Uno spettacolo dedicato alla coppia Gaber Luporini e al loro teatro canzone
Al teatro Gobetti di Torino, per la Stagione del Teatro Stabile torinese, andrà in scena, dal 31 ottobre al 5 novembre prossimo, la pièce teatrale “Buonasera Signor G” con l’Accademia dei Folli. Si tratta di uno spettacolo dedicato al teatro canzone di Giorgio Gaber, con testi e musiche di Sandro Luporini.
La regia è di Sandro Roncaglia, insieme ai musicisti Andrea Claudio alla chitarra, Enrico Delitto al basso, Matteo Pagliardi alla batteria. Le scene sono di Matteo Capobianco i costumi di Carola Fenocchio, le luci di Mattia Tuariello.
Più che un omaggio al fondatore del teatro canzone, lo spettacolo rappresenta un viaggio che segue un impulso e un istinto. Di fronte all’immersa opera di Giorgio Gaber e Luporini ci si sente un poco persi e disorientati e soprattutto folgorati dalla straziante e al tempo stesso straordinaria attualità dei loro monologhi e canzoni.
“Gaber si affacciava sul ciglio di un baratro – afferma il regista Carlo Roncaglia – oggi ci troviamo in quel baratro e siamo in caduta libera, con tutta l’incoscienza a disposizione, senza aver paura di sbagliare, di mostrare il fianco, di risultare inadeguati e inadatti. E lo siamo senz’altro, in tutti i sensi. In fondo è tutta una questione di fragilità, di saper accettare il disequilibrio, di non aver troppo timore di guardarsi dentro. Il fatto è che il Signor G. Non è un personaggio. Siamo tutti noi. Da un marciapiede di una città semideserta e buia, alla penombra di una camera da letto, allo spazio soffocante di un ascensore allo specchio del proprio bagno, facciamo i conti con la nostra meschinità, con le nostre profonde contraddizioni, con le nevrosi e le frustrazioni quotidiane.
Buonasera Signor G comunica anche un messaggio di speranza, di un sogno tenuto in vita artificialmente e con un accanimento terapeutico disperato. Abbiamo scelto accuratamente i testi ascoltando prima di tutto la pancia (come avrebbe detto Gaber stesso) e poi ricercando il senso e i disegno finale; ad ogni replica questa ricerca continua, ogni volta troviamo un senso differente e il disegno ci appare diverso.
Cinico, scanzonato, ironico, Gaber è ancora lì sul palco che oscilla dinoccolato cantando le paure e le speranze, le frustrazioni e l’incertezza del vivere, aspettando il momento giusto per spiegare le ali e spiccare il volo”
Giorgio Gaber e Sandro Luporini hanno dato vita ad un genere del tutto nuovo, il Teatro canzone e già dal titolo è intuibile la natura ibrida di questo modo di fare intrattenimento. Una semplice sedia, Giorgio Gaber il pubblico e la parola; la canzone protagonista di uno spettacolo teatrale contenente anche dei monologhi. Le tematiche sono le più disparate e spaziano dalla satira alla critica alla società. Il cantautore fa ciò comportandosi come un maestro che si erge dall’alto dell’uomo piedistallo, ma descrivendo lui stesso come un inetto, come un umile. Questo personaggio si chiama il Signor G. “Il Signor G nasce” è il brano del 1970 con cui nasce il personaggio. Attraverso diversi modi (prosa, canzone, monologo, dialogo), Gaber mostra l’uomo in tutta la sua fragilità. A volte è confuso, a volte è impegnato, a volte non sa. Le contraddizioni di una società e di una politica che spesso non sa cosa fare si vanno a districare con una grande capacità da parte del Signor G.
“Il Signor G – spiegava Giorgio Gaber – rappresentava e rappresenta ancora […] la sincerità. Io venivo da un mondo tutto diverso basato sulla logica dell’intrattenimento. Scegliendo il teatro ridussi ulteriormente il mio nome e creai una sintesi tra me e il personaggio. Il Signor G- dove G voleva dire ‘gente’ – era un signore un po’ anonimo, un signore come tutti che però mi assomigliava, in bilico tra un desiderio di reale cambiamento e un inserimento nella società. Il suo atteggiamento, sempre molto interrogativo, si trova di fronte a una generazione che ha una grande voglia di cambiamento”.
MARA MARTELLOTTA
Teatro Gobetti
Via Rossini 8
Martedì giovedì e sabato ore 19.30
Mercoledì e venerdì ore 20.45
Domenica ore 16.



