CULTURA

Corconio, il lago d’Orta e “l’esilio rigeneratore” di Soldati e Bonfantini

 

Corconio è una frazione in collina di Orta San Giulio dove, tra il 1934 e il 1936, Mario Soldati e Mario Bonfantini trascorsero un lungo periodo dopo averlo scelto come luogo di volontario “esilio rigeneratore” per uscire da “storte vicende sentimentali”. Nel 1934 Mario Soldati aveva 28 anni, era già stato in America, si era sposato con Marion Rieckelman  – una sua allieva della Columbia –  e da qualche tempo scriveva sceneggiature per la Cines-Pittaluga di Roma. Ma, sfortunatamente, era incappato in Acciaio, film tratto da un soggetto di Pirandello, diretto da Walter Ruttmann: più che un insuccesso, un vero disastro. Si ritrovò licenziato, senza una lira e per di più anche un po’ sospetto agli occhi del Regime. Così prese una decisone netta, pur essendo per indole poco incline agli atti estremi: lasciò Roma e raggiunse l’amico Bonfantini a Novara e da lì,  in bicicletta, pedalando su strade sterrate e polverose “con ritmo quasi da professionisti” arrivarono al buen retiro di Corconio, stregati da panorama tra il lago, le montagne e le antiche case di pietra. Quel posto divenne il suo luogo dell’anima, del vino, delle carte : ci rimase due anni, lontano da Roma e dal cinema, in compagnia di Mario Bonfantini  (“vivendo la scrittori”) e della gente del posto. Nel racconto Un lungo momento magico lo scrittore torinese rievocò le circostanze che lo avevano spinto a cercare rifugio sul Lago d’Orta. Lo fece dopo la morte di Bonfantini, “ponendo fine al silenzio su quell’esperienza dovuto forse a quella forma di pudore cui si ricorre a volte per proteggere le cose più care”.

In quel tempo Soldati scrisse il suo primo e bellissimo libro, America primo amore, diario e racconti del giovanissimo intellettuale europeo della sua esperienza di vita negli Stati Uniti, tantissimi articoli e vari altri scritti tra cui la prima parte de La confessione. Soggiornarono all’albergo della famiglia Rigotti , quasi adottati da quella famiglia, dove Angioletta e sua sorella Annetta, la “Nitti”, mandavano avanti l’attività , perché il padre, pa’ Pédar, “badava alla campagna, alle bestie, a fare il vino, a distillare la grappa clandestina, a commerci vari, a divertirsi e battere la cavallina”. Corconio, cento abitanti allora, fu un luogo importante per Soldati e Bonfantini, in grado di offrire sorprese e meraviglie tra le pieghe più insospettabili della vita quotidiana, in prossimità del lago e sotto il “meraviglioso miraggio” del Monte Rosa. Lì condivisero con la comunità del piccolo borgo la vita, lenta e piacevole, scandita dalle partite di bocce e dalle “lunghe giornate al tavolino, ore interminabili proficue, difese e ovattate dal silenzio delle lente nebbie”. Conoscono personaggi eccentrici, ascoltando i loro racconti: il Nando, un “matto pacifico” che credeva di essere un genio della politica e si riferiva a se stesso in terza persona; il Cesarone, un uomo che aveva venduto sua moglie a un ricco capo mastro emigrato negli Stati Uniti. Insomma, fu un periodo d’incontri e di lavoro in un atmosfera dove Mario Soldati, cresciuto negli ambienti della borghesia sabauda, scoprì i valori della civiltà contadina, restandone influenzato. Soldati riconobbe l’importanza di quell’esperienza , parlando dell’antica amicizia con l’altro Mario, quando scrisse:..il momento più importante della nostra amicizia e forse anche della sua e della mia vita è tra l’autunno del 1934 e la primavera del 1936, quando il destino ci appaiò, ci assecondò nella scelta di un volontario esilio sul lago d’Orta: quell’autoconfino rigeneratore, quel delizioso paradiso perduto e ritrovato che accogliendo lui e me, Mario il vecchio e Mario il giovane, ci salvò in extremis da strazianti, estenuanti, storte vicende sentimentali e restituì l’uno e l’altro al suo vero se stesso. Fa bisogno di dire che recuperammo allora, e conservammo poi per sempre, il senso della realtà, della bellezza, della vita”. Sul finire della lunghissima parentesi romana, a metà degli anni Cinquanta, poco prima del suo “rientro al Nord”, Soldati frequentò assiduamente le zone della giovinezza come “villeggiante fuori stagione”, sul lago d’Orta e sul Maggiore, dove nacquero – ad esempio – i racconti de La Messa dei villeggianti.

A Orta e Corconio, Mario Soldati tornò anche per girare nel ’59 Orta mia, un magnifico cortometraggio della collezione Corona Cinematografica, di grande ed elegante narrazione, girato in un superbo Ferraniacolor. Già nel  1941 aveva scelto il lago per realizzarvi le scene conclusive del film Piccolo mondo antico e, successivamente, vi ambientò alcuni dei suoi Racconti del Maresciallo. Il filmato di Orta mia si chiude sulla terrazza di una vecchia osteria affacciata sul lago, richiamando il luogo che aveva accolto i due amici tanti anni prima. Per una significativa coincidenza, anche Mario Bonfantini, nel suo volume Il lago d’Orta del 1961, scelse di congedarsi dai suoi lettori con la stessa immagine di Soldati, descrivendo così l’albergo Rigotti: “Una modesta casa di belle linee dove era fino a non molti anni fa una cortese locanda: v’è chi sostiene che dalla sua lunga terrazza si gode, in ogni stagione, la più bella vista del lago”. Ora l’albergo non c’è più, ma tutto il resto è rimasto più o meno come allora. Dalla Chiesa di S. Stefano alla seicentesca villa della famiglia Bonola. La stazione , col quel rosso ferroviario dei muri sempre più smunto, da tempo è una casa privata: lì, i treni che sferragliano sulla Domodossola-Novara, non si fermano più da una vita. Ma se i muri delle case potessero parlare chissà quanti racconti avrebbe in serbo Corconio. Storie per chi sa ascoltare e non ha fretta. Come non ne avevano, a quel tempo, i due Mario.

Marco Travaglini

La Bella Estate: a Torino, un itinerario urbano sulle tracce di Cesare Pavese

 

Torino si è vestita di parole, di memoria e di emozioni per celebrare uno dei suoi figli più intensi: Cesare Pavese. Lunedì 1° luglio, nel cuore pulsante dell’estate torinese, si è svolta la passeggiata letteraria La Bella Estate, organizzato da Le Strade di Torino in collaborazione con il Circolo dei Lettori e Barneys Bar che ha condotto i partecipanti in un percorso letterario e umano, sulle tracce di Cesare Pavese. Un viaggio non da studiosi, ma da esploratori: un’esplorazione urbana fatta con il passo lento della memoria e lo sguardo acceso dalla bellezza.

Torino, per Pavese, non era solo uno sfondo: era una presenza viva, un nodo di contraddizioni. “Ed io faccio parte di una schiera, le condizioni ci sono tutte“, scriveva, dando voce a un malessere sottile, a un’esistenza che si consumava tra il desiderio di fuga e la gravità del quotidiano. E proprio su questo confine – tra adolescenza e maturità, sogno e disincanto – si muove l’itinerario costruito per raccontare il suo legame con la città.

Ogni tappa è una storia. Da Via Biancamano 2, sede della Casa Editrice Einaudi – il vero laboratorio della sua vita culturale e personale, dove traduceva autori americani e coltivava amicizie – fino al ristorante Le Tre Galline, dove amava ritrovare sapori di casa e osservare i volti, come personaggi in attesa di una pagina. Pavese aveva un’ossessione per la quotidianità: adorava gli orari fissi ma viveva in modo sregolato, cercava stabilità nei rituali, e nei gesti semplici trovava poesia.

Torino è anche la città dei suoi conflitti, quella che riappare in versi struggenti in Lavorare stanca, nella poesia Fumatori di carta, dove luogo e identità si mescolano in un rapporto d’amore e disillusione. Tra i muri del Liceo D’Azeglio, dove fu allievo di Augusto Monti e compagno di Leone Ginzburg, nasce l’intellettuale che sarà, nutrito di idealismo romantico e amicizie decisive. Natalia Ginzburg, che lo conosce bene, lo ricorda così: Era, qualche volta, molto triste: ma noi pensammo, per lungo tempo, che sarebbe guarito di quella tristezza, quando si fosse deciso a diventare adulto: perché ci pareva, la sua, una tristezza come di ragazzo – la malinconia voluttuosa e svagata del ragazzo che ancora non ha toccato la terra e si muove nel mondo arido e solitario dei sogni.”

E poi c’è il Pavese traduttore, il lettore appassionato di letteratura americana. Al Cinema Massimo passava le sue serate, incantato dalla semplicità luminosa delle cittadine d’oltreoceano. In una lettera del 1930 scrive: “Siete la meraviglia del mondo.” Per lui, i film americani erano scuola di vita, una lezione silenziosa su come affrontare il mondo. “Guardavi il film come un bimbo per la piccola emozione estetica e godevi”, scrive ne Il mestiere di vivere.

Il percorso attraversa anche i luoghi più quotidiani e umani: il Caffè Fiorio, tappa fissa delle sue giornate, dove osservava la città che scorreva per appuntarla nella memoria. O il ricordo della madre, che vende la casa di Santo Stefano Belbo – e con quel gesto, lo radica per sempre a Torino, anche se con l’anima volta alle Langhe. In chiusura le letture da Il diavolo sulle colline – uno dei tre racconti brevi che compongono La bella estate – restituiscono il cuore pulsante della sua poetica: giovani pieni di sogni e di illusioni, che si muovono in una Torino densa di attese e contraddizioni.

