdì. Al Folk Club suona Daniele di Bonaventura. Allo Ziggy si esibisce Suzi Sabotage + The Spoliled. Allo Spazio 211 è di scena Sylvie Kreusch. Al Capolinea 8 suona Emanuele Cisi Trio. Alla Divina Commedia si esibiscono Frankie & Friends. All’Hiroshima Mon Amour sono di scena i Queen of Saba. Alla Suoneria di Settimo suonano i La Crus. Al Magazzino di Gilgamesh si esibisce la Artur Menezes Band.

Sabato. All’Inalpi Arena si esibisce Brunori Sas. Alla Divina Commedia sono di scena i Britannia Row. Al Magazzino di Gilgamesh suona Omar Coleman & Henry Carpaneto Organ Trio. Al Capolinea 8 si esibisce il Vinicius Surian Quartet. Allo Spazio 211 suonano i Go Dugong. Al Blah Blah sono di scena i Flatmates 205. Allo Ziggy suonano Rockish + Domani Martina + Eranera. Al Folk Club si esibisce Luigi Tessarollo New Sextex.

Domenica. Al teatro Colosseo recital di Roberto Vecchioni. Allo Ziggy suonano Dead Blow Hammer ( feat. Rob Kabula Agnostic Front)+ Guest TBA. All’Inalpi Arena è di scena Geolier. Alla Divina Commedia suonano i Sudaka.

Pier Luigi Fuggetta