Le promesse sono mantenute, la girandola di situazioni e di battute (i temi sessuali sono imperanti) che strappano la risata, i doppi sensi a manciate che rallegrano, i campanelli e gli squilli dei citofoni di casa, le incursioni satiriche, il clima di complicità che si stabilisce tra il pubblico e gli attori, ogni cosa fa bene alla serata. Se s’intravede qualcosa di scontato o di ripetitivo qua e là, tutto è prontamente rimesso in riga dal gran mestiere di tutti gli attori in scena, da Miriam Mesturino, fiammeggiante padrona di casa, tutta ardori e terrori, solo per un attimo pronta a rifugiarsi nella scalcagnata quanto tranquilla vita di un tempo, a Sergio Muniz, marito troppo comprensivo e sonnacchioso, affaccendato a ristabilire equilibri e abituale trantran, eccellente dispensatore d’ironia, da Valentina Maselli a Luca Negroni a Giuseppe Renzo, alla divertentissima, applauditissima Maria Cristina Gionta, cameriera dei signori. Un successone.
La più eterea stella del cinema italiano, l’altera e sognante Caterina Boratto, torinese, classe 1915, nata in un edificio Liberty in corso Francia, è sempre stata una donna di una bellezza classica, di un’eleganza innata, altera, un pò malinconica, e con lo sguardo da regina; per il grande regista Federico Fellini, “una donna dalla regalità completa”. Dopo aver frequentato il liceo musicale, su segnalazione di Evelina Paoli, una delle maggiori attrici teatrali del primo Novecento, cliente della pellicceria della mamma, nel 1937 esordisce inaspettatamente a soli 22 anni nel cinema come protagonista del film “Vivere!” di Guido Brignone, nella parte della figlia del celebre tenore Tito Schipa. Un successo nazionale e internazionale che le spiana la strada per Hollywood, dove frequenta Joan Crawford, Lana Turner, Spencer Tracy, Judy Garland e persino il grande scrittore Francis Scott Fitzgerald. Ma il suo debutto viene continuamente rinviato. E come tutti i sogni, allo scoppio della guerra, dopo tre anni di lavoro preparatorio negli studios per il debutto, il sogno s’infrange e con un viaggio di ritorno per mare, durante il quale Caterina viene scambiata per una spia, a causa dei timbri tedeschi di Berlino dove era andata a presentare “Vivere!”, rientra in Italia, a Torino. Sposa nel 1944 Armando Ceratto, uomo della Resistenza che riunisce il Comitato di Liberazione Nazionale nella sua clinica privata, la Sanatrix, una delle più importanti d’Europa per l’eccellenza di medici come Achille Mario Dogliotti, il chirurgo torinese dei casi disperati. E per circa una decina di anni la Boratto si ritira a vita privata e riprende a dare concerti come soprano. A ripescarla negli anni Sessanta è Federico Fellini che aveva conosciuto nel 1943 sul set di “Campo de’ Fiori”, il film con Aldo Fabrizi e Anna Magnani, l’ultimo girato prima del suo lungo distacco dal mondo del cinema. L’incontro avviene a Roma, Fellini la nota casualmente per strada mentre lei sta uscendo da un grande magazzino in una traversa di via della Croce. Caterina su suggerimento del regista Guido Sacerdote indossa un grande cappello marrone perché a Roma nessuna donna portava il cappello. Fellini, la nota, la riconosce, si fermano a parlare e l’istinto, così spesso decisivo, lo porta a chiederle di interpretare la parte della misteriosa ed elegante signora che appare in più di una scena del capolavoro “8½”. Nel 1974 avviene il folgorante incontro con Pier Paolo Pasolini che vuole la Boratto a tutti i costi in “Salò, le 100 giornate di Sodoma”; si dedica diretta da Filippo Crivelli anche all’affascinante esperienza dell’Operetta; interpreta Madama Pace in “Questa sera si recita a soggetto” per la regia di Giuseppe Patroni Griffi; nel 1987 partecipa al film di Luciano De Crescenzo “32 dicembre” e nel 1990 arriva l’incontro con Gigi Proietti per la realizzazione della situation-comedy “Villa Arzilla”. Un periodo di grande allegria, serenità e spensieratezza per il suo ritorno a Torino, dove negli 800 metri dello Studio 1 del Centro di Produzione Rai di via Verdi, il regista ricostruisce quattro ambienti ed un salone dove gli arzilli, sorridenti e vivaci protagonisti, i grandi Ernesto Calindri, Giustino Durano, Marisa Merlini e Fiorenzo Fiorentini si incontrano e scontrano per il divertimento dei telespettatori. La Boratto è la Greta Garbo di “Villa Arzilla”, un’ex attrice che non abbandona mai i suoi atteggiamenti da Diva.