La passeggiata letteraria si è conclusa in un clima conviviale con un aperitivo offerto da Barney’s Bar, un momento di condivisione che ha unito parole, calici e riflessioni, suggellando l’incontro tra la città, Pavese e chi ha camminato sulle sue orme

“La Bella Estate” non è stata solo una passeggiata ma un’esperienza intima e collettiva perché, come scriveva Pavese, “ogni città è fatta di storie” – e camminare è forse il modo più autentico per ritrovarle.

Valeria Rombolà

“Terrazza Monferrato”, dove i Paesaggi sono “siderali”

Fra le suggestive colline di Langhe e Monferrato, il “Castello di Moasca” ospita l’anteprima di “Terrazza Monferrato”, nel programma di “Art Site Fest”

Dal 4 al 6 luglio

Moasca (Asti)

Dopo le importanti tappe torinesi e dintorni (fra “Palazzo Madama” e “Chiablese”, “MAO” e “Museo Egizio” fino alla “Reggia di Venaria” e alla “Palazzina di Caccia di Stupinigi”, per non dimenticare il “Castello di Racconigi”, quello di “Masino” e il “Gamba” di Chatillon) “Art Site Fest” approda, alla sua XI edizione, da venerdì 4 a domenica 6 luglio, all’astigiano trecentesco “Castello di Moasca”, nello scenario mozzafiato di paesaggi unici (fra Langhe e Monferrato) non per nulla dichiarati “Patrimonio Mondiale dell’Umanità – Unesco”. Direttore artistico e ideatore dell’evento, Domenico Maria Papa (curatore e noto critico d’arte) che ha idee ben precise sugli obiettivi della sua creatura: “Obiettivo primo di ‘Art Site Fest’ ha da essere sempre – precisa – quello di portare l’arte contemporanea nei luoghi della storia, della natura e dell’impresa, creando una connessione col territorio, intrecciando il proprio programma con le attività locali, permeando così il tessuto sociale in un’interessante connessione di scambio civico e culturale”.

“Paesaggi siderali”, il tema del primo appuntamento “moaschese” che va ad unire quanto programmato sul piano della proposta artistica al tradizionale evento “Nero di stelle”, promosso dal “Comune di Moasca”, che ormai da anni dedica agli amanti del “buon vino” e dell’“astronomia” una “notte magica”, il primo sabato del mese di luglio.

Su questa linea, il “Castello di Moasca” si animerà per tre giorni con un ricco calendario di iniziative, prime fra tutte quelle dedicate all’arte. “Abbiamo chiesto ad artisti di grande esperienza e curriculum internazionale – ancora Domenico Maria Papa – di immaginare un intervento ‘site specific’ tra le mura del Castello e nei suoi dintorni”. Il primo selezionato è l’intervento dell’artista argentina (oggi residente a Milano) Elizabeth Aro, dedicato a Davide Lajolo (il celebre “partigiano Ulisse” da Vinchio d’Asti), che a questi paesaggi ha rivolto sempre pagine memorabili, ricolme d’intenso amore e poesia. La “Torre” del Castello ospiterà infatti la creazione “site specific” di Aro, concretizzatasi in una fantasiosa trama di luci e neon a unire “in un unico fregio”, le colline circostanti la Torre. “Mi scoprii nell’anima”, il titolo dell’opera, concepita – attraverso il disegno, il vetro e il led – proprio come omaggio al grande Lajolo, scrittore, politico e giornalista, nonché appassionato collezionista d’arte. Sottolinea la stessa artista, presente con una sua personale, “Paesaggi siderali”, anche nella Sala espositiva del “Castello” con nove opere legate al tema del “paesaggio” e dell’“universo”: “Mi avvicino al paesaggio attraverso l’opera di Davide Lajolo. Lui aveva un rapporto profondamente intimo, quasi simbiotico, con il paesaggio delle colline del Monferrato. Cerco quindi di immedesimarmi con il suo sguardo e di vedere la terra non solo come sfondo ma come presenza viva, carica di memoria, capace di illuminare la vita interiore degli uomini”.

Oltre alla proposta artistica, inaugurata con l’esposizione delle opere di Elizabeth Aro, il fine settimana al “Castello” non lesinerà al pubblico svariati e piacevoli altri appuntamenti, passando dalle più eterogenee proposte musicali alle degustazioni enogastronomiche(con indimenticabili prodotti del territorio), fino a sessioni di “meditazione yoga” e a curiosi incontri, come quello di sabato 5 luglio, alle 11, con il biologo e giornalista scientifico Danilo Zagaria che dialogherà con Domenico Maria Papa sull’improbabile possibilità di “coltivare viti” nientemeno che sul “Pianeta rosso”.

Da segnalare ancora, domenica 6 luglio (ore 13), al Ristorante del Castello “Tra la terra e il cielo”, il tradizionale pranzo a tema “Nero di stelle” a cura dello chef Filippo Maria Oliviero; a seguire in serata (ore 18) nella “piazza del Catello”, lo spettacolo teatrale “Ai signori della terra”  interpretato dall’attrice, doppiatrice e scrittrice torinese Eleni Molos, accompagnata dalle musiche dell’estroso trio dei “Futurarkestra”.

Per tutta la giornata di domenica 6 luglio, il “Castello di Moasca”  ospiterà inoltre (pensate un po’!) la prima tappa della “Tiramisù World Cup” della “Monferrato Selection”, ove appassionati del dolce al cucchiaio più famoso al mondo si contenderanno l’accesso alle “Semifinali” della competizione.

Per info più dettagliate sul programma: “Castello di Moasca”, piazza Castello, Moasca (Asti); tel. 0141/1800739 o www.comune.moasca.at.it

g.m.

Nelle foto: Il Castello di Moasca (visto dall’alto); Elizabeth Aro (Photo Credit Chiara Ferrandi); Elizabeth Aro “Mi scoprii nell’anima” (particolare); Eleni Molos

Gli appuntamenti della settimana nei musei della Fondazione

Fondazione Torino Musei

 

VENERDI 4 LUGLIO

 

Venerdì 4 luglio ore 11:00

CERIMONIA DI INTITOLAZIONE DEL GIARDINO ADIACENTE LA GALLERIA D’ARTE MODERNA DI TORINO

A RICORDO DI GIOVANNA CATTANEO INCISA

A cura della Presidenza del Consiglio comunale della Città di Torino

Info: Ufficio Stampa Consiglio Comunale
email: ufficiostampa.consiglio@comune.torino.it

 

SABATO 5 LUGLIO

 

Sabato 5 luglio ore 14

COME UN CILIEGIO IN FIORE

MAO – Visita alla collezione Asia Orientale (Giappone, Corea) e laboratorio di arte effimera a cura di Cristina Agosta (Cooperativa Mirafiori)

Dai 14 anni in su

In Giappone il 7 luglio ricorre la festa di Tanabata, o Festa delle Stelle Innamorate, che celebra il ricongiungimento una volta l’anno, nella settima notte del settimo mese, fra la Principessa Tessitrice Orihime (Vega) e il Mandriano Hikoboshi (Altair), occasione durante la quale si esprimono i propri desideri affidandoli a strisce di carta colorata (tanzaku) da appendere ai rami dei bambù.

Ispirati da questa antica leggenda, sabato 5 e domenica 6 luglio, si propongono due pomeriggi di attività con workshop e visite guidate dedicate all’arte giapponese nelle sue molteplici manifestazioni in esposizione negli spazi del museo.

Al termine di ciascuna iniziativa di domenica 6 luglio, i visitatori saranno invitati a partecipare attivamente alla festività annotando i propri desideri su dei foglietti predisposti per l’occasione che potranno portare via al termine dell’attività.

 

Mujō “impermanenza”, concezione di derivazione buddhista pervasiva nell’arte giapponese in cui si manifesta la consapevolezza della transitorietà dell’esistenza declinata in innumerevoli sfumature diverse.
Alcune opere della collezione permanente e una selezione di dipinti coreani dell’esposizione Adapted Sceneries saranno elementi centrali nell’argomentazione della visita, mirata a illustrare come la percezione della caducità si traduca nei materiali utilizzati nella scultura religiosa e nell’architettura tradizionale giapponese, nella sensibilità nei confronti della bellezza fugace della natura e negli ideali estetici che la celebrano, o ancora nelle rappresentazioni della vivace vita culturale del mutevole “mondo fluttuante” delle stampe ukiyo-e.

Segue il laboratorio a cura di Cristina Agosta, un’esperienza artistica in cui i partecipanti saranno guidati nella realizzazione di un’opera d’arte effimera, a partire da un disegno su carta preparato per l’occasione dall’artista, mediante l’impiego di sali colorati con cui si andrà a comporre un’immagine ispirata ai capolavori della collezione del museo e alle tradizioni culturali approfondite nel corso della visita.
La creazione artistica che ne risulterà sarà nella sua essenza temporanea, concluderà il workshop un momento di contemplazione del risultato finale a cui seguirà la scomposizione del progetto.
Al termine dell’attività, a ricordo dell’esperienza artistica condivisa, ogni partecipante potrà portare con sé una piccola quantità del sale utilizzato, all’interno di contenitori in carta confezionati in precedenza dall’artista con la tecnica dell’origami.

Si consiglia di indossare vestiti comodi e facilmente lavabili o di partecipare muniti di grembiule per evitare di sporcarsi durante l’attività di laboratorio.

