LA RUBRICA DELLA DOMENICA- Pagina 5

Linea di confine. Spigolature di vita e storie torinesi

di Pier Franco Quaglieni

Briga e Tenda 70 anni fa – Via Nizza e via Madama Cristina, cose senza senso – Berrino, Matteotti e il pasticcere torinese – Il grande Umberto Eco – Maria Valabrega, Lucio Pisani e la scuola torinese

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Briga e Tenda 70 anni fa
Con il trattato di pace firmato il 10 febbraio 1947 e ratificato nel settembre dello stesso anno- oltre all’Istria ,alla Venezia Giulia, alla Dalmazia e a Fiume che passarono alla Jugoslavia- passò alla Francia anche la piccola comunità italiana delle Alpi Marittime di Briga e Tenda. Invano Benedetto Croce all’Assemblea costituente difese l’italianità di quelle terre. Invano Vittorio Badini Confalonieri che fu deputato alla Costituente e al parlamento italiano in rappresentanza del Collegio di Cuneo, si battè per impedire la mutilazione richiesta dalla Francia. Anche la M.O. della Resistenza Enrico Martini Mauri che aveva combattuto fascisti e tedeschi a capo delle Divisioni Alpine Autonome, si schierò per la difesa dell’italianità di Briga e Tenda. Solo i comunisti si comportarono come fecero con le terre del confine orientale. E infatti a scrivere di quella vicenda è stato uno dei più faziosi giornalisti che si siano occupati di Resistenza , quel Mario Giovana, partigiano sicuramente valoroso, che nessuno però può seriamente considerare uno storico, ma semmai un ideologo prestato alla storiografia. In un saggio pubblicato incredibilmente da Firpo, Giovana vide come forma di totalitarismo novecentesco il nazifascismo , trascurando l’altro mostro totalitario, il comunismo sovietico, cinese ecc. Ho conosciuto Giovana e ho potuto constatare di persona la sua istintiva, sanguigna faziosità. Era così di natura, neppure le forme venivano salvate. Chi la pensava diversamente da lui ,era un nemico, magari un neofascista. Con il suo libretto “Frontiere ,nazionalismi e realtà locali” edito dal Gruppo Abele egli non ha “recuperato la dimensione esatta di quei conflitti nel contesto di una realtà complessa”, ma ha sparato a zero contro chi ebbe il coraggio di difendere il nome di un’Italia sconfitta che non doveva essere umiliata. Vittorio Emanuele Orlando ,riguardo al trattato di pace del ’47 , parlò di “cupidigia di servilismo” verso i vincitori. E Giovana ha anche ovviamente dimenticato la matrice italiana di Nizza che fu la patria di Giuseppe Garibaldi. Ancora oggi tanti italiani come il benemerito Achille Ragazzoni, ci ricordano quella storia e molti nizzardi sentono le profonde radici italiane della loro terra .Anche al Consolato italiano di Nizza si ritrovano tanti italiani non necessariamente solo in vacanza sulla Costa Azzurra.

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Via Nizza e via Madama Cristina, cose senza senso
Il piano di lavori per via Nizza che partiranno in autunno rappresenta un gravissimo errore.
Rivela la gretta miopia del quartiere 8 ,incapace di vedere che via Nizza è una via importante dell’intera città, non di San Salvario. Avevano già devastato, ”riqualificandola”, piazza Saluzzo ,suscitando le giuste critiche del critico d’arte Angelo Dragone, ma almeno quella piazza è interna al quartiere e può, al massimo, riguardare la movida che impazza e i funerali nella Chiesa dei Santi Pietro e Paolo. Via Nizza collega la stazione con il Lingotto e con piazza Bengàsi (non Béngasi, come dicono i torinesi). Pensare di mettere due piste ciclabili dicasi due, riducendo ad una sola corsia la percorrenza delle auto appare assurdo, ma occorrerebbe ben altro aggettivo, per rendere l’idea dell’assurdità del progetto.Spariscono anche 125 parcheggi a partire dalla stazione , in una zona in cui ci sono le Poste e altri uffici importanti. In compenso, ci sarà lo spazio per qualche piantina. Bizzarria ambientalista inutile che neppure i Verdi, ai loro tempi, avrebbero pensato di fare. Gianni Vernetti era ed è una persona intelligente, anche quando era verde. Solo altri pensarono di incatenarsi alle piante di piazza Madama Cristina per impedire il parcheggio sotterraneo, ma poi anche loro capirono e smisero. Carpanini che era uomo di buon senso, forse li convinse. Il piano di riqualificazione di via Nizza esprime una logica da sabato del villaggio, da natio borgo selvaggio, avrebbe detto Bepi Dondona, non da città. Non dico da grande città perché sarebbe pretendere troppo. Un’idea pregrillina, che trova nei grillini gli entusiasti realizzatori. I lavori di asfaltatura in Via Madama Cristina della corsia dei tram appare priva di senso. Non intendono ripristinare il 18 come linea tranviaria ,lasciando il bus. Il 18 è una delle poche linee che funzionino con cadenza ragionevole. Perché investire soldi in una asfaltatura che non serve ? Un rebus inestricabile. Sempre a riguardo di linee di bus ,anche il 67 transita in via Madama Cristina. Parte da piazza Albarello ed arriva a Moncalieri. A Moncalieri ha deviato il vecchio percorso per servire più punti della città. Ma a Torino è una linea fantasma.L’attesa di un 67 è di circa mezz’ora, a volte anche oltre. Forse sarebbe il caso di intervenire per rendere quella linea un servizio per la città. Spesso, dopo aver atteso inutilmente il 67, vado a piedi o ricorro ad un taxi. Ma c’è chi deve spostarsi necessariamente in bus e viene trattato da cittadino di serie b.

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Berrino, Matteotti e il pasticcere torinese
Ad Alassio Enzo Canepa, ottimo sindaco della città regina del turismo ligure, ha deciso di intitolare i giardini del Comune a Mario Berrino, artista noto a livello internazionale, artefice del turismo alassino, creatore del celebre Muretto. Una proposta che fui il primo ad avanzare già nel 2011 quando morì. Questa intitolazione ha suscitato gli appetiti dei parenti di altri alassini e dei loro amici.

Il comandante dei vigili urbani di un paesino vicino ad Alassio ha avanzato -con quali titoli con si sa- la proposta di intitolare una piazza al pasticcere di origini torinesi il cui nonno inventò i “baci” di Alassio, in sé non una grandissima idea perché i baci, sotto nomi diversi, sono diffusi un po’ dappertutto e forse lo erano già prima. Un po’ come i cuneesi che si trovano in tutti i paesi della Provincia Granda. A fare i baci ad Alassio, ad esempio, c’è anche il grande pasticcere Sanlorenzo che produce senza spocchia ottimi prodotti. Anche il Sindaco Canepa, se non vado errato, produce nella sua azienda degli ottimi baci, anche se è laureato in Economia. Per alcuni anni il pasticcere in attesa di ricordo toponomastico ha anche realizzato un caffè concerto in piazza Matteotti dove ha sede il suo locale, che poi chiuse. Una bella ,ma breve meteora degli anni Cinquanta, quando a Torino c’è il caffè concerto Dadone. Ciascuno lecitamente può proporre chi ritiene alla riconoscenza pubblica . E’ un diritto di tutti. Il prof. Tommaso Schivo sicuramente ebbe meriti maggiori del pasticcere che seppe condurre molto bene i suoi affari, ma non si può oggettivamente dire che si sia speso disinteressatamente per Alassio in qualcosa di significativo. La legge che impone dieci anni dalla morte per procedere ad un’intitolazione è molto saggia, ma, in alcuni casi, gli anni per valutare dovrebbero essere raddoppiati. Quando però c’è stato qualcuno che ha buttato lì l’idea peregrina di dedicare al pasticcere piazza Matteotti, mi sono sentito ribollire di rabbia. Giacomo Matteotti non si tocca. E’ un’offesa grave alla storia anche solo pensare di eliminarlo dalla toponomastica alassina. Matteotti è stato un martire della libertà. Pagò con la vita per le sue idee, come i fratelli Rosselli, don Minzoni, il giornalista Carlo Casalegno ammazzato 40 anni fa dai sicari delle BR. Qualche sciocco mi ha rimproverato perché io torinese non ho parteggiato per un altro torinese. Se avevo dei dubbi, questo rimprovero mi ha dato la certezza che l’esimio cav. Balzola, pasticcere in Alassio, deve attendere in lista di attesa. Checchè ne dica l’esimio vigile urbano proponente.

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Il grande Umberto Eco
Umberto Eco era già considerato un maestro venerabile quand’era ancora in vita. Malgrado lui abbia chiesto intelligentemente di evitare convegni su di lui almeno per dieci anni, le messe cantate in suo onore , più che in suo suffragio, sono molte. Ha incominciato la Regione Piemonte a dedicargli la sua biblioteca. Poi le celebrazioni sono continuate. Certamente è stato un grande personaggio e un mio amico , alto magistrato, che fu suo compagno di scuola ad Alessandria ,mi ha raccontato della eccezionalità dell’uomo. Anch’io lo conobbi in qualche occasione e fu il francesista Mario Bonfantini il cui figlio era suo assistente a Bologna, a farmelo conoscere.
Di fronte alla contestazione e anche al terrorismo nascente non fu un buon maestro. Eco è stato in primis il teorico della semiotica in Italia e nel mondo. Guai in certi anni se la lettura di un’opera letteraria, non fosse stata condotta secondo i canoni semiotici. Come ha osservato Paolo Fabbri ,direttore del Centro internazionale di scienze semiotiche , “l’impatto della diminuì già negli anni 90.Oggi la semiotica appare quasi morta. Era la disciplina di cui Eco fu precursore e voce indiscussa. Come si vede, il tempo passa e finisce di toccare anche i grandi. Ed Eco, che piaccia o non piaccia, è stato un grande. L’unico piemontese importante e noto nel modo per i suoi romanzi, del secondo Novecento.

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Maria Valabrega, Lucio Pisani e la scuola torinese
Maria Valabrega Buffa di Perrero è stata la giornalista che dal 1967 -iniziando a seguire la contestazione studentesca-si è occupata per decenni di scuola. Io la conobbi quando lavorava alla Sip di cui era direttore del personale mio zio che la assecondò nella sua passione giornalistica per cui si sentiva nata. Il lavoro di impiegata le stava stretto e riuscì ad entrare alla “Stampa”. Fece cronache della contestazione che spesso erano in contrasto con la linea del giornale espressa nelle pagine nazionali. Era con il cuore dalla parte dei contestatori. Fu severissima con i professori, i presidi e con molte scuole. Lei, laicissima, vedeva in Don Milani un riferimento ideale. La minima cosa che non funzionasse e che a lei pareva giusto segnalare, veniva subito scritta. Una volte stava per “rovinare” un preside che era disperato e si rivolse a me. Io , pur esitante, telefonai a Maria e le spiegai la situazione, senza chiederle nulla. Capi’ che la sua valutazione era sbagliata e scrisse l’articolo con il giusto equilibrio. Salvò un poveruomo senza colpe e senza polso che, con me ,si dimostrò anche privo di gratitudine. Forse dovevo ,alla luce di eventi futuri, lasciarlo massacrare. Si rivelò un vigliacco , quando, tempo dopo, comminò una sanzione disciplinare ad una professoressa, considerata anello debole della catena, dopo aver tollerato tutte le illegalità, le leggerezze e l’inadeguatezza professionale di tutti i tesserati al sindacato confederale . Maria ha svolto comunque una funzione utile perché ha messo in evidenza le pecche della scuola torinese, anche se a volte esagerava. Solo il provveditore Lucio Pisani, futuro deputato del Pci per una legislatura, riuscì a tenerle testa con la sua diplomazia. Pisani, liberandosi dai ruoli istituzionali, riuscì, attraverso la cronaca di Maria Valabrega, ad emergere come un personaggio mediatico. Dispiacque al ministro della P.I. Guido Bodrato, ma trovò il sostegno dei comunisti e dei sindacati confederali.
Con Maria ci siamo frequentati a lungo, spesso mi telefonava e ci siamo anche voluti bene, pur ben sapendo che la pensavamo in maniera diversa, se non opposta. Ma lei aveva rispetto per le idee degli altri. In questo senso era una giornalista esemplare. Fu anche coraggiosa perché non si lasciò imbrigliare da nessuno.

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LETTERE scrivere a quaglieni@gmail.com
Caro Professore, ho letto i suoi articoli sulle vicende di piazza San Carlo del 3 giugno. Ho apprezzato il suo coraggio e il suo equilibrio. Dopo che è stato dichiarato il lutto cittadino per la morte di una delle vittime della mancata sicurezza della piazza (giudicherà il magistrato ovviamente le singoli responsabilità personali) non ritiene che qualcuno/a debba fare un passo indietro?
Lina Agosti

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Anch’io mi sono posto il problema di un passo indietro. Ovviamente vanno distinte le responsabilità penali che riguardano la magistratura da quelle politiche che riguardano il Consiglio Comunale e che ogni cittadino ha il diritto di giudicare. Mi pare che il sindaco Appendino abbia sottovalutato gli eventi, abbia tardato a dare spiegazioni, limitandosi a leggere la relazione dei vigili urbani e a garantire che fatti così non sarebbero mai più capitati. Troppo poco. Fuori posto la sostituzione dell’assessore all’Ambiente. La delega alla sicurezza era del Sindaco, non di altri. Non vorrei peccare di intellettualismo, ma sono convinto che, se i responsabili avessero letto Machiavelli, forse si sarebbero comportati diversamente. Il prefetto Saccone l’ha sicuramente letto, è persona coltissima. Il grande fiorentino diceva che l’imprevedibile della vita (che lui definiva fortuna ) doveva essere sempre considerato ,anche se sfuggiva alle previsioni. Parlando attraverso una metafora, diceva che le piene dei fiumi non si possono prevedere, ma se si costruiscono dei buoni argini, esse possono essere contenute o comunque possono essere meno devastanti. In piazza san Carlo sono mancati i buoni argini della prevenzione, d’altra parte già “Valentina” che finì contro i pilastri del ponte della Gran Madre per la piena del Po, era stata un segno non bello di imprevidenza. Non era successo neppure sul Tevere ,con la sindaca Raggi.

