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Cultura, in arrivo 148,5 milioni: più fondi a periferie, cinema e inclusione nel Piano 2025-2027

Il Consiglio regionale del Piemonte ha approvato oggi il Piano triennale per la Cultura 2025-2027, un documento strategico che punta a rafforzare il sistema culturale regionale con una visione di lungo periodo, maggiore inclusività territoriale e più sostegno alle filiere creative. Il piano prevede fondi complessivi pari a circa 148,5 milioni di euro.

Tra i principali obiettivi figurano il coinvolgimento delle aree periferiche, la programmazione culturale triennale per superare la logica della precarietà annuale, e l’incremento delle risorse per settori chiave come la produzione cinematografica e televisiva.

Viene infatti confermata e potenziata la misura del Piemonte Film TV Fund, inizialmente prevista con un budget di 4 milioni annui per il triennio 2023-2025: l’investimento sale ora a 7 milioni di euro all’anno, a fronte dei risultati positivi in termini occupazionali e di ricadute economiche.

Un altro pilastro del Piano riguarda la valorizzazione delle eccellenze culturali nei territori meno centrali, promuovendo progetti che nascano e si sviluppino al di fuori dei principali poli urbani. Torino e le città capoluogo resteranno snodi centrali, ma si vuole incentivare la partecipazione delle realtà culturali locali attraverso bandi più accessibili e attenti alla distribuzione geografica.

Tra i criteri di valutazione per l’assegnazione dei fondi saranno inclusi elementi come l’inclusione sociale, le pari opportunità di accesso alla cultura e l’adozione di pratiche sostenibili, in linea con gli obiettivi di una cultura sempre più responsabile e aperta.

Importante anche l’attenzione riservata al Sistema Museale Nazionale, che sarà rilanciato attraverso una governance integrata tra musei statali, regionali, comunali, diocesani e privati. Al suo fianco, verranno attivati numerosi investimenti a sostegno di musei, teatri, biblioteche, archivi e presìdi culturali locali.

L’assessore alla Cultura Marina Chiarelli ha sottolineato il valore del Piano come espressione di un confronto diretto con il mondo culturale:
«Questo Piano è frutto dell’ascolto delle esigenze del comparto, a cui abbiamo voluto rispondere con proposte e soluzioni concrete», ha dichiarato.
«Il settore culturale si conferma un motore essenziale per lo sviluppo sociale ed economico del Piemonte e, di conseguenza, è oggi ancora più necessario estendere queste opportunità a tutto il territorio, comprese le aree al di fuori delle zone metropolitane. Vogliamo assicurarci che nessuno resti indietro, valorizzando le eccellenze culturali anche nei territori più decentrati, che spesso rappresentano il cuore pulsante delle piccole comunità. Inoltre, riserveremo particolare attenzione alle realtà impegnate nell’inclusione sociale, nelle pari opportunità e nella sostenibilità ambientale. Parallelamente, confermiamo la scelta di una programmazione triennale, per consentire agli operatori culturali di pianificare con maggiore serenità e prospettiva. Con il nuovo Piano poniamo le basi per un sistema culturale più forte, inclusivo e sostenibile».

Il Duca d’Aosta: sei ore per trasportarlo

Alla scoperta dei monumenti di Torino / La statua in bronzo fu  trasportata, nel giugno del 1900, dalle fonderie Sperati (corso Regio Parco) al Parco del Valentino e per compiere quel tragitto di circa tre chilometri furono necessarie più di sei ore a causa appunto delle ingenti dimensioni del monumento

Il monumento è situato all’interno del Parco del Valentino, in asse con corso Raffaello e nel centro del piazzale nel quale confluiscono i viali Boiardo, Ceppi e Medaglie D’Oro. La statua che raffigura, sul cavallo ritto sulle zampe posteriori, il poco più che ventenne Amedeo di Savoia Duca d’Aosta durante la battaglia di Custoza, è posta su un dado di granito che poggia a sua volta su un basamento contornato da una fascia di coronamento in bronzo,rappresentante (in altorilievo) 17 figure tra cui numerosi personaggi celebri della dinastia sabauda. Ai gruppi di cavalieri si alternano vedute paesaggistiche come la Sacra di San Michele, il Monviso e Torino con il colle di Superga sullo sfondo.Sul fronte del basamento, poggiata sulla chioma di un albero al quale è appeso lo stemma reale di Spagna, un’aquila ad ali spiegate regge tra gli artigli lo scudo dei Savoia.Nato il 30 maggio 1845 da Vittorio Emanuele (il futuro re Vittorio Emanuele II) e da Maria Adelaide Arciduchessa d’Austria, Amedeo Ferdinando Maria Duca d’Aosta e principe ereditario di Sardegna, crebbe seguendo una rigida educazione militare.Nel 1866 gli venne affidato il comando della brigata Lombardia e partecipò alla battaglia di Custoza nella quale, nonostante fosse stato ferito da un proiettile di carabina, continuò a battersi distinguendosi così per il suo coraggio ed il suo valore.In seguito alla rivoluzione del 1868 e alla cacciata dei Borboni, in Spagna venne proclamata la monarchia costituzionale e nonostante la situazione risultasse molto difficile, Amedeo di Savoia accettò l’incarico così, il 16 novembre 1870, venne eletto Re di Spagna con il nome di Amedeo I di Spagna.Ma la situazione politica risultò ancora più instabile di come lui se la fosse prospettata e davanti a rivolte e congiure (nel 1872 sfuggì miracolosamente ad un attentato), nel 1873 abdicò rinunciando per sempre al trono.Tornato in Italia, venne nominato Tenente Generale e Ispettore Generale della Cavalleria; si spense il 18 gennaio 1890 a causa di una incurabile broncopolmonite.