Cristina Agosta, esperta culturale dell’Asia orientale, ha conseguito la laurea specialistica in Scienze Storiche e Orientalistiche presso l’Università Alma Mater di Bologna. È, inoltre, artista infioratrice di lunga esperienza impegnata da diversi anni nella realizzazione di bozzetti di arte effimera per l’Associazione Culturale Petali d’Arte di Noto, città siciliana in cui la manifestazione dell’Infiorata si tiene ogni terza domenica di maggio da più di 40 anni. In qualità di artista, ha contribuito all’ideazione, al coordinamento e alle performance artistiche di numerosi progetti con l’impiego di sale colorato e altri tipi di materiali naturali (fiori, semi, terra), nello spirito della bellezza destinata a svanire in breve tempo.

Prenotazione obbligatoria. L’iniziativa verrà attivata al raggiungimento di un numero minimo di partecipanti, fino ad esaurimento posti disponibili. Informazioni e prenotazioni: 011.5211788 – prenotazioniftm@arteintorino.com (da lunedì a domenica 9.30 – 17.30).

Costo: 20€ a partecipante

Costi aggiuntivi: biglietto di ingresso alle collezioni permanenti; ingresso gratuito per possessori di Abbonamento Musei Torino Piemonte.

Appuntamento 15 minuti prima dell’inizio.

SABATO 5 LUGLIO

 

Sabato 5 luglio ore 14

COME UN CILIEGIO IN FIORE

MAO – Visita alla collezione Asia Orientale (Giappone, Corea) e laboratorio di arte effimera a cura di Cristina Agosta (Cooperativa Mirafiori)

Dai 14 anni in su

In Giappone il 7 luglio ricorre la festa di Tanabata, o Festa delle Stelle Innamorate, che celebra il ricongiungimento una volta l’anno, nella settima notte del settimo mese, fra la Principessa Tessitrice Orihime (Vega) e il Mandriano Hikoboshi (Altair), occasione durante la quale si esprimono i propri desideri affidandoli a strisce di carta colorata (tanzaku) da appendere ai rami dei bambù.

Ispirati da questa antica leggenda, sabato 5 e domenica 6 luglio, si propongono due pomeriggi di attività con workshop e visite guidate dedicate all’arte giapponese nelle sue molteplici manifestazioni in esposizione negli spazi del museo.

Al termine di ciascuna iniziativa di domenica 6 luglio, i visitatori saranno invitati a partecipare attivamente alla festività annotando i propri desideri su dei foglietti predisposti per l’occasione che potranno portare via al termine dell’attività.

 

Mujō “impermanenza”, concezione di derivazione buddhista pervasiva nell’arte giapponese in cui si manifesta la consapevolezza della transitorietà dell’esistenza declinata in innumerevoli sfumature diverse.
Alcune opere della collezione permanente e una selezione di dipinti coreani dell’esposizione Adapted Sceneries saranno elementi centrali nell’argomentazione della visita, mirata a illustrare come la percezione della caducità si traduca nei materiali utilizzati nella scultura religiosa e nell’architettura tradizionale giapponese, nella sensibilità nei confronti della bellezza fugace della natura e negli ideali estetici che la celebrano, o ancora nelle rappresentazioni della vivace vita culturale del mutevole “mondo fluttuante” delle stampe ukiyo-e.

Segue il laboratorio a cura di Cristina Agosta, un’esperienza artistica in cui i partecipanti saranno guidati nella realizzazione di un’opera d’arte effimera, a partire da un disegno su carta preparato per l’occasione dall’artista, mediante l’impiego di sali colorati con cui si andrà a comporre un’immagine ispirata ai capolavori della collezione del museo e alle tradizioni culturali approfondite nel corso della visita.
La creazione artistica che ne risulterà sarà nella sua essenza temporanea, concluderà il workshop un momento di contemplazione del risultato finale a cui seguirà la scomposizione del progetto.
Al termine dell’attività, a ricordo dell’esperienza artistica condivisa, ogni partecipante potrà portare con sé una piccola quantità del sale utilizzato, all’interno di contenitori in carta confezionati in precedenza dall’artista con la tecnica dell’origami.

Si consiglia di indossare vestiti comodi e facilmente lavabili o di partecipare muniti di grembiule per evitare di sporcarsi durante l’attività di laboratorio.

Cristina Agosta, esperta culturale dell’Asia orientale, ha conseguito la laurea specialistica in Scienze Storiche e Orientalistiche presso l’Università Alma Mater di Bologna. È, inoltre, artista infioratrice di lunga esperienza impegnata da diversi anni nella realizzazione di bozzetti di arte effimera per l’Associazione Culturale Petali d’Arte di Noto, città siciliana in cui la manifestazione dell’Infiorata si tiene ogni terza domenica di maggio da più di 40 anni. In qualità di artista, ha contribuito all’ideazione, al coordinamento e alle performance artistiche di numerosi progetti con l’impiego di sale colorato e altri tipi di materiali naturali (fiori, semi, terra), nello spirito della bellezza destinata a svanire in breve tempo.

Prenotazione obbligatoria. L’iniziativa verrà attivata al raggiungimento di un numero minimo di partecipanti, fino ad esaurimento posti disponibili. Informazioni e prenotazioni: 011.5211788 – prenotazioniftm@arteintorino.com (da lunedì a domenica 9.30 – 17.30).

Costo: 20€ a partecipante

Costi aggiuntivi: biglietto di ingresso alle collezioni permanenti; ingresso gratuito per possessori di Abbonamento Musei Torino Piemonte.

Appuntamento 15 minuti prima dell’inizio.

Sabato 5 luglio ore 17

VISITATE L’ITALIA! MARKETING E BRAND, DAL PRIMO NOVECENTO A OGGI

Palazzo Madama – Conferenza nell’ambito della mostra Visitate l’Italia!

Sala Feste

Sabato 5 luglio 2025, alle ore 17, la Sala delle Feste di Palazzo Madama a Torino ospita l’incontro “Visitate l’Italia! Marketing e brand, dal primo Novecento a oggi”, un’occasione per riflettere sull’evoluzione delle strategie comunicative nel turismo e nella cultura, partendo dai materiali esposti nella mostra “Visitate l’Italia! Promozione e pubblicità turistica 1900-1950”, visitabile fino al 25 agosto 2025.

Protagonista dell’incontro sarà il professor Romano Cappellari, docente di Marketing e Retailing all’Università degli Studi di Padova, direttore del Major in Retail Management della Luiss Business School a Milano e autore del libro “Marketing e brand activism” (Carocci editore), che verrà presentato e discusso come chiave per comprendere come i brand abbiano assunto un ruolo sempre più centrale nella società contemporanea, diventando generatori di contenuti culturali, agenti di cambiamento sociale e interpreti dei linguaggi del nostro tempo. Con lui dialogheranno Jacopo Bulgarini d’Elci, progettista culturale e direttore di Mondoserie.it, autore del video presente nella mostra torinese, che racconta attraverso immagini e riprese dell’archivio Luce 30 anni di evoluzione del turismo in Italia. E Claudio Bertorelli, fondatore di Aspro Studio, paesaggista, esperto di masterplan territoriali e autore del diario critico “Alpi per lungo”, di prossima uscita nel volume collettaneo “Viaggio nella piattaforma alpina in divenire”, scritto in presa diretta durante le tappe alpine della Mille Miglia, in luoghi protagonisti del percorso di “Visitate l’Italia!”.

L’incontro mette in dialogo due epoche: da un lato, quella pionieristica documentata nella mostra di Palazzo Madama, in cui un nuovo turismo prende forma grazie al lavoro di grandi illustratori come Marcello Dudovich, Mario Puppo e Leopoldo Metlicovitz. Dall’altro, il presente, in cui – come spiega il libro di Cappellari – le strategie dei brand globali ridefiniscono il marketing come narrazione culturale e attivismo, in una continua contaminazione tra promozione, estetica e identità. Dalla direzione creativa di Pharrell Williams per Louis Vuitton alla relazione tra Barbie e Birkenstock, dai “casi” Patagonia e Tesla all’apertura dei Dior Restaurant, il marketing contemporaneo si muove tra celebrity, protagonismo politico, estetica, metaverso e gaming, trasformando profondamente la relazione tra impresa e pubblico.

Relatori:

  • Romano Cappellari – autore del libro Marketing e brand activism, Università di Padova e Luiss Business School
  • Jacopo Bulgarini d’Elci – direttore di Mondoserie.it, curatore del video di mostra
  • Claudio Bertorelli – paesaggista, autore di “Alpi per lungo” ed esperto di progettazione territoriale

Ingresso libero fino a esaurimento posti

 

DOMENICA 6 LUGLIO

 

Domenica 6 luglio ore 16.30

VISITA ALLA COLLEZIONE PERMANENTE – GIAPPONE

MAO – Visita alla collezione Asia Orientale (Giappone, Corea) e laboratorio di arte effimera a cura di Cristina Agosta (Cooperativa Mirafiori)

Dai 14 anni in su

In Giappone il 7 luglio ricorre la festa di Tanabata, o Festa delle Stelle Innamorate, che celebra il ricongiungimento una volta l’anno, nella settima notte del settimo mese, fra la Principessa Tessitrice Orihime (Vega) e il Mandriano Hikoboshi (Altair), occasione durante la quale si esprimono i propri desideri affidandoli a strisce di carta colorata (tanzaku) da appendere ai rami dei bambù.
Ispirati da questa antica leggenda, sabato 5 e domenica 6 luglio, si propongono due pomeriggi di attività con workshop e visite guidate dedicate all’arte giapponese nelle sue molteplici manifestazioni in esposizione negli spazi del museo.

Al termine di ciascuna iniziativa di domenica 6 luglio, i visitatori saranno invitati a partecipare attivamente alla festività annotando i propri desideri su dei foglietti predisposti per l’occasione che potranno portare via al termine dell’attività.