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Linea di confine. Spigolature di vita e storie torinesi

Di Pier Franco Quaglieni

Carlo e Nello Rosselli, due martiri un po’ dimenticati e la fine della Fondazione Rosselli di Torino Indro Montanelli ancora ghettizzato ? La guerra dei Sei giorni del 1967 vide Torino dalla parte di Israele Casa Artusi a Forlimpopoli e la Torino gastronomica di oggi: storie lontane e vicine

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Carlo e Nello Rosselli 80 anni dopo

I fratelli Rosselli furono assassinati da sicari fascisti  francesi il 9 giugno 1937.
Sono state  due figure diverse, unite insieme dalla morte. In modo molto “torinese” l’80° della morte coincide con il passaggio dalla moribonda Fondazione Rosselli di Torino all’Archivio di Stato di Firenze delle carte Rosselli acquisite a suo tempo dalla Fondazione torinese. Un’ altra perdita  per Torino ,anche se la fiorentinità dei Rosselli  appare fuori discussione. Essi vennero sepolti  nel 1951 a Firenze nello stesso cimitero in cui furono sepolti Salvemini, Calalandrei, Ernesto Rossi, il maestro e gli amici dei due fratelli. Carlo ebbe anche rapporti con Torino e  con Piero Gobetti, ma Torino ebbe poca importanza nella sua vita. Fu un fatto quindi  eccezionale che nascesse proprio a Torino una fondazione a lui dedicata per opera di un giovane medico destinato ad una brillante carriera accademica, e non solo, in tutt’altro campo.Nello fu uno storico sospeso tra mazzinianesimo, liberalismo e socialismo che scrisse sul Risorgimento, sulle origini del movimento operaio in Italia, sulla diplomazia sabauda e sulla Destra Storica. Carlo , destinato ad oscurare involontariamente  la figura di Nello, fu un economista bocconiano( nulla a che vedere con il futuro , recente significato, politicamente  nefasto, di matrice  montiana), teorico del “Socialismo liberale”. La sua idea non trovò mai una sintesi compiuta. Fu una giustapposizione di idee :giustizia e libertà furono una dualità, non una diade ,come osservò Croce. Cioè due idee non solo distinte, ma anche distanti, anzi potenzialmente antitetiche. Morì a 38 anni senza riuscire ad elaborare pienamente un discorso politico maturo .L’azionismo torinese derivato da “GL” fu più condizionato da Gobetti che da Rosselli e sfociò, salvo alcune eccezioni, nel filocomunismo. Il torinese Aldo Garosci fu il suo maggiore biografo e fu suo compagno di lotte antifasciste ,ma anche Nicola Tranfaglia scrisse su di lui un pregevole saggio. Garosci che fu mio maestro all’Università, era rimasto un rosselliano fortemente anticomunista. Per questo fatto è stato quasi totalmente dimenticato. Era un uomo intransigente come Carlo. Gli resero la vita impossibile all’Università di Torino e dovette trasferirsi a Roma. A Meana di Susa dove nacque, è stato dimenticato e non gli è bastato essere cugino di  Giorgio Agosti a cui è stato intitolato l’Istoreto. L’impegno di Garosci ,proprio sul terreno dell’antifascismo ,fu grandissimo ed eroico, ma neppure questo è stato sufficiente  a salvarlo dall’oblìo. Craxi cercò di riprendere il messaggio di Rosselli, ma ormai era tardi. Le strade imboccate dalla sinistra erano irreversibilmente altre, quelle del dialogo con i cattolici progressisti. Resta il suo martirio eroico che merita un ricordo e suscita  un profondo rispetto. Apparteneva ad una ricca famiglia pisana e mise tutta la sua ricchezza al servizio di una nobile causa a cui dedicò tutto sé stesso.  Una figura di politico che oggi non esiste più . E’ molto triste che la Fondazione torinese a lui dedicata sia finita in molto non adeguato alla figura del martire a cui era  stata intitolata con la partecipazione di Pertini, Amato, Spadolini, Bobbio e tanti altri.

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Montanelli ancora nel “ghetto” 
Finora ho partecipato ad  una ventina di presentazioni del mio nuovo libro uscito a metà gennaio. Un po’ in tutta Italia. Non mi era ancora capitato di ascoltare una critica piuttosto astiosa che mi è apparsa incredibile. La mia colpa consisterebbe  nell’aver  inserito arbitrariamente il nome di Indro Montanelli tra le trenta  “figure dell’Italia civile “ di cui ho scritto il ritratto. Montanelli incolpato di essere stato un anticomunista, ovviamente viscerale, e tanto altro. Avrei arrecato un’offesa a chi subì il carcere come Valiani, Rossi , Venturi ecc. di cui scrivo nel libro. Un errore davvero imperdonabile. Al signore indignato ho replicato rivendicando  con orgoglio il fatto  di aver inserito nel libro  Montanelli con cui ho avuto un rapporto anche personale  molto bello. Venne più volte al Centro “Pannunzio” e gli conferimmo il Premio “Pannunzio”. In quell’occasione disse che noi lo avevamo liberato dal ”ghetto in cui per dieci anni era stato  rinchiuso ,moralmente rinchiuso ,per aver detto con un po’ troppo anticipo le cose che ora dicono tutti”. Era il 1990. L’anno dopo la caduta del Muro di Berlino.  Nell’anno di grazia 2017 c’è ancora chi lo ritiene un appestato. Ritenevo che i festeggiamenti ai festival dell’”Unità” lo avessero finalmente fatto uscire, in modo definitivo, dal “ghetto”,ma non è così. Nel prossimo volume ho già in mente di inserire altre figure che susciteranno le critiche degli ultimi faziosi rimasti in circolazione a dispetto dello scorrere dei decenni. Come si usa dire oggi, dovranno farsene una ragione perché i buoni e i cattivi non si scelgono in base alle appartenenze ideologiche.

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50 anni fa Israele  veniva aggredita dagli arabi
A Torino Primo Levi, cinquant’anni fa, si fece fotografare da “La stampa” mentre offriva il sangue per i bambini israeliani .La guerra dei Sei giorni nel giugno 1967 fu una vera e propria aggressione al piccolo Stato ebraico che difese  il suo diritto all’esistenza e seppe facilmente prevalere sui suoi nemici che volevano il suo annientamento. Il Pci era stato quasi subito contrario ad Israele, divenuto stretto alleato degli Americani. Il legame con Mosca non consentiva scelte diverse. Gian Carlo Paletta si espose più di ogni altro nella polemica aperta contro Israele, schierandosi dalla parte di Nasser.Israele non era l’aggredito ,ma l’aggressore espansionista, militarista, violento. Certo, la questione palestinese era aperta e  andava affrontata con coraggio dalle diplomazie internazionali all’atto della creazione del nuovo stato ebraico, cosa che non avvenne. E da allora si è trascinata come un incubo della politica mediorientale. Ma un conto era considerare il problema pur grave dei palestinesi e un conto era schierarsi nettamente contro Israele, negando il  suo stesso diritto all’esistenza. La fine della guerra il 10 giugno 1967 vide lo schiacciante  prevalere del piccolo Stato  che ebbe  il suo territorio accresciuto  di quattro volte.  La solidarietà dei torinesi nei confronti di Israele fu nettamente  prevalente ,con “La stampa” di Giulio De Benedetti schierata a favore. Eugenio Scalfari, genero di De Benedetti che dirigeva “L’Espresso”, si dichiarò  invece per gli arabi, creando una spaccatura nel mondo laico con Arrigo Benedetti che lasciò il giornale che aveva fondato. Uomini come Alberto Todros e  Tullio Benedetti, esponenti di punta del Pci piemontese ,ambedue ebrei, furono nell’occhio del ciclone. Todros era stato deportato a Mauthasen . Giorgina Arian Levi, nipote acquisita di Togliatti, che dovette emigrare in Bolivia per salvarsi dalle leggi razziali, ebbe una posizione a favore di Israele. I comunisti torinesi  si schierarono  quasi unanimi per il mondo arabo, i socialisti ,in larga misura, per Israele, come fecero i liberali e i repubblicani. Nel 1967 era avvenuta la riunificazione socialista. Nella DC  prevalse la solidarietà a favore di Israele, anche se in futuro buona parte della Dc e  dello stesso Psi di Craxi finì di  scegliere  una politica estera italiana favorevole al mondo arabo, ad Arafat  e all’OLP.Dal 1967  in poi certamente Israele commise molti errori e i “falchi” non fecero un buon servizio  alla causa israeliana. Commisero anche delle efferatezze . Va però ricordato che il terrorismo arabo minacciò e continua a minacciare quotidianamente i cittadini  dello  Stato ebraico che, nato rigorosamente laico, ha finito per “clericalizzarsi”. Vivere in Israele ha significato mettere a repentaglio la propria vita ogni giorno, anche solo uscendo in strada. Come sta accadendo con l’Isis in Europa e in Medio Oriente. Primo Levi prese in tempi successivi talmente le distanze  da Israele, schierandosi, di fatto,   a favore degli Arabi. Lo stesso mondo ebraico si divise, anche se va detto che i confini tra sionismo, antisemitismo e Stato di Israele non sono mai stati ben chiari. In molte situazioni è prevalso un antisemitismo strisciante, mascherato con ragioni politiche contigenti e diversamente motivate. Cinquant’anni  fa le ragioni degli uni e le ragioni degli altri erano invece  molto chiare. Chi scelse Nasser fece una scelta sbagliata. Chissà se oggi ci si rende conto di quell’errore? E, ovviamente, anche degli errori degli Israeliani nei decenni successivi.

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Lettere Scrivere a quaglieni@gmail.com

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Dei miei amici sono stati  a pranzare al ristorante Casa Artusi di Forlimpopoli. Ne hanno parlato un gran bene, ma la loro scelta è stata casuale. Sa dirmi cosa rappresenta? E c’è a Torino qualcosa di simile?                                                                             

Giusy Cirnigliaro

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A Torino non c’è nulla che lo possa anche solo ricordare. Era celebre “Il passator cortese” prima in corso Casale e poi nella precollina di Sassi. Era un posto semplice, ma genuino in cui si respirava l’aria dell’Emilia- Romagna. L’oste decise di ritirarsi e l’esperienza ,durata parecchi anni, non ebbe seguito. Casa Artusi è un unicum in Italia che nasce nel nome di Pellegrino Artusi, il padre della cucina italiana, autore del celebre manuale “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”. Era nato a Forlimpopoli nel 1820. La Casa è ricavata dalla ristrutturazione del convento dei Servi. Nelle serate estive della Festa Artusiana vengono proposti menu tratti dalle ricette dell’Artusi a prezzi più che ragionevoli. Purtroppo a Torino è già molto trovare  i piatti della nostra tradizione regionale. Giovanni Arpino che aveva un fratello che gestiva un ottimo ristorante a Bra, si rammaricava, già molti decenni fa ,dei cambiamenti che finivano per snaturare la nostra cucina. Oggi furoreggiano i locali più strani ,alla ricerca di giovani palati non troppo esigenti, ma finiscono per chiudere i vecchi locali.  Forse è fisiologico ed inevitabile  che ciò accada. Ogni generazione ha i suoi posti di ritrovo e Petrini non è confrontabile né con Artusi né con Soldati che sarebbe il gourmet che ha fatto conoscere agli italiani il cibo genuino in Tv. Canavacciuolo è diventato a sua volta un mito dopo l’astro di Vissani è tramontato. Ha chiuso l’anno scorso “La pace” uno storico locale torinese fondato dalla famiglia Ficini ,poi trasferitasi all’”Appennino Pistoiese”, trasformato da anni in pizzeria come l’altrettanto celebre “Abetone”. Adesso nei locali storici di via Galliari ha aperto un ristorante messicano gestito da un gruppo di giovani molto gentili e accoglienti. Si sta anche piuttosto bene. Ma io preferivo il vecchio  oste, a volte  un po’ scorbutico, con i suoi piatti tradizionali. Questione di gusti, anche se aveva ragione l’Artusi quando scriveva di amare “il bello e il buono ovunque si trovino”.

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Linea di confine. Spigolature di vita e storie torinesi

di Pier Franco Quaglieni

Borghezio condannato a risarcire l’ex ministra  Kienge Nicoletta Casiraghi, una grande donna liberale Cenare tranquilli d’estate a Torino è diventato difficile Le Province dopo il referendum bisogna tornare a renderle  operative Il presidente Boeti a Bastia rende onore a Mauri Il cazzeggio salottiero nei circoli,le cattedre democratiche senza predella

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Xenofobia
L’on. leghista rivolese Mario Borghezio è stato condannato a risarcire l’ex ministra dell’integrazione Kienge con 50mila  euro per “insulti razzisti”. La frase che avrebbe pronunciato riguarderebbe gli africani che “appartengono ad un’etnia diversa dalla nostra “ e la Kienge che ,facendo il medico,avrebbe avuto un posto in una Asl che “sarebbe stato tolto a qualche medico italiano”:Frasi molto diverse da quelle davvero offensive dell’ex ministro Calderoli che giunse a paragonare la Kienge ad un orango. Il PM sostenne che il senso complessivo delle frasi di Borghezio  avessero un fondo razzista e xenofobo.Il giudice ha riconosciuto a Borghezio le attenuanti generiche.Cécile Kienge  è persona arrogante e presuntuosa, d rei decisamente antipatica, al di là delle sue origini congolesi. E non si è rivelata un buon ministro. Questa è l’unica critica che tiene. Avvitarsi su discorsi che riguardano il colore della pelle o la religione professata è sempre sbagliato. Questa le lezione che viene dalla sentenza.Borghezio è sempre stato politicamente scorretto e spesso si è lasciato andare,lui avvocato, a giudizi e a proclami che vanno  ben oltre la legittima  propaganda e la polemica  politica. Appare comprensibile  che l’ex ministra  si sia rivolta al giudice. Ripeto,il suo operato va valutato politicamente e il giudizio nei suoi confronti non può non essere negativo.

