CULTURA- Pagina 109

Sarajevo, la fontana e la neve di primavera

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L’appuntamento è per le venti, davanti alla fontana Sebilj. Non ci si può sbagliare: è il simbolo di Sarajevo. Situata nel bel mezzo della Baščaršija, dispensa da oltre un secolo la sua acqua potabile, circondata da un infinità di piccioni che sembra d’essere in piazza San Marco a Venezia

 

 Progettata nel 1891, sotto il protettorato austro-ungarico, ha la forma orientale di un gazebo e porta la firma dell’architetto ceco Alexander Wittek che la intese come interpretazione in chiave moderna delle fontane ottomane, prendendo a modello una fontana in pietra di Istanbul. Con il calare delle luci della sera s’accende di una luce dorata che emana un fascino straordinario. Per questa fontana vale la stessa leggenda di quella della moschea Gazi Husrev-beg: bevuta anche una sola volta la sua acqua, sarà impossibile lasciare Sarajevo per troppo tempo o non tornare ogni volta che il cuore lo desidera.Ovviamente, come ogni volta, non manco di berne una sorsata. Samir arriva, affannato, dal vicino ponte che attraversa la Miljacka. Si era recato, per una commissione, alla Sarajevska Pivara, il birrificio rosso e crema, con le grondaie in rame, dove si produce l’ottima Sarajevsko pivo. Con un quarto d’ora di ritardo arrivano anche gli altri e tutti insieme si sale in taxi, alla modica cifra di tre marchi,cioè di un euro e cinquanta centesimi, per le vie che s’inerpicano sulla collina verso il cimitero ebraico dove abbiamo prenotato il nostro aperitivo in un locale che sembra un balcone sulla città vecchia. Il tempo di due chiacchiere sorseggiando uno Spritz Rosso (ma ci sono anche le versioni azzurro,verde e giallo, in base allo stato d’animo di chi lo beve) e si ridiscende. Il taxista è un matto. Conoscerà anche le vie come le sue tasche ma si butta giù a rotta di collo per le viuzze. A tempo di record ci scarica in Mule Mustafe Bašeskije, a due passi da Sebilj. Paghiamo la corsa e scendiamo in fretta dall’auto pubblica. Samir ha prenotato per quattro la cena in una Ašćínica, i locali specializzati in zuppe e verdure ripiene che rappresentano, in assoluto, la vera cucina casalinga bosniaca. Non ce ne sono molte in città e questa – Hadžibajrić , al numero 59 di Veliki Čurčiluk – è la migliore della Baščaršija. Il menù è semplice ma gustoso: pita ripiena di spinaci, uova e kajmak, il formaggio di panna acida (la Zeljanica);punjene paprika, cioè peperoni ripieni; il ( o la, non saprei) grah, gustosa zuppa di fagioli cucinata alla moda di Mostar e cipolle ripiene, le sogan dolma. Ovviamente,per favorire la digestione,dove si va? In uno dei caffè orientali dove, con cinque marchi, si può fumare la Šiša (quello che noi, genericamente, chiamiamo narghilè) e bere i tipici tè bosniaci, ascoltando le sevdalinke, lente e malinconiche canzoni d’amore della tradizione ottomana.Siamo fortunati. In quello che scegliamo, sedendoci sugli sgabelli tra coloratissimi tappeti, si sta esibendo un duo,piuttosto attempato, che suona dal vivo il violino e il saz ,tipico mandolino orientale. L’atmosfera è di quelle giuste, da meditazione. Io non fumo, limitandomi a sorseggiare un amarognolo tè verde.La parola giusta,in questi casi,è “polako”, che significa “con calma”. Ed è con calma che Samir tira fuori dalla tasca un libro e inizia a leggere. Lui, l’italiano lo parla bene. Anche Dina se la cava mentre Goran, nonostante la buona volontà che ci mette,incespica in molte parole che a sentir lui gli “ingarbugliano la lingua”. In quanto a me, confesso la mia ignoranza: il bosniaco che si differenzia solo leggermente dal serbo e dal croato, è e rimane “arabo”, come usiamo dire spesso e impropriamente. Il brano che legge rappresenta “l’essenza della città, lo spirito notturno di Sarajevo”. E’ tratto da “Lettera del 1920″, di Ivo Andric. “A Sarajevo, chi soffra d’insonnia può sentire strani suoni nella notte cittadina.Pesantemente e con sicurezza batte l’ora della cattedrale cattolica: le due dopo mezzanotte. Passa piú di un minuto (esattamente settantacinque secondi, li ho contati) ed ecco che si fa vivo, con suono piú flebile, ma piú penetrante, l’orologio della Chiesa ortodossa, e anch’esso batte le due. Poco dopo, con voce sorda, lontana, il minareto della moschea imperiale batte le undici: ore arcane, alla turca, secondo strani calcoli di terre lontane, di parti straniere del mondo. Gli ebrei non hanno un orologio proprio che batta le ore, e solo Dio sa qual è in questo momento la loro ora, secondo calcoli sefarditi o ashkenaziti. Cosí, anche di notte, mentre tutto dorme, nella conta di ore deserte d’un tempo silenzioso, è vigile la diversità di questa gente addormentata, che da sveglia gioisce e patisce, banchetta e digiuna secondo quattro calendari diversi, tra loro contrastanti, e invia al cielo desideri e preghiere in quattro lingue liturgiche diverse. E questa differenza, ora evidente e aperta, ora nascosta e subdola, è sempre simile all’odio, spesso del tutto identica ad esso”.Terminata la lettura chiude il libro e lo rimette in tasca. Non c’è nulla da commentare perché in quelle parole c’è tutto. La musica, intanto, ci avvolge. Gli amici mi dicono che ci sono diverse traduzioni e spiegazioni per la parola “sevdah”. Alcuni giurano che viene dalla parola turca “sevda”, l’amore. Altri insistono sul termine persiano “soda”, che equivale a malinconia, oppure la parola “sawda”, che in arabo significa qualcosa di nero. Comunque la si metta, quello delle sevdalinke è un genere di nostalgia cantata e suonata, melodiosa, struggente. Si sta bene ma d’improvviso “s’incunea crudo il freddo e la città trema”,come nella canzone dei Csi. Era previsto un brusco abbassamento delle temperature ma all’improvviso quest’ariaccia fredda è scesa nel giardinetto all’aperto, sollevando polvere da terra e tovaglie dai tavolini. Dai pesanti bracieri d’ottone scintille rosse e gialle volano in aria, disegnando arabeschi infuocati nel buio. In fretta e furia due ragazzi ritirano tutto, mentre cadono le primi, pesanti gocce di pioggia. In un attimo ripassiamo davanti alla fontana di Sebilj e, ancora con un taxi, andiamo verso l’albergo, nei pressi della stazione ferroviaria. Piove a dirotto. Al mattino dopo,in un silenzio profondo,ovattato, ecco la sorpresa: nevica, e viene giù anche bene, a larghe falde. Fa freddo e nevica, a Sarajevo.

