LA RUBRICA DELLA DOMENICA- Pagina 3

Linea di confine. Spigolature di vita e storie torinesi

di Pier Franco Quaglieni

L’antimafia – Ostia, i giornalisti, i violenti – Mario Altamura liberale d’altri tempi – Francesco Tabusso  piccolo e grande artista 


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L’antimafia

Ho sempre avuto stima ed ammirazione per don Luigi Ciotti che una volta ,quando ricevemmo insieme il Premio “San Giovanni” fu largo di elogi nei miei confronti. Ma un conto è don Ciotti ,un conto è il donciottismo  torinese e non. Il donciottismo fa inevitabilmente pensare ai professionisti dell’Antimafia ,come li definiva Sciascia, fa pensare a Grasso e alla ineffabile Rosy Bindi, per non parlare dell’ex magistrato Ingroia . Sono persone che  personalmente non sopporto. Mi è venuto alla mente questo ricordo leggendo il testo  del nuovo Codice Antimafia. Il partito radicale in un suo documento ha espresso un giudizio critico che merita di essere conosciuto di più e nel quale mi identifico. “Il nuovo Codice antimafia estende sequestri e confische in assenza di giudicato ai sospettati di tutti i reati contro la pubblica amministrazione, compreso il peculato. Con questa norma ci troviamo con un diritto penale e processuale che fa dell’emergenza la regola, del sospetto la prova, delle garanzie carta straccia, del giudicato un’inutile ritualità”. Il non basarsi sulle prove, ma sugli indizi e sulle congetture, il non prevedere un vero contraddittorio tra accusa e difesa anticipa la punizione  rispetto alla condanna e rende inutile il processo. E’ una minaccia grave allo Stato di diritto e alla libertà dei cittadini.


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Ostia, i giornalisti, i violenti
La violenza bestiale di Spada che colpisce un giornalista a testate va condannata con assoluta fermezza,ma non è giusto che alla violenza contro un giornalista sia dia immenso spazio mediatico ,mentre le violenze subite da semplici cittadini vengono di fatto ignorate e soprattutto non perseguite. C’è chi dice che far violenza ad un giornalista è più grave perché rappresenta il diritto all’informazione che hanno i cittadini. Forse è anche vero ,ma resta il fatto che la categoria ,meglio la corporazione, giornalistica appare privilegiata . Non sempre il comportamento dei giornalisti è accettabile.Non mi riferisco al caso di Ostia,ma potrei citare esempi di protagonismo riprovevoli.Una giornalista torinese si fece passare per poliziotta per carpire con la famiglia di una vittima,per carpire notizie che potevano violare la privacy. Quel caso venne dopo troppo breve periodo dimenticato. Spada verrà perseguito e condannato con rapidità e in modo esemplare contrariamente a quanto avviene in tanti altri casi anche molto più gravi.

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Mario Altamura liberale d’altri tempi

Mario Altamura fu un medico che per 25 anni fu consigliere comunale di Torino di cui fu anche assessore e per lo spazio di un mattino anche pro Sindaco. Non si può dire che fosse un politico perché per lui la professione medica fu sempre al primo posto e il servizio agli altri attraverso la politica fu un un prolungamento del fatto di essere e di sentirsi medico. Fu anche eletto due volte consigliere provinciale di Torino, anche se ,quando nel 1985 il suo partito ebbe l’opportunità di ottenere la presidenza della Provincia che naturaliter gli sarebbe spettata, non venne ricandidato. Aveva un vastissimo elettorato personale, ma sarebbe sbagliato parlare di clientelismo nei suoi confronti perché i suoi sostenitori erano donne e uomini appassionati e legati da sentimenti profondi verso la sua persona, come avviene al Sud. Era Pugliese, nato vicino a Taranto ,venuto a Torino come ufficiale del R. esercito con le truppe del Corpo italiano di Liberazione . Diresse l’ospedale profughi di Venaria. Apparteneva all’Artiglieria da Montagna e l’unico distintivo che gli vidi indossare -insieme all’immancabile papillon- era quello dell’associazione alpini. Appartenente ad una importante famiglia meridionale, aveva studiato medicina all’Universita ‘ di Napoli ed aveva iniziato la professione medica a Torino .Fu anche vice presidente della Banca del Sangue e ricopri molti altri incarichi con un disinteresse già raro ai suoi tempi. Eletto la prima volta in Consiglio comunale nel 1956 nel PNM ,venne rieletto nello stesso partito monarchico unificato nel 1960.Poi nel 1963 scelse di entrare nel PLI ,convinto di poter così meglio servire quegli ideali liberali e risorgimentali che sentiva anche come un patrimonio famigliare. Una scelta che fece anche l’altro consigliere monarchico ,il col. Enzo Fedeli, vero leader carismatico dei monarchici piemontesi a cui fu impedito di essere eletto deputato per la discesa in campo dell’imprenditore Piero Ferrari il quale riuscì con i suoi finanziamenti a monopolizzare il partito monarchico in Piemonte . Mentre nel partito monarchico era osannato e il suo abbandono significò il crollo di quel partito a livello torinese, nel partito liberale non ebbe le attenzioni che meritava. Nel 1968 fu il primo escluso alla Camera dei Deputati, malgrado l’assoluto non appoggio, per non dire l’ostacolo, del partito nei suoi confronti.  Il Pli era un partito molto snob e l’elettorato di Altamura raccolto attorno all’associazione” Nord Sud”, non veniva visto bene in via delle Orfane, sede del partito. Inoltre la sinistra liberale non lo amava per il fatto di essere monarchico. Anche gli ex compagni di partito del PDIUM si accanirono contro di lui con azioni indegne di vera intolleranza e di sabotaggio che durarono anni, in quanto lo consideravano un” traditore da mettere alla gogna “. Ebbe solo la collaborazione fedele della funzionaria del PLI Giuseppina Corniati che il partito gli mise a disposizione per l’associazione Nord Sud la quale ebbe una piccola sede nel cuore di San Salvario, in via Sant’Anselmo .Giacomo Bosso,eletto senatore a Torino centro, stava molto dietro ad Altamura, avendo compreso la sua forza elettorale. In ultimo, anche Zanone e Altissimo che dimostrarono di non amarlo, cambiarono idea su di lui per il consenso che poteva rappresentare, anche se non ebbe mai un riconoscimento adeguato al suo impegno. Significativo che per un suo gesto di coraggio che salvò da morte sicura la vittima di un incendio, non ebbe dal ministro della Sanità Altissimo la Medaglia d’oro per la Sanità come gli sarebbe spettata.  La moglie di Altamura era di origini triestine e questo lo rese particolarmente sensibile ai temi delle foibe e dell’esodo giuliano- dalmata in anni in cui neppure i liberali ne parlavano. Molti suoi elettori erano esuli costretti a lasciare tutto per venire in Italia, come molti lavoratori meridionali immigrati fecero per raggiungere il lavoro a Torino. Amava molto la musica e le prime del “Regio” erano un appuntamento per lui irrinunciabile. Amava anche suonare il pianoforte.  Era un politico rigoroso e limpido, le sue abituali passeggiate sotto i portici di via Roma tutte le sere e nei giorni festivi consentivano a chiunque di avvicinarlo e di parlargli. La sua apertura umana era nota ed apprezzata, così come la sua non faziosità politica. Fu capogruppo del PLI dopo Luciano Jona, come oppositore di Novelli Sindaco da cui Altamura dissentiva, ma senza manicheismi settari. Con Novelli, anzi, mantenne un buon rapporto personale durato nel corso degli anni e personalmente non ho mai capito quali affinità potessero legare due persone così distanti e diverse. Negli ultimi anni aveva ripreso la tradizione religiosa della sua famiglia ed ogni domenica non mancava mai alla Messa di mezzogiorno alla “Consolata” ,altro aspetto atipico del suo liberalismo che per molti liberali torinesi si identificava in un acceso laicismo o addirittura, come nel caso di Zanone e di altri, nell’ adesione alla Massoneria. Ammalato, andava da solo a sottoporsi alla chemioterapia, nascondendolo alla famiglia, fin quando fu possibile. Un gesto eroico. Era nato nel 1915 e morì poco più che settantenne, nel 1988.Tornai dalle vacanze per partecipare ai suoi funerali. E’ sepolto a Piscina dove aveva una casa di campagna che amava molto, come amava quella del mare ad Albenga che aveva scelto, dopo tanti anni di vacanze sulla costa adriatica. Io sono stato molto suo amico. Abbiamo condiviso ideali, ma anche quando le nostre strade si separarono, rimanemmo amici,profondamente amici. Era un gentiluomo di antico stampo e mi è spiaciuto di non essere stato io a ricordarlo nel 2005 insieme a Nicoletta Casiraghi, in Consiglio Comunale. Forse avrei potuto dire di più di Nicoletta,ma sicuramente con meno distacco perché alla notizia della morte ho pianto. Fu anche il mio medico curante per molti anni disponibile ad ogni ora del giorno è anche della notte.Ho condiviso con lui tante battaglie ed a volte amava sentirmi per uno scambio di idee che i politici oggi nella loro autosufficienza  non vogliono .Visse una vita semplice,austera,parsimoniosa. Comparve in un libro nel 1968 che era un uomo della Fiat nelle istituzioni perché aveva un ottimo rapporto personale con l’avvocato Agnelli. Era un monarchico fedele al Re Umberto in esilio che gli conferì le massime onorificenze sabaude tra cui il cavalierato mauriziano. In effetti Mario fu un gentiluomo d’altri tempi in cui lo stile nel rapportarsi con gli altri, non solo con gli amici ,era improntato a valori umani che si sono persi. Non oso pensare come  si troverebbe a disagio a vivere oggi ,lui ispirato a valori antichi da uomo del Sud che aveva trovato nella regal Torino una nuova patria, senza rinnegare  mai il suo sentirsi un meridionale che amava il Risorgimento . Come Croce, come Omodeo, De Ruggiero.

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Francesco Tabusso  piccolo e grande artista 

Francesco  Tabusso era nato a Sesto San Giovanni nel 1930.Appena adolescente passi gli anni della guerra sfollato a Rubiana che diventerà insieme a Varigotti e Bardonecchia , uno dei luoghi più amati di vacanza dell’artista. Maturità classica,frequentò lo studio di Felice Casorati.Nel 1954 a 24 anni partecipa  alla Biennale di Venezia.Da quel momento Tabusso diventa un pittore di successo che avrà sempre di più una notorietà internazionale con mostre a New York, Mosca,Bruxelles, Alessandria d’Egitto. Sicuramente tra i pittori torinesi della sua generazione è stato il primo in assoluto. Anche perché non si è lasciato invischiare in quell’impegno politico che finì di toccare tutti gli artisti torinesi di un certo periodo. Francesco amava la montagna,la Langa, il mare,le donne e i piaceri della vita. Una volta a una cena di amici disse con linguaggio colorito che desiderava spesso “la fuga nella figa .” Sono famosi i suoi nudi e il forte desiderio di sensualità che pervase la sua vita e la sua arte. Claudia Ghiraldello ha scritto :”Tabusso si chiamava Francesco e di Francesco d’Assisi incarnava l’ardore per la semplicità. La flora, la fauna, il creato. Nelle sue opere si contempla la vita quotidiana, tra verismo e rivisitazione estatica. Il mistero del semplice ricercato con entusiasmo. L’eredità di Casorati nel dominio del colore, vissuto come contatto fisico della materia. Il tutto svaporato assai spesso in un sogno, in una sorta di riproposta fiabesca per un’interpretazione terapeutica del reale”.  Sicuramente è vero,ma non avendolo conosciuto di persona,trascura il vitalismo di questo piccolo uomo che seppe superare gagliardamente la sua inferiorità fisica con l’arte e con una vita appassionata. Sono stato suo amico e le ore passate con lui erano straordinarie,si passava dal serio al faceto  in un continuo gioco di ragionamenti,di cultura,di battute. Era bello per i boschi di Rubiana andare in passeggiata a cavallo con lui. Lui montava un cavallo sardo,ma era sempre il primo nella galoppate. E poi le cene con lui e le bevute che ci rendevano allegri. Tabusso era davvero ,come lo fu Mario Soldati che gli chiese di illustrargli due libri,una di quelle persone uniche che quando vengono a mancare lasciano un vuoto incolmabile anche se egli rivive ogni giorno nella sua arte.
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LETTERE  scrivere a quaglieni@gmail.com
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Attenzione a non ghettizzare i gay

Caro professore, ma quelli che dicono “io adoro i gay” quale ancestrale complesso da ansia di apparire progressisti hanno? Io non adoro i gay. Come non adoro chi ha i capelli biondi o gli occhi neri. Dire che si adorano gli omosessuali significa avallare la ghettizzazione di cui sono stati vittime e in parte lo sono tuttora. Esistono persone che mi piacciono, e persone che non mi piacciono. Alcune di loro hanno i capelli scuri, altre gli occhi chiari. Alcune sono gay. Ma non mi verrebbe mai in mente di dire “io adoro i gay”. È così squallidamente discriminatorio. Come chi lo dice.

                                                                                                                                              Anna Priuli
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Lei è entrata in un campo minato, questo è un tema difficile da affrontare. I gay sono stati oggetto di discriminazione e di scherno per decenni, la Chiesa li ha condannati, richiamandosi alle pagine della Bibbia. Oggi appare in larga parte tutto cambiato. Con le Unioni civili si è giunti a pochi passi dal vero e proprio matrimonio tra  persone delle stesso sesso. Il principio liberale stabilisce che la vita intima delle persone sia inviolabile. Cosa diversa è il tema dei figli. Ma il discorso ci porterebbe troppo lontano. Lei nella sua lettera evidenzia una moda che anch’io giudico discutibile. ma quante altre mode sono discutibili! Oggi si ragiona per luoghi comuni.
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A proposito di Chiara e Giordana
 
Ho letto i suoi ripetuti attacchi alla Sindaca Appendino. Mi sembrano troppo aspri per una persona che tende all’equilibrio come lei.
Pier Vincenzo Fenili
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Io a priori non ho né simpatie né antipatie preconcette. Quando ho conosciuto la signora Appendino in maggio, ne ho avuto una buona impressione. Molto diversa fu l’impressione quando conobbi il suo capo di gabinetto Giordana. Ho scritto denunciando la sua inesperienza e anche il suo senso di superiorità. Mi sembra che Fassino fosse un sindaco molto migliore. Certi ruoli non si improvvisano e un conto è fare il consigliere comunale di opposizione e un conto il sindaco di una grande città.  Specie se dietro il sindaco manca una squadra di gente competente. Affidarsi a Giordana fu, a mio parere, un errore fatale.
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La resistenza sul Piave e Diaz

In questi giorni ,cent’anni fa, dopo la  disfatta di Caporetto l’Italia reagì con la resistenza sul Piave, ma quest’ultima non viene ricordata. Dopo cento anni un certo antimilitarismo pacifista  ancora prevale ?
                                                                                                                               Gino Lugli
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In effetti è così. Anche gli articoli di giornale e i convegni hanno analizzato soprattutto Caporetto che rischiò di decretare  la “finis Italiae” con un arretramento possibile fino a Milano. Furono giorni drammatici. Ma l’Italia resistette. Ci fu il convegno di Peschiera in cui risaltò la figura del piccolo Re soldato ,che decise con gli alleati la resistenza sul Piave. Soprattutto ci fu la nomina del Generale Armando Diaz a comandante supremo al posto di Cadorna. Il napoletano Diaz che parlava in napoletano ai soldati meridionali segnò una svolta nella storia dell’esercito italiano, ancora con vertici prevalentemente piemontesi. La sua umanità significò un rapporto diverso con i soldati. L’eccessivo rigore di Cadorna venne abbandonato. E sotto il comando di Diaz dopo un anno l’Italia vinse la guerra contro l’Austria Ungheria che dopo Caporetto sembrava irrimediabilmente perduta.