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Nicoletta Casiraghi 

Fu la prima donna in Italia ad essere eletta presidente di una provincia,quella di Torino, nel 1985. L’unica liberale donna che abbia avuto un riconoscimento importante. Il Pli fu sempre un partito maschilista.Un piccolo partito rissoso che nel 1993 ebbe una fine ingloriosa:un vero 8 settembre con tanto di fuga da parte dei suoi dirigenti. Zanone definiva Vittorio Emanuele III “il re fellone”,ma verso i suoi amici liberali che liquidarono con lui  il partito ,pur di tentare di riciclarsi in qualche modo,non ha mai espresso un giudizio adeguato e non ha mai formulato una riflessione sulla fine del partito  che fu di Cavour e di Giolitti e ,purtroppo, anche di tante mediocrità .  A Nicoletta ,dopo l’esperienza in Provincia, venne impedita l’elezione al Consiglio regionale. Ricordo le volgarità maschiliste  sparse in giro contro di lei  da attempati notabili liberali che rivelarono il livello infimo di una correntomachia  interna vergognosa.Il Pli era via via diventato anche un partito di clientele. Casiraghi che operò come presidente tra due presidenti socialisti ( Maccari e Ricca ), aveva saputo agire con determinazione,coraggio,limpida onestà,pur in un quadro politico traballante.  Il marito di Nicoletta,dopo la  sua morte,ebbe il coraggio di fare nomi e cognomi di coloro che furono i killer del partito liberale ,dopo aver avuto onori e prebende non trascurabili che consentirono loro di occupare alcuni vertici molto importanti. I liberali si autoaffondarono in maniera indecente anche a Torino,non solo a causa degli scandali di alcuni loro esponenti.Essi,di fronte alla candidatura di Valentino Castellani, che fu il sindaco migliore del centro-sinistra, mandarono al massacro Bepi Dondona  che capeggiava la lista liberale per favorire,non richiesti, Castellani. Nicoletta mantenne ferme le sue posizioni  liberali,facendo scelte comunque disinteressate e in linea con i suoi principi liberali. Lei rimane nella storia del liberalismo italiano come figura importante  di quello piemontese:quello di Brosio,di Badini Confalonieri,di Villabruna, di Zini Lamberti, di Jona,di Zignoli,di Alpino e di Catella. Nella rissosa Gioventù liberale dove io diciassettenne esordii pieno di entusiasmo  lei  fu l’unica persona equilibrata,onesta,non invischiata nelle beghe.Antonio Patuelli,che era stato segretario nazionale della GLI, venne a ricordarla con me  nel 2011, a pochi mesi dalla sua morte, mettendo in evidenza la sua straordinaria,sfortunata testimonianza.

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Cene d’estate a Torino 
Era bello cenare d’estate a Torino nei molti locali che preparano all’aperto. Oggi in parte non lo è più. Musicisti improvvisati si danno il cambio e richiedono con insistenza un’offerta. La loro non è neppure una musica piacevole,anzi impedisce, se si è con amici, di parlare in tranquillità.  Per non dire delle questue e dei venditori ambulanti che insistono per ottenere qualcosa, dicendo di bambini senza pane o addirittura senza  medicine. Viviamo in una crisi devastante e nessuno può pensare ad isole felici. Ma la misura è davvero colma. Piazza Vittorio e piazza Carignano sono le più prese d’assalto. Ed anche i ristoranti si sono spesso allineati alla crisi e i loro menu sono poveri di offerte allettanti. Manca sovente  la creatività e insieme la fedeltà alla tradizione. Prevale il ronzìo della quotidianità,quello che si vorrebbe evitare andando a cena fuori casa. Com’erano diversi i tempi quando da Pavia (non ancora pizzeria), in precollina, c’era il futuro critico Angelo Mistrangelo che mi preparava gli spaghetti alla siciliana fatti alla lampada. Com’era diverso quando tanti torinesi si trovavano sulla terrazza della “Pigna d’oro “ di Pino a godere dell’ottima cucina e del fresco della collina. Alcuni miei amici ci andavano d’estate con l’amica, quando la moglie era al mare, illudendosi di passare inosservati. Oggi sarebbe impossibile perché le macchine fotografiche dei telefonini non ti lascerebbero scampo… Resta comunque  meglio scegliere l’aria condizionata e stare dentro i locali o spingersi decisamente fuori porta, non solo se si è in piacevole compagnia “non ufficiale “. Anche la collina  torinese ,così ricca di bei locali, offre poche chanches davvero meritevoli di segnalazione.   

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Le Province non cancellate 
Tutti dicevano che esse andavano abolite, poi il referendum del 4 dicembre le ha confermate come ha rimesso in gioco il CNEL,organismo di cui nessuno ,se non i suoi componenti, sente la necessità . Con una scelta affrettata sono state costituite le città metropolitane che stentano a trovare la loro strada, anche perché i finanziamenti a loro disposizione sono molto esigui anche le se incombenze loro affidate sono evidenti a tutti. E’ chiaro  che le Province hanno un ruolo non surrogabile  e che svolgono ,o meglio, dovrebbero svolgere una funzione che appare indispensabile. L’idea di Ugo La Malfa  che già tanti anni fa voleva abolirle, si è rivelata errata. Semmai andrebbero ripensate le regioni sulle quali Malagodi scrisse delle riflessioni  critiche che andrebbero rilette. Anche le “macroregioni”  di Gianfranco Miglio ,un giurista stimato da Bobbio, andrebbero riprese almeno come spunto di riflessione. Ma soprattutto le Provincie non posso restare a bagno maria in attesa che qualcuno pensi a come farle funzionare. 

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Il Sacrario di Mauri  e il presidente Boeti
A Bastia di Mondovì esiste un sacrario partigiano, inaugurato nel 1947 e costruito per iniziativa del comandante Enrico Martini Mauri, medaglia d’oro al V.M. per dare degna sepoltura ai mille caduti delle Divisioni Alpine Autonome. E’ un sacrario non adeguatamente ricordato persino dal sito del Comune di Bastia. Per molti gli azzurri di Mauri sono partigiani di serie B ,forse solo perché vollero definirsi volontari della Libertà, un’espressione usata ,per altri versi, anche da Piero Calalamandrei  Per anni vennero considerati tout -court dei badogliani. Il Vicepresidente del Consiglio Regionale del Piemonte e presidente del Comitato Resistenza Costituzione della Regione è andato sabato scorso a rendere onore a quei Caduti  e ha tenuto un discorso di alto livello morale e storico, rendendo l’omaggio dovuto a Mauri  ai suoi 11 mila Volontari e ai suoi mille Caduti. Nel suo discorso tra l’altro ha detto :”Quei militari furono alla base dell’unità della Resistenza  che vide coagularsi intorno al desiderio di libertà  e di democrazia  uomini dell’esercito , contadini, artigiani, operai, medici, sacerdoti “.Il riferimento conclusivo del discorso al terrorismo  internazionale che “semina morte e terrore” ci appare molto importante: “Com’è successo con i nazisti, le nazioni civili debbono far fronte  comune contro questa follia che dev’essere sradicata, per restituire un mondo nel quale sia piacevole vivere e costruire il proprio futuro”. Era il discorso che i cittadini, i reduci e i parenti dei Caduti  attendevano ascoltare.

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LETTERE   scrivere a quaglieni@gmail.com

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L’ho ascoltata venerdì alla festa per i 170 del circolo degli Artisti di Torino. Ho visto il disagio dei relatori nel salire su un’alta pedana e parlare seduti senza avere la possibilità di avere vicino a sé un appoggio o la possibilità di bere un po’ d’acqua. Questa moda di togliere il tavolo nei convegni mi sembra stupida.

Maura Fossati

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Io ormai mi sono dovuto abituare perché spesso mi trovo a parlare in queste condizioni. Certo è impossibile leggere una citazione, per non dire bere un goccio d’acqua : il tavolino era ad un metro e mezzo da dov’ero io. Sono d’accordo con lei, mi sembra una moda stupida, volta a copiare il salotto televisivo. Ma, a volte, come nel caso del 170° del Circolo degli Artisti, non ci si poteva limitare al solito “cazzeggio” , si dovevano fare discorsi di altro tipo. Ed ho notato il disagio di molti. Chi organizza un convegno o una conferenza deve fornire ai relatori, oltre ad un buon microfono, gli strumenti necessari per dare al pubblico il meglio. L’idea nata nel circolo di via Bogino sembra però aver attecchito anche altrove, per dare un’idea meno formale all’evento. Anche Luciano Violante una volta sentì il disagio di non poter appoggiare i libri che doveva citare.  E’ un po’ come quando vennero abolite le predelle sotto le cattedre che servivano per avere uno sguardo d’insieme sugli allievi a cui si tiene lezione. Una sorta di cattedra democratica in base all’assioma che allievo e professore devono essere uguali. All’Università vennero ripristinate perché il buon senso lo imponeva. Non è che quindici centimetri di pedana in meno favorissero rapporti migliori con gli studenti. Ci fu anche chi volle rapporti partitari e si fece dare del tu dagli studenti. Asinerie tardo -sessantottine prive di ogni logica. 

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Linea di confine. Spigolature di vita e storie torinesi

di Pier Franco Quaglieni

Il Tar del Lazio lascia in carica Pagella Twitter, il cinguettio che diventa urlo, la riflessione di una giovane studiosa   I due Gianni, lo storico controcorrente Oliva e l’avvocato e politico d’altri tempi  Oberto  L’elogio della cravatta  tra eleganza e rispetto istituzionale 

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Il Tar non ha toccato Enrica Pagella
La sentenza del Tar del Lazio che annulla le nomine di cinque direttori di Musei italiani su 20,
fa sicuramente discutere, come fecero discutere le nomine del ministro Franceschini in base ad un concorso che è stato considerato dal Tar non conforme alle norme vigenti.  La sentenza riguarda solo alcuni direttori perché solo due concorrenti scartati si sono rivolti al Tar, potremmo dire hanno avuto il coraggio di presentare un ricorso. Sicuramente aveva ragione Vittorio Sgarbi ad esprimere perplessità su questo concorso molto “privatizzato”, svoltosi a porte chiuse o addirittura in parte via Skipe. A costo di apparire un bastian contrario, continuo a pensare che i concorsi debbano essere pubblici e trasparenti. La sentenza del Tar pone infatti in evidenza dei criteri valutativi non accettabili a termini di legge.  Enrica Pagella, già presidente della Fondazione Torino Musei, che dal 2003 era direttore di Palazzo Madama e Borgo medievale, non è stata toccata dalla sentenza. Nel caso di Torino non era stata seguita la “linea straniera” e non erano stati umiliati i dirigenti di carriera, ma venne applicato il criterio “tradizionale”.E i buoni risultati si sono visti. Ovviamente nessuno discute di per sé le scelte di Franceschini, ma la forma-mi insegnava Mario Allara- nel diritto, è sostanza.

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Twitter come pietre?

Scriveva il torinese Carlo Levi che <<le parole sono pietre>>. Una vecchia frase degli anni immediatamente successivi alla fine della II guerra mondiale ed in effetti, allora, nel clima infuocato del dopoguerra italiano, le parole erano non solo pietre.Il “triangolo della morte” lo sta a testimoniare. Anche l’apolitico padre di Nicola Matteucci venne ammazzato per il solo fatto di essere un possidente. Un’analoga sorte era toccata al padre del filosofo torinese Vittorio Mathieu, ammazzato con la moglie da partigiani garibaldini nell’agosto 1944. Un incontro questa settimana con una giovane e colta docente torinese mi ha reso consapevole che la virulenza dei linguaggi sui social ,in particolare su Twitter, fa pensare a vere e proprie pietre scagliate attraverso la rete. L’obbligo della sintesi trasforma il pensiero in azione,riducendo al minimo il pensiero che si snatura in slogan. Viene a mancare il confronto delle idee e la politica si manifesta in modo primordiale ed insieme modernissimo. Io avevo sempre pensato che la tolleranza, senza se e senza ma, per tutte le idee dovesse sempre essere la stella polare di un laico. Solo di fronte alle azioni, in particolare a certe azioni, non ci poteva essere tolleranza. Idee e azioni avevano due diversi metri valutativi. Facevo un’eccezione per l’infame manifesto degli oltre 800 intellettuali che armarono la mano agli assassini del commissario Calabresi. La giovane docente mi ha ricordato che già durante la Grande Guerra molti intellettuali si lanciarono nell’uso di un linguaggio violento in cui la parola diventava un proiettile da scagliare contro il nemico. E mi ha anche fatto rilevare che il mio discorso finiva di privare la parola di parte del suo effettivo valore. Lo stringato e pacato manifesto degli intellettuali antifascisti di Croce del 1925 non fu solo un documento scritto, ma animò l’impegno di molti. Osservazione ineccepibile. In effetti oggi il cinguettio di Twitter è solo apparentemente un cinguettio. Spesso diventa un urlo feroce, un incitamento all’odio e alla violenza.