 

Poco importa se siamo a metà aprile. Ieri c’erano diciotto gradi e poi, tutto di un colpo, dalle vette della Bjelašnica e dell’Igman è sceso il soffio gelido della retroguardia del generale Inverno, ultimo e disperato colpo di coda della stagione dei brividi. Quando raggiungo la Baščaršija un nevischio gelato che pare ghiaccio tritato ci fa rabbrividire tutti. Trema, “livida trema”, Sarajevo. Nonostante il maglione ,la giacca con il bavero alzato e la bella, calda sciarpa che ho comprato al bazar il freddo mi entra nelle ossa. Anche Goran e Samir soffrono il freddo. Dina ha le gote e le mani arrossate, sulle quali soffia un fiato che si condensa in nuvole dense al contatto con l’aria gelida che, a folate, mulina nel dedalo delle viuzze. Sembra pieno inverno, con i tetti delle case e le cupole delle moschee bianchi come i paesaggi infarinati dei presepi. Capita, non è una novità. E Sarajevo è, in tempo di pace, più bella e seducente che mai.

Marco Travaglini

Un weekend ricco ai musei della Fondazione

AGENDA APPUNTAMENTI FONDAZIONE TORINO MUSEI

3 – 9 settembre 2021

 

 

SABATO 4 SETTEMBRE

 

Sabato 4 settembre ore 16

TEA CEREMONY (produzione di SRSLYyours)

MAO –Spettacolo teatrale in lingua inglese nell’ambito del Fringe Festival

Combinando meditazioni guidate e interazione col pubblico, un performer nei panni di una geisha conduce i partecipanti in un viaggio attraverso Africa, India, Bangladesh, Medio Oriente e Sud America, alternando rapidamente estetica occidentale contemporanea e tradizione orientale, mettendo in discussione la dimensione culturale e politica del servire e dell’essere servito, la differenza tra esecutore e spettatore. Insieme al pubblico, il performer indaga, infine, la capacità dello spettatore di agire sul proprio essere umano.

Costo: € 10. Biglietti al sito https://www.tofringe.it/eventi/tea-ceremony-mao . Il biglietto dello spettacolo dà diritto a un biglietto a tariffa agevolata per il museo, esclusivamente per sabato 4 settembre 2021.

 

 

MARTEDI 7 SETTEMBRE

 

Martedì 7 settembre

SETE D’ORO

MAO – apertura rotazione di kesa e paraventi giapponesi

La nuova rotazione prevede l’esposizione di tre mantelli di fattura, epoca e iconografia differente.

Il primo è un kesa a motivi floreali, con draghi e fenici multicolori della prima metà del XIX secolo. Sullo sfondo ocra del mantello si alternano fiori di peonia e di pruno alternati a draghi avvolti ad anello tra nuvole e simboli augurali, mentre le fenici in volo riprendono il dinamismo rotatorio dei draghi grazie alle loro lunghe code piumate che ne cingono il corpo.

Il secondo tessuto, che risale al XVIII secolo, è impreziosito da minuti motivi floreali: si tratta di una stoffa di colore bruno preziosa e leggera, piuttosto sobria nonostante il largo uso di filati metallici.

Il terzo kesa esposto, risalente al XIX secolo, presenta un motivo di draghi allineati e avvolti su loro stessi a formare tanti anelli sormontati da tralci vegetali con peonie in fiore, elementi dal profondo significato beneaugurale, ulteriormente impreziositi da rade foglie di gelso ricamate in oro. Per dimensioni e fattura, possiamo ipotizzare che questo mantello sia stato ricavato da un uchikake, un kimono nuziale femminile.

Contestualmente ai kesa, saranno allestiti anche tre piccoli paraventi a due ante.

Il primo presenta una decorazione con ritratti di grandi poeti del periodo Fujiwara (898-1185): le immagini del monaco Shun’e, del cortigiano Fujiwara no Kiyosuke, del letterato Fujiwara no Mototoshi e della dama Akazome Emon, applicati sul fondo a foglia d’oro, sono poste accanto ad alcuni dei loro versi più celebri.

Gli altri due paraventi formano una coppia e raccontano scene di famosi scontri militari: sul supporto in carta spruzzata di laminette d’oro appaiono alcuni episodi celebri della battaglia di Ichinotani (1184), teatro di uno degli scontri conclusivi della lunga guerra tra i clan dei Taira e dei Minamoto, che si contesero il dominio sul Giappone alla fine dell’epoca Heian.

 

 

MERCOLEDI 8 SETTEMBRE

 

Mercoledì 8 settembre ore 16.30 – 17.30

PASSEGGIATA BOTANICA

Palazzo Madama – visita guidata al Giardino Botanico Medievale

Il curatore botanico Edoardo Santoro, con l’aiuto dei volontari del progetto Senior Civico del Comune di Torino, accompagnerà i visitatori nelle diverse aree del giardino tra rose antiche, officinali mediterranee, medicinali indigene, fiori di campo e piante dimenticate. Durante la passeggiata si scopriranno le diverse piante fiorite – Acanti, Digitali, Campanule e Sclaree – e si parlerà di tecniche di coltivazione naturale oltre che di aneddoti storici e botanici, in modo da rivivere la giornata di un giardiniere quattrocentesco, l’Hortolano Domini.

Costo: € 4 (max 10 persone)

Info: il giardino è visitabile con un biglietto dedicato (5€, gratuito Abbonamento Musei e Torino + Piemonte Card) oppure con il biglietto di ingresso al museo.

Prenotazioni: madamadidattica@fondazionetorinomusei.it

 

 

GIOVEDI 9 SETTEMBRE

 

Giovedì 9 settembre ore 17

UNA MOSCA NEL PIATTO!

Palazzo Madama – attività per famiglie

Si vedono tutti i giorni in casa e all’aperto: ronzano, zampettano e a volte diventano veramente fastidiosi! Sono mosche, coccinelle, formiche, coleotteri… Di alcuni ammiriamo i colori vivaci e l’eleganza dei movimenti, di altri proviamo ribrezzo e persino paura. Sono piccole creature, ma riescono a distrarci e a catturare la nostra attenzione. Forse proprio per questo loro potere, gli artisti hanno aggiunto gli insetti nelle loro opere.

Nel corso dell’attività i bambini saranno guidati a scovare i piccoli intrusi nelle opere di Palazzo Madama e, utilizzando silhouette, li faranno diventare i protagonisti di grandi e coloratissimi disegni.

Età consigliata: 5/10 anni.