Linea di Confine. Spigolature di vita e storie torinesi

di Pier Franco Quaglieni

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Piemonte in fiamme – Maria Magnani Noya – Un bel libro ambientato a Torino – I due bulli torinesi


 

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Piemonte in fiamme

Piemonte in fiamme, Torino soffocata dal fumo. Il disastro in Val di Susa si può considerare un disastro annunciato che ha devastato la valle per sette giorni. Il sistema di protezione civile regionale si è rivelato inadeguato e chi ne ha la responsabilità, in un sistema normale, dovrebbe già aver rassegnato le dimissioni. I piromani hanno avuto la vita facilitata dalla sottovalutazione del possibile disastro ambientale determinato dal fuoco. La stessa notizia degli incendi è stata oscurata dallo smog torinese agitato dalla Sindaca Appendino, sindaco anche della Città Metropolitana che improvvidamente ha sostituito le Province . Ci sono stati anche ritardi negli interventi dei Canadair. L’andare in giro del Presidente della Giunta regionale non ha rappresentato nulla di utile, se non per la propaganda e per occultare le responsabilità della sua amministrazione. Anche la sospensione per il solo mese di novembre della caccia rivela insensibilità. Dopo questo disastro, aggravato da una siccità eccezionale, gli animali hanno diritto di non essere cacciati. E’ un fatto di civiltà e di sensibilità almeno per l’intera stagione. Vorrei proporre un’idea semplice semplice che forse non servirebbe a molto ,ma che darebbe un segnale. Non acquistare gli abeti per il Natale,servendosi di quelli artificiali, e contribuire all’acquisto di un abetino da piantare al posto di quelli perduti. Sarebbe un modo per dare una lezione ad una classe politica che anche in questa occasione ha brillato per superficialità e incapacità di agire in modo tempestivo. La stessa abolizione della Polizia forestale non ha dato buoni risultati anche se l’essere confluita nei Carabinieri da’ fiducia per il futuro.

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Maria Magnani Noya

La signora Appendino non è la prima Sindaca di Torino, la prima donna Sindaco fu Maria Magnani Noya (dal 1987 al 1990), deputata socialista di tre legislature, sottosegretario di Stato all’Industria, alla Sanità e alla Pubblica istruzione. Fu anche deputato al Parlamento Europeo di cui fu vicepresidente. Era un noto avvocato penalista: la sua professione le consentì sempre di mantenere un’autonomia rispetto al partito e ai suoi apparati. I miei rapporti con lei furono per molti anni di sincera amicizia e ,quando venne eletta Sindaco, mi sollecitò un colloquio che fu molto cordiale, dicendomi che voleva sentire i miei consigli. Accadde anche con Carpanini con cui ci si vedeva a colazione ogni tre mesi con lo stesso scopo. Ci eravamo conosciuti nel vivo delle battaglie laiche per il divorzio e mantenemmo sempre un rapporto nel corso degli anni successivi. Era donna capace che sapeva andar a parlare di divorzio (considerato un problema quasi esclusivamente borghese )davanti ai cancelli della Fiat. Spesso facevamo dei discorsi in coppia, io come laico liberale,lei come laica socialista, a sostegno della Legge Fortuna – Baslini, il primo socialista, il secondo liberale. Lei stessa era una socialista liberale convinta. Nella Sala Rossa del Consiglio Comunale partecipai ai festeggiamenti in suo onore per i suoi 80 anni, dopo anni di oblio. Ci fu anche un periodo in cui i nostri rapporti divennero tesi e persino spiacevoli per aver io espresso un giudizio favorevole verso il suo Pro Sindaco Giovanni Porcellana, mio amico e suo oppositore all’interno della Giunta. Io ero molto amico del mio compagno Giorgio Salvetti che fu presidente della Provincia di Torino, che ne fu molto dispiaciuto. Ci fu un momento in cui Maria venne presa dalla solitudine e dalla paura, lei donna- coraggio per eccellenza. Fu una dolorosa parentesi da cui seppe riprendersi con la forza che la contraddistingueva. Ci rivedemmo nell’88 per l’incontro in Consiglio Regionale voluto da Viglione ed onorato da un discorso di Montanelli, quando ella era Sindaco e ci fu un’amichevole riconciliazione. Poi negli anni terribili della caccia al socialista, dopo la fine della legislatura europea, tornò alla professione forense. Ci incontrammo nuovamente nei primi anni Duemila quando a Torino ricordai Bettino Craxi, io non socialista, insieme a Stefania Craxi e a Giorgio Cavallo. Una scelta difficile e controcorrente che vide la partecipazione di tanti torinesi. Peccato che non chiesi a lei di concludere l’incontro. Avrebbe portato una testimonianza importante. Ecco, di fronte alla fragilità dell’attuale Sindaca, viene spontaneo non un ingeneroso parallelo, ma la nostalgia per la prima donna Sindaco di Torino che aveva portato nelle istituzioni della Città l’esperienza di parlamentare e di donna di governo insieme all’autorevolezza di donna in prima linea nella battaglia di difesa delle donne e della loro emancipazione. Una sera nel 1982 ,dopo un incontro al Centro “Pannunzio”, in cui intervenne come Sottosegretario alla P.I. mi chiese di accompagnarla a casa a piedi. Fu quella l’occasione più importante che ebbi di parlare a lungo con lei e di conoscerla umanamente, camminando sotto i portici di Torino. Non sempre il Partito socialista espresse ottime amministratrici e politiche come Frida Malan, Carla Spagnuolo, Franca Prest che adesso fa la giornalista a Roma. Putroppo ebbe anche donne assessore sul tipo di quella dei “Gianduiotti” di piazza Solferino, sulla quale è meglio stendere un velo di oblio. Lasciò tra i primi il partito socialista per fare scelte di  altro segno.

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Un bel libro ambientato a Torino 

In una Torino immobile e notturna, la nebbia incalza e si fa complice dell’omicidio di una giornalista. Sulle fredde rive del Po, un cadavere e un cane: l’unico testimone oculare è Ludwig, lo Schnautzer della vittima. Un’antiquaria, un cantante di strada, un principe, una libraia e molti altri intrecciano le loro storie fra ombre e segreti. Le indagini della polizia li porteranno alla luce, uno a uno, ma ci vorrà un vero segugio per seguire la pista giusta. Solo chi saprà guardare dritto negli occhi di un cane scoprirà infine il volto dell’assassino.  Questa e la trama di “ Chiedimi aiuto”(edizioni Nero su bianco) di Umberta Boetti Villanis Mussi che verrà presentato il 18 novembre alle 21 al Circolo dei lettori. L’autrice è persona eccezionale, tra l’altro ex allieva del liceo “d’Azeglio”, e il libro sarà certamente un successo. Parte del ricavato delle vendita del libro sarà devoluto al “Canile rifugio di Fido” di Pollenzo. Non scrivo di più per non svelare null’altro di un libro che merita di essere letto e apprezzato. 
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I due bulli torinesi
I due bulli torinesi condannati ad otto anni di carcere per aver perseguitato un coetaneo fanno notizia. Si parla di una sentenza esemplare che dovrebbe far riflettere i giovani. Io diffido sempre delle sentenze esemplari perché possono suscitare il dubbio che il rigore della legge sia stato eccessivo, ma nel caso specifico mi sembra che la sentenza sia giusta e doverosa. Ho anche letto di studenti che lanciano i cestini della carta straccia sulla loro docente che resta impassibile . Finalmente i carabinieri applicheranno – malgrado l’arrendismo vergognoso della preside – l’articolo che tutela la docente come pubblico ufficiale che svolge un pubblico servizio che non è lecito interrompere. Per troppi anni le leggi sono state disattese ed e’ stato considerato fascista chi le applicava e le faceva appilicare, come il preside del “Cavour” Luigi Vigliani, o il preside della Facoltà Lettere Giorgio Gullini che 50 anni fa si opposero come poterono, alla contestazione che pretendeva di violare la legge. I troppi bulli di oggi sono figli e nipoti dell’eterno ‘68 e del permissivismo di troppi genitori che hanno protetto in modo sconsiderato i propri figli,senza educarli all’autodisciplina richiesta dal dover vivere in una società civile. Quante sciocchezze sono riconducibili alle astruse teorie di Benjamin Spock, teorico della pedagogia permissiva che ha generato ,sulla lunga, distanza i mostri del bullismo. Alberto Ronchey, parlando di Spock che riconobbe egli stesso l’errore insito nelle sue teorie, scrisse che il ministero della P.I. avrebbe dovuto reintrodurre la frase desueta “In piedi, quando entra l’insegnante “.
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LETTERE scrivere a quaglieni@gmail.com
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Pasolini uomo e scrittore
Caro Professore,
dirò una cosa impopolare. Posso ammirare Pasolini come artista e scrittore, ma non come uomo. Frequentava minorenni di strada, ragazzi in evidente stato di soggezione psicologica, economica e culturale. Non dimentichiamolo, soprattutto ora che stiamo “processando” per molestie sessuali molti personaggi famosi. Il talento non giustifica tutto. Cosa ne pensa ?
Antonella B.
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Ho messo il suo cognome con la sola iniziale per evitarle eventuali polemiche …moleste. Io ho sempre pensato di Pasolini le cose che Lei scrive, ma forse non ho mai avuto il coraggio di scriverle con la sincerità e l’acume che lei dimostra.Ebbi una litigata con Davide Lajolo che definiva martirio la morte  violenta di Pasolini. Lajolo era uno che si appassionava e fu molto duro con me che timidamente nel 1975 sollevavo qualche dubbio in proposito. Il 1975 fu l’anno della vittoria del Pci che conquistò le più importanti  amministrazioni  comunali, provinciali e regionali, dal Nord al Sud. Il conformismo era giunto, nel novembre di quell’anno, a livelli intollerabili. Leggere “Il Giornale” di Montanelli era l’unica via per sopravvivere nella città governata da Novelli.
 
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I piatti del Buon ricordo 

Caro Quaglieni, Lei che è anche un Accademico della Cucina Italiana, cosa pensa dei ristoranti del Buon ricordo e del fatto che la provincia di Torino sia oggi del tutto assente ?

Pier Luigi Gravello

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Io ho raccolto per molti anni i piatti del Buon ricordo in tutta Italia e anche all’estero. Alcuni sono molto belli e ornano la mia cucina da tempo. Sono appunto un ricordo di pranzi e cene memorabili. Non tutti i ristoranti del Buon ricordo sono allo stesso livello e non tutti meritano un’attenzione particolare, al di là del piatto. Certo tra la quindicina e oltre di locali lombardi e tre della Liguria, il Piemonte brilla per i due locali, dello stesso proprietario, di Belgirate, gli ottimi Hotel Milano e Villa Carlotta. Ci fu un tempo in cui a Torino c’era la “Vecchia Lanterna” di Armando Zanetti, mitico ritrovo dei gourmet e delle persone raffinate. A San Gillio c’era la “Rosa d’Oro”, il locale precedente di Zanetti. Poi vennero gli chef stellati, le guide e tante altre diavolerie e i ristoranti del Buon ricordo vennero dimenticati. Ne cito uno dove ancora oggi vado non certo per il piatto ,ma per la buona cucina “Il Pernambucco” di Albenga. Oggi ha un arredamento minimalista che non mi entusiasma, lo preferivo nella sua versione storica ,ma la cucina è rimasta sempre di altissimo livello.

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Halloween 

Ho letto il suo articolo (http://www.iltorinese.it/la-ricorrenza-dei-defunti-resiste-ancora-riflessioni-tra-culto-e-ricordi-sentimento-e-tradizione/ ) sul culto dei morti. Credo anch’io che Halloween sia una festa incompatibile con la nostra civiltà ,mentre ho apprezzato il culto foscoliano dei morti che lei ha richiamato.                        

Alessandra Zanella

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Io non apprezzo la festa di Halloween che ritengo estranea alla nostra cultura, ma non la ritengo incompatibile con la nostra civiltà. E’ vero, la nostra e’ una civiltà cristiana, ma è anche una civiltà laica e liberale ,quindi aperta alle scelte libere. Trovo di cattivo gusto Halloween ,anche decisamente lugubre e grottesco, direi persino barbaro, ma non rimpiango i tempi in cui la radio e la tv il 2 novembre trasmettevano sol musiche sacre. Posso rimpiangere la vita semplice delle famiglie in cui, recitando il rosario per i morti, si mangiavano le castagne bollite. Oggi Halloween dimostra un consumismo esasperato e stupido. Ma anche qui ci vuole misura. Meglio il consumismo rispetto al pauperismo ,meglio la società dei consumi rispetto alle società della miseria collettivista dell’URSS.

Linea di confine. Spigolature di vita e storie torinesi

di Pier Franco Quaglieni

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Scalfari fascista – Silvio Brunetto e la magia di Torino sotto la neve – Luci d’artista – La barboncina Susy, il Po, alcuni segreti drammatici – Bruno Villabruna  (1884- 1971)

 

Scalfari fascista

Che Eugenio Scalfari fosse stato fascista era cosa nota da tempo e da vero furbo, come è il fondatore di “Repubblica”, lui stesso ha parlato dei suoi trascorsi giovanili ,datando i suoi articoli alla seconda metà del 1942 su “Roma fascista”. Risulta dalla corrispondenza ritrovata tra Italo Calvino, suo compagno di scuola a Sanremo, e lo stesso Scalfari che la collaborazione a giornali fascisti fu più ampia e l’entusiasmo per Mussolini totale . Ha poca importanza la collaborazione a giornali fascisti di Scalfari, perché accadde anche ad Ingrao, Spadolini, Alicata, Firpo che scrisse addirittura una poesia inneggiante al Duce e articoli pesantemente antisemiti. E’ interessante invece vedere che cosa scrive Calvino del giovane Scalfar :<<Ti conoscevamo come uno disposto a tutto pur di riuscire ,ma cominci a fare un po’ schifo>>. La storia futura di Scalfari ,cominciando dal rapporto con Pannunzio, per poi passare all’”Espresso”, a “Repubblica”, a Carlo De Benedetti rivela la lungimiranza del giovane Calvino. Anche il suocero torinese di Scalfari Giulio de Benedetti ,direttore de “La Stampa”, quando mi parlava di Scalfari ,era molto critico con lui. Alla luce di tutto ciò, fu non senza ragione che Mario Pannunzio lasciò detto che proibiva la presenza di Scalfari al proprio funerale. E così accadde.