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Il  nuovo coraggioso libro di Oliva
 Gianni Oliva è noto al vasto pubblico dei lettori per i suoi libri coraggiosi sulle foibe, sull’esodo giuliano- dalmata, sui Savoia, su Umberto II, sull’Esercito. Tutti temi che uno studioso di sinistra  non dovrebbe considerare degni di attenzione se non per  scrivere critiche spesso astiose o riservare silenzi  conditi di disprezzo. Oliva è uno dei pochi storici seri che la storiografia italiana abbia oggi.  L’ultimo libro dal  titolo “Combattere. Dagli arditi ai marò, storia dei corpi speciali” non passerà inosservato. Prevedo già alcune critiche aprioristiche e faziose che quasi sicuramente verranno espresse ,anche se il modo per liquidare chi dissente da noi è oggi la condanna del silenzio, della non recensione, del non invito in TV. Penso che sarà difficile mettere il silenziatore sullo scomodo libro di Oliva che ripercorre in modo lineare una storia che meritava di essere raccontata senza apriorismi faziosi. Gli arditi ,i marò, i paracadutisti ,la “Folgore” apparivano come i simboli dell’Italia fascista e guerrafondaia, incompatibile con l’art. 11 della Costituzione  in cui la guerra viene ripudiata.  I paracadutisti appiedati che resistono fino alla morte nel deserto africano di El Alamein  erano appannaggio dei nostalgici. Oliva ripercorre la loro storia, ricordando l’eroismo di quei soldati caduti a cui solo il Presidente Ciampi ebbe il coraggio di rendere omaggio. Ma dal libro viene fuori anche la storia della X Mas del principe Borghese, dei marinai che violarono il porto di Alessandria . L’autore parla di Luigi Durand de La Penne, di Teseo Tesei e di Elios Toschi, ma prima ancora di  Luigi Rizzo e della Beffa di  Buccari  nella I Guerra Mondiale e persino di Italo Balbo e di Giuseppe Bottai ,arditi nella Grande Guerra ,poi fascisti di primissimo piano. E’ un libro che non si può sintetizzare e che merita di essere letto. Fa onore ad Oliva l’averlo scritto ,diventa un dovere di un lettore che vuole informarsi sulla storia italiana leggerlo. Sicuramente è un libro che darà uno scossone alle vulgate.

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Gianni Oberto e il comune amore per Gozzano

Bello il nuovo tascabile di Palazzo Lascaris dedicato a Gianni Oberto Tarena, Presidente del Consiglio regionale e della Giunta regionale del Piemonte nel corso della I legislatura costituente, dopo essere stato Presidente della Provincia di Torino. La definizione di “disinteressato galantuomo” che costituisce il titolo di un paragrafo del libretto ,appare davvero calzante. Piemontese, avvocato, pubblicista, politico, uomo di grande cultura umanistica e giuridica, Oberto è stato un protagonista rimasto un po’ in ombra. Ingiustamente in ombra. Il Consiglio regionale gli dedicò un centro culturale che lavora in simbiosi con la biblioteca della Regione. Cattolico convinto, era anche un uomo aperto, potremmo dire un cattolico liberale, molto amico di Vado Fusi che me lo fece conoscere poco tempo prima di morire. Lo ricordo come un uomo molto cortese, riservato, direi “vecchio Piemonte “. Amava il suo Canavese profondamente, Ivrea faceva parte del suo DNA. Ricordo un altro incontro con lui insieme a Silvio Geuna che era stato rinchiuso nel carcere eporediese dopo la condanna all’ergastolo nel processo dell’aprile 1944 nel quale venne condannato a morte il generale Perotti. Più che di politica o di Resistenza, parlammo di Guido Gozzano e del “Meleto” di Agliè. Mi citò qualche verso a memoria. Io gli risposi con altri versi. Il nostro rapporto nacque nel nome di Gozzano. Raro, quasi eccezionale esempio di politico, specie democristiano. Per altri versi, già nel 1967 il Presidente della Repubblica Saragat ho la aveva insignito della medaglia d’oro dei benemeriti della scuola,della cultura e dell’arte.

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LETTERE –  scrivere a quaglieni@gmail.com

Lei scrisse tempo fa un elogio della cravatta .Come giudica i politici senza cravatta ed in jeans ,anche in cerimonie pubbliche ? A me sembra una mancanza di rispetto.

Gabriella Uberto

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La cravatta per me è un segno di eleganza, ma anche di rispetto. Le cravatte mi piacciono e ne ho una vasta collezione. Quando faccio un evento importante ne indosso una nuova che mi ricordi quell’evento. Da Marinella a Napoli sono di casa da molti anni. Ci andavano già mio nonno e mio padre. Longanesi , che scrisse che non portare la cravatta era un segno di indipendenza dai vincoli borghesi, è quasi sempre ritratto con la cravatta. Anche Togliatti portava la cravatta e anche il doppiopetto. Magari sono convenzioni, ma in Occidente sono convenzioni consolidate. Sergio Marchionne che si presenta al Quirinale con il solito maglioncino, è fuori posto come lo è Massimiliano Fuksas – progettista del grattacielo della Regione Piemonte- con la maglietta nera in ogni occasione. Ci sono anche politici in maniche di camicia. Diede il cattivo esempio Craxi quando al Palacongressi di Bari parlò, dopo essersi tolto la giacca per il caldo soffocante. Io mi sentirei di chiedere almeno a chi rappresenta le Istituzioni di sottoporsi al sacrificio di indossare giacca e cravatta. Enzo Ghigo, presidente della Regione per un decennio, era sempre inappuntabile come Aldo Viglione .Il via la cravatta e dentro i jeans, come è stato scritto, è un modo errato di voler assomigliare ai cittadini. I cittadini pretendono ben altro da chi eleggono .Se fossero bravi e onesti amministratori, il loro abbigliamento potrebbe passare in secondo piano ma ,quando un Sindaco o un Assessore indossano la fascia tricolore, devono avere l’abbigliamento adatto. Senza eccezioni.

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Linea di confine. Spigolature di vita e storie torinesi

Di Pier Franco Quaglieni

Il XXX Salone del Libro Dalle “Maestre d’Italia” alla poetessa- magistrato di Mantova L’arte tipografica di Ianni Una frase poco felice su Martone

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Il 30 ° Salone di Torino
Stiamo vivendo nel clima fervido del XXX Salone, affollatissimo di eventi dentro e fuori il Lingotto. Una vera festa del libro che resta il principale strumento di cultura. I giornali sono stati in parte superati da Internet, ma il libro di carta non morirà mai, anche se i lettori sono in calo. L’impegno profuso, abbandonando le polemiche del passato di fronte alla concorrenza di Milano, dimostra che Torino sta mantenendo il suo primato. Angelo Pezzana, quando per primo pensò al Salone, aveva visto giusto. Man mano negli anni è cresciuto e sarebbe ingiusto non riconoscere anche dei meriti indiscutibili a Rolando Picchioni ed Ernesto  Ferrero.Soprattutto il duo La Gioia /Gallino si sta rivelando vincente. Nicola Gallino ha impresso al Salone una visibilità  mediatica straordinaria. Anch’io che non sono un tifoso di Torino in modo aprioristico, in questa occasione, tifo per il Salone del Libro che compie 30 anni.
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“Le maestre d’Italia” di Bruna Bertolo
Debutta al Salone il nuovo libro della storica e giornalista Bruno Bertolo che si è già occupata in tanti volumi precedenti  di storia risorgimentale,della Grande Guerra,della Resistenza con un’ attenzione particolare verso le donne sempre un po’ trascurate dagli storici.“Maestre d’Italia”, edito da Neos , è un libro che ripercorre la storia unitaria dell’Italia  attraverso un angolo di visuale molto importante. Se l’Italia era fatta- avrebbe detto d’Azeglio,ma in effetti questa frase non l’ha mai scritta- bisognava fare gli Italiani. La scuola e la caserma sono state il crogiolo in cui si è formato l’Italiano di nuovo tipo nato dal Risorgimento. Era un’idea di Francesco de Sanctis primo ministro della Pubblica istruzione ,voluto da Cavour nel 1861. Un’idea che trovò applicazione con il ministro albese  Michele Coppino che rese obbligatoria l’istruzione fino alla III elementare.  Fu difficile renderla operativa soprattutto al Sud,ma anche nel Nord più povero,compreso persino molti angoli del Piemonte e della Lombardia. Il  delicato film “Albero degli Zoccoli” documenta la miseria e l’ignoranza  in cui si viveva nella provincia lombarda.Il libro di De Amicis “Cuore” e il “Pinocchio” di Collodi diedero un grande aiuto alle maestre nel loro durissimo lavoro,anzi nella loro missione, una parola che alcuni, che non conoscono la scuola, considerano retorica.Le maestre hanno fatto gli italiani sicuramente più e meglio  dell’Esercito che ebbe comunque anche un ruolo di supplenza simile alla celebre trasmissione televisiva del maestro Alberto Manzi. Bertolo non trascura neppure la mamma di Mussolini,Rosa Maltoni, una maestra molto religiosa, diversissima dal figlio che, da giovane  era un socialista rivoluzionario come il padre fabbro ferraio. Dedicherò una recensione a questo libro che contribuisce a riannodare i fili di una società “liquida” che sta perdendo i suoi punti di riferimento. Merita molta attenzione ed avrà sicuro successo. Una piccola osservazione:anche i maestri meriterebbero attenzione, anche loro hanno contribuito a fare gli italiani.
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La poetessa -magistrata  Chiavegatti
Alessandra  Chiavegatti esercita da molti anni la professione di magistrato ed è stata anche coraggiosa PM  a Catania in terra di malaffare e di mafia. E’ nata  in un paese sul Po vicino a Mantova e sente il fascino che il grande fiume esercita nella sua vita,nella sua poesia ed anche nella sua pittura. Anche Guareschi sentiva profondo questo legame con il Po della Bassa parmense. E’ vissuta in una famiglia che l’ha educata a grandi e forti valori, in primis il senso dello Stato. In Piemonte c’è stato un altro magistrato -poeta ,Giovanni Camerana,considerato uno scapigliato,anche se, in effetti ,egli si può considerare un anticipatore del primo Novecento,dei Crepuscolari e,per certi versi, di Dino Campana. Sentiva una sorta di incompatibilità tra la sua carriera di magistrato e il fatto di essere poeta ,quindi non volle mai pubblicare  in volume  i suoi versi che apparvero in modo discontinuo su riviste. I tempi sono cambiati e la poetessa Alessandra Chiavegatti ha dato alle stampe  il volume “Dietro agli occhi in fondo all’anima”- 250 pagine edite da Gilgamesh – in cui raccoglie tutte le sue poesie scritte fino al 2016. Il libro ha avuto subito successo ed ha anche vinto dei premi. Le poesie esprimono la ricca vita interiore dell’autrice in cui la bellezza,la luce,i colori,le emozioni,sono al centro del suo mondo.A volte scrive ascoltando le onde del mare che la rasserenano e la ispirano. Per lei la spiritualità (che non coincide con una fede religiosa) è sete di infinito che entra  nella nostra anima e ci fa intendere qual è la nostra essenza e per cosa siamo nati. “Far uscire la nostra parte migliore ,la nostra luce,lasciando la nostra firma nell’universo” è lo scopo della sua arte. C’è una profonda pietas umana per la sofferenza,per il “male di vivere”,avrebbe detto Montale. Ma per la poetessa, più ottimisticamente, è la poesia stessa che riscatta il dolore e dà un senso alla vita.Montale non aveva speranze come neppure Sbarbaro.
Nelle pagine del volume  è anche ben presente l’amore, quello vissuto e quello sognato. Non solo quello tra un uomo e una donna. Esso fa parte di un universo fatto di energia, emozioni, felicità, delusioni ed anche solitudine che viene vista come condizione per raccogliersi in sè più intimamente e scrivere o dipingere. La poetessa- magistrato trova la sua sintesi esistenziale in un grande senso di umanità. In tutta la sua raccolta poetica non ci sono accenni a temi politici. Un altro aspetto importante che la rende  estranea all’impegno ad ogni costo che ancor oggi sembra prevalere in tanti scrittori. La Chiavegatti sta scrivendo un romanzo, sono certo che sarà protagonista al prossimo Salone del Libro di Torino nel 2018.
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IANNI o dell’arte tipografica
A Santena  esiste una grande tipografia fondata nel 1946 da Lorenzo Janni  nel cuore della cittadina famosa per la tomba di Cavour e per la coltivazione degli asparagi. Per un errore anagrafico i figli di Lorenzo si sono ritrovati Ianni senza la J anche se per anni io ho continuato a scrivere Janni e non Ianni, forse per il legame che avevo con il padre fondatore, un vecchio gentiluomo piemontese d’altri tempi che ben rappresentava l’ideale di piemontese tratteggiato magistralmente da Filippo Burzio. Lo spirito originario è rimasto sempre lo stesso  anche nel nuovo stabilimento sulla circonvallazione per Carmagnola in cui il parco delle macchine di stampa e la gamma dei prodotti si sono molto ampliati, seguendo, a volte anticipando, le nuove tecnologie. Ianni ha tanti clienti importanti, ma riesce a prestare attenzione anche a chi vuole farsi stampare solo un biglietto da visita. L’attenzione ai clienti è totale. E la precisione nel lavoro altrettanta. Ianni è diventato anche editore di libri molto ben curati. I due fratelli hanno anche aiutato in modo significativo la Fondazione Cavour, presieduta dal magistrato Mario Garavelli e poi da Nerio Nesi, che ha sede a Santena. Entrando nell’ufficio, si nota un grande ritratto del Conte di Cavour che non è stato messo lì a caso. E’ stato anche fornitore del Premio Grinzate Cavour  che purtroppo non ha onorato i suoi debiti. L’azienda è riuscita, anche dopo l’ampliamento, a mantenere un rapporto amichevole  con i dipendenti, preservando, tra macchinari modernissimi, il clima del vecchio Piemonte. Io ci vado da quasi cinquant’anni. Conobbi Lorenzo Janni  perché stampava in esclusiva gli storici manifesti gialli del Partito liberale. E si stabilì subito un rapporto di amicizia che è durato nel tempo. Il numero dei libri stampati negli anni costituirebbero una vera e propria biblioteca.L’amore per il lavoro ben fatto fa pensare ad un celebre elogio che scrisse Luigi Einaudi:” Migliaia,milioni di individui lavorano,producono e risparmiano nonostante tutto  quello che noi possiamo inventare per molestarli,incepparli,scoraggiarli. E’ la vocazione naturale che li spinge:non soltanto la sete di denaro”. Della frase di Einaudi correggerei solo il numero : le migliaia e i milioni non ci sono più. Molti hanno dovuto chiudere,molti altri si sono adattati all’andazzo generale . Solo pochi,purtroppo,continuano – come scriveva Einaudi- a prodigare tutte le loro energie (…) per ” il gusto di acquistare credito,ispirare fiducia,ampliare gli impianti,abbellire le loro sedi.” Ianni è un’azienda che sarebbe piaciuta ad Einaudi ed un amico mi ha detto che nel 1961 ,quando il presidente andò a Santena  per il centenario della morte di Cavour, si sia anche complimentato con Lorenzo Janni. Un episodio che ho saputo da altri,non dai suoi figli.
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 Una frase poco felice
La più vip delle signore torinesi ha voluto scrivere un suo personale  elogio al regista Martone che lascia la direzione del Teatro Stabile. Per sottolineare il suo attaccamento al lavoro ha citato  Chiamparino che avrebbe detto di Mario  Martone,usando il dialetto piemontese, che “è un Napuli che ama lavorare”. A me è sembrato strano, anzi incredibile che un uomo avveduto come Chiamparino abbia usato , sia pure confidenzialmente, un’espressione così poco felice. Avrebbe offeso, in un colpo solo, tutti i meridionali che vivono e lavorano in Piemonte. E sono tanti. Anche tra i  suoi elettori.
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LETTERE  
scrivere  a quaglieni@gmail.com
Vorrei raccontarle un episodio di vita vissuta. Ero a Firenze e ho dovuto cambiare il biglietto di ritorno sul Frecciarossa  per tornare subito a Torino. Non c’era posto e ho dovuto obbligatoriamente optare per la classe business e il settore salottino, ambiente che non mi è abituale, non essendo un vip. L’urgenza di tornare ha comportato un esborso di 120 euro. Nel salottino non c’è spazio per un sia pur ridotto bagaglio perché i vani sono stati concepiti in modo stravagante. Neppure sotto le poltrone è possibile collocare una borsa. Tra il resto, su quattro spine per ricaricare le batterie 3 erano guaste. Era il treno 9540 carrozza 3 delle ore 17. Nel salotto d’attesa di Firenze ho notato una stranezza incredibile : gli schermi che annunciavano i binari  erano quasi illeggibili e bisognava periodicamente alzarsi per consultarli. Invece c’era un grande video, ben visibile da tutti, con tanta pubblicità.
                                                                                                                                               Enzo Pezzati
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Ha già scritto tutto lei, non ho commenti da aggiungere. Anch’io sui Frecciarossa non mi trovo sempre servito in base ai prezzi praticati. Ho provato il gestore privato, ma non mi è sembrato meglio. E poi dicono che si deve usare il treno e non la macchina…
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Linea di confine. Spigolature di vita e storie torinesi