Costo: 7 € a bambin*; biglietto ridotto a 8 € per gli adulti accompagnatori (gratuito con Abbonamento Musei). Durata 90 min.

Info e prenotazioni: 011 4429629 madamadidattica@fondazionetorinomusei.it  

Prenotazione obbligatoria

 

Theatrum Sabaudiae propone visite guidate in museo

alle collezioni di Palazzo Madama, GAM e MAO (sabato ore 16; domenica ore 15) 

e alle mostre di GAM e MAO (giovedì ore 18; venerdì ore 16; domenica ore 16.30)

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Per informazioni e prenotazioni: 011.52.11.788 – prenotazioniftm@arteintorino.com

 

 

Sul filo della ginestra. Un’antica tradizione tessile lucana

“ARS ET INDUSTRIA” Museo del Tessile di Chieri – Ciclo di Conferenze 2021

 

Sabato 4 settembre 2021 – ore 15.00

in streaming dal Museo del Tessile di Chieri

MARIA SILVESTRI:

SUL FILO DELLA GINESTRA

Un’antica tradizione tessile lucana

 

Dopo la pausa estiva, riprende il ciclo di conferenze «ARS ET INDUSTRIA»organizzato dal Museo del Tessile di Chieri. Sabato 4 settembre, alle ore 15.00, si svolgerà online la conferenza della studiosa, scrittrice e curatrice d’arte Maria Silvestri dal titolo “Sul filo della ginestra. Un’antica tradizione tessile lucana”.

Nel corso del suo intervento, la relatrice illustrerà la sua ricerca specialistica sul tema culminata nel filmato realizzato durante il laboratorio teorico-pratico di “Lavorazione dei tessuti vegetali a Teana” (2016), che sarà proiettato per l’occasione.

Per assicurare accesso all’iniziativa a un ampio pubblico, nonostante le limitazioni imposte dai protocolli anti-contagio da Covid19, non ultima la necessità di avere il green pass per accedere ai musei e ai treni a lunga percorrenza, la conferenza si svolgerà gratuitamente in diretta streaming: per ricevere il link di connessione bisogna accreditarsi scrivendo a prenotazioni@fmtessilchieri.org

Oltre a illustrare le caratteristiche della ginestra e le sue lavorazioniMaria Silvestri focalizzerà l’attenzione su alcuni manufatti tessili del primo Novecento, quali sacchi per cereali, lenzuola per il trasporto della paglia, materassi riempiti con le foglie delle pannocchie del mais, tovaglie con forma e motivi di tradizione, teli vari e grembiuli appartenenti alla sua raccolta personale, ma anche altre collezioni, inclusa quella della Fondazione della Scienza e della Tecnica di Firenze, dove si conserva un piccolo campionario di filati e tessuti in ginestra. Farà inoltre luce su alcuni capi di abbigliamento in ginestra appartenenti a comunità arbereshe lucane, che tuttora vivono in prossimità di Teana, e dalle quali probabilmente i teanesi potrebbero aver attinto la tecnica di lavorazione di quella fibra vegetale.

Lo studio della cultura materiale condotto da Maria Silvestri, già Presidente dell’Associazione Marino di Teana per l’arte contemporanea, va ben oltre la tecnologia tessile di un materiale che potrebbe ritornare in auge alla luce della tanto auspicata transizione verde all’insegna della sostenibilità. «Lego questi manufatti tessili alla cultura contadina del territorio lucano. Leggo, tra le trame antiche, volti e quotidiane usanze. Non è nostalgica rievocazione del passato ma rispetto e gratitudine di quella cultura e delle mie origini. Sono sicura che da quella cultura si dovrà attingere per costruire il futuro prossimo di quel territorio».

Commenta Melanie Zefferino, Presidente della Fondazione Chierese per il Tessile e Museo del Tessile: «Con questo excursus affascinante fra manufatti che saranno esposti in mostra al Museo del Tessile e in altre sedi istituzionali in un prossimo futuro, Maria Silvestri ci conduce in un viaggio nel tempo si sbiancava la ginestra fra le acque di ruscelli non molto diversi dal rio Tepice, accanto al quale sorge l’Imbiancheria del Vajro a Chieri, città in cui è attiva l’Associazione Culturale Amici della Lucania. La lavorazione della ginestra appartiene a una cultura materiale del Mediterraneo, che presenta diverse affinità con la lavorazione della canapa praticata nel nostro territorio diffuso. Il raffronto fra le tradizioni tessili di Teana e Chieri non solo ci ricorda un passato con aspetti sociali ed economici in comune ma ci permette anche di riscoprire quanto stretto fosse il legame fra il dialetto e il fare legato ai processi di produzione artigianale di filati e tessuti con strutture e motivi diversi».

L’iniziativa fa parte del ciclo di conferenze «ARS ET INDUSTRIA»organizzato dalla Fondazione Chierese per il Tessile e Museo del Tessile con il patrocinio del Comune di Chieri, della Città Metropolitana di Torino, della Regione Piemonte, e il sostegno della Fondazione Compagnia di San Paolo nell’ambito del bando CivICA-progetti di cultura e innovazione civica.

Estate al Parco del castello di Miradolo

Le attività di settembre

Parco del Castello di Miradolo – San Secondo di Pinerolo (To)

La Rassegna estiva della Fondazione Cosso, nel Parco del Castello di Miradolo, a San Secondo di Pinerolo (To), prosegue nel mese di settembre, in occasione della mostra “Oltre il giardino. L’abbecedario di Paolo Pejrone”. La mostra e il Parco storico sono visitabili dal venerdì al lunedì, ore 10 – 19.30. Prenotazione obbligatoria: 0121 502761 prenotazioni@fondazionecosso.it

Lunedì 6 settembre, dalle 20.30, la Fondazione Cosso accoglierà l’evento di lancio di “PineCult”, la tessera che permette ai pinerolesi dai 13 ai 29 anni di usufruire a prezzo ridotto della ricca offerta culturale e – da quest’anno – anche sportiva del territorio. L’appuntamento, promosso da Comune di Pinerolo e Fondazione Cosso con la collaborazione di Loft Pinerolo Urban Box e gruppo di supporto Yepp Pinerolo, prevede una serata con cinema gratuito nel parco per 200 possessori di PineCult oltre alla possibilità di visitare la mostra “Oltre il Giardino. L’abbecedario di Paolo Pejrone” con ingresso agevolato a € 5,00.
Per la proiezione dell film “The Help”: prenotazione obbligatoria con Eventbrite: pinecultcard.eventbrite.com
Dalle 19, per chi lo desidera, pic-nic nel Parco con i cesti di Antica Pasticceria Castino.
Per la mostra e il pic-nic prenotazione obbligatoria allo 0121 502761 prenotazioni@fondazionecosso.it