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Silvio Brunetto e la magia di Torino sotto la neve

Insieme a Felice Vellan, il pittore Silvio Brunetto è il poeta di Torino sotto la neve. Gli angoli della città rivivono negli acquerelli e negli olii di Silvio che riesce a tradurre la magia della neve, quella magia che è in noi da quando eravamo bambini. Ora le nevicate sono rare , ma le opere del pittore torinese consentono ai giovani di cogliere un mondo quasi perduto. Paolo Levi ha parlato di lui come di<< un pittore delicato come toni e  che ama i micro virtuosismi della luce>>. Attraverso la luce e le ombre il pittore crea la magia della neve .C’è anche chi lo ha accostato a Giacomo Grosso e a Cesare Maggi. Ha scritto Claudia  Ghirardello: << In punta di piedi… nelle straordinarie nevicate di Silvio Brunetto si entra in punta di piedi… l’aria è rarefatta ed il respiro si fa quasi sospeso. È la magia del semplice, nella purezza del creato. Tale artista è attratto prepotentemente dalla natura, dal paesaggio, di montagna in particolare, ma anche dal contesto cittadino. È il vissuto che, rivivendo l’input del fanciullino, mediante pennellate talora ragionate, più spesso guizzanti, trascina come per incanto l’occhio dell’osservatore entro il quadro e gli dona pace>>. Io amo molto le sue opere e alcuni luoghi storici di Torino, da Palazzo Carignano alla Gran Madre , li rivivo al mare attraverso  le sue opere appese alle pareti di casa, che mi ricordano una Torino che mi piace.

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Luci d’artista

Per il secondo anno consecutivo piazza San Carlo deve vivere i mesi che precedono e accompagnano le festività natalizie con il buio perché le luci d’artista scelte per questa piazza aulica  di Torino creano ampie zone d’ombra in tutta la piazza. Natale è la festa della gioia e della luce, il buio intristisce, ma ,di questi temp, è anche fonte di pericolo.Solo le zone ben illuminate sono più sicure.Possibile che l’Amministrazione grillina non lo colga ? Le luci d’artista scelte per piazza San Carlo  e in passato per piazza Carignano, non vanno bene. Vanno semplicemente rottamate come  frutto dell’estro di un artista molto originale ,ma totalmente fuori dalla realtà.

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La barboncina Susy, il Po, alcuni segreti drammatici

Ho dedicato alla mia amatissima bassotta, mancata il 21 maggio 2016, un librino dal titolo Omaggio a Bella, il nome della bassotta che corrispondeva davvero alla sua smagliante bellezza. Bella è stata una parte importante della mia vita . La sua dolcezza è stata una gioia grande. C’è chi l’ha definita la mia ombra per il fatto di voler essere sempre al mio fianco . Qualche giorno fa, transitando su una strada del Cuneese, ho attraversato un ponte sul torrente Varaita. E mi è tornata in mente la barboncina Susy che i miei mi regalarono per la promozione in quinta elementare. Era di color marron glacé ,dolcissima e affettuosa . Veniva con noi in campagna quando andavamo a pesca. Ci seguiva, facendo attenzione a non far rumore per non spaventare i pesci. Poi, d’estate, attraversava a nuoto coraggiosamente non solo il Varaita, il Pellice o il Maira (nostri luoghi prediletti di pesca) ,ma anche il Po. Nei pressi di Faule c’era un ponte di legno sul Po e una piccola trattoria molto casereccia .Per attraversare quel ponte si pagava un piccolo pedaggio. L’anziana donna della trattoria preparava il pranzo per pescatori e cacciatori. Spesso un pollo del suo pollaio fatto arrosto. Alla sera gente che abitava nei paesi vicini, si trovava nella trattoria per mangiare cose semplici e cantare in allegria. Ricordo una sera che cantavano “Marina” a squarcia gola. Eravamo andati ad un matrimonio a Moretta e si concluse la serata con le acciughe al verde lungo il Po in quest’aia con pochi tavoli rustici di legno e qualche sedia, una diversa dall’altra. Io ero un ragazzino, gli altri avranno avuto, chi più chi meno, quarant’anni. C’era la spensieratezza acquisita dopo gli anni tragici della guerra, vivendo il miracolo economico degli Anni Sessanta. C’era la capacità di accontentarsi di poco, una grande virtù contadina. Un mondo scomparso. Una volta il marito della ostessa raccontò a mio padre certi misfatti di partigiani della zona, che seppellirono i corpi di alcuni ammazzati nel bosco vicino. Solo anni dopo mio padre mi spiegò e mi parlò di quelle storie terribili, un sangue dei vinti di cui non ha parlato neppure Gianpaolo Pansa.

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Bruno Villabruna  (1884- 1971)
E’ stato Deputato e Ministro liberale, primo Sindaco di Torino dopo il 25 luglio 1943 anche se con la dizione di Podestà. Nella sua bella  storia dei Sindaci di Torino democratica, Ferruccio Borio lo mette all’inizio perché  Villabruna era già stato Deputato nella XXIV Legislatura del Regno d’Italia a fianco di Giolitti e di Soleri, partecipando all’ultima battaglia antifascista prima della trasformazione definitiva del fascismo in dittatura. Era un avvocato e tornò all’avvocatura durante il ventennio. Dopo la segreteria di Roberto Lucifero, che aveva spostato a destra il PLI, Villabruna, Deputato alla Costituente, divenne segretario generale del partito e a Torino nel 1951 realizzò una effimera riunificazione liberale con gli elementi della sinistra che erano usciti dal partito  contro la svolta a destra di quest’ultimo. Rieletto Deputato nel 1953, come segretario designò candidato a Milano Giovanni Malagodi, destinato a occupare, quasi subito dopo la sua elezione alla Camera, la segreteria del partito. Villabruna divenne Ministro dell’Industria, ma quando fu decisa la scissione radicale nel 1955 non esitò a lasciare il Ministero, ben sapendo che con quella scelta avrebbe dato addio anche al seggio parlamentare futuro. Fu Consigliere comunale di Torino e venne eletto nel 1960 in una lista ispirata dal partito radicale che raccoglieva anche altri tra cui Franco Antonicelli. Il suo ultimo mandato in Consiglio comunale fu all’insegna di posizioni di sinistra molto esplicite che trovarono il consenso del giovane Diego Novelli alle prime armi in quel Consiglio come cronista. La simpatia di Novelli nei suoi confronti suscitò in me un’istintiva antipatia per Villabruna. Poi l’età tarda e la malattia lo portarono a vivere a Torre Pellice  in una struttura assistita. Non aderì nel 1968 al Centro “Pannunzio” perché lo ritenne su posizioni troppo moderate ma nel 1971, all’atto della sua morte, Arrigo Olivetti volle che venisse commemorato dal Centro. Ad assistere a quel ricordo venne Valerio Zanone da pochi mesi eletto Consigliere in Regione. Saragat, nel suo messaggio come Presidente della Repubblica, parlò di Villabruna liberale. E sicuramente era stato uno dei pilastri del liberalismo piemontese, più di Alpino e di Catella che non ebbero mai una vera coscienza liberale, ma al massimo liberista e conservatrice. Resta la sua onestà da uomo del Risorgimento ,quando non esitò a dimettersi  da Ministro per coerenza con una scelta. Gli altri fondatori del Partito radicale non perdevano nulla uscendo dal PLI, diversamente da Villabruna che fece un atto di coraggio.

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Pensione a fine vita

Siccome nessun politico o sindacalista può comandare sull’anagrafe e sull’aritmetica, giocoforza il Governo allunga la pensione a 67 anni tra un po’ a 70. Curiosamente protestano i Sindacati per una volta tornati uniti come ai bei tempi, quando per circa tre decenni riuscirono a imporre di mandare la gente in pensione a cinquant’anni, a quaranta e qualche volta perfino meno, e chiamavano “Conquiste” questo delirio contro l’anagrafe e contro l’aritmetica. Grazie alle loro lungimiranti Conquiste oggi noi andiamo in pensione a 70 anni e i nostri figli neanche la vedranno, la pensione. Hanno perfino il coraggio di protestare, di parlare; giornali e giornalisti hanno il coraggio di dargli corda, di prenderli sul serio, di consultarli come la Pizia.  Luigi Fressoia 

 

Sono totalmente d’accordo con lei anche se la situazione attuale non è solo colpa dell demagogia pregressa dei sindacati, ma della protervia di Monti e dell’accanimento della prof. Fornero sulla quale Monti e la sua larga maggioranza hanno scaricato la responsabilità di decisioni che puniscono gli anziani, impedendo ai giovani di trovare un posto di lavoro    pfq

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Multe e dimissioni

Ho letto che il Capo di Gabinetto della sindaca Appendino ha telefonato per far togliere una multa ad un suo amico.L’intercettazione telefonica lo inchioda. E non è cosa bella per nessuno, specie per un grillino. Cosa ne pensa?                                                                 Italo Tisiato

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Non drammatizzerei, è la smania di esercitare il potere da parte di un travet assurto all’improvviso nella stanza dei bottoni. Ma sotto altri punti di vista è un episodio di malcostume.Le dimissioni sono state un atto dovuto e inevitabile perché il Gabinetto del Sindaco non può essere luogo a cui ci si rivolge per farsi eliminare una multa. Sarebbe dovuta essere la sindaca Appendino a mandarlo a casa.Giordana non è uomo che possa incarnare le istituzioni.Conosco un Vice Capo di Gabinetto di un Sindaco di Torino che per non piegarsi al volere illegittimo dei politici finì esiliato in una circoscrizione periferica per qualche tempo.   pfq

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L’uomo non si cambia

Ho letto il suo articolo sulla Rivoluzione d’Ottobre così diverso da quelli scritti da coloro che pensarono a suo tempo di esaltare il comunismo ,salvo poi cambiare idea quando esso rovino ‘ sotto il peso dei suoi errori.
Gabriella Ambrosi 

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Non posso pubblicare interamente la sua bella lettera che meriterebbe di per sè tutto lo spazio della rubrica.  La differenza tra lei e me ed altri e’ che noi vedemmo tanti anni prima della fine del comunismo in URSS i limiti di un sistema sbagliato in termini  politico-economici ,ma soprattutto inumano. Fu il  promesso paradiso in terra di cui parlava Popper, che era divenuto l’inferno. Dei gulag .Gobetti nella sua ingenuità giovanile volle vedere quella rivoluzione con un volto liberale, mentre essa  non ebbe mai neppure un volto umano. L’idea giacobina e poi marxista-leninista di cambiare l’’uomo è una vera e propria utopia. La lettura di Machiavelli ci induce a pensare alla immodificabilità sostanziale dell’uomo. Al massimo possiamo sperare in un suo miglioramento progressivo. Il riformismo e non la rivoluzione, in sintesi. Il socialismo democratico e liberale e non il comunismo oppressivo. Questa è la lezione che viene dagli eventi di cent’anni fa.  pfq

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Linea di confine. Spigolature di vita e storie torinesi

 

di Pier Franco Quaglieni

Referendum in Lombardia e Veneto e lo Stato in crisi – I manuali scolastici e Rosario Villari – Un racconto in anteprima – Cena ecumenica dell’Accademia italiana della cucina

 

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Referendum in Lombardia e Veneto e lo Stato in crisi

Il referendum per l’autonomia promosso dalla Lega è sicuramente costituzionale e non ha nulla a che vedere con i disegni secessionisti del passato. E’ un referendum meramente consultivo che avrà un valore esclusivamente di ordine politico. Se consideriamo la spesa per allestirlo a carico delle finanze pubbliche, forse è lecito qualche dubbio sulla sua necessità. Secondo molti, l’autonomia coinvolge di più i cittadini e accorcia quindi le distanze tra istituzioni e cittadini medesimi. A me sinceramente sembra un discorso un po’ semplicistico perché non è solo questione di distanze. I meccanismi della democrazia sono molto complessi ed oggi si è inceppato il rapporto tra cittadini e potere perché la rappresentanza concepita nel secolo scorso è entrata in crisi .In una crisi irreversibile che ha coinvolto i partiti come luogo di rappresentanza degli interessi collettivi. Andrebbe ripensato lo Stato attraverso quella che un tempo si chiamava la Grande Riforma, che nessun leader politico italiano è riuscito a realizzare. Se può avere importanza l’autonomia, non può essere disconosciuto il valore dell’unità nazionale. E, se debbo dire fino in fondo il mio pensiero, io vorrei uno Stato efficiente, capace di tutelare il cittadino e di garantirne le libertà. Questa mi sembra essere la prima preoccupazione di fronte alle disgregazioni in atto in altri Paesi e all’impotenza dello Stato italiano a fronteggiare la criminalità di ogni tipo che domina, quasi indisturbata, interi territori nazionali. Già tanti anni fa l’ambasciatore Sergio Romano, la cui conferenza introdussi all’Unione Industriale di Torino, parlò di “Stato forte”. Io espressi un certo disagio di fronte a questa espressione. Oggi non solo non proverei disagio, ma mi sentirei di condividere questa esigenza. Stato forte non significa Stato autoritario o antidemocratico, ma significa Stato autorevole, capace di far rispettare la legge.

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I manuali scolastici e Rosario Villari 
E’ morto Rosario Villari, sicuramente uno degli storici più noti al grosso pubblico perché milioni di italiani hanno studiato sul suo manuale di storia edito da Laterza in trenta edizioni. Il “Villari” è stato egemone nella scuola italiana, come i professori marxisti che lo adottarono e lo imposero, come una sorta di “vulgata” gramsciana, ai loro allievi. Sicuramente in quel testo era ben presente la dimensione sociale della storia (di per sé indispensabile per capire il passato e il presente ),ma era quasi assente lo spirito critico che dovrebbe caratterizzare un manuale scolastico che,basandosi sulla nozioni(elemento ineliminabile ),dovrebbe indurre nello studente l’acquisizione di uno spirito critico incompatibile con l’ideologismo storiografico che riduce la storia a politica militante. C’è chi ha scritto che Villari è stato un grande storico e per la sua opera scientifica è difficile non consentire perché il suoi studi sul Seicento sono davvero notevoli. Il fatto da cui partire per comprendere il successo del “Villari” è che professori di storia e filosofia o di italiano e storia nei licei e negli istituti superiori italiani furono quasi esclusivamente di sinistra e trovarono nel “Villari “ il loro testo prediletto.  Quello di Armando Saitta e quello di Giorgio Spini non bastavano più. Quando poi Saitta rivide le sue posizioni in senso critico , il suo testo venne messo al bando. C’erano anche i testi Guido Quazza altrettanto di parte come quello del Villari, ma scritto in modo meno chiaro, malgrado le sue origini di professore nella scuola secondari , di Francesco Traniello cattolico di sinistra ,di Gabriele De Rosa ,di  Giuseppe Recuperati ed altri. Il “Villari “ superò tutti per adozioni. Anche quel “Camera e Fabietti “che,primo per faziosità, aveva imperversato nella scuola italiana per alcuni decenni.Il testo di Gian Piero Carocci venne superato da quello del Villari. All’atto della sua morte c’è stato chi gli ha imputato anche di non aver scritto delle foibe.  Certo Villari,come quasi nessun altro storico, non ne scrisse,ma la rimozione del tema non può essere ascritto in esclusiva a lui. Fu la storiografia italiana nel suo insieme ad ignorare per ragioni molteplici e persino contrastanti il dramma del confine orientale.  E’ stato Gianni Oliva a incominciare a scriverne, rivolgendosi al grosso pubblico e subendo gli attacchi da parte del mondo accademico. L’ultimo suo “Sommario di Storia” riguarda il periodo dal 1900 al 2000,uscito nell’aprile nel 2002.E’ l’edizione aggiornata in relazione al decreto Berlinguer che concentra nel Novecento lo studio della storia nell’ultimo anno, ricacciando l’Ottocento nel secondo anno. Un secolo per un anno di scuola. Fu una scelta discutibile del ministro diessino.Certamente, però ,con quella dimensione temporale esclusivamente novecentesca  le foibe non potevano più essere ignorate come prima. Il tentativo comunque di sminuirne la portata con la scusa di contestualizzarle, resta una scelta ambigua dopo troppi anni di assoluto silenzio. Nessuno però giunse a scrivere quanto si può leggere nel “Camera e Fabietti” nell’edizione del 1998: si parla di 500/700 persone uccise a fronte di circa 15 mila infoibati.  In fondo il “Villari” era molto  meglio di tanti altri. *