Le sale espositive del MAO ospitano molteplici declinazioni della sensibilità artistica giapponese apprezzabile, in particolare, nella lavorazione del legno con cui sono realizzate le statue di ispirazione buddhista che trasmettono la spiritualità della tradizione scultorea giapponese, nei riflessi della foglia d’oro sulla superficie dei grandi paraventi dipinti, nei colori intensi delle xilografie ukiyo-e che ci portano in viaggio nelle cinquantatré stazioni della Tōkaidō del periodo Edo, nell’ “eco di luce” irradiato dall’interno dell’installazione Flying Kodama realizzata dall’architetto giapponese Kengo Kuma come elemento sospeso nell’androne del museo.

Il percorso guidato condurrà i visitatori in un affascinante appuntamento di approfondimento incentrato sulle tradizioni artistiche del Giappone presentate al MAO, dove recenti rotazioni conservative e nuovi contributi rinnovano l’esperienza di visita.

Visite guidate a cura di Cooperativa Sociale Mirafiori.

Prenotazione consigliata, disponibilità fino ad esaurimento posti. Informazioni e prenotazioni: 011.5211788 – prenotazioniftm@arteintorino.com (da lunedì a domenica 9.30 -17.30).

Costo: 7€ a partecipante

Costi aggiuntivi: biglietto di ingresso alle collezioni permanenti; gratuito per possessori di Abbonamento Musei Torino Piemonte.

Appuntamento 15 minuti prima dell’inizio

Sala Feste

Sabato 5 luglio 2025, alle ore 17, la Sala delle Feste di Palazzo Madama a Torino ospita l’incontro “Visitate l’Italia! Marketing e brand, dal primo Novecento a oggi”, un’occasione per riflettere sull’evoluzione delle strategie comunicative nel turismo e nella cultura, partendo dai materiali esposti nella mostra “Visitate l’Italia! Promozione e pubblicità turistica 1900-1950”, visitabile fino al 25 agosto 2025.

Protagonista dell’incontro sarà il professor Romano Cappellari, docente di Marketing e Retailing all’Università degli Studi di Padova, direttore del Major in Retail Management della Luiss Business School a Milano e autore del libro “Marketing e brand activism” (Carocci editore), che verrà presentato e discusso come chiave per comprendere come i brand abbiano assunto un ruolo sempre più centrale nella società contemporanea, diventando generatori di contenuti culturali, agenti di cambiamento sociale e interpreti dei linguaggi del nostro tempo. Con lui dialogheranno Jacopo Bulgarini d’Elci, progettista culturale e direttore di Mondoserie.it, autore del video presente nella mostra torinese, che racconta attraverso immagini e riprese dell’archivio Luce 30 anni di evoluzione del turismo in Italia. E Claudio Bertorelli, fondatore di Aspro Studio, paesaggista, esperto di masterplan territoriali e autore del diario critico “Alpi per lungo”, di prossima uscita nel volume collettaneo “Viaggio nella piattaforma alpina in divenire”, scritto in presa diretta durante le tappe alpine della Mille Miglia, in luoghi protagonisti del percorso di “Visitate l’Italia!”.

L’incontro mette in dialogo due epoche: da un lato, quella pionieristica documentata nella mostra di Palazzo Madama, in cui un nuovo turismo prende forma grazie al lavoro di grandi illustratori come Marcello Dudovich, Mario Puppo e Leopoldo Metlicovitz. Dall’altro, il presente, in cui – come spiega il libro di Cappellari – le strategie dei brand globali ridefiniscono il marketing come narrazione culturale e attivismo, in una continua contaminazione tra promozione, estetica e identità. Dalla direzione creativa di Pharrell Williams per Louis Vuitton alla relazione tra Barbie e Birkenstock, dai “casi” Patagonia e Tesla all’apertura dei Dior Restaurant, il marketing contemporaneo si muove tra celebrity, protagonismo politico, estetica, metaverso e gaming, trasformando profondamente la relazione tra impresa e pubblico.

Relatori:

  • Romano Cappellari – autore del libro Marketing e brand activism, Università di Padova e Luiss Business School
  • Jacopo Bulgarini d’Elci – direttore di Mondoserie.it, curatore del video di mostra
  • Claudio Bertorelli – paesaggista, autore di “Alpi per lungo” ed esperto di progettazione territoriale

Ingresso libero fino a esaurimento posti

 

DOMENICA 6 LUGLIO

 

Domenica 6 luglio ore 16.30

VISITA ALLA COLLEZIONE PERMANENTE – GIAPPONE

MAO – Visita alla collezione Asia Orientale (Giappone, Corea) e laboratorio di arte effimera a cura di Cristina Agosta (Cooperativa Mirafiori)

Dai 14 anni in su

In Giappone il 7 luglio ricorre la festa di Tanabata, o Festa delle Stelle Innamorate, che celebra il ricongiungimento una volta l’anno, nella settima notte del settimo mese, fra la Principessa Tessitrice Orihime (Vega) e il Mandriano Hikoboshi (Altair), occasione durante la quale si esprimono i propri desideri affidandoli a strisce di carta colorata (tanzaku) da appendere ai rami dei bambù.
Ispirati da questa antica leggenda, sabato 5 e domenica 6 luglio, si propongono due pomeriggi di attività con workshop e visite guidate dedicate all’arte giapponese nelle sue molteplici manifestazioni in esposizione negli spazi del museo.

Al termine di ciascuna iniziativa di domenica 6 luglio, i visitatori saranno invitati a partecipare attivamente alla festività annotando i propri desideri su dei foglietti predisposti per l’occasione che potranno portare via al termine dell’attività.

Le sale espositive del MAO ospitano molteplici declinazioni della sensibilità artistica giapponese apprezzabile, in particolare, nella lavorazione del legno con cui sono realizzate le statue di ispirazione buddhista che trasmettono la spiritualità della tradizione scultorea giapponese, nei riflessi della foglia d’oro sulla superficie dei grandi paraventi dipinti, nei colori intensi delle xilografie ukiyo-e che ci portano in viaggio nelle cinquantatré stazioni della Tōkaidō del periodo Edo, nell’ “eco di luce” irradiato dall’interno dell’installazione Flying Kodama realizzata dall’architetto giapponese Kengo Kuma come elemento sospeso nell’androne del museo.

Il percorso guidato condurrà i visitatori in un affascinante appuntamento di approfondimento incentrato sulle tradizioni artistiche del Giappone presentate al MAO, dove recenti rotazioni conservative e nuovi contributi rinnovano l’esperienza di visita.

Visite guidate a cura di Cooperativa Sociale Mirafiori.

Prenotazione consigliata, disponibilità fino ad esaurimento posti. Informazioni e prenotazioni: 011.5211788 – prenotazioniftm@arteintorino.com (da lunedì a domenica 9.30 -17.30).

Costo: 7€ a partecipante

Costi aggiuntivi: biglietto di ingresso alle collezioni permanenti; gratuito per possessori di Abbonamento Musei Torino Piemonte.

Appuntamento 15 minuti prima dell’inizio

Le sere torinesi di Gozzano: la malinconica poesia del quotidiano

Solo Gozzano è riuscito a descrivere Torino come in effetti è. Il poeta parla della sua città natale con una splendida ironia malinconica, prendendola un po’ in giro, ma con garbo e con affetto, esaltandone i caratteri sommessi, le cose quotidiane; del nostro capoluogo sottolinea l’anima altezzosa ed elegante, intellettuale e civettuola, riuscendo a far emergere i tratti che ne contraddistinguono la bellezza e l’unicità, nel presente e nei suoi aspetti “d’altri tempi” con un gusto da stampa antica.

Nel componimento “ Le golose”, Gozzano considera un semplice momento di vita quotidiana, elevandolo a situazione poetica: in questo caso Guido, grazie alla sua vena brillante e ironica, gioca a descrivere il comportamento delle “giovani signore” torinesi all’interno di Baratti, uno dei bar storici della città. Le “signore e signorine”, che subito riusciamo ad immaginarci tutte imbellettate, con tanto di cappellino e veletta, non resistono alla tentazione di assaporare un pasticcino, e, davanti alla invitante vetrina dei dolciumi, indicano con il dito affusolato al cameriere quello che hanno scelto, e poi lo “divorano” in un sol boccone.

È un momento qualsiasi, è l’esaltazione del quotidiano che cela l’essenza delle cose. Nella poesia citata l’eleganza torinese è presa alla sprovvista, colta in flagrante mentre si tramuta in semplice golosità. Ma Gozzano sfalsa i piani e costringe il lettore a seguirlo nel suo ironizzare continuo, quasi non prendendo mai niente sul serio, ma facendo riflettere sempre sulla verità di ciò che asserisce. Se con “Le golose” Guido si concentra su una specifica situazione, con la poesia “Torino”, dimostra apertamente tutto il suo amore per il luogo in cui è venuto alla luce.
Guido Gozzano nasce il 19 dicembre 1883 a Torino, in Via Bertolotti 3, vicino a Piazza Solferino. È poeta e scrittore ed il suo nome è associato al Crepuscolarismo – di cui è il massimo esponente – all’interno della corrente letteraria del Decadentismo. Inizialmente si dedica all’emulazione della poesia dannunziana, in seguito, anche per l’influenza della pascoliana predilezione per le piccole cose e l’umile realtà campestre, e soprattutto attratto da poeti stranieri come Maeterlinck e Rodenback, si avvicina alla cerchia dei poeti intimisti, poi denominati “crepuscolari”, amanti di una dizione quasi a mezza voce. Gozzano muore assai giovane, a soli trentadue anni, a causa di quello che una volta era definito “mal sottile”, ossia la tubercolosi polmonare. Per questo motivo Guido alterna alla elegante vita torinese soggiorni al mare, alla ricerca di aria più mite, (“tentare cieli più tersi”), soprattutto in Liguria, Nervi, Rapallo, San Remo, e anche in montagna. Un estremo tentativo di cura di tale malattia porta Guido a intraprendere nel 1912, tra febbraio e aprile, un viaggio in India, nella speranza che il clima di quel Paese possa migliorare la sua situazione, pur nella triste consapevolezza dell’inevitabile fine (“Viaggio per fuggire altro viaggio”): il soggiorno non migliora la sua salute, ma lo porta a scrivere molto.