Immersi nella quiete della natura del Parco, mercoledì 8 settembre, alle 21.30, avrà luogo una serata dedicata ai temi della sostenibilità e del benessere del pianeta con la proiezione del film “Generation Greta, introdotta alle 20 dal Circolo Legambiente di Pinerolo in collaborazione con l’Associazione Pensieri in Piazza.
Ingresso gratuito. Prenotazione obbligatoria: 0121 502761 prenotazioni@fondazionecosso.it

Giovedì 9 settembre, alle 20, il Bistrot del Castello di Miradolo propone una cena flambè, organizzata in collaborazione con il Ristorante Piazza Duomo di Pinerolo e l’Associazione Arte in Tavola Onlus, per apprezzare la raffinatezza della cucina flambè preparata direttamente al tavolo da Maitre professionisti, con la possibilità di gustare i migliori vini in abbinamento.
65 € a persona. Prenotazione obbligatoria entro lunedì 6 settembre al 331 4732983.
Per chi lo desidera, prima della cena è possibile visitare la mostra “Oltre il giardino”.

Nella stessa settimana, l’Associazione Scienza senza confini porta al Castello di Miradolo “Scienza in giardino: cellule in arte”, attività didattico-scientifica in programma domenica 12 settembre, alle 15.00, per le famiglie con bambini di età 5/11 anni. Nel laboratorio mobile di Scienza Senza Confini i bambini imparano a osservare al microscopio tessuti animali e vegetali; prendendo ispirazione dalle immagini delle cellule possono proporne colorate rappresentazioni artistiche, servendosi di materiale vegetale raccolto nel Parco e oggetti di recupero, cui dare una nuova funzione.
Prenotazione obbligatoria: 0121 502761 prenotazioni@fondazionecosso.it

Venerdì 17 settembre, alle 19, torna “Le bollicine del pinerolese”: laboratorio di degustazione con vini, salumi e formaggi del territorio. A cura del Comitato di Condotta Slow Food del Pinerolese, in collaborazione con Antica Pasticceria Castino.
25€ degustazione e visita del Parco storico, 20€ per i soci Slow Food. Prenotazione obbligatoria entro lunedì 13 allo 0121 502761 prenotazioni@fondazionecosso.it

Sabato 18 settembre, dalle 15.30, la Fondazione Cosso e il progetto artistico Avant-dernière pensée, insieme agli studenti e ai docenti del “Progetto Ulisse” 2020/2021, presentano la conclusione del percorso sviluppato in questo anno scolastico. Parallelamente sarà presentato il progetto “Tessendo Arte” a cura del liceo artistico dell’I.I.S. M. Buniva di Pinerolo i cui studenti daranno vita a un’opera d’arte collettiva.
Ingresso gratuito. Prenotazione obbligatoria: 0121 502761 prenotazioni@fondazionecosso.it

Sabato 25 settembre, alle 11.30, è prevista una conversazione con Margherita Oggero intorno alla mostra “Oltre il giardino. L’abbecedario di Paolo Pejrone”, nell’ambito della Rassegna “La mostra racconta. Mezz’ora con…”: ciclo di appuntamenti di approfondimento in compagnia di esperti d’arte e musica, artisti, collezionisti, in partenza a settembre. Gli incontri sono progettati e organizzati da Fondazione Cosso, a cura di Paola Eynard e Roberto Galimberti, in collaborazione con Enrica Melossi.
Ingresso gratuito per i visitatori della mostra. Prenotazione obbligatoria: 0121 502761 prenotazioni@fondazionecosso.it

Domenica 26 settembre, alle 11.00, Antonio Perazzi, scrittore, botanico, accademico, presenta “Il paradiso è un giardino selvatico” (2019, UTET) nell’ambito della Rassegna “Bellezza tra le righe”. Un inno alla straordinaria quotidianità di una natura finalmente libera da controlli, in un poetico manuale di “botanica per artisti”. Dialoga con lui Enrica Melossi, consulente editoriale. Al termine, per chi lo desidera, pic – nic nel Parco con i cesti di Antica Pasticceria Castino. Prenotazione obbligatoria: 0121 502761 prenotazioni@fondazionecosso.it

Domenica 26 settembre, alle 17, in occasione della Giornata Regionale del Progetto Protezione Famiglie Fragili in ambito oncologico”, il Servizio Adulti e Territorio della Diaconia Valdese Valli e la Fondazione Cosso presentano un evento di raccolta fondi con lo spettacolo teatrale “Stralunate in tacchi a spillo” con Marta De Lorenzis. Lo spettacolo è un insieme di monologhetti comici al femminile tratto da “Le Beatrici” di Stefano Benni, a cura della Compagnia Teatrale Il Moscerino.
Costo del biglietto  7€ adulti | bambini e ragazzi fino a 14 anni gratuito. Il pubblico è invitato a portare con sé un plaid da stendere sul prato.

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Dal 21 settembre, Giornata Mondiale dell’Alzheimer, i partner del Progetto MYH4D – “Move Your Hands for Dementia” dell’ASL TO3, si ritrovano al Castello di Miradolo per un percorso di studio e confronto. La Fondazione Cosso partecipa al Progetto mettendo a disposizione la propria esperienza nella progettazione e organizzazione di laboratori didattici, in campo artistico e naturalistico, anche nell’incontro con la fragilità, sfida e occasione di crescita per ampliare in futuro l’offerta culturale dedicata ai soggetti affetti da demenza. Con il desiderio di coinvolgere altri luoghi della cultura sul territorio, per creare una rete di sostegno efficace.

Obiettivo di questa fase del progetto è anche promuovere all’esterno la conoscenza della demenza e diffondere nella comunità competenze utili per il sostegno alle persone affette da demenza: l’ASL TO3 organizza il 21 settembre un incontro aperto che avrà luogo a Pinerolo, nella sala conferenze dell’ASL TO3.

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Prosegue al Castello di Miradolo la mostra “Oltre il giardino. L’abbecedario di Paolo Pejrone”, aperta dal venerdì al lunedì, dalle 10 alle 19.30. La mostra si completa con la visita all’orto progettato insieme all’Architetto Paolo Pejrone e alla zona dei rustici accessibili al pubblico, quest’anno, per la prima volta. Nelle sale del Castello: opere d’arte, fotografie, acquerelli e progetti si alternano a video interviste e audio, alla scoperta delle parole di Paolo Pejrone, oltre il giardino.