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Un racconto in anteprima 

E’ uscito  “Chiaroscuro”di Tosca Brizio. Un racconto noir che prelude alla pubblicazione di un romanzo in cui uno dei protagonisti sarà  Pietro Jackson . Dopo quindici anni due compagni di liceo si incontrano casualmente . Uno è un pittore, Pietro Jackson, di madre italiana e padre inglese, che unisce al talento artistico una dote al tempo stesso quasi divinatoria e terribile. L’incontro sfocia nell’idea di una rimpatriata con gli altri compagni, mentre un incrocio misterioso e inquietante di telefonate sghembe coinvolge l’artista e  Matteo, suo amico da sempre, in una vicenda parallela e rischiosa. In una Torino suggestiva, con i suoi palazzi in stile eclettico e i viali alberati di una città che non ha dimenticato di essere stata capitale, Pietro si imbatte in due omicidi, di cui ha una percezione particolare… Tosca Brizio è un nom de plume che riunisce due autori.Patrizia Valpiani è nata  a Pietrasanta in Versilia.Vive a Torino dove esercita la professione di medico chirurgo ortodontista, dopo essere stata medico di famiglia. È saggista, poetessa, narratrice. Risalgono al 1994 i suoi primi riconoscimenti, è vincitrice con una poesia del premio Cesare Pavese e con un racconto del premio Bergamo. Ha pubblicato tre raccolte di racconti, cinque di poesia, un romanzo e una guida poetica di Torino. Attualmente è Presidente della Associazione Medici Scrittori Italiani. Gianfranco Brini, bergamasco di nascita, vive in provincia di Lecco. Medico di famiglia per trent’anni e medico legale, è saggista, narratore, iscritto all’Ordine dei Giornalisti della Lombardia. Con il romanzo Saluti e baci da Santo Domingo ha vinto il premio Cesare Pavese nel 2013. Autore di tre romanzi e tre raccolte di racconti, è stato Presidente dell’Ordine dei Medici di Bergamo. Ha conseguito la laurea in lettere nel 2015 presso l’Università di Bergamo. Attualmente rappresenta l’Italia nella Unione Mondiale dei Medici Scrittori. Una coppia nella vita che diventa coppia anche nella scrittura. Voglio offrirvi la lettura del racconto  in anteprima, cliccando sul link che segue. A me è piaciuto molto. Non amo il noir, ma questo mi ha coinvolto.  

Blood Session per Pietro Jackson

 

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Cena ecumenica dell’Accademia italiana della cucina

L’Accademia italiana della cucina è un’istituzione riconosciuta dalla Repubblica italiana e fondata dal giornalista Orio Vergani . Ha delegazioni in tutta Italia e all’estero. Io ne faccio parte dal 2011 come accademico onorario e ho sempre un grande rammarico nel non riuscire a partecipare ai simposi accademici come vorrei. Gli impegni prevalgono e se si assomma anche la dieta,diventa difficile essere presenti con la dovuta e piacevole frequenza. L’Accademia tiene ogni anno la cena ecumenica a tema che raduna nello stesso giorno,il 19 ottobre, tutti gli accademici italiani in Italia e all’estero. Un momento importante e non ci si deve lasciar ingannare dalla parola ecumenica che potrebbe far pensare ad un qualcosa di religioso. Quest’anno la cena è stata dedicata ai formaggi di cui l’Italia è ricchissima. Un tema che rivendica un aspetto gastronomico italiano che i Francesi ritengono loro prerogativa quasi assoluta. Non è così. Il bel libro dedicato ai formaggi italiani uscito in occasione della cena ecumenica 2017 lo dimostra,mettendo in luce una ricchezza italiana importante. Basterebbero il Parmigiano ed il Gorgonzola a evidenziare un’eccellenza italiana. Io ho partecipato alla cena nella delegazione del Ponente Ligure ed è stato bello,sotto la guida di Roberto Pirino,medico e gastronomo,assaggiare la cucina del formaggio nella tradizione del Ponente Albenganese. Al Ristorante “Il Pernambucco”, ritrovo gourmet ligure di primaria grandezza.Le lasagne al pesto con pecorino,la fonduta di toma fresca e tartufo nero,gli assaggi di formaggi di mucca e capra del Passo della Mezza Luna con noci e miele di castagno sono stati protagonisti di una serata molto partecipata. Gli ottimi vini Pigato,Rosato Costa de Vigne e Rossese di Massimo Alessandri hanno accompagnato la cena in modo superbo.

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LETTERE scrivere a quaglieni@gmail.com

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Riforma elettorale

Cosa ne pensa della riforma elettorale ? Nella sua macchinosità mi lascia molto perplessa.      Osvalda Bruni

 

Non sono in grado di esprimere un giudizio su un tema tanto controverso. Il susseguirsi di riforme elettorali rivela una crisi politica profonda che si scarica sui sistemi elettorali nell’illusione che essi possano risolverla. La crisi italiana è anche crisi dello Stato e delle sue istituzioni. Certamente por mano al Consultellum, cioè alle norme elettorali sopravvissute alla Corte Costituzionale che comportavano due sistemi non omogenei tra loro, è stato un passo avanti. Ma poi bisognerebbe chiarirsi le idee sulle preferenze perché non si capisce perché vadano bene per eleggere consiglieri comunali e regionali e deputati europei e non siano invece accettabili per il Parlamento nazionale. In ogni caso non dò un giudizio perché al Senato ci potrebbero essere ulteriori cambiamenti. Un dato mi è sembrato assurdo: l’aver mantenuto i collegi esteri ed averli aperti anche a candidati che risiedono in Italia. L’idea di Mirko Tremaglia di far votare gli italiani all’estero che pagano le tasse all’estero, si è rivelata assurda. E’ strano che nessuno l’abbia impugnata davanti alla Corte Costituzionale. Il fatto poi di far eleggere qualche impresentabile in Italia in un collegio estero appare scandaloso. D’accordo che è ministro degli Esteri ,ma non vorrei un deputato di nome Alfano eletto ,ad esempio, in Sud America.         PFQ

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Ricaricare i cellulari

Ho visto alla stazione centrale di Milano che si possono ricaricare i cellulari gratis ,anche se tutti i posti sono stabilmente occupati da immigrati extracomunitari. La scorsa estate ho visto che sulle panchine di Courmayeur c’era la possibilità di caricare il telefonino. A Torino perché non c’è nulla di simile ?         Lucio Anneo

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Non so se ci sia qualcosa di simile a Torino. Servirebbero in stazione e all’aeroporto.All’interno e non all’esterno come alla stazione centrale di Milano. Circa le panchine del Valentino e di altri giardini temo che il vandalismo finirebbe per vanificare il tutto.Al massimo servirebbero a ricaricare i cellulari dei troppi spacciatori in attività.     PFQ

                                       

Linea di confine. Spigolature di vita e storie torinesi

di Pier Franco Quaglieni

 

Sull’onda dei referendum leghisti del Lombardo – Veneto – La ZTL fino alle 19 – Il Duca d’Aosta – Mirò non basta – Salesiani – Liana De Luca poetessa di Zara a Torino

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Sull’onda dei referendum leghisti del Lombardo – Veneto

Sull’ onda dei referendum leghisti del Lombardo – Veneto, come si direbbe in linguaggio asburgico ,del  prossimo 22 ottobre, qualche bello spirito parla di spacchettare dal Piemonte la provincia del Verbano Cusio Ossola a favore della Lombardia. Le regioni nacquero senza una precisa identità storica nel 1970. Ci fu chi allora obiettò che Novara ruota su Milano e Alessandria su Genova, per non dire del  rapporto  di una parte del Basso Piemonte  con il Ponente Ligure. Le regioni nacquero sicuramente in ritardo rispetto alla Costituzione del  1948 , ma  in modo affrettato  e quasi concitato ,senza il necessario approfondimento, nel biennio 69/70 e furono un insieme di provincie economicamente forse poco omogenee ,ma storicamente  e sicuramente ,nel nostro caso, piemontesi. Era l’idea dei Padri Costituenti Piemontesi  Viglione, Oberto, Beppe Fassino, Nesi e tanti altri. E’ il Piemonte  che fece il Risorgimento, e’ il Piemonte cantato da Carducci nella sua ode. Ha fatto bene Gilberto Pichetto a rivendicare l’identità unitaria del Piemonte. Anche la Valle d’Aosta tento’ in passato di annettersi qualche comune canavesano, ma non ottenne nulla .  Non confondiamo le autonomie locali da praticare sempre  in un quadro unitario con le spinte disgregatrici di tipo catalano che i veri Spagnoli hanno saputo respingere e smascherare .

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La ZTL fino alle 19 
La ZTL a Torino  prolungata dalle 10,30 fino alle 19 è una vera e propria follia a cui si oppongono giustamente i commercianti. Ma dovrebbero opporsi anche i cittadini,l’ACI in testa. Significa paralizzare il traffico in città , impedire a chi lavora in centro di muoversi  con gli strumenti di lavoro o concedere migliaia e migliaia di pass che vanificano l’intero progetto ecologico che è tutto da dimostrare che abbia un’effettiva utilità soprattutto in presenza degli impianti di riscaldamento accesi. E’ giusto scoraggiare il fatto di  attraversare il centro per spostarsi da Nord e a Sud di (e viceversa) di Torino in auto,ma è sbagliatissimo chiudere praticamente in permanenza   il centro alle auto. I negozi chiudono alle 19,30 ,quindi consentire mezz’ora per eventuali acquisti è privo di senso. Con i costi del carburante e dei  parcheggi  e la difficoltà di parcheggiare ci si reca in centro, già oggi, in casi obbligati. E’ più che sufficiente per scoraggiare chiunque,salvo gli assessori che viaggiano con l’auto blu. Appendino non usi la zona ZTL per dimostrare che fa qualcosa. 

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Il Duca d’Aosta 
Giovedì’ 19 ottobre alle ore 17  Carla Gatti a palazzo Cisterna,sede della Città Metropolitana,in via Maria Vittoria 12 presenterà il libro di Dino Ramella su “Il Duca d’Aosta e gli Italiani in Africa Orientale “,edito da Daniela Piazza.A 80 anni dalla nomina a Vice Re di Etiopia viene ricordata la nobile e sfortunata figura del Duca Amedeo d’Aosta,eroe dell’Amba Alagi dove nel 1942 resistette con i suoi soldati oltre ogni limite umano ed ottenne l’onore delle armi dagli Inglesi. Palazzo Cisterna fu il palazzo dove abitò la famiglia del Duca a Torino. Se l’Italia in Africa non su solo quella di Graziani e di Badoglio ,ma fu un’Italia civile che seppe portare scuole ed ospedali nelle colonie , lo si deve al Duca. Solo Angelo Del Boca nel suo livore non ha voluto riconoscerlo. Amedeo ,fatto prigioniero degli Inglesi, morì a Nairobi,rifiutando di lasciare i suoi soldati per tornare in Italia,come avrebbe potuto fare.Mantenne intatta la sua dignità di principe e di soldato anche nella sfortuna e nella morte.   E’ rimasto  sepolto a Nairobi questo Savoia coraggioso a cui chiunque deve portare rispetto e  ammirazione incondizionata.Forse nell’Italia di oggi anche la sua salma si sentirebbe a disagio.

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Mirò non basta 
Dopo oltre un anno di stasi completa la Città riprendere in tono minore le mostre internazionali con Mirò a palazzo Chiablese. Le sorti della Gam appaiono compromesse. Chi ha sostituito Patrizia Asproni non appare all’altezza e soprattutto non rivela competenza necessaria. La mostra che resterà aperta fino al 14 gennaio 2018,non è confrontabile con quelle promosse da Patrizia Asproni in precedenza. Lo stesso pittore scelto non è in grado di attrarre una particolare attenzione da parte del pubblico e fin dal 4 ottobre,giorno di apertura,si può notare il tono minore prevalente. Torino sta perdendo il suo richiamo internazionale e turistico.

 

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Salesiani

I Salesiani,fondati da Don Bosco,da Torino si sono diffusi in tutto il mondo.Don Bosco non fu solo un santo sociale torinese,come si dice con espressione abusata.Fu molto di più. Io mi sento profondamente intriso di spirito salesiano e l’istituto San Giovanni Evangelista che da anni non è più una scuola, resta una pietra miliare della mia formazione . Se io ho acquisito lo spirito della disciplina ,lo debbo al mio maestro elementare don Antonio Battisti,di Villanova Solaro, vicino a Saluzzo,un cuneese verace. Insieme a lui c’era un certo don Biglino che appariva troppo severo.Don Battisti era molto esigente ,imponeva punizioni già allora da giudicare obsolete,ma ebbe su di me il ruolo di un educatore che mi squadrò all’insegna di una durezza che forse a dieci anni appariva esagerata,ma che non mi sento di condannare. Se so qualcosa di Latino (per me è stata una conquista fondamentale che mi insegnò a pensare con il rigore necessario)lo debbo ad un altro salesiano,don Dante Bettega,un austriaco di Bressanone,diventato italiano che sapeva la Commedia di Dante a memoria e che pretese che noi studiassimo a memoria Cesare, Cornelio,Esopo,Catullo,l’Iliade e l’Odissea. Dopo tre anni di medie recitavo a memoria tutto. Ma soprattutto mi insegnò a ragionare come si deve,per dirla con Pascal. Senza guardare alle forme, quando rimasi a lungo malato durante la terza media, non esitò a venire tante volte a casa mia ad aiutarmi. Ci pensava a seguirmi un professore ebreo scelto da mio padre,lo storico del Risorgimento Salvatore Foa,che mi ha lasciato la passione per la storia risorgimentale che caratterizzerà tutta la mia vita,ma l’aiuto e l’incoraggiamento di don Bottega,anche lui uomo duro,temprato alla vecchia maniera,fu importante. Morì giovane nel 1962. Don Prospero Ferrero,altro salesiano coltissimo,mi fu di aiuto nel ginnasio e anche in parte nel liceo. Finchè fu delegato degli ex allievi del “San Giovanni “, partecipai alla vita dell’associazione con un altro grande amico della mia vita,il futuro preside del Liceo “d’Azeglio” di Torino. Un mio zio d’ acquisto, don Carlo Orlando, fu Ispettore dei collegi salesiani del Sud America e poi postulatore generale delle cause di beatificazione dei Salesiani a Roma. Conservo l’immaginetta del ricordo della sua prima Messa. Era un uomo con un cuore semplice ed una grande fede religiosa,ricca di umanità. Mia moglie me ne parla con l’ammirazione riservata agli uomini dall’animo eletto.Era un uomo così importante che tutti i Salesiani di una certa epoca ne avevano una vera e propria venerazione e lo consideravano un santo come don Michele Rua o don Filippo Rinaldi successori di don Bosco.Don Orlando ricordava spesso don Callisto Cravario,ucciso in Cina dai pirati e venerato come santo e Martire. Don Callisto era stato allievo del “San Giovanni Evangelista” di Torino.Il Quartiere San Salvario dovrebbe gloriarsi di don Callisto,ma il “politicamente corretto”multietnico purtroppo lo impedisce perché missionario in Cina. Anche il direttore attuale del “San Giovannino” e parroco dei “Santi Pietro e Paolo” don Mauro Mergola è un sacerdote di grande impegno religioso e di forte sensibilità umana. Ha fatto dell’oratorio salesiano “San Luigi” un crogiuolo in cui si mescolano giovani italiani e giovani immigrati,seguendo lo spirito di don Bosco che aprì quell’oratorio, in un angolo allora molto difficile di Torino per l’alta presenza di ragazzi sbandati della Torino ottocentesca. Passano i decenni e i salesiani continuano sulla scia di don Bosco il loro impegno religioso e civile,senza mai mescolarsi alla politica.