Al ritorno redige su vari giornali, tra cui La Stampa di Torino, alcuni testi in prosa dedicati al viaggio recente, che verranno poi pubblicati postumi nel volume “Verso la cuna del mondo” (1917). A parte l’ampio poema in endecasillabi sciolti, le “Farfalle”, essenziali per comprendere la nuova poesia di Gozzano sono le raccolte di versi “La via del rifugio” (1907) e “I colloqui” (1911), il suo libro più importante. Questo è composto da ventiquattro componimenti in metri diversi, legati tra loro da una comune tematica e da un ritmo narrativo colloquiale, con, sullo sfondo, un giovanile desiderio di felicità e di amore e una struggente velatura romantica. Intanto il poeta scopre la presenza quotidiana della malattia (“mio cuore monello giocondo che ride pur anco nel pianto”), della incomunicabilità amorosa, della malinconia. Egli ama ormai le vite appartate, le stampe d’altri tempi, gli interni casalinghi, ma, dopo aver esaltato le patetiche suppellettili del “salotto buono” piccolo borghese di nonna Speranza con “i fiori in cornice e le scatole senza confetti, / i frutti di marmo protetti dalla campana di vetro”, non esita a definirle “buone cose di pessimo gusto”. Di contro al poeta vate dannunziano, all’attivismo, alla mitologia dei superuomini e delle donne fatali, egli oppone la banale ovvietà quotidiana, alla donna-dea oppone “cuoche”, “crestaie” (“sognò pel suo martirio attrici e principesse, / ed oggi ha per amante la cuoca diciottenne”), alla donna intellettuale contrappone una donna di campagna (“sei quasi brutta, priva di lusinga/ …e gli occhi fermi e l’iridi sincere/, azzurre d’un azzurro di stoviglia”). Si tratta di Felicita che, con la sua dimessa “faccia buona e casalinga” , gli è parsa, almeno per un momento, l’unico mezzo per riscattarsi dalla complicazione estetizzante.

Eppure non vi è adesione a questo mondo, mondo creato e nel contempo dissolto, visto in controluce con la consapevolezza che a quel rifugio di ingenuità provinciale il poeta non sa ne può aderire e, tra sorriso, affetto e vigile disposizione ironica, si atteggia a “buon sentimentale giovane romantico”, per aggiungere subito dopo: “quello che fingo d’essere e non sono”.
Oltre che per questa nuova e demistificante concezione della poesia, l’importanza di Gozzano è notevole anche sul piano formale: “egli è il primo che abbia dato scintille facendo cozzare l’aulico col prosaico” (osserva Montale), e che, con sorridente ironia, riesca a far rimare “Nietzscke” con “camicie”. Gozzano piega il linguaggio alto a toni solo apparentemente prosastici. In realtà i moduli stilistici sono estremamente raffinati. E la sua implacabile ironia non è altro che una difesa dal rischio del sentimentalismo. La consapevolezza ironica abbraccia tutto il suo mondo poetico, le sue parole, i suoi atteggiamenti, i suoi gesti.

Avviciniamoci ancor di più al letteratissimo poeta torinese disincantato e amabile, e cerchiamo di approfondire il suo contesto familiare. Guido nasce da una buona famiglia borghese.
Il Dottor Carlo Gozzano, nonno di Guido, amico di Massimo D’Azeglio, appassionato di letteratura romantica del suo tempo, presta servizio come medico nella guerra di Crimea. Carlo Gozzano, borghese benestante, possiede ampie terre nel Canavese. Il figlio di Carlo, Fausto, ingegnere, porta avanti la costruzione della ferrovia canavesana che congiunge Torino con le Valli del Canavese. Fausto si sposa due volte, dalla prima moglie ha cinque figli; dopo la morte della prima consorte, Fausto incontra nel 1877 la bella diciannovenne alladiese Diodata Mautino, che sposa e dalla quale ha altri figli, tra cui Guido. La donna ha un temperamento d’artista, ama il teatro e si diletta nella recitazione, ed è altresì la figlia del senatore Massimo, un ricco possidente terriero, proprietario della villa del Meleto, ad Agliè (la villa prediletta dal poeta).

Guido frequenta dapprima la scuola elementare dei Barnabiti, poi la «Cesare Balbo», avvalendosi anche dell’aiuto di un’insegnante privata, poiché il piccolo scolaro è tutt’altro che ligio al dovere.
Da ragazzo viene iscritto nel 1895 al Ginnasio-Liceo Classico Cavour di Torino, ma la sua svogliatezza non lo abbandona, egli viene bocciato e mandato a recuperare in un collegio di Chivasso; ritorna a studiare nella sua Torino nel 1898, poco tempo prima della morte del padre, avvenuta nel 1900 a causa di una polmonite. Le difficoltà scolastiche del futuro poeta lo costringono a cambiare scuola ancora due volte, finché nel 1903 consegue finalmente la maturità al Collegio Nazionale di Savigliano. Le vicissitudini tribolanti degli anni liceali sono ben raccontate da Guido all’amico e compagno di scuola Ettore Colla, scritti in cui si evince che il giovane è decisamente più interessato alle “monellerie” che allo studio.

Nel 1903 vengono anche pubblicati sulla rivista torinese “Il venerdì della Contessa” alcuni versi di Gozzano, di stampo decisamente dannunziano (qualche anno dopo, in un componimento del 1907 “L’altro” il poeta ringrazia Dio che – dichiara – avrebbe potuto “invece che farmi Gozzano /un po’ scimunito ma greggio / farmi gabrieldannunziano /sarebbe stato ben peggio!”). Guido si iscrive poi alla Facoltà di Legge, ma nella realtà dei fatti frequenta quasi esclusivamente i corsi di letteratura di Arturo Graf. Il Professore fa parte del circolo “Società della cultura”, la cui sede si trovava nella Galleria Nazionale di via Roma, (poi spostatosi in via Cesare Battisti); anche il giovane Gozzano entra nel gruppo. Tra i frequentatori di tale Società, nata con lo scopo di far conoscere le pubblicazioni letterarie più recenti, di presentarle in sale di lettura o durante le conferenze, vi sono il critico letterario e direttore della Galleria d’Arte Moderna Enrico Thovez, gli scrittori Massimo Bontempelli, Giovanni Cena, Francesco Pastonchi, Ernesto Ragazzoni, Carola Prosperi, il filologo Gustavo Balsamo Crivelli e i professori Zino Zini e Achille Loria; anche Pirandello vi farà qualche comparsa. Nell’immediato dopoguerra vi parteciperanno Piero Gobetti, Lionello Venturi e Felice Casorati.

Gozzano diviene il capo di una “matta brigada” di giovani, secondo quanto riportato dall’amico e giornalista Mario Bassi, formata tra gli altri dai letterati Carlo Calcaterra, Salvator Gotta, Attilio Momigliano, Carlo Vallini, Mario Dogliotti divenuto poi Padre Silvestro, benedettino a Subiaco e dal giornalista Mario Vugliano.
Va tuttavia ricordato che per Guido quel circolo è soprattutto occasione di conoscenze che gli torneranno utili per la promozione dei suoi versi, egli stesso così dice “La Cultura! quando me ne parli, sento l’odore di certe fogne squartate per i restauri”. Con il passare del tempo, matura lentamente in lui una più attenta considerazione dei valori poetici della scrittura, anche grazie (ma non solo) allo studio dei moderni poeti francesi e belgi, come Francis Jammes, Maurice Maeterlinck, Jules Laforgue, Georges Rodenbach e Sully Prudhomme.
Da ricordare è anche la tormentata vicenda amorosa (1907-1909) tra Gozzano e la nota poetessa Amalia Guglielminetti, una storia destinata alla consunzione, caratterizzata da momenti di estrema tenerezza e molti altri di pena e dolore.

Ma torniamo a Torino, la sua città natale, la amata Torino, che è sempre nei suoi pensieri: “la metà di me stesso in te rimane/ e mi ritrovo ad ogni mio ritorno”. Torino raccoglie tutti i suoi ricordi più mesti, ma è anche l’ambiente concreto ed umano al quale egli sente di appartenere. Accanto alla Torino a lui contemporanea, (“le dritte vie corrusche di rotaie”), appare nei suoi scritti una Torino dei tempi antichi, un po’ polverosa che suscita nel poeta accenti lirici carichi di nostalgia. “Non soffre. Ama quel mondo senza raggio/ di bellezza, ove cosa di trastullo/ è l’Arte. Ama quei modi e quel linguaggio/ e quell’ambiente sconsolato e brullo.” Con tali parole malinconiche Gozzano parla di Torino, e richiama alla memoria “certi salotti/ beoti assai, pettegoli, bigotti” che tuttavia sono cari al per sempre giovane scrittore. “Un po’ vecchiotta, provinciale, fresca/ tuttavia d’un tal garbo parigino”, questa è la Torino di Gozzano, e mentre lui scrive è facile immaginare il Po che scorre, i bei palazzi del Lungo Po che si specchiano nell’acqua in movimento, la Mole che svetta su un cielo che difficilmente è di un azzurro limpido.
Il poeta fa riferimento alle “sere torinesi” e descrive così il momento che lui preferisce, il tramonto, quando la città diventa una “stampa antica bavarese”, il cielo si colora e le montagne si tingono di rosso, (“Da Palazzo Madama al Valentino /ardono l’Alpi tra le nubi accese”), e pare di vederlo il “nostro” poeta, mentre si aggira per le vie affollate di dame con pellicce e cappelli eleganti, e intanto il giorno volge al termine e tutti fanno ritorno a casa.