Per ragioni di sicurezza i posti per ogni attività sono limitati e la prenotazione è obbligatoria, per la visita alla mostra e al parco: 0121 502761 – prenotazioni@fondazionecosso.it

Tutte le attività si tengono nel rispetto delle normative vigenti anti-covid | Per la sicurezza di tutti è necessario essere in possesso di green pass 

 

Organizzare una visita
La mostra e il Parco sono visitabili dal venerdì al lunedì, dalle 10.00 alle 19.30. Ultimo ingresso ore 17.30. Durante la visita si scopre quest’anno, per la prima volta, l’orto del Castello ripristinato in occasione della mostra grazie alla capacità visionaria dell’Architetto Pejrone e delle numerose persone che ne hanno permesso il recupero.
E’ compresa nel biglietto un audio guida doppia, alla scoperta della mostra e del Parco.

Ingresso mostra + parco + audio guida doppia
Intero 15 €; Ridotto gruppi, over 65, studenti fino a 26 anni, convenzioni: 12 €; Ridotto 6-14 anni: 7 € comprensivo di kit didattico; Ridotto 3-6 anni: 2 € comprensivo di kit didattico; Gratuiti 0-3 anni, Abbonati Musei, Torino + Piemonte card, Passaporto culturale.

Tariffa family 2 adulti + 2 bambini fino a 14 anni: 35€

Ingresso solo parco: 5 €. Gratuito fino a 6 anni e Abbonati Musei.

A Cavallermaggiore Marco Revelli presenta il suo ultimo libro

“Umano, Inumano, Postumano. Le sfide del presente”

 

Venerdì 3 settembre, ore 21

Cavallermaggiore (Cuneo)

L’appuntamento si inserisce nell’ambito della rassegna “CuneiForme”, realizzata dall’Associazione “Progetto Cantoregi” e da “Le Terre dei Savoia”, in collaborazione con “Fiera Piemontese dell’Editoria”. Protagonista dell’incontro, venerdì prossimo 3 settembre (ore 21) presso il “Teatro San Giorgio”, in via Turcotto, a Cavallermaggiore, sarà il sociologo e storico – cuneese doc – Marco Revelli, docente di Scienza della Politica all’ “Università del Piemonte Orientale” e figlio del grande Nuto, partigiano e scrittore, scomparso a Cuneo nel febbraio del 2004. In sintonia con il tema dell’edizione 2021 di “CuneiForme”, incentrato sul concetto del “riCostruire”, Revelli presenterà “Umano, Inumano, Postumano. Le sfide del presente”, il suo ultimo libro, 130 pagine pubblicate nel 2020 da “Einaudi”. A dialogare con lui sarà il giornalista Alberto Gedda. “Si parlerà – dicono gli organizzatori – di come riappropriarsi e ricreare un senso di umanità che sembra perduto, come ci lasciano pensare non solo i grandi drammi della storia (ad esempio le atrocità di Auschwitz), ma anche le reazioni ai brucianti fatti di cronaca, come i morti affogati nel Mediterraneo o i profughi dai paesi arabi”. Il tutto proprio attraverso un’attenta riflessione sul libro di Revelli, “un agile, erudito ed elegante volume – scrive il filosofo Davide Sisto in doppiozero.comche certifica, con una cristallina mestizia che solo nelle pagine finali assume il tenue colore della speranza, il superamento definitivo di una doppia soglia: quella che separa l’umano dall’inumano (appunto oltrepassata da Auschwitz) e quella che divide l’inumano e il postumano, messa in discussione dalle evoluzioni tecnologiche e digitali in corso”.

L’ingresso all’incontro, realizzato in collaborazione con “Einaudi” mentre il bookshop è a cura della “Libreria Clerici” di Racconigi, è libero fino a esaurimento posti, nel rispetto delle normative vigenti sull’emergenza sanitaria Covid-19 e con possesso di Green Pass.

E’ consigliata la prenotazione: tel. 349/2459042 o info@progettocantoregi.it

Dopo l’incontro con Marco Revelli, il prossimo appuntamento di “CuneiForme”, sul tema del “riCostruire la fiducia”, si terrà venerdì 10 settembre, alle 18,30, e vedrà protagonisti sul palco della “Soms” (ex Società Operaia di Mutuo Soccorso), in via Costa 23, a Racconigi, Adriano Favole (docente di “Antropologia Culturale” all’Ateneo torinese) ed il giornalista Rai Antonio Sgobba. Al centro del dialogo i due libri di Favole: “Il mondo che avrete” (Utet) e “La società della fiducia” (Il Saggiatore).

g.m.

Valpiani confermata presidente dei medici scrittori

La dottoressa Patrizia Valpiani, torinese ma versiliese di origine è stata riconfermata alla guida dell’AMSI 2021, nell’annuale convegno che, quest’anno si è tenuto a Crema dal 27 al 29 agosto. L’istituzione, che raccoglie oltre cento medici che esercitano, oltre all’attività professionale anche quella letteraria, è stata fondata nel 1951 dal chirurgo Achille Dogliotti e ha annoverato tra i suoi iscritti nomi prestigiosi come Mario Tobino, Carlo Levi e Giuseppe Bonaviri.
Nel consiglio direttivo sono stati eletti: vicepresidente Giuseppe Ruggeri di Messina, segretario Marco Pescetto di Genova, tesoriere Marco marchetto di Torino, delgato U.M.E.M. Simone Bandirali di Crema, coordinatore nord Italia Enrico Aitini di Mantova, coordinatore per il Centro Domenico Lombardi di Pietrasanta, coordinatore per il Sud Maddalena Bonelli di Matera, coordinatore di sicilia e Sardegna Alfredo Buttafarro di Messina, incarico a pubbliche relazioni Elena Cerutti di Torino.
Partners del convegno anche l’Associazione Medici Cattolici Italiani (Premio Cronin) e la LILT (Lega Italiana Lotta al Cancro).
Nella serata di domenica sono stati anche proclamati i due vincitori del concorso “La serpe d’oro” di saggistica, con tematica “Letteratura e medicina in tempo di pandemia”: Enrico Aitini di Mantova e Domenico Lombardi di Pietrasanta.

Roberto Calasso: più libri, meno bombe

« Leggere è un eternità all’indietro » affermò una volta Umberto Eco.