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Liana De Luca poetessa di Zara a Torino

Bergamo è città che conserva fortemente il ricordo di Liana De Luca,poetessa nata a Zara,esule da quella città prima che i titini facessero la loro pulizia etnica dopo aver seminato morte e terrore con gli infoibamenti. E’ stata lei ad aprirmi gli occhi sul dramma del confine orientale tanti anni fa ed è stata lei a indurmi a scrivere tra i primi di foibe e di esodo. Importante fu anche ciò che mi disse Leo Valiani originario di Fiume. Rapida ed ironica,decisa come donna ( mi diede un ceffone quando cercai di corteggiarla in modo non consono tantissimi anni fa ),è poetessa a 24 carati. 30 libri di poesia,i suoi figli.Madre molto prolifica con poesie,saggi,romanzi tutti i grande qualità. Dopo un matrimonio e la drammatica morte del marito in un incidente stradale,ha deciso di non legarsi più a nessuno,ma il critico Mario Bonfantini stravedeva per lei e si era profondamente innamorato di Liana.Mi diceva,citando il suo amato Proust,riferendosi a lei,”quell’idea fissa che è l’amore “. E non poteva passare il sabato senza senza vedere Liana. Era in amicizia con Soldati e fu lei a farmelo conoscere in modo più approfondito.Ricordo che una volta andammo insieme a trovarlo a Milano e la sua autorevolezza fece sì che Soldati, dopo anni, dicesse al giovane che ero : ”Diamoci del tu”. Soldati ha scritto delle pagine molto belle sulle opere di Liana. De Luca ha fondato il Cenacolo Orobico, l’associazione più importante di Bergamo che ha esercitato un ruolo anche internazionale. Liana è un’amica dolcissima , mi scrive biglietti affettuosi,qualche mail,mi manda spesso le sue poesie.Ne ha dedicata anche una al Centro “Pannunzio”. Io non sono un critico letterario,ma capisco istintivamente il valore della sua poesia che riesce a parlare a tutti senza la mediazione della critica,come solo i grandi poeti riescono fare. Simile a lei conosco una giovane poetessa-magistrata , Alessandra Chiavegatti che esercita e vive a Bergamo ,città favorevole alla poesia. Anche lei, magari stanca da lunghe ore in tribunale , scrive poesie nel cuore della notte e ci darà ancora tante opere importanti. Com’è bello avere un rapporto con le poetesse,esse ti danno un senso diverso della vita,ti danno una prospettiva di speranza nel futuro che lo storico oggi non può assolutamente avere.

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LETTERE  scrivere a quaglieni@gmail.com

Luigi Bobbio 

Caro Quaglieni, ho letto il suo articolo su Luigi Bobbio in cui si rivela un vero liberale rispettoso di chi la pensa in modo diverso,forse anche opposto da lei. Mi ha colpito che l’antico contestatore abbia voluto la camera ardente nel rettorato dell’Università di Torino.   Cosimo Rimi

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Qui non si tratta di scelte. Bobbio è mancato improvvisamente nella notte. E’ un diritto dei docenti essere onorati nell’Ateneo dove sono stati docenti. Anch’io ambirei a quell’onore per tante iniziative fatte in quell’Aula Magna. Luigi è’ stato un ottimo professore. Non faccia polemiche inutili. Bobbio non ha nulla a che vedere con i contestatori voltagabbana  passati con Berlusconi o con Renzi per mero opportunismo.

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Un chiodo nei servizi igienici

Io non so lei,ma io spesso quando vado nei servizi pubblici dei locali,vorrei togliermi  la giacca  e non trovo mai un qualcosa che sembri anche lontanamente ad un attaccapanni. In un noto e bel  ristorante ho trovato un chiodo per appendere la giacca. Incredibile, ma vero. E’ un piccolo particolare, ma anche a Milano e a Roma di recente ho riscontrato la stessa mancanza. In passato non era così.  Filippo de Caroli

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E’ una cosa che ho notato anch’io. Nessuno finora ha scritto al solito “Specchio dei tempi”, lamentandosi. Si vede che non è un gran problema. Oggi la maggioranza non indossa più  la giaccia e anche d’inverno il cappotto è  di pochi.

 

Linea di confine. Spigolature di vita e storie torinesi

di Pier Franco Quaglieni

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4 anni di Appendino e sarà la morte di Torino – Ius soli, digiuno e trasformismo – MITO, vince Milano – 80 milioni di tagli –Riflessioni sull’Ordine dei Giornalisti – Cavour, Bergamo, un medico gentiluomo

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4 anni di Appendino e sarà la morte di Torino

“La Stampa” con un editoriale di Luigi La Spina ha preso una durissima posizione nei confronti del sindaco Appendino e della sua maggioranza strabica e inconcludente. Il Sindaco riceve il G7 e il suo vice va in piazza a manifestare contro il G7,tanto per citare solo un esempio. La Spina ha dimostrato di essere spinoso,come lui ama dire, anzi direi coraggioso. “La Stampa” anche di fronte al massacro umano e mediatico di piazza San Carlo si è barcamenata,come per il G7. Un giornale che voglia esprimere la Città deve avere il coraggio di schierarsi se la Città cade in mano ai Visigoti e agli incapaci. La Spina l’ha fatto. Ma l’aver chiuso subito il dibattito aperto pubblicando una replica del Sindaco è un errore. L’articolo di La Spina meritava approfondimenti da parte di forze politiche,sociali,culturali della città,se possibile, non sempre le stesse e soprattutto non sempre i soliti dispensatori di sentenze scontate. Il giornale ha strozzato il dibattito in culla,dando la parola al Sindaco che ha risposto con banalità. Altri quattro anni di Appendino e sarà la morte di questa città. Credo che tutte le persone pensanti ne siano ormai irrimediabilmente convinte.

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Ius soli, digiuno e trasformismo

Ho argomentato ampiamente il tema dello ius soli ( http://www.iltorinese.it/ius-soli-piu-dubbi-che-certezze/),esprimendo una qualche adesione in linea di principio e rifiutandolo per motivi politici che alterano la democrazia italiana,influendo sul corpo elettorale e quindi sul voto. Su temi delicati come lo ius soli bisogna andare con i piedi di piombo. Chi ama la democrazia non intende comprometterla con atti di buonismo che si rivelerebbero insensati. Adesso con il digiuno pro ius soli di Chiamparino , Del Rio,Bindi e altri (manca solo la presidenta della Camera ) dichiaro la mia contrarietà perché il ricatto del digiuno è ridicolo e antidemocratico.I Senatori devono decidere in libertà. Non scimmiottiamo Pannella che digiunava per ben altri motivi. Inoltre la trasformista caccia al voto dei senatori,andando a chiedere consenso ovunque è un fatto privo di dignità . Infine la fuga dall’aula dei senatori di Alfano per far passare il provvedimento abbassando il quorum è cosa indecente ,come lo fu Alfano ministro degli Interni che permise che ci lasciassimo invadere dagli immigrati.

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MITO, vince Milano

A Torino si è perso del tempo a discutere sul come dipingere i blocchi di cemento che dovrebbero proteggere dal terrorismo. Ovviamente c’è chi,Sindaco in testa, ha pensato di affidarsi agli imbrattatori professionali di muri che invece andrebbero severamente perseguiti perché lordano con i loro manufatti la città. L’arte è altra cosa.Anche quella di strada. Milano,come dimostra la foto,ha risolto con stile ed eleganza come dipingere i blocchi di cemento in piazza Duomo. Si confronta normalmente Appendino con Raggi dicendo che la prima è migliore della seconda. Ci vuole poco per superare Raggi che pure non ha al suo attivo il disastro di piazza San Carlo. Il vero confronto va fatto con il Sindaco di Milano Sala che non ha finora fatto nulla di particolare,ma si rivela sicuramente migliore della Nostra. Anche nelle piccole cose .

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80 milioni di tagli

Non si è ancora capito se si tratta di tagli lineari o dove la Giunta di Torino andrà a tagliare per 80 milioni di euro la spesa comunale. Il deficit c’è, la responsabilità è di Chiamparino, Fassino ha fatto il possibile per rientrare nelle spese esagerate avviate dal Sindaco Ds che inspiegabilmente anche come presidente della Regione, ha ancora un consenso. Fassino non ha potuto dire che il deficit accumulato era quello di Chiamparino. Ma la verità è questa. Mettere le colpe sulla Giunta Fassino è intellettualmente disonesto e politicamente non veritiero. Poi anche Fassino ha certamente le sue responsabilità .

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Riflessioni sull’Ordine dei Giornalisti 
Oggi si tengono i ballottaggi per la elezione degli organi dirigenti dell’Ordine dei Giornalisti.
Chi scrive compirà cinquant’anni di iscrizione all’Ordine nel 2018. Sull’esistenza dell’Ordine è sempre stato scettico. La rinascita del 1963 ricalcò troppo l’Ordine creato durante il Ventennio fascista. Per altri versi, la contiguità tra Ordine e sindacato mi ha sempre dato molto fastidio perché il sindacato è unitario solo a parole perché è sempre stato  troppo sbilanciato politicamente in modo molto vistoso. E’ merito del presidente uscente dell’Ordine piemontese Sinigaglia aver scisso gli uffici dell’Ordine da quelli del sindacato. Era  una coabitazione illegittima e scorretta ad un tempo. Ovviamente la democrazia comporta la possibilità che il sindacato finisca per condizionare pesantemente l’esito delle elezioni,come sempre è accaduto. Non potrebbe accadere  diversamente anche perché i votanti sono pochi e il presidente uscente ha raccolto appena 150 voti, molti rispetto ai votanti, pochi rispetto agli iscritti.  Per altri versi, non si vota più neppure alle elezioni politiche ,figurarsi a quelle per un ordine professionale. La disaffezione ha un perché . Uno degli aspetti che più mi colpiscono sono l’impotenza dell’Ordine e l’incapacità del sindacato (che spesso si limita a far politica)rispetto alla disoccupazione e alla sottooccupazione giornalistica. L’abusivismo sanzionato con severità dall’Ordine in passato con sospensioni e cancellazioni, oggi è diventato  un che di tollerato, anzi di normale. L’Ordine ha avuto grandi presidenti come Mario Berardi e presidenti come Giovanni Trovati che è difficile ricordare con simpatia.  Una riflessione trascurata dai più mi sembra molto importante.  In passato l’aggiornamento dei giornalisti avveniva attraverso la scrittura di  articoli (per scrivere bisognava aggiornarsi e la prova migliore dell’aggiornamento erano proprio gli articoli pubblicati e apprezzati dai lettori )oggi  esso avviene  attraverso corsi che finiscono di giustificare l’esistenza dell’Ordine anche in mancanza di lavoro giornalistico.L’attestazione è una presenza obbligata e  più o meno gradita ad un corso. Si parla tanto di deontologia, ma essa è assai poco praticata dalla categoria ,soprattutto dai cronisti. In passato ,tra i pubblicisti c’era il meglio dell’Università e delle professioni. Nei consigli regionali e in quello nazionale c’erano pubblicisti  come Emilio R. Papa e Bruno Segre, tanto per citare due nomi. I pubblicisti erano quasi  l’anima colta dell’Ordine. Oggi ,mi sembra, da persona che segue da lontano, che tutto sia  molto cambiato. Il fatto che una giornalista come Cristina Caccia  rappresenti i professionisti piemontesi al Consiglio Nazionale dell’Ordine è un buon segno che fa sperare in un Ordine rinnovato. Altrimenti è meglio che esso venga sciolto e che si dia piena attuazione all’articolo 21 della Costituzione senza burocrazie intermedie, specie se si pensa a certe recenti sanzioni disciplinari dell’Ordine romano lesive della libertà di stampa e della stessa libertà di pensiero del giornalista. Sanzionare in merito alle idee considerate sbagliate o da rifiutare è profondamente illiberale.  L’Ordine non può inoltre perdersi nelle sciocchezze di genere imposte da Appendino o  Boldrini anche se non sarebbe male che alcuni vertici fossero femminili e ci fossero opportuni ricambi.

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Cavour, Bergamo, un medico gentiluomo

Questa settimana ho conosciuto uno straordinario personaggio di Bergamo, il dottor Carlo Saffioti, medico, gentiluomo, cultore di storia patria, collezionista, consigliere regionale lombardo per 18 anni. Mi ha accompagnato a Bergamo Alta nella pasticceria “Cavour” che ha un arredamento in cui risalta la figura dello statista piemontese. Nel cuore della città storica la pasticceria e’ sulla via principale a pochi passi dalla storica piazza e a breve distanza dalla funicolare che collega con Bergamo bassa . Venne fondata da nobili piemontesi che la dedicarono a Cavour. E’ un locale storico d’ Italia, tra i pochi meritevoli del titolo oggi spesso elargito con troppa generosità a caffè privi dei  requisiti della storicità come alcuni locali liguri. Nella sua collezione ho visto come Cavour, che poteva sembrare un uomo incapace di suscitare entusiasmi, veniva invece celebrato con statue, piatti, vasi, manufatti un po’ in tutta Italia. Gli italiani dell’Ottocento erano consapevoli che l’Italia l’aveva in larga misura realizzata lui. In una città clericale (ma l’”Eco di Bergamo”, di proprietà della Curia, mi ha intervistato)fa specie il culto di Cavour. Ma Bergamo è anche la Città dei Mille di Garibaldi. E’ una città che è stata leghista, ma nessuno, credo, abbia mai contestato la pasticceria “Cavour” che,tra l’altro, sforna giornalmente delle vere e proprie delizie.

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LETTERE  scrivere a quaglieni@gmail.com

Storie parallele ?

Lei ha descritto molto lucidamente la situazione catalana e spagnola di fronte alla secessione di Barcellona. Premesso che il referendum catalano era illegittimo e sovversivo, perché la sinistra condanna l’intervento della guardia civile spagnola e invece contemporaneamente condanna Vittorio Emanuele III che non firmò lo stato di assedio nell’Ottobre del 1922 per impedire la Marcia su Roma? Si tratta di due eversioni .

Caterina Richetti

Il perché è semplice, al di là’ di certa faziosità congenita :la storia non si ripete mai, come diceva Guicciardini e confondere la Spagna con l’Italia è un errore. Posso solo dirle che Vittorio Emanuele III non fu solo a cedere al fascismo perché buona parte della classe dirigente italiana lo fece insieme a lui.

pfq

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Eco

La biblioteca della Regione Piemonte venne subito intitolata a Umberto Eco. Alessandria, la sua città, si è opposta con motivi pretestuosi. Cosa ne pensa?