di Pier Franco Quaglieni

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Il divorzio voluto dal socialista Fortuna e dal liberale Baslini  era una cosa molto seria. Chi si sposa non può farlo con leggerezza, pensando che c’è a sua disposizione un divorzio facile.  I laici hanno un’etica severa, inconciliabile con l’edonismo, anche se pochi se ne  rendono conto. Il matrimonio non è una semplice convivenza, è una scelta molto impegnativa

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Il divorzio cambia verso 

Con la sentenza della Cassazione  che stabilisce che il coniuge più debole non ha più diritto a fruire di un assegno che  garantisca lo stato economico ottenuto con il matrimonio, anche dopo il suo scioglimento, finalmente l’Italia si adegua al resto del mondo.Ne sarà lieto,in primis, il miliardario  Silvio Berlusconi che si libererà dagli assilli dell’ex moglie, ma  tireranno un sospiro di sollievo i tanti che ,dopo il divorzio, si trovano quasi sulla soglia di povertà per gli assegni dovuti all’ex coniuge. Ne sarà sollevato anche Vittorio Sgarbi che numerose donne spremono come un limone,ma anche e soprattutto l’ultimo impiegato. Il divorzio era diventato un lusso consentito a pochi, anche perché le  sole spese per nuova  casa creano già di per se’ un problema, specie oggi. Nel 2014 al circolo della Stampa di Torino organizzai un dibattito per festeggiare l’esito referendario del 1974 che consentì la difesa di un diritto civile. Fui tra i primi divorzisti torinesi a fianco del magistrato Mario Berutti, avvocato generale dello Stato a Torino e  uomo dalla schiena diritta. Non condivisi recentemente il divorzio che, più che breve, diventò istantaneo ,anche in presenza dei figli ,perché il divorzio voluto dal socialista Fortuna e dal liberale Baslini  era una cosa molto seria. Chi si sposa non può farlo con leggerezza ,pensando che c’è a sua disposizione un divorzio facile.  I laici hanno un’etica severa, inconciliabile con l’edonismo,anche se pochi se ne  rendono conto .Il matrimonio non è una semplice convivenza,è una scelta molto impegnativa .Al convegno del 2014 si presentò un divorziato che disse che l’assegno versato all’ex moglie gli impediva di tirare avanti. Approfondii e vidi che esiste a Torino  persino una associazione di padri separati e divorziati,anzi potremmo dire disperati . Forse per loro il divorzio non sarà più una tragedia peggiore di un matrimonio fallito.  

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Il circolo della Stampa compie 60 anni, ma non li dimostra 

Una delle istituzioni culturali torinesi più  prestigiose , il Circolo della Stampa ,compie il 19 maggio 60 anni,un traguardo importante In una vita culturale subalpina asfittica e assai poco pluralistica  ,in cui l’ente pubblico si rivela un leviatano che vuole tutto assorbire e tutto omologare. i fondatori furono i giornalisti Riccardo Giordano e il grande inviato Giovanni Giovannini ,figura di spicco del giornalismo internazionale . In un suo libro “La Rivoluzione al sicilicio” previde la crisi ,se non la fine ,del giornalismo cartaceo. Un’altra figura di spicco è stato il presidente Alfredo Toniolo che fu fascista,di cui nessuno tuttavia  poté mettere in discussione L’ onestà assoluta e la  cultura. Con Toniolo il Circolo crebbe e divenne crocevia della vita  culturale non solo  torinese. Gli eventi più importanti a Torino  si svolsero nelle sale di palazzo Ceriana Mayneri in corso Stati Uniti .Gianni Romeo ,famoso giornalista sportivo,è un altro dei presidenti che hanno fatto la storia del Circolo con tatto,equilibrio,spirito aperto. L’attuale presidente Alessandro Rosa,tra i fondatori di “Tuttolibri”,quand’era un settimanale a se’ rispetto alla “Stampa”,sta lanciando il circolo su nuove strade  con la collaborazione di Andrea Mosconi,un giovane manager capace e intraprendente .Il Circolo non è mai vissuto di sovvenzioni pubbliche. Parlare di Circolo sarebbe riduttivo perché la sede sportiva ,lo Sporting ,in corso Agnelli  ,è un altro aspetto vitale del circolo con i suoi mitici campi da tennis e la sua piscina olimpionica. Il circolo non è solo riservato ai giornalisti,ma a tanti qualificati torinesi che ne sono soci e sono orgogliosi di farne parte.L’attuale vicepresidente Luciano Borghesan è stato  uno dei migliori cronisti della “Stampa” ,grande esperto degli anni di piombo e del terrorismo. Oggi ci sono altri circoli che contendono il primato al Circolo di corso Stati Uniti ,ma i suoi 60 anni di vita libera, indipendente, coraggiosa fanno  di lui un unicum inimitabile . È superfluo l’augurio di rito : Ad multos annos! Il Circolo non ha bisogno di auguri perché parlano per lui la vitalità con cui sta vivendo i suoi sessant’anni di vita.

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Sante Prevarin tra arte e gastronomia

Sante Prevarin , patron di lungo corso al “Montecarlo “di via San Francesco da Paola,non è il solito oste che gestisce da molti decenni il suo locale. E ‘ molto di più. E’ uomo che coltiva l’arte, e’ stato vicino a tanti artisti  ed è un fotografo geniale e di grande bravura tecnica. Veneto di origini,para’ della  Folgore,un passato in Fiat, è un innamorato di Torino. A volte mi chiedo come faccia a restarne innamorato.La domenica va al Valentino a fotografare il fiume,le piante,le foglie. A modo suo, e’ un poeta. Una volta ci ho anche litigato.Il suo locale è a volte frequentato da persone che non apprezzo e anzi mi infastidiscono,ma lui è gentile,premuroso e attento  con tutti. Il suo locale vuole essere un’altra domus. Fu amico di Carol Rama quando la pittrice ” maledetta ” era dimenticata da tutti ed è amico di Guido Ceronetti che stima ed apprezza Sante. Nel suo locale si possono gustare alcuni piatti veneziani che a Torino non si trovano  perché le mode portano i cuochi  verso altre scelte e li inducono  a disertare spesso la cucina per andare in quache trasmissione. I menù li disegna personalmente ,facendo disegnini teneri che rivelano il suo animo delicato.Ha una sua clientela affezionata,ma anche i giovani non disegnano il locale che è ormai entrato nella storia della città.I due ristoranti concorrenti nella sua stessa via hanno chiuso da tempo,ma Sante resiste.Per fortuna dei suoi clienti.

 

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Napoli e Torino : un asse di civiltà

Giovedì scorso a Napoli ho vissuto  ,paradossalmente,una grande giornata torinese. Napoli e Torino sono state due grandi capitali,oggi governate da sindaci anomali. Ma la mia Napoli è quella dei grandi illuministi da Genovesi a Filangieri ,amati alla scuola del torinese Franco Venturi. E’ la Napoli di Benedetto Croce  che amava passare le vacanze in Piemonte ed era lieto che nella sua casa ,nello storico palazzo Filomarino ,risuonasse il dialetto piemontese. Croce aveva sposato una torinese e il personale di casa era torinese.Ha scritto Bobbio che Torino,dopo Napoli,e’stata la  città più crociana d’Italia. Sono stato anche giovedì scorso  a Palazzo Filomarino,pur avendo dedicato mezza giornata allo shopping nei bei negozi napoletani, in primis l’amatissimo Marinella .

C’e’  una lapide, all’inizio dello scalone dello storico edificio dove aveva insegnato il Vico, che ricorda Croce ,parlando di “ricerca del vero e difesa della libertà “.  Due valori irrinunciabili. In quel palazzo ho passato tante giornate in compagnia  delle figlie del filosofo e di Alda soprattutto , che fu presidente del centro Pannunzio. In quelle antiche stanze ci si allontanava dal chiasso sottostante di “Spacca Napoli,  e si respirava l’aria dei ventilati altipiani. Al pomeriggio ho incontrato tanti amici al Circolo Posillipo “sul mare ,sede di incontri culturali molto prestigiosi.  Ho detto al presidente che chi ama il mare ama la libertà e che senza libertà non c’è cultura. Alla fine abbiamo brindato con lo spumante Soldati La Scolca inviato da Gavi dal nipote di Mario. Anche Mario amava Croce e visse a Napoli dopo l’8 settembre 1943. Napoli e Torino un asse di civiltà antica rivissuta nel presente.

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Schettino e la giovane Maria 
La conferma  da parte della Cassazione della mite condanna a poco più  di 16 anni di carcere a Francesco Schettino ,comandante delle Costa Concordia   ,in seguito al disastroso naufragio all’isola del Giglio del 13 gennaio 2012 ,  appare davvero inspiegabile . Le vittime sono state 32 ,tra cui anche la trentenne biellese Maria d’Introno. Schettino ha provocato danni enormi sul piano umano ed ha incrinato l’immagine stessa dell’Italia a livello internazionale.  Ho fatto tante crociere e vivevo sulla nave senza pensieri, in un relax assoluto. Dopo quell’episodio gravissimo, dovuto a superficialità ed anche ad incapacità e codardia, ho evitato quel tipo di vacanza. Quella tragedia mi ha segnato. Ho perso la serenità per una vacanza sul mare che ritenevo  molto piacevole ed ultra sicura. Credo che la giovane  Maria vada ricordata a cinque anni dalla sua tremenda morte. Schettino ce  l’ha sulla coscienza, anche se la giustizia umana si è rivelata non adeguata alle sue colpe .Certo,  vanno sempre rifiutate le condanne esemplari che sono  un segno di barbarie giuridica e di mentalità autoritaria. Ma una sanzione penale più adeguata ai fatti penso che sarebbe stata giusta e  necessaria.  Sono garantista per abito mentale e cultura ,ma il fatto che i legali di Schettino annuncino  un ricorso alla Corte Europea mi sembra un’offesa alle vittime di un naufragio che si sarebbe potuto evitare.