Gozzano, da buon torinese, conosce bene la “sua” e la “nostra” Torino, di modeste dimensioni per essere una grande metropoli, e troppo caotica per chi è abituato ai paesi della cintura, un po’ barocca, un po’ liberty e un po’ moderna, stupisce sempre gli “stranieri” per i “controviali” e i modi di dire. Torino è un po’ grigia ed elegante, per le vie del centro c’è un costante vociare, ma è più un chiacchiericcio da sala da the che un brusio da centro commerciale, è piccola ma a grandezza d’uomo, Torino è una cartolina antica che prova a modernizzarsi, è un continuo “memorandum” alla grandezza che l’ha contraddistinta un tempo e che, forse, non c’è più. Di Torino è impossibile non innamorarsi ma è altrettanto difficile viverci, e, se uno proprio non se ne vuole andare, c’è solo una cosa che può fare, prestare attenzione alla sua Maschera: “Evviva i bôgianen… Sì, dici bene,/o mio savio Gianduia ridarello!/ Buona è la vita senza foga, bello/ godere di cose piccole e serene…/A l’è questiôn d’ nen piessla… Dici bene/ o mio savio Gianduia ridarello!…”

Alessia Cagnotto

I Templari in Val di Susa

 Andare in montagna significa anche scoprire la storia delle nostre vallate, dei nostri borghi, della gente che ci abita, di tradizioni e costumi che sembravano perduti ma che in realtà sono ancora vivi e presenti e ci raccontano storie che neanche conoscevamo.

Recarsi per esempio in Val di Susa, così vicina a Torino e così ricca di memorie storiche, significa ripercorrere fatti ed eventi che affondano le radici ben prima dell’era cristiana. Da Annibale che con 30.000 uomini e 37 elefanti da battaglia valicò nel 218 a.C. il Moncenisio o forse il Monginevro, ma non si escludono altri passaggi come sul Piccolo San Bernardo o addirittura sul Monviso, ad Augusto che a Susa, 2000 anni fa, di ritorno dalla Gallia, si fermò a Segusium (Susa romana) per fare la pace con le bellicose tribù delle Alpi Cozie. Da Costantino il Grande che nel 312, proveniente dalla Britannia e diretto a Roma, scese a Susa per sbaragliare le truppe dell’usurpatore Massenzio fino a Carlo Magno che alle Chiuse di Susa (le rovine delle fortificazioni sono ancora parzialmente visibili) sconfisse nel 773 i Longobardi di Desiderio che il torinese Massimo d’Azeglio ha illustrato in un prezioso bozzetto. Grande storia, grandi eventi hanno segnato la Val di Susa ma ci sono anche storie minori o anche solo oggetti e simboli che ci ricordano il passaggio da queste parti di personaggi altrettanto importanti. Come i Templari che spuntano ovunque, come i funghi in Val Sangone, e spesso vengono visti in luoghi dove in realtà non sono mai stati. E proprio una leggenda valsusina narra che i Templari sarebbero saliti alla Sacra di San Michele arrampicandosi, a piedi e a cavallo, sul monte Pirchiriano ottocento anni fa. I Cavalieri del Tempio si sarebbero ritrovati nell’antica abbazia per trattare il passaggio di alcuni monaci alla Confraternita esoterica e religiosa dei Rosacroce. Tre croci incise nella pietra accanto alla porta dell’Abbazia, la Porta di Ferro, dimostrerebbero l’attendibilità dell’incontro. È probabilmente solo un racconto popolare ma tra il Piemonte e i Templari, ordine religioso-militare fondato nel 1119, poco dopo la prima Crociata, c’è sempre stato un forte legame storico. Si sa infatti con certezza che i Templari furono presenti in molte città e paesi del Piemonte, tra cui, Cuneo, Alba, Ivrea, Moncalieri, Torino, Chieri, Casale, Vercelli e Novara. Anche in Val di Susa è stato registrato un certo via vai di templari. Da fonti storiche risulta che il più antico insediamento templare, risalente al 1170, fu presumibilmente quello di Susa e presenze templari sono state individuate nella vicina San Giorio, a Villar Focchiardo e a Chiomonte. Sorprendente e imprevisto è stato il ritrovamento negli anni Novanta, da parte di alcuni esperti guidati dalla studiosa Bianca Capone Ferrari, di alcune croci templari nel piccolo comune di San Giorio, alle porte di Susa. Una croce è murata nella facciata della canonica che in tempi antichi era quasi certamente una fortezza da cui si controllavano i movimenti nella valle attaversata dalla Dora Riparia mentre sull’arco del portale laterale di una cappella del XIII secolo, che si trova nei pressi della chiesa parrocchiale, risplende un’altra croce templare. Si ritiene pertanto probabile che a San Giorio fosse presente un presidio militare dei Cavalieri rosso-crociati a difesa della valle e del ponte sulla Dora. È stato finora impossibile accertare il luogo esatto dell’insediamento templare a Susa (forse si tratta della chiesa di Santa Maria della Pace sulla Dora), tuttavia esistono documenti che confermano la presenza in città di una “domus templi”, come dimostra la magnifica croce a otto punte scolpita in un fianco della cattedrale di San Giusto.

Filippo Re

(foto LIGUORI)

La linea che veglia su chi è stato: il Cimitero Monumentale

Oltre Torino: storie miti e leggende del torinese dimenticato

È l’uomo a costruire il tempo e il tempo quando si specchia, si riflette nell’arte

L’espressione artistica si fa portavoce estetica del sentire e degli ideali dei differenti periodi storici, aiutandoci a comprendere le motivazioni, le cause e gli effetti di determinati accadimenti e, soprattutto, di specifiche reazioni o comportamenti. Già agli albori del tempo l’uomo si mise a creare dei graffiti nelle grotte non solo per indicare come si andava a caccia o si partecipava ad un rituale magico, ma perché sentì forte la necessità di esprimersi e di comunicare. Così in età moderna – se mi è consentito questo salto temporale – anche i grandi artisti rinascimentali si apprestarono a realizzare le loro indimenticabili opere, spinti da quella fiamma interiore che si eternò sulla tela o sul marmo. Non furono da meno gli autori delle Avanguardie del Novecento che, con i propri lavori “disperati”, diedero forma visibile al dissidio interiore che li animava nel periodo tanto travagliato del cosiddetto “Secolo Breve”. Negli anni che precedettero il primo conflitto mondiale nacque un movimento seducente ingenuo e ottimista, che sognava di “ricreare” la natura traendo da essa motivi di ispirazione per modellare il ferro e i metalli, nella piena convinzione di dar vita a fiori in vetro e lapislazzuli che non sarebbero mai appassiti: gli elementi decorativi, i “ghirigori” del Liberty, si diramarono in tutta Europa proprio come fa l’edera nei boschi. Le linee rotonde e i dettagli giocosi ed elaborati incarnarono quella leggerezza che caratterizzò i primissimi anni del Novecento, e ad oggi sono ancora visibili anche nella nostra Torino, a testimonianza di un’arte raffinatissima, che ha reso la città sabauda capitale del Liberty, e a prova che l’arte e gli ideali sopravvivono a qualsiasi avversità e al tempo impietoso.

 

Torino Liberty

Il Liberty: la linea che invase l’Europa
Torino, capitale italiana del Liberty
Il cuore del Liberty nel cuore di Torino: Casa Fenoglio
Liberty misterioso: Villa Scott
Inseguendo il Liberty: consigli “di viaggio” per torinesi amanti del Liberty e curiosi turisti
Inseguendo il Liberty: altri consigli per chi va a spasso per la città
Storia di un cocktail: il Vermouth, dal bicchiere alla pubblicità
La Venaria Reale ospita il Liberty: Mucha e Grasset
La linea che veglia su chi è stato: Il Liberty al Cimitero Monumentale
Quando il Liberty va in vacanza: Villa Grock

Articolo 9. La linea che veglia su chi è stato: il Cimitero Monumentale

Il Liberty al Cimitero Monumentale
Il Cimitero Monumentale, un tempo chiamato Cimitero Generale, si trova a Nord della città, in una zona non lontana dalla Dora Riparia, nell’area del Regio Parco. Nel 1827 la città di Torino ne deliberò l’edificazione decidendo di situarlo lontano dal centro abitato, in sostituzione del piccolo cimitero di San Pietro in Vincoli, nel quartiere Aurora. L’opera si poté attuare grazie alla donazione di 300 mila lire piemontesi del marchese Carlo Tancredi Falletti di Barolo. Aperto nel 1828, su progetto dell’architetto Gaetano Lombardi, con disegno a pianta quadrata dagli angoli smussati, il Monumentale fu presto ingrandito con una parte aggiunta a cura dell’architetto Carlo Sada Bellagio, collaboratore di Pelagio Palagi e vincitore del concorso per la realizzazione della chiesa dedicata al primo vescovo torinese, San Massimo. Seguirono poi necessari ampliamenti, e negli anni tra Ottocento e Novecento l’alta società borghese di Torino affidò a celebri scultori il mandato per la costruzione di imponenti edicole funerarie, a solenne affermazione del prestigio raggiunto dalle singole famiglie. Proprio l’estetica Liberty, sintesi raffinata di natura, tecnica e arte, riuscì ad interpretare il compianto pietoso verso il defunto, delineando il triste tema della morte attraverso pure ed efficaci metafore di una grande arte funeraria.