Cosimo Bellini

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Intitolare una scuola, eliminando il nome precedente ,specie se non secondario, non è un modo di procedere giusto. Ha ragione Alessandria che però sbaglia se non provvede al più presto a ricordare degnamente il suo cittadino più illustre morto in tempi recenti. Io non ho mai avuto un buon rapporto con Eco, ma sicuramente egli fu un uomo di rara intelligenza. Uno dei pochi. Poi commise anche errori e fu un po’ troppo conformista per piacermi. Ma chi non commise errori?

pfq

 

Linea di confine. Spigolature di vita e storie torinesi

di Pier Franco Quaglieni

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Il Corriere della Sera sbarca a Torino – Buscaglione e Farassino – Silvano Alessio e il diritto all’oblìo I fatti di Torino dell’agosto 1917  Lettere

 

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Il Corriere della Sera sbarca a Torino

A fine ottobre esce a Torino il dorso “Corriere di Torino” in vendita con il “Corriere della sera”. Il mitico giornale che fu di Luigi Albertini ,così legato alla storia piemontese, rappresenta oggi il quotidiano leader ,pur in un quadro generale desolante dell’informazione su carta. Le perdite di lettori appaiono inarrestabili. La fusione editoriale tra “Il Secolo XIX” “La Stampa” e “Repubblica” se trova una sua logica aziendale nell’abbattimento dei costi, non è certo un evento all’insegna del pluralismo. In Liguria “Il Secolo XIX” riporta gli stessi articoli e le stesse firme della “Stampa” che attinge a sua volta dal “Secolo XIX”, lo storico concorrente che Sandro Chiaramonti era riuscito a battere ,facendo del giornale di Torino il leader in tutto il Ponente ligure. Il risultato è stato un calo di vendite per ambedue i quotidiani. L’arrivo del “Corriere” a Torino e nelle provincie piemontesi che non gravitano su Milano (Vercelli , Novara, VCO) è un evento importante. Con la scomparsa della “Gazzetta del Popolo” Torino non ebbe più un vero pluralismo. “Repubblica” ,a prescindere dalla fusione editoriale recente, ha sempre avuto un’osmosi di direttori con “La Stampa”. Un limite vistoso del giornalismo torinese è che in larga misura per troppi anni traeva le sue origini nell’”Unità “. Oggi la situazione è cambiata, ma il taglio resta il medesimo. Il dorso del “Giornale” in Piemonte è fallito miseramente dopo che giornalisti come Granzotto e Coscia avevano prodotto un quotidiano degno di questo nome. Avere ogni giorno un’altra cronaca torinese da leggere e da confrontare non potrà che far bene all’informazione e al pluralismo. A capo della redazione torinese del “Corriere” è stato chiamato un giornalista di grande esperienza, Umberto La Rocca, già vicedirettore de “La stampa” e direttore del “Secolo XIX”. La nuova esperienza di Cairo editore è anche un segnale espansivo per l’occupazione dei giornalisti che forse mai come oggi appare a livelli disperanti. Una voce autorevole come quella del “Corriere della Sera” che si rivolge a Torino e al Piemonte può anche essere un temibile concorrente soprattutto per “La Stampa”.

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Buscaglione e Farassino

Possono piacere o meno i personaggi , ma l’intitolazione dei Murazzi di Po ai due cantanti torinesi più noti e cari a tanto pubblico, appare una scelta molto azzeccata. Fred ,nato nel 1921 e morto in un incidente nel 1960, era originario di Graglia, nel Biellese, apparteneva ad una modesta famiglia, frequentò per appena tra anni il Conservatorio. Fece l’apprendista e il fattorino e incominciò ad esibirsi nei locali notturni ,per poi passare al Gran Caffè Ligure, una delle glorie della Torino anteguerra. Richiamato durante la II Guerra mondiale, organizzò spettacoli per le truppe e venne fatto prigioniero dagli Americani. Il suo personaggio era caratterizzato da un paio di baffetti, dal doppiopetto gessato,dal cappello a larghe tese ispirato ai gangsters americani, dalla voce roca per le troppe sigarette fumate. Restano memorabili “Guarda che luna “,”Eri piccola cosi”, ”Che bambola”. Erano anche canzoni trasgressive rispetto al perbenismo borghese di un’Italia che stava uscendo dagli anni Cinquanta e incominciava a conoscere il primissimo miracolo economico. Fred andò molto oltre il perbenismo torinese caratterizzato da un certo bigottismo angusto. Il personaggio e il cantante sopravvissero alla sua morte e restano un simbolo di una Torino non banale e non conformista. Discorso molto diverso quello che riguarda Gipo Farassino, cantautore, ma anche politico. Era nato nel 1934 e morì nel 2013. Come cantautore rappresentò le periferie torinesi, la gente comune, i poveri diavoli. Ci fu un periodo in cui fu anche militante del PCI e una sua canzone fu molto impegnata contro la guerra del Vietnam. La sua attività di attore è legata al nome dell’amico regista Massimo Scaglione che Gipo trascinò anche nella sua scelta politica leghista. Aveva conseguito il diploma di ragioniere e il centro del suo mondo sono Porta Pila e via Cuneo. Una visione angusta che lo portò a mitizzare l’ angolo di Torino da cui proveniva. Al culmine del successo creò anche il locale “da Gipo” dove si esibiva. Il locale, che era al fondo di corso Francia, sopravvisse all’insuccesso di Gipo e divenne il ristorante “Il camin” ,uno dei ritrovi migliori di Torino della fine del secolo scorso. Tentò anche di andare al Festival di Sanremo, ma i limiti torinesi apparvero subito evidenti e gli impedirono un lancio nazionale. Pure la scelta leghista rivelò orizzonti localistici di profilo limitato. Sebbene eletto parlamentare europeo ,consigliere e assessore regionale, non rivelò doti politiche. Roberto Gremmo, che fu il suo competitor iniziale, aveva qualità politiche molto più significative.

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Silvano Alessio e il diritto all’oblìo

Google ripropone articoli vecchi di decenni del quotidiano “Repubblica” firmati dai soliti killer armati di penna che ,falsificando la realtà, cercano di demolire le persone a loro antipatiche. C’è gente che usa la stampa per vendette personali di basso profilo. E c’è chi ,non so bene con quali mezzi leciti, riesce a far apparire in prima posizione vecchi articoli su Google con sistemi che sicuramente non sono legali. E’ il caso di Silvano Alessio, Prosindaco di Torino e assessore in più giunte torinesi. Alessio fu un enfant prodige della politica torinese. Era colto anche se non aveva finito gli studi universitari, aveva un eloquio persuasivo e brillante, aveva sicuramente delle qualità politiche ed alcune intuizioni. Fu nel 1970 il primo assessore alla cultura di Torino, il primo che capì come la cultura non potesse restare fuori dall’intervento dei Comuni. Come primo assessore all’arredo urbano volle piazza San Carlo senza macchine in sosta, una scelta che poi venne revocata dal suo successore, ma che finì di essere la scelta definitiva dopo il parcheggio sotterraneo che certa sinistra radical-chic, Vattimo in testa, cercò di bloccare. Fu lui – e non Novelli – nel 1980 a pensare a Via Garibaldi senza auto e tram, facendone una via di passeggio. Fece parecchi giornali, tra cui “Il dialogo” che ebbe un qualche significato politico-culturale, anche perché la classe politica di allora stava già distaccandosi dall’idea che una politica senza cultura fosse un discorso da faccendieri. Non ho mai avuto buoni rapporti con lui. Cambiò alcuni partiti, ma anche qui con una qualche giustificazione. Poteva un uomo con idee aperte come Silvano restare nel Pli di Malagodi che a Torino era prevalentemente fatto di vecchie cariatidi? Un errore di Renato Altissimo forse fu proprio quello di non vedere le qualità politiche di Alessio che, prima di Zanone, nel PLI era l’unica voce interessante. Io ricordo di essere andato a sentirlo nel 1967 quando uscì dal PLI. Con lui c’era anche Riccardo Formica che poi rientrò nel partito. Il suo discorso al cinema “Doria” fu un capolavoro. Pochi erano oratori del suo livello. Nel partito repubblicano fu costretto ad andarsene da Giorgio La Malfa, il Gesù Bambino, come diceva Donat – Cattin, calato su Torino nel 1972,che gli scippò il seggio da deputato che gli sarebbe spettato di diritto. Il Pri era stato ricostruito partendo dal nulla, proprio da Alessio . L’avvocato Bachi era andato via dal Pri nel 1963.Erano rimasti i tradizionali quattro gatti, da Terenzio Grandi a Vittorio Parmentola, mazziniani storici. Incorse anche in alcune vicende poco belle, diciamo così, ma ,se le confrontiamo con i comportamenti dei politici di oggi, non c’era nulla di scandaloso. Certo amava la bella vita, le donne, alcuni locali notturni. Ma era un politico che aveva capacità e cervello. Questo non può non essergli riconosciuto ed è da vili riproporre artificialmente vecchi articoli che lo riguardano, sapendo che Silvano è morto da tempo, non può difendersi ed ha diritto come minimo all’oblìo.

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I fatti di Torino dell’agosto 1917

Nell’agosto 1917 Torino fu protagonista di una vera e propria sommossa di cui abbiamo parlato nella rubrica del 16 luglio (http://www.iltorinese.it/linea-di-confine-spigolature-di-vita-e-storie-torinesi-20/), perché già allora il Circolo “De Amicis” iniziò a parlare della ricorrenza centenaria in modo non appropriato . Abbiamo scritto le motivazioni per cui in termini storici quell’iniziativa dell’estremismo socialista torinese fu un gravissimo errore, perché cercare di imitare la Rivoluzione russa era un discorso politicamente impraticabile. L’Associazione consiglieri comunali emeriti di Torino, presieduta da Giancarlo Quagliotti, si è cimentata a rievocare i fatti di Torino dell’agosto 1917 con un convegno che ,per il nome di molti relatori,appare non equilibrato storicamente. A parte la relazione dello storico dell’economia Giuseppe Bracco che centra perfettamente il tema ,in modo forse leggermente ironico con il titolo un po’ manzoniano “Il lavoratori torinesi tra Lenin e il forno delle grucce”, gli altri relatori, dalla faziosissima Maria Grazia Sestero ad altri giovani storici , rivelano il non distacco necessario per affrontare gli avvenimenti di cent’anni fa. Sicuramente Luca Cassiani, che ha parlato delle conseguenze giudiziarie della sommossa, avrà trattato, da avvocato capace, il tema delle condanne. Ma nel complesso la cosa non convince. Possibile che a nessuno sia venuto in mente che proprio nell’agosto del 1917 c’erano al fronte consiglieri comunali torinesi ? Possibile che a nessuno sia venuto in mente di invitare a parlare il presidente del “Nastro Azzurro” che raccoglie i decorati al Valor Militare o il presidente dell’UNUCI ,(Ufficiali in congedo ) e uno storico militare che non venga dalla scuola di Rochat ? Mentre a Torino si faceva casino,al fronte si combatteva e si moriva.Questo i consiglieri emeriti o i consiglieri in carica della Città di Torino non devono dimenticarlo.

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LETTERE scrivere a quaglieni@gmail.com

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Islam e informazione

Mi è capitato di ascoltare un convegno promosso a Palazzo Cisterna il 28 settembre su “Islam e giornalismo-Immagini, racconti e manipolazioni sui media italiani”. Il sottotitolo era “Aspettando voci scomode”. La tesi principale sostenuta si può sintetizzare così : “dall’attacco alle Torri gemelle alla comparsa dell’Organizzazione dello Stato Islamico , quanto i mass media hanno contribuito ad alimentare una propaganda islamofoba nel mondo occidentale?” Uso le parole virgolettate dell’invito. Sono andato un po’ prevenuto , ma ne sono uscito indignato. Gente faziosissima quella del “Caffè dei giornalisti”. Giornalisti di cui non ho mai avuto occasione di leggere un articolo. Lei cosa ne pensa ?                                                                                               Luigi Androni

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Mi pare assurdo dare ai giornali la colpa di aver alimentato una propaganda islamofoba (che non significa odio, ma paura dell’Islam). La fobia del terrorismo islamico è determinata dagli attentati che l’Isis ha fatto. Dovremmo non aver paura ?                                    pfq

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Piazza Carlina 
Io ricordo di aver letto sui giornali di agosto che i ministri del G7 sarebbero stati ospitati nel Canavese per i pernottamenti. Poi all’improvviso saltò fuori l’hotel di Piazza Carlina . Quale la ratio di far pernottare in centro gli ospiti del G7 ,attirandovi la contestazione, dopo aver spostato l’incontro a Venaria?                                           Anna Rinaldi      

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Nessuna ratio, Gentile signora, mentre scrivo dovremo ancora vedere cosa accadrà oggi pomeriggio ,sabato. Ma già gli episodi di violenza accaduti nei giorni precedenti rivelano l’assurdità di utilizzare l’hotel piazza Carlina. E queste cose noi le abbiamo denunciate con fermezza in due articoli rimasti solitari nel panorama informativo torinese. Non va dimenticato però il dovere di esprimere il grazie di noi cittadini alle Forze dell’Ordine che anche questa volta ci hanno difesi dalla furia violentissima dei cosiddetti antagonisti, anarchici, centri sociali ecc. Io sono stato in piazza Carlina mercoledì scorso perché ho l’ufficio nelle vicinanze e mi sono sentito molto rassicurato vedendo tanti carabinieri e tanta polizia in giro. Per un giorno mi sono sentito sicuro in una città in cui la sicurezza dei cittadini è diventata un optional. Venerdì non ho avuto il coraggio di avventurarmi da quelle parti, la mia segretaria più coraggiosamente sì.         pfq

 

 

Linea di confine. Spigolature di vita e storie torinesi

di Pier Franco Quaglieni

Settembre, andiamo… – Aldo Garosci combattente per la libertà – La decadenza di Torino – Il 9 politico

 

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Settembre, andiamo… 
Chiara Boriosi ha scritto questo pensiero carico di sentimenti, per dirla con un’espressione di  Giovanni Gentile :

“Settembre ferisce con dolcezza e insegna la malinconia.
Gioca con la luce e intanto la toglie, un po’ per volta, con crudele precisione.
Non è l’Aprile bambino né il Luglio della giovinezza smemorata
È il tempo che sfuma e non torna. E puoi capirlo solo quando sei stato toccato dalla grazia delle rughe e del rimpianto”.
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Pensieri, parole , immagini, ricordi che evocano un settembre dei sentimenti ,non un settembre un  po’ scontato di uve, vendemmie, castagne, come accade nel nostro Piemonte. Chiara è toscana, ha in mente Carducci e D’Annunzio,forse anche Pascoli. Ricorda la sua vita di adolescente  in splendidi racconti  che meritano di essere pubblicati. Io ricordo  certi periodi del passato, quando, a settembre, passeggiavo in attesa della scuola sotto i portici di Torino  e sovente c’erano  le prime piogge d’autunno. Sentivo la malinconia dell’estate finita, in attesa della riapertura il 1° ottobre della scuola, solo in poche occasioni vissuta come desiderio di apprendere cose nuove: il mio liceo non mi attraeva aff atto e a volte mi angosciava . In altri periodi successivi  ho voluto godere  nel mese di settembre ,in modo avido e spensierato, la gioia  del sole, del mare, della luce di Alassio. Fino a metà ottobre, quando la spiaggia era già deserta .O andando a Capri dove oltre al Premio Malaparte, c’era un mare straordinario ,direi unico ,che mi intrigava  più del Premio. In spiaggia signore dell’alta borghesia napoletana e da Luigi ai Faraglioni gli spaghetti Umma Umma. Spesso settembre coincideva con  la fine degli amori estivi, tanto incendiari, quanto destinati a svanire. Alcuni lasciavano ricordi non destinati  dissiparsi con i primi freddi , ai quali, a volte, penso con una qualche  nostalgia anche oggi e mi domando che fine abbiano fatto le ragazze amate allora. Un po’ come faceva Gozzano.