In questi giorni di fine estate è venuto a mancare Roberto Calasso,
fondatore insieme a Roberto Bazlen, della rinomata casa editrice
Adelphi. Leggendo i suoi scritti, quella sensazione evocata dal
semiologo alessandrino è percepita chiaramente. Soprattutto nel suo
ultimo saggio uscito in questi giorni luttuosi per la cultura italiana
(”Allucinazioni americane”, Piccola Biblioteca, Adelphi, pagg. 133,
euro 14) una breve raccolta di saggi sul cinema e dintorni. Lo conobbi
di persona molti anni fa al Salone del Libro di Torino, allo stand della
sua casa editrice. Mi colpì per la sua semplicità e disponibilità. Non è
esperienza frequente vedere un editore del suo calibro, incontrare il
grande pubblico, parlando come due persone al bar. Adelphi nacque con il
motto « pubblichiamo solo quello che ci piace » disse Bazlen, triestino,
amico di Calasso fin dagli anni giovanili. Religioni orientali, ”autori
minori” molto comprati in quegli anni, ma poco letti, ripresero ad
essere riediti con una nuova veste grafica, in brossure color pastello,
a prezzi per tutte le tasche. E Adelphi compì il miracolo: gli italiani
ripresero a leggere. Di destra e di sinistra. Calasso, fiorentino, con
in tasca una laurea in letteratura inglese, si trasferì a Milano e lì
diede vita al suo progetto culturale. Mettere in contatto la filosofia
orientale con l’occidente ”moralmente fiaccato” e riconoscere il
debito intellettuale che la tradizione ellenistica, classica e
ebraica-cristiana intrattiene con quella parte di mondo. Videro la luce
tra gli altri testi sui veda, sul sufismo islamico, sul buddismo zen,
sulle mitologie mesopotamiche, sulla gnosi.Gli studi e le conoscenze
esoteriche di Calasso, lo portarono a scrivere contributi sul rapporto
tra il mito e la società dei consumi, il mito come attualità nella
tradizione, la metempsicosi e il cinema di Hitchcock, l’esilio ebraico e
il nomadismo identitario. In questi anni di inizio secolo, le
drammatiche cronache di guerra di questi giorni lo stanno a
testimoniare, sono più che mai urgenti questi scambi di saperi.
Nonostante motivazioni economiche e geopolitiche siano sottese a ogni
conflitto della storia, sono sempre le civiltà e le culture che si
confrontano e si scontrano come sosteneva lo storico americano Samuel
Huntington. Diviene così di importanza vitale, diffondere una visione di
società aperta, per prevenire nuovi conflitti e lenire le tragedie in
corso. Forzando le nostre naturali difese psicologiche e culturali. Come
recita un proverbio afghano «voi avete gli orologi, noi abbiamo il
tempo». Non serve esportare la democrazia o fare intelligenza col
nemico. Roberto Calasso ci dice oggi, che l’Occidente è in decadenza
nichilista, come sostenevano Robert Musil, Ezra Pound, Martin Heidegger
o ai nostri giorni Oriana Fallaci e Michel Houellebecq. I taliban e la
loro visione del mondo censoria e violenta, maschilista e sessista è
filtrata da noi, negli Stati Uniti dalla east alla west coast degli
adepti ‘’anarchici e radical’’ della ‘’cancel culture”, che imbrattano
e distruggono monumenti dedicati a personaggi storici e scrittori, non
in linea con il loro modo di concepire il ”politicamente corretto”.
Ricordano da vicino la distruzione da parte dei guerriglieri sunniti dei
templi buddisti. Questa chiusura mentale che in qualche modo coinvolge i
due emisferi del pianeta è la vera insidia del terzo millennio.
Roberto Calasso l’aveva intuito da intellettuale illuminato e
lungimirante quale è stato. Dopo la diagnosi, aveva suggerito la cura:
più libri, meno bombe . Mancherà come un faro per la società italiana e
europea nel suo complesso e a ognuno di noi, con i nostri pregiudizi.

Aldo Colonna

Quaglieni presenta alle Vallere “La passione per la libertà”

Venerdì  10 settembre alle 17,30 al Parco delle Vallere (corso Trieste 98, Moncalieri), lo storico GIANNI OLIVA presenterà il nuovo libro di PIER FRANCO QUAGLIENI “ La passione per la libertà. Ricordi e riflessioni”, Buendia Books,un libro carico di reminiscenze pannunziane, di grandi figure storiche, di riflessioni su pagine cruciali delle vicende italiane

Chiude il volume una lucida analisi sul tema della laicità,del Cristianesimo e dell’ Islam con pagine che sembrano scritte dopo l’occupazione talebana di Kabul . Sarà anche un modo per rendere omaggio a tre anni dalla morte a Giovanni Ramella ,preside del Liceo “ d’Azeglio” a cui è dedicato un capitolo del libro. E’ stato scelto un parco attrezzato per grandi eventi alle porte di Torino, con il massimo distanziamento ed ampio parcheggio, messo a disposizione dall’Assessore alla Cultura di Moncalieri, LAURA POMPEO, che coordinerà l’Incontro. Sono obbligatori il green pass e la prenotazione ( prolocomoncalieri@gmail.com o 0116407428). Sarà a disposizione gratuita un bus con partenza da Torino (corso Stati Uniti 27) con il dovuto distanziamento di posti.  Per prenotazione obbligatoria tel. al 3488134847.

Il turismo e la montagna. Storia di un amore cresciuto nel tempo

Di Marco Travaglini

Fino a metà dell’800, le mete turistiche in quota furono quasi essenzialmente elvetiche. Le vette più ambite e ammirate erano quelle della patria di Guglielmo Tell, mentre le “altre Alpi”, dal Delfinato alle Dolomiti, a quel tempo erano pressoché sconosciute.

Era la Svizzera dall’immagine quasi mitica che venne descritta, nel 1781, da William Coxe nelle sue “Lettres sur l’état de la Suisse”. E l’élite europea corse a visitare la nazione delle alte cime, dei ghiacciai e delle cascate, dei laghi e della democrazia, degli alpeggi e delle “persone autentiche” che valeva la pena di conoscere e d’incontrare nei vari cantoni. Ci si trovava davanti ad uno dei segni più evidenti del tramonto dell’egemonia urbana e della ricerca, soprattutto attraverso la villeggiatura, di grandi spazi di libertà, del contatto con la natura “in presa diretta”. La sedentarietà veniva vista con diffidenza, era sinonimo di perdizione, corruzione mentre l’avventura del viaggio, della scoperta di un orizzonte più largo esercitava un fascino irresistibile. Fino alla grande depressione del 1929, il turismo fu in ogni caso un fenomeno per pochi. Erano gli aristocratici a conoscere e praticare l’arte del savoir-vivre e del saper viaggiare. Basta vedere il profilo del turista-tipo del 1800 per rendersene conto. Scorrendo i resoconti dei bollettini delle stazioni turistiche che, nella loro compilazione, riportavano l’elenco delle nazionalità e delle professioni si comprende come il fenomeno turistico era composto per un buon 80% da nobili ereditieri, da un 15% formato da rappresentanti del clero, ufficiali e uomini di legge e, in ultimo, da un restante e modesto 5% di commercianti e banchieri. A metà del XIX secolo fecero la loro comparsa le grandi collane di guide e i “tascabili” conquistarono il mercato. E, guarda caso, sia l’inglese “Murray” sia la tedesca “Baedeker” e la francese “Joanne” esordirono con un volume sulla Svizzera. La montagna “chiamava” i più arditi a praticare l’alpinismo, un fenomeno che appassiona e travolge. Nell’arco di una generazione, dopo la fondazione dell’Alpine Club nel 1857, gran parte delle vette delle Alpi furono conquistate. Due categorie di persone che amavano le “quote alte” s’incontrarono: gli alpinisti, una minoranza, e i villeggianti che, a valle, osservavano, commentando. Col passare degli anni ci si chiese se non potesse essere la montagna, d’estate, a surrogare la funzione del mare d’inverno, quella di “far prendere dell’aria buona”, contemplare i panorami e rimettersi in forma. A metà dell’800 una pattuglia di intraprendenti albergatori delle Alpi, soprattutto in Svizzera ed Austria, ma anche sul versante italiano, riuscì ad attirare una buona clientela promettendole la bellezza del soggiorno in montagna, godendo il sole e l’aria frizzante, senza rinunciare ai comfort. Nascono così le prime stazioni climatiche e, verso la fine del secolo, si sviluppa una nuova usanza: il breve soggiorno in montagna dopo la cura termale.

