Il Dito di Dio: Pablo Trincia racconta il disastro della Costa Concordia

Al Salone del Libro di Torino

Erano le 21:45 quando la Costa Concordia naufragava nelle acque gelide dell’ arcipelago toscano nei pressi dell’Isola del Giglio in una fredda notte del 13 gennaio del 2012, impattando contro gli scogli delle “Scole” e riportando una falla lunga 36 metri sul lato sinistro della carena.
Qualche ore dopo, il gigante marittimo- dal valore stimato di 450 milioni di euro- si inclinava sul lato di dritta, con uno sbandamento prossimo ai 90°, naufragando definitivamente a 00:42.
La Costa Concordia è stata la più grande nave della Marina Mercantile italiana, assumendo il ruolo di ammiraglia fino al 2007. Il suo ultimo viaggio era iniziato a Savona con a bordo 4.229 persone (di cui 3.216 passeggeri e 1.013 membri dell’equipaggio). La crociera “Profumo d’Agrumi” prevedeva una rotta dislocata su tutto il Mediterraneo passando da Marsiglia, Barcellona, Palma di Maiorca, Cagliari, Palermo, Civitavecchia per concludere la rotta proprio nella città di partenza, Savona.
Durante quella tragica notte di dieci anni fa, moriranno 32 persone, di cui 27 passeggeri e 5 membri dell’equipaggio diversi per età e nazionalità.
Per omaggiare e raccontare la vita e l’intreccio tragico e magico dei destini delle persone a bordo, Pablo Trincia- autore televisivo e giornalista- scrive e legge “Il dito di Dio” podcast originale Spotify. Lo abbiamo incontrato al Salone Internazionale del Libro a Torino dove ha letto e raccontato alcune storie tratte del suo ultimo libro “Romanzo di un naufragio” (Einaudi editore), sequel letterario del podcast.

Uno dei grandi protagonisti di questa tragica storia è stato l’assurdo e misterioso incrocio dei destini delle persone presenti a bordo. Quanto è stato importante questa tematica nello sviluppo narrativo del podcast prima e del libro poi?

Il destino nella storia della Costa Concordia è tutto: è lo scheletro che regge il racconto. Infatti, ogni persona che presente quella notte sulla nave, ci è finita per uno strano intreccio di date, eventi e coincidenze. Questo è l’elemento dominante della narrazone. Tutti abbiamo un destino, ma quando finisci in quelle situazioni ti domandi “perchè proprio io sono arrivato in quel posto a quella determinata ora?”.

I destini delle vite dei passeggeri della Concordia sembra essersi intrecciati anche dopo quella tragica notte. Quanto è stato complesso per te raccontare il prima e il dopo delle vite dei protagonisti – inconsapevoli – di quella tragedia?

Molto, ascoltare le vicende delle persone presenti sulla nave è stato difficile. Mi sono trovato a commuovermi più di una volta, però è anche bello quando il racconto diventa così intenso.

L’altro grande protagonista di questa storia è stato il Comandante Francesco Schettino. Hai sottolineato la difficoltà di “mettersi nei panni” di un soggetto che ha compiuto le azioni che tutti conosciamo, per garantire una lettura più oggettiva possibile. Quanto è stato complesso distaccarsi da un giudizio morale su di lui? Pensi di esserci riuscito?

Sì, penso di averlo raccontato senza giudizio ma semplicemente narrando i fatti. Non mi sono messo a giudicarlo: lo aveva già fatto un tribunale oltre che tutto il mondo. L’ho semplicemente raccontato.

Passando all’iconografia della nave (un gigante da 290,20 metri di lunghezza e da 35,5 metri di larghezza), quali sono state le tue prime sensazioni quando hai visto le immagini di quel colosso riverso sul un lato e quasi completamente naufragato nelle acque dell’Arcipelago toscano?

Faceva impressione vedere delle immagini del genere in TV perché è qualcosa che non vedi abitualmente. Quando raccontavo la storia ho sempre cercato di tenerla a mente e l’ho guardato un sacco di volte. Inoltre ho cercato tutte le fotografie possibili perché volevo raccontarla bene. E’ un’immagine fortissima ed è anche il motivo per cui questa storia è rimasta così impressa nella testa delle persone.

La tua carriera da podcaster inizia nel 2017 con “Veleno”, inchiesta realizzata con la collaborazione della giornalista Alessia Rafanelli e narrata in sette puntate.
Trovo un legame tra quella storia e questa: il tragico destino che accomuna intere famiglie e le lega definitivamente. Sembra che tu sia particolarmente legato ai racconti che hanno come protagonisti le famiglie. E’ così?

E’ una domanda molto bella perché è vero. Mi piace l’idea di raccontare i nuclei familiari perché sono il primo mondo che abbiamo intorno a noi ed la prima cerchia di cui facciamo parte. Sono ricche di persone, caratteri e comportamenti che mi affascinano. Per la stessa ragione sono appassionato dalla letteratura latino-americana che ha come protagonista intere generazioni familiari tutte legate da un filo rosso. Quindi penso di avere una particolare propensione a questa tipologia di racconto.

Valeria Rombolà

Leggi qui le ultime notizie: IL TORINESE

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Articolo Precedente

Città della Salute, costi in aumento

Articolo Successivo

Ricerca antitumorale, il Poli scende in campo

Recenti:

IL METEO E' OFFERTO DA

Auto Crocetta