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LETTERE scrivere a: quaglieni @gmail.com

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Sono professore ,vincitore di concorso, in un istituto superiore della provincia di Torino. Sto vivendo da un anno una situazione kafkiana; nella mia scuola la mia libertà di insegnamento è condizionata da colleghi faziosi, la valutazione che sarebbe affidata alla scienza e alla coscienza del docente , è coortata da chi vuole che tutti siano promossi perché un istituto si valuta in base al numero dei promossi e non sulla base della qualità dell’insegnamento È questa la “Buona scuola ” di Renzi , rivista dalla non laureata ministra Fedeli. Il sindacato sta riprendendo il controllo sulla scuola. Io mi sento condizionato anche da genitori impiccioni che giustificano a priori i loro figli. Non so più cosa fare.

Lettera firmata 

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Caro amico, non posso che esprimerle la mia totale solidarietà .Io ho resistito  in tempi peggiori di questi. Tenga duro, molti arroganti sono anche ignoranti. Resista e ,se necessario, faccia esposti alla Magistratura. Un giudice onesto non c’è  solo a Berlino…In certi casi ,gli arroganti ,quando sentono di un  possibile ricorso alla carta bollata,s cendono a più  miti consigli. E tenga i voti come sono, non accetti di modificarli. Un giudice recentemente ha dato ragione ad un professore che venne sospeso dal preside per la sua onestà  professionale .Peccato che ,nel frattempo, il docente fosse andato in pensione…                          

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Linea di confine. Spigolature di vita e storie torinesi

Di Pier Franco Quaglieni

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A Torino  continua ad essere difficile avviare un discorso storico con il necessario distacco. Gli odi non si sono mai rimarginati e forse non si rimargineranno mai. La storia, invece, può far ciò che i singoli uomini non possono

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I professori universitari, dopo quelli medi, da oggi al 30 giugno dovranno  seguire un corso obbligatorio sulla sicurezza.

Scrive Gabriella Bosco che insegna Letteratura francese a Torino :il corso insegnerà a non fare gesti azzardati,ad evitare i pericoli, a cosa fare se uno studente ci butta un libro in testa,se c’è corrente in aula o i fili sono scoperti…”. C’è nella Bosco un briciolo di ironica esagerazione,ma non più di tanto. I professori medi sono stati sottoposti a corsi sulla prevenzione degli incendi e sul pronto soccorso,forse anche sull’educazione sessuale degli allievi. E’ mai possibile che nessuno abbia il coraggio di dire  che a questi compiti sono incaricati i bidelli, oggi chiamati operatori scolastici o qualche altra simile diavoleria che li assimila a netturbini diventati operatori ecologici. E’ la scuola, per altro, della bollatrice anche ai professori, quasi la funzione docente si misurasse con i criteri, oggi non idonei ,neppure a valutare un impiegato d’ordine. Il professore deve pensare alla ricerca scientifica, all’insegnamento, agli esami (che spesso  trasformato l’università in un esamificio), a pubblicare lavori che diano un contributo all’avanzamento degli studi nel suo campo di indagine.Non è pensabile e non è accettabile pensare ad attività non di loro competenza ed  considerate anche obbligatorie.In ogni caso chi ha affrontato il ’68 da studente e il ’77 da professore è in grado di fronteggiare ogni situazione,ogni emergenza.Vi immaginate voi un Franco Venturi,storico di fama internazionale che sicuramente non era in grado di cambiare un lampadina a casa sua, allievo di un corso sulla sicurezza? Io ,che l’ho conosciuto bene, non  ci riesco.

 

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Laura Scaramozzino delicata scrittrice 

 

Paolo Coccorese nell’ampia recensione su “La stampa” ha definito l’ultimo successo  di 

Laura Scaramozzino”  “un libro di piccole avventure ispirate ad una storia vera” ed è proprio così.

“L’uomo che salvava le anatre e inseguiva il Big Bang” ,edito  da Sillabe di Sale, è un libro delicato,a metà strada tra la realtà e la fantasia,  ambientato a Torino,in modo particolare nel parco della Pellerina di cui il protagonista , Ludovico Marchisio, classe 1947,è il guardiano. Marchisio attende agli animali ,rivelando  un amore appassionato ,  sia quando salva un’anatra o un aspirante suicida nel laghetto del parco. La Pellerina è stato ed è  un luogo squallido, ritrovo di amori mercenari e di crudele sfruttamento della prostituzione. La Scaramozzino lo redime con la poesia del suo libro. Ho sempre avuto un’attrazione  per le anatre:da bambino, a Pasqua, mia zia mi regalava due piccoli anatroccoli. Li tenevo in campagna e li coccolavo.Da quel momento non ho più mangiato carne di volatili di qualsiasi genere. In campagna avevo un’oca che riconosceva la mia macchina e veniva al cancello a salutarmi. Avevo vent’anni, quell’oca mi colpì per la sua intelligenza e mi rivelò  l’errore  insito nei luoghi comuni.  Nel libro ho ritrovato me stesso e mi sono reso conto del perché non mangio  quelle carni.E’ un libro da leggere che non si può riassumere perché ogni pagina è imprevedibile.In questo sta il valore della giovane scrittrice che ci offrirà sicuramente altre prove convincenti  di sé,  senza rincorrere il successo mediatico che uccide la poesia. Ed è  grande titolo d’onore della scrittrice non essere passata sotto le forche caudine della torinese  Scuola Holden di Baricco.

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Silvio Fasano,un cuore torinese ad Alassio
Silvio Fasano è un torinese trapiantato ad Alassio, uno dei tanti torinesi che vivono nella perla del Ponente ligure.Mario Soldati definì la Città del Muretto,”il mare di Torino”.Silvio Fasano è un torinese doc,vissuto in San Salvario,scuola media  dai Salesiani al “S.Giovanni Evangelista e poi all”Avogadro”. E’ uno dei pochi veri giornalisti fotografi che si siano meritati la tessera dell’ordine dei giornalisti non in base ad una interpretazione estensiva della legge che fece diventare giornalisti anche gli stenografi. Possiede un archivio prezioso che documenta la vita di Alassio,Albenga,del Ponente in generale  che forse nessun altro possiede.E’ il frutto di decine d’anni di professione.

Con il suo inseparabile cane, il suo scooter,la scala su cui lui sale  per fare fotografie panoramiche all’antica maniera. E’ un uomo affabile,sincero,un professionista serio che non ha mai perso un evento importante o con la sue fotografie ha reso importante un banale fatto di ordinaria o straordinaria quotidianità. Fotografò ,ad esempio, un gabbiano mentre aggrediva un uomo sulla spiaggia di Ceriale. I suoi servizi fotografici  vengono pubblicati dai maggiori quotidiani nazionali. E’ lo zio del cantante Franco  Fasano che lo scorso anno ricevette l’”Alassino d’oro” e lo zio lo immortalò con la sua macchina fotografica. Una fotografia storica lo ritrae giovanissimo,già con la macchina fotografica in mano,  dopo la trasmissione “Campanile sera” ad Alba,insieme ad Enzo Tortora. Fasano è un torinese che tiene alto il nome di Torino in Liguria. 

 

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I terribili anni dal ’43 al ’45

 Venerdì scorso è stato ripresentato a Torino,a tre anni dall’uscita nel 2014, il bel libro di Nicola Adduci “Gli altri.Fascismo repubblicano e comunità nel torinese(1943-1945 ) presso la casa della resistenza di corso Umbria. E’ raro che un libro sia oggetto di una ripresentazione a distanza di anni,ma la motivazione addotta,quella di non dimenticare,è sicuramente condivisibile. Il libro ripercorre la storia del fascismo repubblicano  alleato e succubo dei tedeschi in una Torino piena di macerie dovute ai bombardamenti  anglo-americani. Mio padre  perse la casa in un bombardamento notturno e quel ricordo non lo abbandonò mai. Ne parlava come fosse capitato ieri. Al mattino dovette andare in banca e ripartire da capo. Interessarsi degli “altri” ,ovviamente con l’estraneità e l’ostilità dichiarata di Adduci, è un passo avanti nella ricostruzione storica. Lo storico si occupa anche dell’ultimo federale di Torino, Giuseppe Solaro,sul quale uscì un libro “ Giuseppe Solaro . Il fascista che morì due volte” pubblicato anch’esso nel 2014 ,opera di un giornalista lucchese, Fabrizio Vincenti ,che riabilita in parte  una delle figure più odiate di quegli anni terribili. Mi proposero di promuoverne la presentazione a Torino,ma non trovai nessuno disposto a farlo e non mi sentii di proseguire nella ricerca.E fu un atto di viltà. Ritengo infatti si debba scrivere e parlare senza inibizioni e senza steccati preventivi, ma a Torino  continua ad essere difficile avviare un discorso storico con il necessario distacco. Gli odi non si sono mai rimarginati e forse non si rimargineranno mai. La storia, invece, può far ciò che i singoli uomini non possono. Solo Gianni Oliva con i suoi libri sulle foibe, sull’esodo, sulla Resistenza non mitizzata,sui Savoia e su Umberto II , è riuscito ad indicare una strada nuova che gli ha provocato anche forti ostilità . Il cammino è ancora lungo e difficile. Ovviamente senza facili intenti revisionistici,senza capovolgere i giudizi di merito che la storia ha ormai definito e che è impossibile cambiare.Ricordare a Milano la M.O. Carlo Borsani giustiziato dai partigiani ha suscitato aspre polemiche. Certamente Casa Pound  intende capovolgere la storia e strumentalizzarla per i suoi fini,ma Borsani fu uomo che merita il rispetto di tutti.

 

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Morzenti,  una vita “complessa, ma bellissima”

E’ morto Giovanni Morzenti ,ex presidente della Federazione Italiana Sport Invernali, Aveva 66  anni. Quasi nessuno ha parlato di lui; soprattutto i suoi amici che l’avevano  ormai dimenticato,hanno taciuto.Eppure alcuni gli dovevano molto.La sua è stata una vita sempre di corsa, tra successi e cadute. Lo sci a Limone Piemonte si identificava in lui che lanciò la  Riserva Bianca di Limone,facendo del paese un’attrazione sciistica di livello internazionale.In precedenza, era frequentato,  quasi solo d’estate ,soprattutto da molti liguri e cuneesi.C’era davanti alla parrocchia un solo un piccolo  e triste ristorante, con la vasca delle trote in bellavista, e quasi nulla di più.L’ ho conosciuto nel 1998 e trascorsi nella sua casa di Limone un Capodanno in cui avemmo modo di scambiarci gli auguri e anche qualche idea.Fu gentilissimo. Mi resi conto, in breve volgere di  tempo, che alcuni suoi amici non potevano essere i miei.L’unico dei suoi amici che fu anche mio amico finché visse, fu il senatore Giuseppe Fassino, un gentiluomo liberale di antico stampo.Lo rividi  per un premio che per qualche anno fece parlare di Limone. Lo consegnarono anche a Sergio Romano,presente il Generale dei Carabinieri Franco Romano. Fui io a parlare dell’ambasciatore a Mosca , dello storico e del  giornalista che allora era appena passato dalla “Stampa” al “Corriere”.Ha lasciato delle  parole che meritano di essere conosciute  e  che gli fanno molto onore :”Ho avuto una vita complessa ,ma bellissima.Ci sono tante persone che voglio ringraziare ed anche  altre che voglio perdonare.Non porto con me segreti ,ma solo speranze.Se potete,fate quello per cui ho sempre vissuto, fatelo meglio di me “.

 

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LETTERE   scrivere a quaglieni@gmail.com

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Ho visto citato in un suo articolo Carlo Delcroix, ho guardato su Internet e mi è sembrato un personaggio importante dimenticato . Cosa ne pensa?

                                                                                     
Luigi Fino
Ho conosciuto personalmente Carlo Delcroix, grande invalido della Grande Guerra, cieco e senza mani. Meriterebbe di essere approfondita la sua figura. Ricordo di averlo ascoltato quindicenne in piazza San Carlo e un’altra volta a Roma. Era un grandissimo oratore, forse il più grande che io abbia mai ascoltato.Era stato deputato e presidente degli Invalidi e Mutilati di Guerra. Sostenitore di Mussolini,non aderì alla RSI e nel dopoguerra fu eletto deputato tra le fila del PNM. Molti suoi libri  appaiono datati,ma i suoi discorsi restano. Su Internet ce n’è uno sul Duca d’Aosta che può offrire un esempio della sua eloquenza. In tempi in cui la politica si fa in televisione,certo appare distante il discorso in un teatro o in una piazza. Ma in passato esso ha giocato un ruolo importante.