 

Ma il turismo non poteva essere solo un’affare per i tre mesi estivi e così, nel Natale del 1864, Johannes Badrutt, il proprietario dell’Hotel Kulm di S. Moritz, inventò la villeggiatura invernale. Dunque, in origine, il turismo fu necessariamente d’élite. Il Verbano-Cusio-Ossola non faceva eccezione. Anzi, la collocazione geografica sul crocevia tra l’Europa centrosettentrionale e il bacino mediterraneo ne fece un  punto di passaggio obbligato per quell’aristocrazia nobiliare, intellettuale, borghese che contrassegnò l’epoca dei grandi viaggiatori. Direttrici privilegiate di questo flusso verso l’Italia erano il Lago Maggiore da un lato e il valico del Sempione dall’altro. Uno scrittore di fama, come Charles Dickens nel suo “Pitcures d’Italy”, edito negli anni ’50 del XIX secolo, raccontò il viaggio in carrozza che, nell’arco di una giornata e mezza, lo condusse da Milano a Briga con l’ascesa a tratti avventurosa del Sempione e la discesa in direzione della cittadina valle sana, compiute nottetempo. Gli stessi grandi alberghi affacciati sul Verbano sorsero per soddisfare quella ristretta aristocrazia internazionale che si ritrovava, in vari periodi dell’anno, in diverse località alla moda. Alla gente di montagna non restava che assecondare questa aristocrazia turistica accompagnandola alla conquista di qualche cima, come le guide che portarono Margherita di Savoia in vetta alla Gnifetti dove oggi si trova il rifugio intitolato alla memoria della sovrana, oppure occuparsi dell’alloggio e del vitto di quella clientela. I poveri, quando si mettevano in viaggio, lo facevano per necessità alla ricerca di un lavoro che non riuscivano a trovare in loco. Il vocabolo vacanza, semplicemente, non apparteneva al loro lessico. Né da un saggio efficace, in uno dei periodici “Racconti d’estate” pubblicati dal quotidiano “La Stampa”, Mario Rigoni Stern. Per lui e la sua generazione, bambini e adolescenti negli anni ’30 del ‘900, la vita trascorreva sui banchi tra l’autunno e la primavera e nei campi, coadiuvando gli adulti nei lavori agricoli, in estate. Il servizio militare, persino la partecipazione di Rigoni Stern al secondo conflitto mondiale, consentì allo scrittore di fruire di “licenze” trascorse non nell’ozio ma, ancora una volta, nei campi. Anche il periodo postbellico non mutò sostanzialmente questo tenore di vita spartano. Fino a quando, ormai passati i quarant’anni, per festeggiare il primo contratto firmato con una casa editrice si concesse alcuni giorni in un alpeggio poco sopra casa, sull’altipiano dei Sette Comuni. Ma anche in quel caso Rigoni Stern aiutava l’alpigiano con la mungitura, coadiuvandolo nella confezione del formaggio, cuocendo la polenta. La prima vera vacanza, al mare di Puglia ormai raggiunta una certa notorietà letteraria, nel Racconto d’estate di Rigoni Stern arriva praticamente alle porte della pensione. Ci fu invece chi, come il verbanese Nino Chiovini, partigiano e scrittore, che le vacanze scolastiche ebbe la fortuna di farle, già negli anni ’30, nel paese d’origine della famiglia a  Ungiasca, in valle Intrasca. Ecco l’affresco che, delle estati dell’infanzia e dell’adolescenza, tracciò in “Ungiasca perduta” (pubblicato nel fascicolo n. 9 di Verbanus, edito nel 1988). “Mi piacque – racconta – fin dal principio passare le vacanze estive a Ungiasca. In quanto ad amicizie, problema importante per un ragazzo fuori sede, le circostanze mi consentirono di tenere il piede in due staffe.

 

Al mattino mi accompagnavo con i figli dei milanesi d’origine e d’adozione, coloro i quali si esprimevano solo in italiano, esibivano buone maniere, trasudavano perfetta educazione (….) Ma per tutto il resto del tempo frequentavo i due unici autoctoni che avevano un’età prossima alla mia”. Chiovini, di passaggio, delineava l’evoluzione del turismo comune a gran parte del paese. Il progressivo allargarsi di un costume, la vacanza, a strati sempre più ampi della popolazione. Dai nobili, ai grandi borghesi, ai ceti urbani che in misura sempre maggiore si dedicavano alla villeggiatura. Del resto, al contrario di Rigoni Stern, Chiovini e i suoi amici milanesi vivevano in una realtà cittadina e industriale nella quale i figli non potevano coadiuvare in fabbrica, come i loro coetanei della campagna, i genitori. Almeno fino al termine degli studi. Ma, tornando allo sguardo più ampio, l’innovazione che rivoluzionerà la vacanza in quota è il soggiorno all’insegna degli sport invernali. Anche in questo caso gli “apripista” furono alcuni sudditi della corona britannica: sir Doyle, il dottor Lunn, Fox saranno i pionieri a Davos, Grindelwald, Chamonix. I turisti si appassionarono, sfoggiando sgargianti divise, alla slitta, l’hockey, il pattinaggio e lo sci alpino. L’invenzione era inglese, i materiali e gli istruttori venivano dalla patria dello sci, cioè la Norvegia. Era l’ebbrezza della discesa, del vento in faccia, inframmezzata dalle faticose salite e risalite con le pelli di foca. Il motto per questi turisti era “downhill only”, che sarebbe un po’ come dire “ giù a rotta di collo”. Prima adagio, con circospezione, e poi sempre più in fretta, le stazioni solo estive si convertirono alle discipline degli sport invernali e dello sci. A Megève nacque la prima stazione sciistica “ad hoc”, seguita da Meribel e dal Sestrières. Vennero lanciati stili nuovi nella pratica sciistica, come la curva con gli sci paralleli. In Italia, lo sci mosse i suoi primi passi nel novembre 1896, per merito dell’ingegnere Adolfo Kind, che risiedeva a Torino. Negli stessi anni, in Svizzera, Austria e Francia esistevano già club di sciatori. In Italia il primo sci club fu quello di Formazza nel 1912 mentre tre anni prima, nel 1909, si disputarono a Bardonecchia i primi campionati italiani di sci. Le specialità erano: fondo, salto, combinata fondo-salto, velocità in discesa e gare per pattuglie militari.