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Aldo Garosci combattente per la libertà 

E’ uscito dall’editore Angeli il saggio di Daniele Pipitone “Alla ricerca della libertà- Vita di Aldo Garosci”(38 euro).Esso si inserisce nella collana dell’Istoreto “Giorgio Agosti” diretto da Luciano Boccalatte che dà un costante ed apprezzabile  apporto di equilibrio storiografico al lavoro storico dell’Istituto davvero aperto a temi e argomenti non pensabili in passato. Una biografia di Garosci era quanto si auspicava da anni, essendo il centenario della nascita di Aldo nel 2007 passato senza il benché minimo ricordo a Torino o altrove. Si tratta di una biografia importante e completa in cui si rivelano le qualità storiche del giovane studioso  torinese già noto per i suoi studi sul socialismo democratico del 2013. Soprattutto si ha la possibilità di conoscere da vicino episodi della vita di questo straordinario  storico, politico e giornalista, unica nel ‘900, con la  sua caratura intellettuale, il suo anticonformismo ,il suo amore per la libertà: dal coraggioso antifascismo giovanile,all’esilio in Francia, alla guerra di Spagna, alla Resistenza a Roma. Ma la biografia affronta anche altri temi: il ’68,il terrorismo, l’illusione dell’unificazione socialista, l’impegno nel PSDI di Saragat, la battaglia per Israele, contro l’antisemitismo e la persecuzione degli Ebrei in Russia, il distacco dall’impegno politico dovuta al profonda delusione di fronte al fatto  che l’Italia della fine degli Anni 70 avesse imboccato strade che Aldo non poteva condividere, in primis il compromesso storico. Garosci fu un socialista liberale alla maniera di Rosselli, antitotalitario a 360 ° e quindi naturaliter antifascista e anticomunista.Quest’ultimo aspetto della sua battaglia non venne compreso da chi vedeva il pericolo per la democrazia solo a destra. Appaiono anche scorci di vita  della sua compagna Irene Numberg con cui Aldo condivise amore e impegno civile. Il libro appena uscito  è importante. Dovrei lamentarmi che non citi certi libri, tra cui alcuni dei miei, che sarebbero stati utili all’autore  per comprendere maggiormente  le scelte di Garosci,ma non lo faccio perché essersi lui dedicato ad Aldo è per me è di per sé  di troppa soddisfazione. Leggendo avidamente il libro, mi sono reso conto di essere il più garosciano della generazione dei suoi allievi. Ho condiviso sempre le sue analisi sul ’68,sugli anni di piombo, sulla viltà degli intellettuali italiani nella loro fuga verso il comunismo alla ricerca di posti nelle università,nei giornali,nelle case editrici. Aldo ci ha insegnato con l’esempio cosa significhi l’indipendenza morale e intellettuale.Per questo motivo,più di ogni altro,resta un Maestro.

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La decadenza di Torino 

Di ritorno dalla Biblioteca nazionale universitaria dove ho combinato per il 2 dicembre un concerto per Carlo Casalegno nel quarantennale del suo martirio, tenuto dal violinista Massimo Coco ,figlio del procuratore generale di Genova  Francesco Coco vittima delle BR come Casalegno, ho passeggiato un po’ per la città, cosa che non riesco a fare di frequente per i continui impegni fuori Torino che, per altro, mi consentono di sopravvivere in una città asfittica e morta com’è quella attuale. In piazza Carlo Alberto ho notato un furgone- bar della Punt e Mes-sicuramente prodotto tipico torinese-  con cartelloni e musica che stonavano totalmente in quella piazza aulica. Mi sono fermato, come mi piaceva un tempo, in piazza Carignano da Pepino per mangiare un gelato e contemplare Palazzo Carignano. Con mia somma sorpresa ho notato che le sue storiche specialità non ci sono più: né il pezzo duro né lo spumone. Si è salvato l’affogato che è  però ormai un gelato molto comune ovunque. L’industrializzazione alimentare ha mietuto un’altra vittima. Com’era diverso quando il laboratorio di Pepino era in via Verdi! In piazza san Carlo noto crocchi di arzilli vecchietti che occupano le panchine. E’ bello che tutti possano godere del salotto di Torino, ma se poi vedo gli accattoni  in piazza e in via Roma mi sorge qualche perplessità. Di notte i portici diventano dormitorio, ma di giorno, nel cuore di Torino, questo accattonaggio non è accettabile. Passino i suonatori ambulanti che pure danno un tono strapaesano ad una città nota in passato per la sua eleganza regale, ma una regolata è necessaria. P.A.I.S.S.A è chiuso da anni e le sue vetrine sono utilizzate per pubblicizzare un formaggio. Ricordo che un grande magazzino di prelibatezze alimentari a Vienna veniva chiamato dall’ambasciatore italiano il P.A.I.S.S.A. austriaco. Certamente ha dovuto chiudere anche per i prezzi insostenibili degli affitti . Olympic (dove si vestiva un tempo l’intera mia famiglia ) si è trasformato ,vendendo abiti sportivi, come anche il negozio che fu di Ruffatti. Ritrovi torinesi di eleganza che non ci sono più. In parte sopravvive solo Emmerson in via Cesare Battisti. Nostalgie del passato ? Forse sì ,anche perché non vedo novità che mi attraggano. Forse il gelato Niva (ex Rivareno)  in piazza Vittorio e in Via Lagrange resta la novità recente più  eccezionale. Il gusto ricotta e fichi merita davvero attenzione. In via Lagrange, divenuta la via del passeggio, ha lasciato un vuoto incolmabile il negozio di pelletterie eleganti Laurence che aveva un stile inimitabile. Per trovare qualcosa di simile devo andare in via Condotti a Roma, ma non è la stessa cosa.

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Il 9 politico

Il caso della professoressa del liceo scientifico di Varese che dava nove a tutti gli allievi perché non aveva finito il programma, suscita clamore mediatico. Forse verrà anche sanzionata penalmente da una condanna . Ma quanti casi simili ci sono stati a Torino in passato ? Non si trattava del 9 politico, ma di voti più modesti, ma altrettanto regalati. Io ricordo cosa avveniva in un liceo artistico torinese in cui volevano promuovere oves et boves,i capaci e i meritevoli,ma anche gli stupidi e i fannulloni. Persino gli assenteisti dei corsi serali che “avevano bisogno del pezzo di carta “. In un noto e  prestigioso liceo classico torinese un insegnante di matematica  che lavorava pochissimo, aveva la tendenza a regalare i voti, con piena soddisfazione di studenti e famiglie. Io ricordo anche i casi  di professori seri, preparati, ma non disposti a promuovere tutti, che furono oggetto di persecuzioni nel blasonato e oggi defunto  liceo “Segre”.I presidi facevano finta di non vedere e ,in un caso, il dirigente scolastico era effettivamente non vedente e lascio’ andare la scuola allo sbando. L’eterno’ 68 italiano giustifico ‘ mille illegalità e diecimila lassismi. Oggi la prof. di Varese e’ stata denunciata e rischia grosso, ma se avesse dato a tutti non 9 ,ma 7,nessuno avrebbe mosso un dito contro di lei.Anzi ,sarebbe stata considerata  una docente umana e comprensiva .Magari anche una docente democratica e aperta al nuovo che avanza.

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LETTERE  scrivere a quaglieni@gmail.com

Piume al vento
Ho letto che domenica parla alla caserma Piave di Albenga  al raduno dei Bersaglieri “Sernaglia”.Io sono un suo lettore di Albenga. Ho apprezzato che lei si sia fatto iniziatore del ripristino del monumento al bersagliere (che Le invio in una rara fotografia scattata da mio zio) ad Albenga dopo che fu tanti anni nella Caserma. Davvero dopo la rotonda con la maxi  fionda  che non c’entra nulla con la storia della mia città ,sarebbe bello avere un po’ di  piume al vento che ci ricordi i giovani che prestavano servizio militare in città. Con loro era una città giovane e sicura. Oggi è solo piena di immigrati.
                                                                                                                    Calogero Aicardi
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Grazie per la fotografia. Io vorrei che il monumento venisse rintracciato e riposizionato magari proprio in una rotonda. Saranno in tanti a preferire le fiamme cremisi alla fionda .La storia d’Italia  contro la preistoria? Ovviamente è una provocazione.                                                     pfq

 

La verità storica che disturba
Ho letto della discriminazione che ha subito per il suo articolo sul “Torinese” sulla bambina tredicenne seviziata e ammazzata dai partigiani comunisti. Come scritto il prof. Bertolo di Savona su FB ,forse non la meritano.
Umberta Delfino

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Mi avevano invitato insistentemente a tenere una conferenza, poi all’improvviso con argomenti speciosi mi hanno chiesto “di fare un passo indietro” . Mi è sembrato incomprensibile. Per darmi un contentino mi hanno proposto di presentare in tempi successivi il mio ultimo libro. Ho ringraziato e ho rifiutato.                                                                                                                                  pfq

Linea di confine. Spigolature di vita e storie torinesi

di Pier Franco Quaglieni
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OGR svolta nella cultura torinese – Bachi l’avvocato gentiluomo – A Colleretto Giacosa tra storia e gastronomia canavesana – L’Internazionale liberale di Oxford 
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OGR svolta nella cultura torinese
Ha ragione  il quasi sempre giustamente ipercritico Gabriele Ferraris nell’affermare  su “Torinosette ” che le OGR “nei progetti della Fondazione CRT e negli auspici di tutti diventeranno anima a motore di un nuovo rinascimento  torinese “.E’ vero le presidenze Marocco e Quaglia della Fondazione CRT hanno saputo proseguire e ampliare la presidenza Comba in una linea di continuità nel rinnovamento davvero esemplare. Senza fare progetti faraonici,la Fondazione CRT lavora con ritmo tipicamente  e saldamente piemontese senza lasciarsi affascinare dall’effimero e dalle mode e soprattutto dal settarismo politico. Il bando non è l’unica strada da perseguire.  Il direttore artistico delle OGR è stato scelto senza bando, in assoluta controtendenza . Come scrive Ferraris, la scelta muove” dal rispetto dell’intelligenza e dell’esperienza” che non sempre dai bandi è accertata con sicurezza e imparzialità. Il sistema dei punteggi può riservare brutte e belle sorprese, asseconda dei  concorrenti .Molte volte i bandi sono un modo solo apparentemente trasparente per continuare nelle logiche spartitorie del passato. Le OGR saranno davvero il futuro della cultura torinese. Non debbono dimenticarlo Circolo dei lettori e Polo del ‘900 che si ritengono legittimi leviatani che pretendono di  assorbire in sè tutto ciò che sia etichettabile come culturale nell’area torinese. E pensare che quando furono aperte frettolosamente  nel 2011 per i 150 anni dell’Unità d’Italia in alcuni locali di corso Castelfidardo bastava la pioggia per mettere in crisi tutto.Oggi l’impegno profuso in questi anni  ha cambiato tutto.
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Bachi l’avvocato gentiluomo L’avv. Emilio Bachi era nato a Torino nel 1907. Antifascista, figlio di Donato Bachi noto militante socialista , dopo essersi laureato in Giurisprudenza e in Scienze politiche all’Università di Torino, svolse la professione di avvocato fino alla promulgazione delle leggi razziali. Costretto ad abbandonare la sua professione, nel 1939 si trasferì in  Francia dove restò fino al momento dell’invasione dell’esercito tedesco. Dopo l’8 settembre 1943 entrò in Giustizia e Libertà, diventando vice-comandante della formazione che operava in Valle d’Aosta. Trasferitosi a Roma per sfuggire ai rastrellamenti dei fascisti, in seguito alla liberazione della città lavorò  a Radio Roma. Tornato a Torino, nel 1946 riprese la professione di avvocato e contemporaneamente andò a dirigere il Giornale Radio. Precedentemente iscritto al Partito d’Azione, nel 1947 entrò nel Partito Repubblicano, diventando il  più importante dirigente regionale e uno dei leader repubblicani a livello nazionale a fianco di Ugo La Malfa  e in questa veste fu per molti anni consigliere comunale di Torino, ricoprendo la carica di assessore all’Edilizia e allo Stato Civile tra il 1951 e il 1956 ed anche di vicesindaco di Amedeo Peyron.  Presidente dell’Università Popolare, come  in precedenza suo padre,fu presidente della Comunità israelitica di Torino negli Anni  Settanta.Socio della Società per la Cremazione di Torino dal 1941, divenne  presidente della Società nel 1961 e mantenne questa carica per circa trent’anni fino al 1990,  Di formazione laica,  sembra fosse stato aderente alla massoneria,anche se di molti massoni non ebbe mai le ambiguità .Emilio Bachi mori  a Torino nel 1990. Le sue ceneri sono conservate nella tomba di famiglia presso il cimitero israelitico di Torino. Egli fu un gentiluomo della politica a cui diede un apporto,assolutamente incompreso dai più ,come grande avvocato civilista nominato in tanti enti e società per la sua competenza e mai per ragioni di tessere politiche. Fu il maggiore civilista  nella sua epoca a Torino. Era un personaggio anomalo con il suo cappello diplomatico, sempre elegantissimo, nel già degradato ambiente politico torinese dove lo conobbi e nel quale la cravatta era già diventata un optional . Aveva avuto degli scontri con La Malfa ed era entrato  negli Anni 60 nel partito socialdemocratico,una realtà che lo collegava idealmente  alle posizioni di suo padre. Quando però si rese conto che Turati,Treves ,Matteotti e Saragat erano cosa diversa da Nicolazzi e Magliano,abbandonò la politica, salvo rientrare negli ultimi anni nel  PRI con tutti gli onori. Era amico di Sandro Pertini che lo nominò Cavaliere di Gran Croce,la massima onorificenza dello Stato. Bachi meritava di essere nominato senatore a vita per la sua esistenza  specchiata e per il grande prestigio  raggiunto nell’attività forense .Simile a lui ho conosciuto solo il prof. Claudio Dal Piaz . Lo conobbi e lo frequentai, conservo alcune sue lettere. Il prof. Mario  Viora di Bastide, presidente della “Reale “e della Deputazione subalpina di storia patria, fu un comune  caro amico. Era un uomo del Risorgimento nato in ritardo come lo fu Viora . Aveva fatto sua e vissuto in prima persona la lezione morale di Giuseppe Mazzini. La figlia Simonetta, valente scrittrice che tramanda la storia della famiglia, ne è l’erede orgogliosa e degna.E ne ha pienamente ragione perché un padre come il suo,è cosa rarissima.