Tra le opere che possiamo visionare in rigoroso e rispettoso silenzio vi è il Monumento Porcheddu, dedicato al grande ingegnere Giovanni Antonio Porcheddu, che ha introdotto in Italia la tecnica delle costruzioni in cemento armato. Figura essenziale per l’imprenditoria torinese, alla sua impresa si devono imponenti opere, quali l’immenso Stadium del 1911 (demolito nel 1946), il progetto dello stabilimento Fiat Lingotto del 1922, il Ponte Risorgimento a Roma. Il monumento, realizzato dallo scultore Edoardo Rubino e dal decoratore Giulio Casanova, è composto da un semplice sacello marmoreo su cui è posto un corpo femminile, lievemente ricoperto da un lenzuolo che ne lascia scoperto il volto e che scivola appena oltre i bordi del sepolcro. Da una parte e dall’altra di questo, quattro figure femminili, due per ciascun lato, vegliano il feretro: quelle che stanno dal lato del capo porgono su questo le mani un poco rialzate come in segno di protezione, dall’altro lato una delle due donne veglia sul corpo con il capo reclino e l’altra alza il braccio sorreggendo una lampada. La compostezza delle figure lascia trasparire una sobrietà di sapore classico, nei gesti, nei panneggi, nella postura, mentre un delicato senso di pietas avvolge con intensità l’intera struttura compositiva. Sullo sfondo compare una particolare croce con tralci stilizzati di rose nella parte verticale e motivi dorati nel lato orizzontale. Al centro della croce una corona di rose bianche è posta intorno all’inquadratura dorata con la scritta “IHS” (sigla intesa come “Gesù salvatore degli uomini”, ma in realtà è la trascrizione latina abbreviata del nome greco di Gesù). Sulla volta del portico che accoglie il gruppo scultoreo, un cielo stellato d’oro mosaicato su fondo blu inquadra una grande croce.

Un’altra opera che richiama la mia attenzione in questo luogo di assordante silenzio è il Monumento Kuster, realizzato da Pietro Canonica nel 1921. Esso mostra una figura femminile con abito succinto che, inarcando la schiena, si solleva con il busto in posa quasi teatrale, ed emerge da un giaciglio posto di fronte ad una croce. I suoi lunghi capelli sono scompigliati dal vento che gonfia anche un drappo posto sulla croce e agita le foglie morbidamente rappresentate sulla bronzea stele verticale. Tra le note di tristezza e di intenso pathos, vi aleggia in primo piano la spettacolarità della scena, la figura si pone come la “divina” del cinema muto, la nuova arte che nei primi anni del Novecento andava affermandosi in città.La protagonista del Monumento Roggeri è una fanciulla inginocchiata e piegata dal dolore, le mani le coprono il volto, e i capelli fluenti e raccolti dietro il capo le scendono fin oltre la schiena. Il lungo abito, movimentato dal panneggio di morbide linee, scende e si posa sul basamento in travertino e in parte lo ricopre. La nota di un patire intenso e irrefrenabile è il messaggio che viene dalla donna che, inginocchiata e chiusa al mondo, sembra pregare, tormentata da un affanno senza fine. Su di un lato, si intravvede appena la firma di O.Tabacchi, allievo di Vincenzo Vela, al quale succederà nella cattedra di scultura presso l’Accademia Albertina di Torino.

È ancora un’altra fanciulla ad essere al centro della composizione funebre del Monumento Maganza, posta tra colonnine in marmo verde Roja, una giovane dal volto delicato, da cui traspare una espressione affranta; una sottile tunica le avvolge lieve il corpo esile, ha un’acconciatura alla moda, con i capelli corti, il volto, appena piegato e reclinato sulla mano sinistra, sembra voler trasmettere un messaggio di triste rimpianto. Alle spalle, marmorei tralci di fiori e, dietro, la croce. Soffermiamoci ancora sull’opera che si trova sulla sinistra, entrando dall’ingresso principale del Cimitero. Si tratta di un gruppo statuario che comprende una figura velata da un ampio panneggio, rappresentata mentre sta per avvolgere in un abbraccio simbolico una giovane figura femminile in piedi, con le braccia abbandonate lungo il corpo e il capo reclinato su una spalla. Dal basamento crescono steli e boccioli di rosa che paiono voler avvolgere i corpi sovrastanti: si tratta di una sintesi di decorazione Art Nouveau, completata dalla dedica dei committenti. L’opera fu eseguita da Cesare Redduzzi, scultore affermato e insegnante di scultura presso l’Accademia Albertina, più noto ai Torinesi come l’autore dei gruppi scultorei allegorici: l’arte, il lavoro, e l’industria, collocati nel 1909 a coronare le testate verso corso Moncalieri del ponte dedicato a Umberto I.
Moltissimi sono i monumenti funebri di squisito gusto Liberty davanti ai quali sarebbe opportuno soffermarsi, e numerose le figure femminili modellate con l’estetica della Nuova Arte, o che, con il loro atteggiamento da “dive” affrante del cinema muto, sorvegliano le anime di chi non c’è più e accompagnano silenziose gli sguardi di chi le va a trovare.

Alessia Cagnotto

Estate a Torino nei parchi e nei cortili: tornano i Punti estivi

L’estate torinese si diffonde nei luoghi della quotidianità. Gli spazi pubblici si trasformano in ambienti di cultura, gioco e incontro grazie al ricco palinsesto di appuntamenti nei dieci punti estivi, individuati lo scorso anno con la seconda edizione del bando pubblico biennale indetto dall’assessorato alla Cultura attraverso la Fondazione per la Cultura Torino e con il sostegno di Intesa Sanpaolo.

“Anche quest’anno – dichiara l’assessora alla Cultura Rosanna Purchia – gli spazi pubblici e i luoghi della quotidianità si trasformeranno in palcoscenici all’aperto, per offrire a famiglie, giovani, anziani e turisti un programma culturale ampio e diversificato, realizzato con passione e competenza dalle associazioni e realtà culturali del territorio. Un ringraziamento particolare va a Intesa Sanpaolo, il cui sostegno rende possibile la realizzazione di un’iniziativa che contribuisce a fare di Torino una città viva, accessibile e culturalmente ricca, anche d’estate”.

Tra le attività proposte, spettacoli teatrali, concerti, cinema all’aperto, danza, laboratori per bambini e ragazzi, talk, seminari e iniziative a contatto con la natura animeranno l’estate torinese per tre mesi in tutta la città. Un programma culturale variegato, capace di coinvolgere pubblici diversi e promuovere l’accesso alla cultura in modo inclusivo, anche tramite iniziative gratuite o a costi ridotti.

Sul sito della Città di Torino, alla pagina www.comune.torino.it/eventi, è  disponibile il calendario giorno per giorno delle iniziative, che sarà promosso in tutta la città anche attraverso la campagna di comunicazione “Torino, che spettacolo! Che bella estate!”.

LE ATTIVITÀ NEI DIECI PUNTI ESTIVI

Evergreen Fest 2025
Soggetto promotore: Associazione Tedacà
Luoghi: parco della Tesoriera (corso Francia 186-192)

Concerti e spettacoli, laboratori di pilates, shiatsu e pittura, musica classica, silent disco, presentazioni di libri, oltre ad attività rivolte a ragazzi, bambini e famiglie, tra laboratori di musical, danza, teatro e creatività, attività sportive, letture sul prato, giochi interattivi e di società, spettacoli di circo e magia.

Mappa Mundi
Soggetto promotore: Associazione Culturale Comala ETS
Luoghi: ex caserma La Marmora (corso Francesco Ferrucci 65), area pedonale di via Di Nanni, piazza Benefica

Serate di cinema all’aperto, concerti, eventi dedicati al ballo, serate di musica elettronica, spettacoli di stand-up comedy ed eventi teatrali, eventi di comunità e giornate legate allo sport e al gioco. Un palinsesto ricco e variegato, pensato per coinvolgere tutti i cittadini e i visitatori della città.

sPAZIO211 Open Air
Soggetto promotore: Associazione sPAZImUSICALI ETS
Luoghi: sPAZIO211 (via Cigna 211)

Nel cuore di Barriera di Milano, un ricco programma che coinvolgerà professionisti, artisti, giovani talenti, produttori, stakeholder e istituzioni in appuntamenti che spaziano tra spettacoli, incontri, workshop, podcast live, masterclass, talk, anteprime esclusive e street art.

Estate a Sud 2025 – I palchi di Mirafiori
Soggetto promotore: Fondazione della Comunità di Mirafiori Onlus
Luoghi: Casa nel Parco – Casa del Quartiere di Mirafiori sud (via Modesto Panetti 1), CPG (strada delle Cacce 36), Orti Generali (strada Castello di Mirafiori 38/15), TeatrAzionE (via Emanuele Artom 23), Punto 13 (via Arturo Farinelli 36/9), Cinema Teatro Agnelli (via Paolo Sarpi 111).

Un cartellone che intreccia molteplici linguaggi artistici, dalla musica al teatro, dal cabaret al cinema, passando per la danza, le arti circensi e i talk scientifici, affiancati da attività dedicate al benessere per adulti e anziani, proposte ludico-creative per bambini e famiglie e appuntamenti di divulgazione su scienza e attualità.

Hiroshima Sound Garden
Soggetto promotore: Hiroshima Mon Amour ETS
Luoghi: Hiroshima Mon Amour (via Carlo Bossoli 83)

Un programma che affronta tematiche diverse — dalla parità di genere all’uguaglianza, dalle questioni ambientali ai temi della pace, della giustizia e delle comunità — attraverso concerti, spettacoli teatrali, proiezioni cinematografiche e incontri. Tra gli appuntamenti, omaggi a Pier Paolo Pasolini, Hayao Miyazaki, J.R.R. Tolkien e ai Nirvana, oltre al contest rap “Tecniche Perfette”.