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Linea di confine. Spigolature di vita e storie torinesi

di Pier Franco Quaglieni

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Terrorismo. Un’accusa forse esagerata, ma certo esistono, documentate da filmati, le prodezze non proprio gandhiane  dei No Tav. Anche la violenza verbale e i danni arrecati alle cose sono fatti incontestabili. Gli stessi blocchi dell’autostrada sono stati atti di illegalità per troppo tempo tollerati

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L’eroismo stoico di Chicco
 La scrittrice Elisabetta Chicco,appena uscita dal pronto soccorso,molto provata e visibilmente  sofferente, ha affrontato la presentazione del suo nuovo libro “Nietzsche. Psicologia di un enigma”.Ha fatto un lucido intervento  di un quarto d’ora,dimostrando un vero e proprio eroismo stoico. Il folto pubblico l’ha applaudita a lungo.E ovviamente ha ascoltato la presentatrice,la brillante  docente di filosofia   Carla Barbero , ed ha discusso con lei . Si è anche intrattenuta con i lettori ,firmando molte copie del libro. Alla fine è uscita a fatica dalla sala sorretta dal marito.Mi è capitato di dover supplire all’ improvvisa assenza di relatori che, per una minima indisposizione, danno forfait.  Addirittura ho conosciuto relatori che ambivano quasi esclusivamente  ad  ottenere il loro nome nel panel , vere prime donne viziate e poco serie. Potrei citare ,ad esempio, il compianto Nico Orengo che si faceva notare per le sue assenze neppure anticipate da una telefonata  e per la sua smemoratezza indisponente.
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Il Guazzaloca torinese che non ci fu 
E’ morto Giorgio Guazzaloca,il macellaio colto di Bologna che nel 1999 riuscì a farsi eleggere sindaco di Bologna che sembrava una roccaforte comunista inespugnabile. Fu un segnale importante. Non saprei dire se fu un buon sindaco.  Un Gazzaloca torinese non ci fu. Costa andò  molto vicino a superare nel ballottaggio  Castellani ,Rosso riuscì a portare Chiamparino,subentrato a Carpanini morto all’inizio della campagna elettorale,al ballottaggio. A riuscire vincitore nella contesta poteva solo Enzo Ghigo, presidente della Regione Piemonte  per dieci anni,uomo capace,con i piedi per terra, radicato e stimato a Torino e in Piemonte per il suo buongoverno.  Il centro-destra con Rocco Buttiglione candidato sindaco scelse il suicidio e fece trionfare Chiamparino al primo turno. E’ strano che il centro-destra non sia riuscito a trovare un candidato torinese credibile,se se si eccettua la candidatura di testimonianza dell’assessore regionale Michele Coppola. Nell’ultima tornata elettorale si è addirittura diviso con tre candidati diversi in corsa. Il risultato non poteva che essere pessimo. Eppure c’erano professionisti e professori che avrebbero potuto essere alternativi al centro- sinistra. Alcuni non ebbero il coraggio di accettare,altri non furono mai interpellati. Un ricambio democratico al “sistema Torino” avrebbe evitato il successo grillino, come è accaduto a Milano l’anno scorso nello scontro tra Sala e Parisi .Ma, in effetti, il sistema Appendino è in linea di continuità con il sistema Chiamparino ed a molti questa continuità fa molto comodo.Fassino resta un’altra cosa,anche se fu imprigionato dal sistema consolidato nei decenni  e dai debiti contratti dal suo predecessore. Anche solo l’idea   di candidare il prof. Buttiglione, che a Torino fece un anno di liceo al “d’Azeglio” quando il padre era questore, fa accapponare la pelle:sarebbe bastato un macellaio come Guazzaloca, senza andare a cercare il candidato a Gallipoli.
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Vanna Chirone Wick        
 Venerdì gli amici hanno accompagnato al cimitero Vanna Chirone Wick,mancata a 92 anni dopo lunga malattia. Era la vedova del prof. Giancarlo Wick, scienziato di fama internazionale,figlio di Barbara Allason, liberale torinese antifascista,amica di Benedetto Croce .Giancarlo era stato uno stretto collaboratore di Enrico Fermi. Una volta venne al “Pannunzio” a parlare dei “ragazzi di via Panisperna” e del suo  maestro. Ho a lungo frequentato Vanna e Giancarlo Wick che abitavano al 35 di Via Maria Vittoria. Una coincidenza che mi ha offerto l’opportunità di conoscere un uomo che superava anche il celebrato Tullio Regge che fu deputato al Parlamento Europeo. Wick amava la riservatezza di una vita appartata. Vanna gli è sopravvissuta per un quadro di secolo. Parlava poco con le persone ,ma più volte mi ha raccontato la sua vita. Wick e mio padre erano ricoverati in due stanze vicine nello stesso  repartino delle Molinette. Avemmo tante volte occasione di parlare in momenti difficili per ambedue nell’anno horribilis 1992. Era ricoverato anche il prefetto Carlo Lessona.  Non voglio scrivere dei nostri dialoghi  che continuarono negli anni ,perché forse  Vanna non gradirebbe .Voglio però ricordarla come una grande donna colta e raffinata che viveva con la stessa dignità della grande suocera scrittrice e germanista  che nella villa di Pecetto dava ospitalità alle riunioni clandestine degli antifascisti.  Era gente fuori ordinanza con una signorilità innata. A Torino simile a lei ho conosciuto solo Edoarda Fusi e l’avvocato Maria Adelaide  Zammitti Dal Piaz . Che differenza con le donne torinesi più in vista che Montanelli chiamava “madamazze”  e sono poco di più che delle “madamine”, che Gozzano descrive da Baratti a mangiare pasticcini.
 
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Tempo di asparagi
Gli asparagi di Santena,ma anche quelli di Poirino,sono tornati sulle nostre mense e nei menu dei ristoranti. L’”asparagiata”  tradizionale è però un retaggio del passato. Ai giovani non piace.
Io ricordo quando a Santena c’era “Pinin” quasi di fronte al castello dove riposa Cavour.
Faceva il rappresentante di tessuti e nei fine settimana si occupava del suo ristorante, celebre perché sembra frequentato dallo statista. Si metteva sulla strada con un tovagliolo bianco ad attirare l’attenzione di chi passava in macchina. C’erano contadini che vendevano asparagi appena colti.Festeggia i 70 anni di vita la Proloco di Santena ,che  ha avuto un ruolo importante nel difendere il prodotto tipico locale ,con la ripubblicazione  in anastatica  di una storia di Santena scritta nel 1961 dal parroco e dall’arciprete di Revigliasco.  Adesso tuttavia  è tutto diventato più difficile.  Forse si salva ancora la semplicissima trattoria della” Pace” a Santena. Anche il bel ristorante “Cacciatori” di Cambiano ha chiuso da tempo. La verità è che a Santena i terreni agricoli coltivati ad asparagi sono diventati edificabili e invece degli asparagi sono cresciuti i casermoni. Ci sono anche ,e sono sempre più rari,gli asparagi violetti di Albenga,una prelibatezza servita al Quirinale e alla Corte inglese. Slow Food ha creato i  suoi presidi quando gli asparagi quasi non c’erano più. Anche ad Albenga sui terreni migliori per la coltivazione degli asparagi direttamente sul  mare, hanno edificato palazzi già trent’anni fa. Bisogna stare attenti perché molti asparagi arrivano da altre zone: Sardegna,Campania ed altre regioni. L’obbligo di indicare la località di provenienza dei prodotti è diventato un optional. Ma non riguarda certo solo gli asparagi. 

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Vittimismo No TAV

Sabato scorso ,andando a comprare le famose fragoline di Nemi (quelle di San Mauro non si trovano più)al mercato di piazza Madama Cristina, un’attivista No Tav ,una bella ed esile ragazza, anche un po’  impacciata e timida,mi ha dato con gentilezza un volantino che vi invita ad una proiezione sulle presunte violenze da parte della Polizia nei confronti di manifestanti no Tav in Valle di Susa “nelle operazioni di ordine pubblico”. Il volantino non fa cenno alle illegalità commesse dai manifestanti,alle violenze in cui sono distinti  che hanno portato , in alcuni casi, all’accusa di terrorismo. Un’accusa forse esagerata,ma certo esistono,documentate da altri filmati,le prodezze non proprio gandhiane  dei No Tav. Anche la violenza verbale e i danni arrecati alle cose sono fatti incontestabili. Gli stessi blocchi dell’autostrada sono stati atti di illegalità per troppo tempo tollerati. Di questi aspetti gravissimi si tace. Dopo aver letto il volantino con attenzione,avrei voluto dirlo alla ragazza,ma non sono più riuscito a rintracciarla nella bolgia dei banchi in cui operano indisturbati borsaioli e ladri di ogni tipo e colore. Le fragoline potrebbe subire,ad esempio, il sovrapprezzo del costo di un cellulare. Ma di  questo i vigili in servizio pare non si accorgano.
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LETTERE (scrivere a quaglieni@gmail.com)

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Nella sua rubrica  ha citato Saverio Vertone, considerandolo “un po’ volubile” Non è stato troppo generoso? 

                                      Gianni Cusano 

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Ho conosciuto Vertone quand’era comunista duro e puro,l’ho frequentato quando si staccò dal Pci e scriveva sul “Corriere della Sera” ed anche quando fu deputato di FI.Quando passò con Dini e poi con la Margherita,tornando addirittura con i comunisti italiani,rallentai i nostri rapporti. Era un uomo complicato,colto,contraddittorio,aspro. Era anche di rara intelligenza. I suoi articoli ed i molti suoi saggi appaiono pregevoli. Ha creduto nel Pci,in Craxi, in Berlusconi  e poi lentamente è tornato alle origini.E’ passato troppo poco tempo dalla sua morte per dare giudizi.Figlio di un colonnello dell’Esercito caduto in Russia,era stato anche nella Repubblica sociale italiana. Definirlo volubile mi è sembrato inevitabile. Seppe andare controcorrente. Aveva l’ambiguità del laico che aveva abiurato le certezze del marxismo.Su di lui invoco una sospensione di giudizio che mi pare doverosa. C’è una parte dei suoi saggi destinati ad andare oltre le sue (discutibili) scelte politiche. Lo chiamavano professore,ma non era neppure laureato. E’ stato uno dei pochi intellettuali che Torino abbia avuto.E l’intellettuale ha il diritto- dovere di contraddirsi. Il politico molto meno.

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Linea di confine. Spigolature di vita e storie torinesi

Di Pier Franco Quaglieni

25 aprile. E’ una festa nazionale che dovrebbe unire tutti. Ad alcuni la parola nazionale resta incomprensibile ed ostica. Vorrebbero che fosse una festa politica riservata solo a pochi. 

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Torino – Liguria da terzo mondo

I treni che collegano Torino e la Liguria rappresentano un problema irrisolto.In passato ci si lamentava della loro snervante lentezza,oggi è in gioco l’incolumità dei viaggiatori.Cio’ che è successo domenica scorsa quando il Ventimiglia- Torino è arrivato a destinazione con ore di ritardo a causa del vandalismo di magrebini ubriachi( colpevolmente rimasti senza reale sanzione) ,non è un caso isolato. Circolano impunemente sui treni extra-comunitari che sistematicamente non pagano il biglietto e diventano molesti nei confronti degli altri viaggiatori,accanendosi anche sui sedili e sui servizi igienici,rendendoli inservibili. Il capotreno,lasciato solo, non è in grado di affrontare le emergenze perché ne va della sua stessa incolumità personale. > È una situazione non tollerabile che i prefetti di Torino, Cuneo,Savona,Imperia devono affrontare con i poteri loro conferiti. Con assoluta fermezza.Altrimenti lo Stato non esiste più.Piangere sul latte versato,come si sta facendo in questi giorni non serve a nulla,occorrono provvedimenti severi e adeguati che consentano di guardare all’estate con un minimo di serenità. Il diritto dei viaggiatori o,come vengono chiamati oggi,clienti,deve essere garantito senza rimpalli tra l’ uno e l’altro che rischiano su suscitare il ridicolo

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25 aprile

A Torino sarà Lidia Menapace a ricordare la festa della Liberazione. C’è da augurarsi che gli anni la rendano super partes,evitandole le figure del passato quando, come membro della Commissione Difesa del Senato, contesto’ le Frecce Tricolori. In effetti, la sen. Menapace non può essere considerata in base a quell’infortunio perché la sua storia è molto più ricca e complessa. Credo che andrò ad ascoltarla perché il 25 aprile segnò la fine della guerra , la liberazione dal giogo nazifascista, l’inizio della primavera della nuova democrazia italiana. E’ una festa nazionale che dovrebbe unire tutti. Ad alcuni la parola nazionale resta incomprensibile ed ostica. Vorrebbero che fosse una festa politica riservata solo ad alcuni. Mi è spiaciuto che la mia persona di storico ad alcuni non sia andata a genio a Savona per la cerimonia del 24 aprile. L’Anpi, con cui ho ottimi rapporti in Liguria, non c’entra affatto. Per evitare polemiche ho rinunciato all’orazione che il Sindaco Caprioglio mi aveva invitato a tenere. Si tratta di alcuni faziosi che non riconoscono, soprattutto per ignoranza, la funzione storica della Federazione Italiana dei Volontari della Libertà, la FIVL di Cadorna, Mattei, Mauri, Taviani. Tra i liberatori di Savona ci furono Enrico Martini Mauri e Lelio Speranza ,ma la memoria storica latita quando prevale il settarismo. La “rossa primavera” di cui parlava il mio amico Davide Lajolo che ebbe sempre il massimo rispetto per il fazzoletti azzurri di Mauri, non corrisponde alla realtà storica. Sventoliamo il tricolore il 25 aprile e rinunciamo alle bandiere di partito. Ad Alassio ,dove sarò il 25 aprile insieme al Sindaco Canepa e agli amici dell’Anpi, fanno da tempo così.25 aprile festa tricolore, non festa di parte.