 

macugnaga montagnaL’avvenimento non sfuggì ai quotidiani nazionali, che ne diedero ampio risalto.Con la teleferica, dopo gli anni ’20, iniziò l’era degli impianti di risalita meccanica. Lo ski-lift sganciabile fu inventato nel 1935 da Pomagalski. Esplose la moda in un vero e proprio “boom” nelle regioni alpine: lo sci, a tutti i livelli, diventò il tratto di unione tra turismo e montagna.  Tra il Verbano e il Cusio il Mottarone venne preso d’assalto grazie alla sua collocazione geografica che consentirà di ribattezzarlo con il nomignolo di “montagna dei milanesi”. Macugnaga e Formazza diventarono le due perle della discesa e della disciplina nordica del fondo. In generale i centri che abbinavano vacanza e sport si moltiplicarono in ragione dei profondi cambiamenti per gli sciatori che erano sempre più attrezzati a percorrere piste veloci, grazie alle risalite più agevoli. Ci volle ancora un po di tempo per far diventare il turismo invernale un fenomeno di massa anche perché i costi non serano del tutto agevoli. Negli anni cinquanta il costo di una settimana bianca per quattro persone era pari a uno stipendio medio mensile ed erano ancora delle élite a praticare questo tipo di vacanza. Ma l’attrazione fu tale da rendere fragile anche questa barriera. Nacquero a quel tempo le stazioni in alta montagna, si costruirono strade e alloggi, si instaurò una forte competizione anche nei prezzi e nell’offerta ricettiva. E il turismo montano diventò una radicata – e praticata – realtà. Questo processo fu più lento e complicato in una realtà come quella del VCO, all’estremo nord del Piemonte. Per molto tempo il turismo si era sviluppato attorno ai grandi alberghi del lago, alle ville patrizie, a villeggiature più modeste. E anche dopo il secondo conflitto mondiale resistette  per anni un turismo povero, spesso di giornata con l’utilizzo generalizzato di mezzi pubblici. Ad esempio le ferrovie Nord di Milano, il traghetto Laveno-Verbania Intra, la ferrovia Intra-Premeno.Oppure la strada ferrata del Sempione sulla tratta tra Milano e Stresa, il trenino a cremagliera che saliva dalla “perla del lago Maggiore” fino alla vetta del Mottarone. O, ancora, in treno fino a Domodossola da lì con la ferrovia Vigezzina fino alle Centovalli e Locarno in Svizzera.

 

Per non parlare poi delle linee d’autobus per le vallate ossolane con le gite parrocchiali, le colonie estive, le escursioni di sezioni del CAI. Lo sviluppo del turismo residenziale, sulle colline del Vergante piuttosto che nell’entroterra verbanese, a Macugnaga piuttosto che a Santa Maria Maggiore e in tutta la Val Vigezzo sarebbe venuto più tardi. Con un impatto forse eccessivo nelle zone più a ridosso dell’area metropolitana milanese, forzatamente ridotto nelle arcigne valli dell’Ossola. Lo sviluppo dell’edilizia residenziale, la presenza di un sistema di sfruttamento idroelettrico dei fiumi, un’attività per certi versi depauperante come quella delle cave consentirono, pagando gli inevitabili prezzi ambientali che ciò comportava, un certo presidio del territorio. Si pensi, ad esempio, al sistema di rifugi attorno ai bacini artificiali dell’alta Val Formazza o altre realtà simili nelle restanti valli. Dove, invece – il caso più rilevante è quello della Val Grande – al tramonto della vecchia società rurale-alpina, integrata da quell’attività economica per decenni fiorente come il commercio del legname, non s’è sostituita nessun altra forma di presidio del territorio, il disastro è stato completo. Almeno fino alla nascita del parco nazionale che ne ha valorizzato  sotto il profilo turistico-escursionistico il territorio, rilanciando le tradizioni enogastronomica, la riscoperta del patrimonio artistico-architettonico, una rinnovata sensibilità ambientalista che porta un numero crescente di persone a ripercorrere quei sentieri abbandonati dopo la morte, o la collocazione a riposo, dei vecchi alpigiani “cancellati” dalle leggi del mercato. Ma questa è una storia che guarda al futuro, in gran parte ancora da scrivere.


La gentilezza nella letteratura per i bambini

BELLEZZA TRA LE RIGHE

Il futuro lo si costruisce nel presente: dialogo con Anna Peiretti

Una chiacchierata in giardino sulla letteratura per bambini, indagata dalla lente della gentilezza. Domenica 29 agosto alle 17 nel giardino di Casa Lajolo a Piossasco interviene Anna Peiretti, scrittrice, caporedattrice della rivista “La Giostra”, responsabile del progetto “Libri per tutti” della Fondazione Paideia, curatrice di progetti di promozione alla lettura e di educazione alla cittadinanza, formatrice sui temi del narrare.

Moderata da Sante Altizio, partirà da una provocazione: bambini gentili, adulti gentili. Di lì, una chiacchierata, nel fresco del giardino, sul futuro che non è ineluttabile, lo si costruisce nel presente. Se come genitori, insegnati, educatori sapremo vivere, coltivare e comunicare la gentilezza, costruiremo un futuro prossimo fatto di donne e uomini consapevoli del valore che ha una relazione gentile, rispettosa, serena.

L’incontro fa parte di “Bellezza tra le righe”, la rassegna firmata da Fondazione Casa Lajolo e Fondazione Cosso con il contributo della Regione Piemonte, nata per guardare al domani con uno spirito nuovo. La volontà è quella di condurre il pubblico in luoghi di rara bellezza, ovvero i giardini di due dimore storiche della provincia di Torino, Casa Lajolo, a Piossasco, e il Castello di Miradolo, a San Secondo di Pinerolo: qui, nella pace che si respira poco prima della sera, andranno in scena, fino al 17ottobre, conversazioni con alcuni protagonisti del presente.

Per chi vuole, a seguire (ore 18,30) aperitivo nel parco.

Ingresso alla dimora storica comprensivo di visita guidata 8 euro. Conversazioni e incontri comprese nel biglietto di ingresso. Biglietto ridotto 6 euro per under 25. Gratuito under 10 e Abbonamento Musei. Prenotazione a info@casalajolo.it o 333. 3270586.