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A Colleretto Giacosa tra storia e gastronomia canavesana 
Qualche sera fa sono stato a Colleretto Giacosa, ospite della straordinaria sindaca Paola Gamba. Abbiamo parlato con la figlia dell’ambasciatore Nicolò Carandini  Silvia e con il figlio del ministro Leone Cattani Paolo, del liberalismo di tanti personaggi importanti che  si identificano nel Canavese,a partire da Francesco ed Edoardo Ruffini per poi parlare di Adriano Olivetti  e di tanti altri. Una serata riuscita. Merita una citazione il locale dove ho cenato ,il ristorante Del Monte.Lo chef Luca, che non ho conosciuto,perché lui lavora seriamente in cucina e non ama esibirsi nei convenevoli,realizza una  cucina con i prodotti del territorio canavesano.Molta frutta e gli ortaggi provengono dall’orto  del ristorante. I suoi piatti tipici  la tartare di fassone,i ravioli del plin fatti in modo non banale,lo zabaione al  Passito di Caluso, In stagione funghi e tartufo bianco e nero. Da consigliarsi la zuppa di cavolo di Montaldo Dora,la tofeja cotta nella pentola di terracotta di  Castellamonte. Ho fatto difficoltà a trovare l’insegna del locale che è molto frequentato perché conosciuto ed  apprezzato dalla sua clientela. Unica nota negativa il rapporto con Slow Food :ai suoi presidi io non ho mai creduto e resto scettico  su molte iniziative di Petrini. Ma il patto con Slow Food  appare invisibile.
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L’Internazionale liberale di Oxford 

Nel 1947 si tenne ad Oxford l’Internazionale Liberale dopo la Seconda Guerra Mondiale,per l’Italia partecipò il prof. Alessandro Passerin d’Entrèves ,grande storico del pensiero politico. Nel 1967, per iniziativa di Giovanni Malagodi, si tenne sempre ad Oxford un’altra Internazionale che aggiornò la Carta scritta nel 1947 in cui si affermavano valori antichi e sempre nuovi come quelli di pace,di libertà ,di democrazia dopo lo sconvolgimento del conflitto mondiale. Lette oggi le parole della dichiarazione appaiano persino ovvie,anche se più che mai noi viviamo in un clima perturbato da guerre e da terrorismo minaccioso. Nel 1967 i liberali vollero rivedere la Carta,dando un’apertura più sociale al liberalismo. I tempi nuovi lo richiedevano. Il documento del 1967 non presagì neppure in minima parte il cataclisma dell’anno successivo dove si mise in discussione non solo la democrazia liberale,ma la democrazia tout -court. Nello stesso anno si tenne al teatro Carignano di Torino un Convegno  in cui ,oltre a Malagodi, Luigi Firpo ,Passerin d’Entrèves, Sergio Ricossa,Padre Stefano Trovati,moderati dal prof. Salvatore Fiandaca, gli intervenuti discussero per circa due ore della Carta. Mi parve allora un dibattito interessante che contribuiva a rinnovare il
liberalismo. Rileggendo gli atti del Convegno, vedo la miopia di molti che non colsero che in quello stesso periodo a Palazzo Campana  muoveva i primi rumorosi passi la contestazione studentesca.Non c’è una parola di Firpo o di Passerin su questi pericoli incombenti. Solo il gesuita Trovati aveva già individuato tutti i temi del cristianesimo terzomondista del dissenso che imputava le colpe di tutte le ingiustizie all’Europa capitalista. I liberali ma, direi,soprattutto i democratici non seppero attrezzarsi culturalmente per combattere il ’68 e le sue fughe nell’ideologia intollerante. Quando arrivò l’ondata di piena fummo travolti. Non avevamo saputo costruire qualche argine in difesa dei nostri valori di tolleranza,di libertà,di democrazia,di riconoscimento dei  meriti individuali,di rifiuto della massificazione soffocante già intravista da Tocqueville. Il marxismo sembrò prevalere nelle sue componenti più massimaliste,ma la dura lezione della storia,con il crollo del Muro di Berlino,si rivelò superiore alla  nostra  inconsistenza intellettuale e soprattutto politica .Recentemente una persona mi ha parlato dei liberali come ad una sorta di riserva indiana. Storicamente quelle riserve dovrebbero essere abitate soprattutto dai comunisti,ma un altro imprevisto della storia ha cambiato le previsioni.
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La sindaca e l’avvocata

La Giunta pentastellata ha partorito un documento per evitare discriminazioni di genere negli atti comunali , codificando le parole sindaca, avvocata  e tante altre . Cosa ne pensa ?      

 

                                                                                 Gina Trugli 

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Penso che con tutti i problemi irrisolti di Torino il  documento che evita le discriminazione di genere ,sia poco importante perché si ferma alle parole . La parità tra i sessi si realizza con fatti concreti e non parole . La parità e non l’eguaglianza che sarebbe parola impropria. Ma un po’ di fumo ,sia pure senza arrosto, piace molto ai grillini .
                                                                                                                                                                                                                  

Liberali?

Caro professore, il giornale “Critica liberale” che sarebbe l’organo di quella che fu la sinistra liberale e poi via via è diventata la sinistra illiberale, ha creato un nuovo giornale on line “Non mollare” organo del post azioniamo. Cosa ne pensa?                                  

                                                                                                                     Rinaldo Buini

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Enzo Marzo fondatore di “Critica liberale” fu liberale negli anni 70  ,poi si dimise dal partito liberale e incominciò a virare verso il PCI,sempre più a sinistra,magari anche oltre il PCI. Così capitò anche Franco Antonicelli, senatore con i voti del PCI,indipendente da tutto fuorché dal partito che lo elesse. Aver fatto un nuovo giornale, riallacciandosi a quello di Salvemini e dei Rosselli è un atto di suprema presunzione. E’ un po’ come se io facessi  rinascere il “Mondo” di Pannunzio. Ma ,forse ,qualche titolo in più forse lo avrei. Definirsi post azionisti  mi sembra  poi quanto di più illiberale si possa pensare. Le alcinesche seduzioni della giustizia e della libertà,come le definiva Bobbio, finiscono di ridurre il liberalismo  ad un fatto marginale.  Lo storico Giorgio Spini,socialista, diceva onestamente che nel “Socialismo liberale” la parola liberale è semplicemente un aggettivo.

                                                                                                                                             pfq

Linea di confine. Spigolature di vita e storie torinesi

di Pier Franco Quaglieni

La scuola al minimo sindacale – Badoglio? No grazie – Lidia Palomba: stile, cultura, amore per la musica – Cravero ed è subito Carru’

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La scuola al minimo sindacale
La ministra Fedeli, assistente sociale e sindacalista, rischia di passare alla storia per essere la peggiore ministra dell’istruzione italiana. Eppure certi ministri Dc cui si deve il disastro del cedimento al ’68 sembravano imbattibili ,come su altro versante lo fu Luigi Berlinguer. Dopo aver proposto un liceo quadriennale, adesso ho avanzato l’idea balzana della scuola media di di due anni. Per lei i programmi di studio sono un optional che si può togliere e mettere da una valigia quando si va in vacanza . I programmi invece sono incomprimibili, se si vogliono svolgere con serietà e adeguato approfondimento secondo i tempi necessari per apprendere ed assimilare  . Un anno in più o in meno cambia radicalmente ( in peggio) la scuola. Possibile che la signora Fedeli sia così digiuna di studi da non capire queste elementari verità ?  Da sindacalista vuole dare anche agli studenti il minimo sindacale ? Possibile che non non sia in grado di cogliere l’ignoranza  immane  che già oggi  regna tra i giovani ? Possibile che non colga le fatiche sovrumane a cui sono sottoposti i docenti ? Le ore di scuola sottratte ai giovani sarebbe un furto a cui non ci sarebbe più rimedio.

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Badoglio? No grazie
L’8 settembre è una data ingloriosa della storia italiana.Quella del maresciallo Pietro Badoglio,nuovo Capo del Governo dopo il 25 luglio 1943,fu una fuga ingloriosa che trascinò dietro la stessa famiglia reale. Non si capisce perché Grazzano ,il paese del maresciallo, continui a onorarlo chiamandosi Grazzano Badoglio. Nel mese di novembre ricorderemo il centenario della disfatta di Caporetto durante la Grande Guerra. Il maggiore responsabile di quella pagina nefasta fu il generale Badoglio che consentì l’avanzata nemica senza sparare un colpo. Eppure passò indenne dalla commissione d’inchiesta e divenne vice del generalissimo Armando Diaz, succeduto a Cadorna a cui venne attribuita la sconfitta. Badoglio era massone ed è certo che tutta la sua carriera sia stata sorretta da questa appartenenza. Sarebbe ora, nel centenario di Caporetto, di cancellare il nome di Badoglio da quello del paese che gli ha dato i natali.Al massimo,gli dedichino la bocciofila dove amava giocare a bocce.

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Lidia Palomba: stile, cultura, amore per la musica

Nel 2008 venne intitolata, su proposta di chi scrive, una via torinese al musicologo Massimo Mila. Una scelta che sostenni con forza anche per l’amicizia che mi legava al defunto. Ci vollero anni perché la proposta venisse accolta. Se ci fosse stato Castellani invece di Chiamparino, sarebbe stato fatto con rapidità. Fui io a fare la laudatio di Mila prima dell’intitolazione. Ed ebbi persino i complimenti di Novelli che si stupì del mio discorso-si espresse proprio così- forse pensando di trovarsi di fronte ad un buzzurro fazioso. Io non condividevo il pensiero politico di Mila, ma, parlando per conto della Città, feci doverosamente un discorso istituzionale che non doveva stupire. Avrebbe dovuto stupire semmai un discorso diverso. Tanti anni dopo ho pensato a Lidia Palomba per molti decenni una presenza costante nella vita musicale di Torino. Paolo Gallarati scrisse di lei:<<Bionda, alta, elegante, donna di squisita e nobile cortesia, aveva stile , cultura e amore per la musica>>. Docente al Conservatorio come Mila, teneva trasmissioni radiofoniche di successo, scriveva sulla “Gazzetta del Popolo”, era una conferenziera molto seguita. Mila subì un periodo di carcere durante il fascismo e questo fece la differenza incolmabile. Era stato allievo di Monti al “d’Azeglio”, aveva scritto sull’”Unità”, queste erano le altre differenze. Dopo la chiusura della “Gazzetta del Pololo”, “La Stampa” non le consentì di continuare a scrivere come fece con tanti altri, a cominciare dal direttore Torre divenuto direttore di “Stampa sera”. Ma Lidia come storica della musica e musicologa, allieva di Andrea della Corte, era almeno al livello di Mila ,se non superiore. Mila fu anche incaricato all’Università ma al concorso per professore ordinario venne bocciato. Lui trasse vanto da quella bocciatura subita dopo anni di insegnamento. Era anche una donna coraggiosa che non si lasciò mai sedurre dal conformismo. E questo la penalizzò molto. La ricordo amica generosa, leale, aperta. I suoi capodanni erano mitici nella bella casa di Corso Galileo Ferraris, le sue serate estive nell’accogliente villa di Piossasco restano indimenticabili. Andrebbe ricordata come grande torinese benemerita della musica. Più di Mila, a suo tempo troppo celebrato come studioso, anche se oggi totalmente dimenticato.

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Cravero ed è subito Carru’

Il comm. Giuseppe Cravero e la sua splendida famiglia si identificano nel “Vascello d’oro” e la trattoria carruccese si identifica in Carrù, la cittadina dove nacque Luigi Einaudi, come ricorda una lapide molto spartana posta sulla casa nativa. Carrù è la porta delle Langhe e il suo monumento ai buoi che si staglia su un magnifico paesaggio sta a testimoniare la nobiltà contadina di quella terra fondata sul lavoro. Il Bove di Carducci non è retorico ,anche se il Bue grasso di Carrù è destinato più che ad essere premiato a finire sulle nostre mense natalizie. A settembre “Il Vascello” organizza ogni venerdì e sabato un menu speciale con parmigiana di melanzane, risotto, fritto misto, che si affianca a quello tradizionale in cui trionfano i salumi di produzione propria, tanti antipasti assortiti(l’insalata russa va assaggiata), tajarin, gnocchi, agnolotti fatti a mano, bollito misto, finanziera, bassuà, fonduta e tanto altro. E’ il trionfo della cucina piemontese e nel locale si viene accolti spesso con il dialetto piemontese caro a Benedetto Croce. E’ la vecchia trattoria piemontese -venne fondata nel 1887- che è rimasta sè stessa ed oggi è quasi introvabile. Quando in un’occasione particolare parlai al presidente Ciampi che aveva una madre cuneese, di quella trattoria, il Presidente conferì motu proprio la Commenda al merito della Repubblica a Cravero, che per festeggiare offrì una cena sontuosa. Io ancor prima di conoscere Cravero e di diventarne amico, andavo, di ritorno da Bordighera, al “Vascello” con il filosofo Oscar Navarro e il latinista Ciaffi, cuochi dilettanti molto severi nei loro giudizi. Una volta si unì anche il pittore Guido Seborga. A me piace in particolare l’eleganza e lo stile del giovane figlio di Cravero, che sa tener alto il nome di famiglia. Un ragazzo d’oro ,si sarebbe detto al tempo in cui la trattoria venne fondata.

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L’eliporto” Aldo Cavallo”

Ho letto la notizia dell’aeroporto di Villanova di Albenga ridotto a fare da base ad un elicottero. Ben misera fine. Mi ricordo quando a Torino c’era l’eliporto  per Milano in piazza d’Armi .Quante cose avveniristiche  c’erano a Torino, peccato averle perse.

Etienne N.

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L’aeroporto di Albenga ha fatto una fine miserrima. Peggio di così non si poteva. Alcuni ingauni , per dirla con il nome antico della loro terra, sono corti di vista e non capirono l’importanza di uno scalo come quello di cui godono in quanto la piana di Albenga è l’unica in Liguria a consentirlo.  Venerano incredibilmente  le fionde a cui hanno incredibilmente  dedicato due monumenti. Sembrano siano  rimasti all’era della fionda… Il volo, per molti di loro, è ancora solo quello di Icaro.Torino all’epoca del Sindaco Amedeo Peyron ,il grande  sindaco del centenario del 1961,sapeva guardare lontano invece. Peyron fu l’unico sindaco degno del secondo ‘900 insieme a Castellani. Realizzò l’eliporto  di cui parla la lettrice, dedicandolo al tenente pilota Aldo Cavallo,caduto in volo. Era un giovane esemplare ,figlio del commendator Felice Cavallo ,uno stimato artigiano tappezziere torinese che ebbe la vita segnata dalla tragica morte del figlio. L’eliporto non ebbe successo  anche perché la Fiat aveva il suo eliporto per gli aperitivi dell’Avvocato in Sardegna e ritorno immediato a Torino. Dovette chiudere per mancanza di utenti. Con il treno ci si metteva tanto tempo per raggiungere Milano e anche l’autostrada a due corsie era insufficiente. L’elicottero poteva essere una soluzione specie se visto anche come collegamento con Venezia.  Durante il Ventennio  c’era una linea di idrovolanti  con scalo  sul Po nei pressi del Castello Medievale  che collegava Torino con Trieste. Durò fino da metà degli Anni 20 alla II Guerra Mondiale. Oggi è tutto cambiato e il Frecciarossa  ha bruciato i tempi. Una delle poche cose di cui l’Italia si possa vantare, anche se il TGV francese, cara Etienne ,come Lei ben sa, venne con decenni di anticipo.

pfq