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Gozzano-attraverso Marina Rota- è arrivato a Cattolica 
Marina Rota, elegante e raffinata scrittrice torinese, ha ricevuto il 21 aprile il Premio internazionale “Città di Cattolica” per il suo bel libro Amalia se voi foste uomo….Ispirandosi all’epistolario intercorso fra Guido Gozzano e la poetessa Amalia Guglielminetti, la Rota  ha individuato i dodici snodi fondamentali della loro tormentata liaison, traendone altrettanti sonetti in stile gozzaniano, dando voce alla ‘bella arte fatta di parole’  dei due letterati. Le atmosfere della Torino inizio Novecento, percorsa da carrozze e tramvai, e ricca di fermenti artistici e culturali, fanno da sfondo allo sfuggente Guido e all’appassionata Amalia. Ricordo Franco Antonicelli che leggeva Guido Gozzano e mi è rimasta in mente  una lettera di Guido ad Amalia rivelatrice dell’animo tormentato del poeta, filtrato attraverso  il disincanto .  Come scrive Vittorio Sgarbi nella sua prefazione, un transfert prodigioso, in cui Marina Rota dà voce alla sua “ossessione gozzaniana” per consentire ai due protagonisti di raccontare ai lettori di oggi la loro storia. Lo scorso anno ho ricordato in più occasioni Gozzano nel centenario della sua morte a Torino, Agliè ed Alassio, un poeta  di cui mi innamorai al liceo. Ho colto nel 2016 le distanze che separano i giovani soprattutto ,ma non solo loro,  dalla sua poesia:  il nostro tempo che disprezza  “ogni cosa gentile”, avrebbe detto Catullo, è lontano dai suoi versi carichi di ironia e di allusioni ad un mondo che non c’è più. Gozzano resta tuttavia  importante perché ,come ha scritto Franco Contorbia ,capì che  gli “idola” di massa rappresentati da un certo tipo di religiosità intollerante  ,dalle ideologie presuntuose  e dai nazionalismi sanguinari , sarebbero stati forieri di tragici inganni, come accadde in tutto il secolo scorso ed   anche in quello attuale.   Lo stravagante e trasognato poeta crepuscolare a molti  apparve sterilmente  scettico; invece, sulla lunga distanza ,ci sembra soprattutto lucido, anzi lucidissimo rispetto alla maggioranza degli intellettuali del primo Novecento che si lasciarono travolgere dai miti .  Marina Rota ci fa rivivere, in modo intenso ed insieme leggero,  un’atmosfera ormai rarefatta difficile da cogliere persino al “Meleto” di Agliè, visitando quel salotto di Nonna Speranza che le sorelle Conrieri hanno difeso e salvato dal tempo e dalla rovina: un’operazione squisitamente gozzaniana.

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L’Abbazia  di Staffarda

L’Abbazia cistercense  di Staffarda, fondata tra il 1122 e il 1138,come ha documentato un servizio del Tg Piemonte, sta cadendo in pezzi. Essa è proprietà di quell’Ordine Mauriziano che troppo frettolosamente venne liquidato, senza neppure considerare il dettato costituzionale che ne stabiliva la rilevanza. Con Dario Cravero, Marco Laudi e pochi altri ci battemmo inutilmente  per farlo vivere. Era stato l’Ordine presieduto da uomini come Badini Confalonieri e Fusi. Oggi la Fondazione Mauriziana, privata di terreni e tenute, vendute altrettanto frettolosamente, non ha i fondi necessari per fare la manutenzione ,né ordinaria né straordinaria, di un gioiello architettonico e religioso  così legato alla storia piemontese. Il  suo splendido chiostro è transennato, i pavimenti  sono sconnessi. Il visitatore rimane esterrefatto. L’abate dell’abbazia si è espresso in termini sconsolati nell’intervista concessa al TG.E’ indispensabile intervenire e intervenire  subito. Sembra però  che nessuno sia interessato alle sorti dell’abbazia. Se penso all’avv. Giacomo Volpini che quasi trascurava la sua professione per studiare Staffarda e scrivere articoli e libri oggi dimenticati, mi si stringe il cuore. Volpini era originario di Modica, ma sentiva forte il legame con quel pezzo di Piemonte tra Saluzzo e Cavour. Inorridirebbe vedendo che la foresteria viene usata per matrimoni e feste da un ristorantino  attiguo all ‘abbazia. La Fondazione, nata sulle ceneri dell’Ordine, che è proprietaria della palazzina di caccia di Stupinigi, naviga da anni a vista tra debiti e crediti che non riesce ad esigere. Che tristezza, se consideriamo la storia multisecolare dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, una dignità cavalleresca sabauda  e italiana ,seconda solo all’Ordine Supremo della S.S. Annunziata.

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Bozzello, un esempio per i giovani 
Sabato nella sua Castellamonte, di cui è stato sindaco, sono stati festeggiati i 70 anni di impegno socialista del sen. Eugenio Bozzello che da operaio della Fiat divento’ questore del Senato della Repubblica. Bozzello è stato ed e’ un uomo coerente ,da quando , ventenne, nel 1947, divento’ militante socialista . Un riformista nenniano  che non ha subito il fascino delle sirene filocomuniste, ma è rimasto socialista anche quando, dopo la caduta di Craxi, ci fu un fuggi- fuggi dal PSI .Un uomo semplice, schietto, capace di forti sentimenti.  Mario Soldati lo stimava molto proprio per la sua schiettezza . Un volto umano del socialismo. Quando molti tendevano a dimenticare Aldo Viglione, il presidente della Regione per antonomasia, fu Eugenio a promuovere insieme a me e a Luigi Sergio Ricca un suo ricordo pubblico. Fra poco Bozzello compirà 90 anni . Fin da adesso un augurio sincero: ad multos annos ! Bozzello, un socialista vero che anche i liberali come me stimano ed apprezzano. Un esempio di democratico senza macchia e senza paura, un esempio per giovani di oggi.

 

Linea di confine. Spigolature di vita e storie torinesi

di Pier Franco Quaglieni

E’ anni che non si fanno più le benedizioni delle case dopo Pasqua, un’occasione di incontro tra parroco (o suo delegato) e singolo parrocchiano. In un parrocchia torinese è in uso distribuire una bottiglietta di acqua benedetta per una benedizione fai-da-te. In questo caso il contatto con la comunità si è perso

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Pasqua 2017

Venerdì si è svolta a Torino la processione della Via Crucis dalla “Consolata” al Duomo. Giusto evidenziare gli ultimi, come è stato fatto, ma la dimensione della festa dovrebbe riguardare tutti indistintamente. Giusto affermare anche attraverso la religione, i problemi sociali con cui dobbiamo misurarci, ma il rischio è quello di privilegiare la dimensione sociale rispetto a quella del rapporto intimo dell’uomo con Dio. E’ anni che non si fanno più le benedizioni delle case dopo Pasqua, un’occasione di incontro tra parroco (o suo delegato) e singolo parrocchiano. In un parrocchia torinese è in uso distribuire una bottiglietta di acqua benedetta per una benedizione fai-da-te. In questo caso il contatto con la comunità si è perso.

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La Grotta Gino di Moncalieri

La Grotta Gino di Moncalieri ha da poco riaperto i battenti. Non si tratta solo del celebre e storico ristorante vicino all’ospedale in piazza Amedeo Ferdinando, ma della grotta scavata tra gli anni ’50 e’ 60 dell’800 da Lorenzo Gino che il giornale satirico “Pasquino” definì<< il… precursore del Fréjus e del Sempione>>. Dall’ingresso ci si inoltra per circa 50 metri su una barca che percorre l’acqua sorgiva che Gino voleva eliminare dalla sua casa ,scavando la grotta. E’ un piacere quello di visitare la grotta dov’erano conservate 15mila bottiglie di vino e ci sono statue che raffigurano l’autore dell’opera, il re galantuomo Vittorio Emanuele II, e un putto che tiene in mano una dedica al Re. Moncalieri è la città del Castello reale ed è stata la Città del proclama di Moncalieri con cui Vittorio Emanuele sciolse la Camera riottosa ad approvare la pace con l’Austria dopo la sconfitta di Novara del 1849 nella I Guerra di indipendenza. Era una tradizione di molte famiglie torinesi andare a pranzo o a cena al ristorante della Grotta. Mio zio, il barone Fusilli,amava riunire tutta la famiglia per una cena a base di bagna cauda e fonduta con tartufi. Quando venni eletto consigliere comunale nel lontano 1970 invitai gli amici che mi avevano aiutato, a cena in quel locale. Il fatto che dopo tanti anni riapra, è un bel segno. Per molti è una bella notizia.

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Mina, un torinese all’Expo

Alberto Mina ,intellettuale torinese in ascesa e consigliere comunale di F.I., lasciò il Comune nel 2009 per dedicarsi a tempo pieno all’Expo di Milano, per la precisione al Padiglione Italia che ebbe successo a tal punto che le code chilometriche mi impedirono di visitarlo. Mina ha lavorato molto bene ed ha saputo fare delle scelte. E’ l’esempio di un torinese che ha portato lo spirito subalpino in un grande evento milanese di livello internazionale. In effetti i grandi torinesi hanno sempre saputo guardare oltre le Alpi. In politica era un cattolico piuttosto rigoroso, ma seppe sempre aprirsi alle ragioni degli altri, accettando la discussione. Chissà se tornerà a Torino ? Sarebbe un “riacquisto” molto importante per la città.

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Tagli alla cultura

Si torna a parlare di tagli alla cultura che la Giunta Comunale intende attuare. Il paradosso è che molti grandi enti che subiranno i “tagli”, non sembrano preoccuparsi e si allineano con la Sindaca. Sono i Quartieri ed i “piccoli” a lamentarsi perché ne va della loro sopravvivenza. Ho ritrovato un fax del 1999 di Luisella d’Alessandro, straordinaria animatrice del Forum per la Cultura, falciata via in modo brutale ed assurdo. La d’Alessandro era persona stimabile e capace. Venne fatta sparire. Nel fax sta scritto:<< Una volta le associazioni culturali si preoccupavano di dover spiegare d’accapo, ad ogni cambio di giunta o di assessore, che la cultura “corrente”, quella promossa quotidianamente per animare la città, costituisce strumento di educazione permanente, è un importante segno di civiltà, vera arma contro l’impoverimento intellettuale, contro i pregiudizi sociali, persino (davvero !)contro la criminalità urbana ,”micro” o no che sia. Oggi, sarà che tutti i ritmi sono accelerati, almeno per la Città di Torino,questa spiegazione si deve ripetere ad ogni inizio d’anno anche alle stesse persone>>.Allora stava finendo il mandato di uno dei pochissimi assessori capaci e non settari, quello di Ugo Perone, docente universitario di valore, prestato alla politica. Poi non fu più neppure possibile comunicare con chi venne dopo. Oggi la d’Alessandro, forse, non sarebbe nemmeno stata ricevuta dall’assessora alla cultura che non ha mai convocato una riunione delle associazioni culturali, almeno di quelle più rappresentative, per confrontarsi.

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Torino Storia

La storia torinese sembrava essersi ritirata nei fortilizi di un piemontesismo attardato nella contemplazione di un passato che andava ripercorso senza indulgenze nostalgiche. Due anni fa un coraggioso giornalista torinese Alberto Riccadonna ha creato una nuova rivista ”Torino storia” che poteva apparire un’impresa molto difficile. Invece “Torino storia “ sta avendo un grande successo di lettori, sia nella sua edizione cartacea che in quella on line. Essa ci fa ricordare o persino conoscere per la prima volta tanti aspetti della nostra storia, senza pedanterie accademiche, con linguaggio rapido ed efficace, con servizi sempre molto godibili. Vi scrive anche Paolo Verri, una lunga storia torinese che poi si è tradotta in un grande successo internazionale come “Matera capitale della cultura 2019 “. Il corredo fotografico è eccezionale, molte volte, vedendo le sue splendide fotografie, ci si rende conto della bellezza di certi angoli di città che ,magari frequentandoli tutti i giorni, non riusciamo a cogliere per quello che sono effettivamente. La rivista colma un vuoto che certe noiose riviste o certi giornali un po’ impolverati non potevano occupare. Essa ci informa anche degli eventi principali di carattere culturale della città in modo imparziale .La rivista ci fa riscoprire le nostre radici e quello che Omodeo chiamava “il senso della storia”. Conosco da anni Riccadonna, un uomo e un giornalista che ha le sue idee e certo non le nasconde, ma che sa esercitare la professione in modo onesto, trasparente, aperto. Rara avis, per davvero.

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Torino, la decrescita: quella di oggi e quella di ieri

Segnalo un bell’articolo di Andrea Doi su “Nuova società” che denuncia il nuovo “Sistema Appendino” fondato sulla “decrescita infelice” in salsa piccolo borghese che rivela “astio contro la modernità e il progresso”. Parole sante ! Doi cita un fatto incontestabile : Milano cresce in numero di abitanti con circa 300 mila cittadini in più nel 2016 rispetto all’anno precedente, mentre Torino da 890 mila passa a 880 mila. L’unico fatto però che non mi convince è che il direttore della rivista sia Diego Novelli che, da sindaco, si propose come obiettivo proprio quello di diminuire il numero di abitanti .Non fece la Metro ed optò per quella leggera ,convinto che la piccola Torino non avesse bisogno della Metropolitana. Ma è un fatto positivo che il suo giornale, che venne diretto anche da Saverio Vertone, uomo controcorrente e un po’ volubile, sia aperto anche ad altre idee: le generazioni crescono e le vecchie opinioni si rivelano sbagliate o non più accettabili.

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LETTERE (spedire a quaglieni@gmail.com)

Ho fatto la nuova carta d’identità digitale e mi hanno chiesto le impronte. Come mai non le chiedevano ai migranti ?

Ugo di Fazio

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Il fatto che non le esigessero fu un gravissimo errore. Il fatto che sulla sua carta d’identità siano contenute è un passo avanti per tutti. Io ricordo che le carte d’identità avevano lo spazio, che rimaneva vuoto, per l’impronta digitale. Ma ricordo anche una carta d’identità di mio nonno, che aveva l’impronta digitale presa premendo il dito su un tampone d’inchiostro. Poi ritennero irrilevante questo dato. Con la criminalità crescente è invece importante averle ripristinate in digitale, quindi con la sicurezza assoluta che può darci l’informatizzazione.

pfq