Estate of Mind
Soggetto promotore: Banda Larga APS
Luoghi: parco del Valentino e Murazzi del Po

Un calendario variegato, tra cinema all’aperto, concerti, laboratori di movimento, presentazioni di libri in riva al fiume, poesia performativa, danza contemporanea e spettacoli multimediali e una festa finale che unisce i vari hub della rassegna.

La terrazza della felicità
Soggetto promotore: Associazione Nessuno APS
Luoghi: Polo culturale Lombroso 16 (via Lombroso 16)

Un programma articolato attorno a dieci tematiche chiave — dalla sostenibilità all’innovazione, dalla scuola al lavoro, fino alla terza età, alla salute e all’accesso alla cultura — esplorate attraverso un’ampia gamma di attività: presentazioni di libri, mostre fotografiche, dibattiti, laboratori, concerti, spettacoli per bambini, attività dedicate agli anziani e incontri di divulgazione.

Cinema in famiglia – XV edizione
Soggetto promotore: Associazione Culturale Zampanò
Luoghi: parco Rignon (corso Orbassano 200), parco Ruffini (viale Bistolfi 183), piazza Don Franco Delpiano, piazzale Mauro Rostagno, parco del Mausoleo della Bela Rosin (strada del Castello di Mirafiori 148/7)

Una rassegna cinematografica itinerante in cinque aree verdi della città, tra film di animazione, di avventura, fantasy, commedie, film d’essai e documentari.

Il coraggio di essere felici
Soggetto promotore: Stalker Teatro Soc. Coop.
Luoghi: Cortile officine CAOS (piazza Montale 14 bis/a), spazi interni di officine CAOS (piazza Montale 18/a)

Un fitto programma di appuntamenti tra serate di spettacolo dal vivo, con artisti locali e nazionali, alternati da appuntamenti pomeridiani o mattutini per grandi e piccoli, tra attività creative, letture animate, passeggiate nell’architettura e nella storia del quartiere e molto altro ancora.

Impatto Zero – Il palcoscenico sostenibile
Soggetto promotore: Fondazione Cantabile
Luoghi: Arena Manin Torino (scuola primaria Ludovico Muratori – I.C. Gino Strada, via Manin 18), Musica alla Spina (scuola primaria De Amicis – I.C. Regio Parco, vicolo Grosso 3)

Un palinsesto di concerti di ensemble, orchestre e cori, laboratori espressivi di canto, percussioni e coralità; proiezioni cinematografiche, incontri creativi e laboratori per la realizzazione di cortometraggi rivolti a ragazzi, giovani e adulti; spettacoli teatrali e laboratori per giovani basati sulla sostenibilità; incontri formativi e di confronto su cittadinanza e partecipazione, oltre a concerti dedicati alla sostenibilità.

TORINO CLICK

Intrepide. Storie di donne, viaggi, sogni e avventure

Alla Precettoria di “Sant’Antonio di Ranverso”, la fotografa iraniana Marjan Moghaddam racconta la vita di trenta donne straniere residenti in Italia

Dal 28 luglio al 31 agosto

Buttigliera Alta (Torino)

Nonostante tutto. Volti che negli occhi conservano gelosamente la speranza del sorriso. La speranza e il coraggio. Donne forti, determinate, orgogliose delle loro origini, coraggiose, “Intrepide”, come le definisce il titolo della mostra ospitata, da sabato 28 luglio a domenica 31 agosto, nel “Complesso Monumentale” di arte gotica (XII secolo) della Precettoria di “Sant’Antonio di Ranverso”, lungo la “via Francigena”, nella bassa Valle di Susa, a circa 20 chilometri da Torino.

Trenta donne. In rassegna, fissate con notevole abilità di mestiere e di verve narrativa, i loro volti, accenni di usanze e costumi, espressioni che raccontano tenacia e serenità nell’affrontare esperienze di vita così diverse e in terre così lontane dai loro Paesi d’origine. A fissarle in scatti decisi e nitidi, con occhio attento e pronto a cogliere l’attimo “fuggente” del gesto irripetibile, Marjan Moghaddam, fotografa iraniana, nativa di Teheran, ma dal 1997 residente in Italia, a Torino. E’ lei stessa a raccontare: “La mia ricerca si concentra su temi come la ‘diversity’, ‘equity and inclusion’, la memoria, la tolleranza, l’identità culturale, l’integrazione sociale e i diritti umani; con i miei scatti tento sempre di catturare le emozioni e mettere al centro l’essere umano e la sua realtà, per stabilire un dialogo, capire i suoi stati d’animo e instaurare un rapporto empatico e spontaneo”.

In tal senso, anche “Intrepide” non vuole essere una semplice descrittiva esposizione, ma “un viaggio profondo nelle vite di circa trenta donne provenienti da ogni parte del mondo”. Le loro sono “storie autentiche”, storie che si confondono con mille altre, proprie di chi ha scelto di lasciare, in vario modo e per molteplici ragioni, la propria terra d’origine per iniziare una nuova vita in Italia, inseguendo i sogni di un futuro migliore e ben consapevoli di affrontare sfide non sempre, anzi quasi mai, facili, imboccando strade in salita e percorsi ricchi di ostacoli, di sguardi e parole che feriscono i cuori, di tante resistenti invalicabili barriere e pochi “ponti” e àncore cui affidarsi per superare mari in burrasca. Attraverso i loro volti e le loro storie, fermate da Marjan, emerge comunque, e sempre, un racconto di coraggio, di grande forza e determinazione.

Le fotografie sono arricchite da testi che approfondiscono le esperienze personali delle protagoniste, provenienti da  innumerevoli Paesi, che vanno dall’Armenia alla Romania, alla Russia, via via fino all’India, Singapore, Australia, Camerun, Kenya, Nigeria, Senegal, Brasile, Stati Uniti, Canada e molti altri ancora.

Gli sguardi delle donne emigranti, i loro sorrisi e le loro espressioni sono il “nucleo pulsante” di un Progetto, portato avanti dalla fotografa iraniana insieme ad altri di sicuro effetto: da “Il Romanzo di una Vita” a “Io attraverso Te”. Il primo è un vero e proprio “viaggio fotografico”attraverso sguardi, gesti, parole e ricordi di anziani, “espressioni della nostra memoria”, esposto nel 2023 prima alla “Fondazione Colonnetti” e in seguito all’“Archivio di Stato”di Torino. Il secondo, da poco concluso in collaborazione con l’Ospedale “Molinette” di Torino riguarda il tema della “donazione del sangue” come gesto di generosità e consapevolezza. Il Progetto verrà esposto da luglio fino a dicembre in diverse locationcittadine, fra le quali la “Palazzina di Caccia” di Stupinigi e ancora l’“Archivio di Stato” di Torino.

In fase di conclusione e di estrema attualità, infine, il Progetto (antecedente, nella sua ideazione e partenza, allo scoppio della terribile crisi mediorientale) “Iran. Famiglia, vita, libertà”. Obiettivo, “quello di sensibilizzare – racconta l’artista – l’osservatore sulla complessa realtà dell’Iran, mostrando soprattutto la forza dei legami familiari e la situazione della vita quotidiana che, sebbene possa sembrare tanto distante dall’Occidente in taluni aspetti, in altri è sorprendentemente vicina a noi”.

Gianni Milani

“Intrepide. Storie di donne, viaggi, sogni e avventure”

Precettoria di “Sant’Antonio di Ranverso”, Buttigliera Alta (Torino); infowww.ordinemauriziano.it

Dal 28 giugno al 31 agosto

Nelle foto: Marjan Moghaddam, “Fé – USA” ed “Elida – Brasile”

Ultimi giorni: “La meraviglia Unesco di Langhe Roero e Monferrato”

Visto il grande successo di pubblico, la mostra fotografica “La meraviglia Unesco di Langhe Roero e Monferrato”, esposta a Palazzo Lascaris, sede del Consiglio regionale del Piemonte, è prorogata fino a venerdì 27 giugno.

La mostra e il catalogo sono stati realizzati in collaborazione con l’Associazione per il Patrimonio dei Paesaggi Vitivinicoli di Langhe-Roero e Monferrato, a cura di Gian Mario Ricciardi.

I magnifici scenari delle colline puntellate da vigneti e antichi borghi compongono la mostra fotografica con gli scatti di tre fotografi locali – Enzo Massa, Carlo Avataneo, Enzo Isaia – che hanno saputo immortalare la vera essenza di questi luoghi ormai conosciuti in tutto il mondo.

La mostra, composta da 60 immagini a colori, è aperta al pubblico nella Galleria Spagnuolo di Palazzo Lascaris (via Alfieri 15 – Torino), dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 17, ingresso gratuito.

 

Il territorio entrato a far parte della World Heritage List Unesco il 22 giugno 2014, è stato riconosciuto come “paesaggio culturale patrimonio dell’umanità” grazie all’antica e autentica arte della vinificazione che qui si è evoluta nel corso dei secoli, diventando fulcro della vita economica e sociale del territorio, testimonianza dell’interazione tra l’uomo e l’ambiente.

 

L’Associazione per il Patrimonio dei Paesaggi Vitivinicoli di Langhe-Roero e Monferratonata nel 2011, si occupa di gestire il sito. All’associazione aderiscono oltre cento comuni e numerose associazioni ed aziende che partecipano attivamente all’ambizioso progetto legato all’unicità ed eccezionalità di questo paesaggio.

I territori che fanno ufficialmente parte dei Paesaggi Vitivinicoli del Piemonte riconosciuti dall’Unesco comprendono circa 10mila ettari nelle province di Alessandria, Asti e Cuneo e sono i seguenti:

•          La Langa del Barolo

•          Il Castello di Grinzane Cavour

•          Le Colline del Barbaresco

•          Nizza Monferrato e il Barbera

•          Canelli e l’Asti spumante

•          Il Monferrato degli Infernot

 

Info: www.paesaggivitivinicoliunesco.it