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Signorilmente affabile con tutti, sempre pronto a prodigarsi per il bene della sua amata città, fu (anche durante il periodo della sua sovranità in Spagna) un personaggio molto popolare e ben voluto tanto che, neanche una settimana dopo la sua morte, la città di Torino costituì un comitato promotore per l’erezione di un monumento a lui dedicato, sotto la presidenza del conte Ernesto di Sambuy. Venne aperta una sottoscrizione internazionale alla quale, la stessa città di Torino, partecipò con la somma di L. 25.000 e in seguito, il 6 marzo 1891, venne bandito un concorso tra gliartisti italiani per stabilire chi sarebbe stato l’autore dell’imponente opera. Tra i ventinove bozzetti presentati ne furono scelti sei che vennero esposti nei locali della Società Promotrice di Belle Arti, in via della Zecca 25 ed in seguito, tra i sei artisti vincitori, venne bandito un nuovo e definitivo concorso che vide come vincitore (nel dicembre del 1892) Davide Calandra. La decisione, secondo le parole della Giuria, fu motivata “dal poetico fervore immaginoso della concezione, dall’eleganza decorativa dell’insieme, dalla plastica efficacia del gruppo equestre e dalla vivace risoluzione del difficile motivo della base“. Inizialmente l’ubicazione del monumento avrebbe dovuto essere, secondo la proposta del Comitato Esecutivo approvata dalla Città di Torino nella seduta del Consiglio Comunale dell’11 giugno 1894, il centro dell’incrocio dei corsi Duca di Genova e Vinzaglio, ma a causa delle dimensioni maestose del basamento si decise che fosse necessario uno spazio più ampio per ospitare l’opera. Dopo avere effettuato delle prove con un simulacro di grandezza naturale in tela e legname (costato alla Città la somma di L. 2480), si decise di collocarla nel Parco del Valentino sul prolungamento dell’asse di Corso Raffaello, presso l’ingresso principale dell’Esposizione Generale Italiana tenutasi del 1898: il 9 novembre 1899 il ConsiglioComunale approvò la scelta della Giunta di tale ubicazione.

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La statua in bronzo fu dunque trasportata, nel giugno del 1900, dalle fonderie Sperati (corso Regio Parco) al Parco del Valentino e per compiere quel tragitto di circa tre chilometri furono necessarie più di sei ore a causa appunto delle ingenti dimensioni del monumento. Il monumento venne inaugurato il 7 maggio 1902, in occasione della Prima Esposizione Internazionale di Arte Decorativa e Moderna di Torino, durante la quale lo scultore fu anche premiato per aver inserito nell’opera elementi di “Art Noveau”. Nel corso dell’inaugurazione il conte Ernesto di Sambuy, a nome del Comitato, consegnò l’opera al Sindaco di Torino. Originariamente il monumento venne circondato da una cancellata in ferro dell’altezza di circa 130 centimetri, disegnata dallo stesso Calandra, che venne rimossa probabilmente a causa delle requisizioni belliche durante la Prima Guerra Mondiale. Nel 2004 il monumento è stato restaurato dalla Città di Torino. Per fare un piccolo accenno al Parco del Valentino, di cui certamente parleremo in modo più approfondito prossimamente, bisogna ricordare che ilmonumento ad Amedeo di Savoia è situato nell’area nella quale, fra Ottocento e Novecento, si tennero a Torino alcune tra le più importanti rassegne espositive internazionali. Nel 1949, proprio a fianco del monumento, sorse il complesso di Torino Esposizioni, un complesso fieristico progettato da Pier Luigi Nervi che, durante le Olimpiadi Invernali di Torino 2006, ha ospitato un impianto per l’hockey su ghiaccio dove sono state giocate circa la metà delle partite dei tornei maschili e femminili. Al termine delle Olimpiadi, la struttura è tornata all’originario uso abituale ripredisponendo un padiglione come palaghiaccio per i mesi invernali. Cari lettori anche questa ennesima passeggiata tra le “bellezze torinesi” termina qui. Mi auguro che il monumento equestre ad Amedeo di Savoia vi abbia incantato ed incuriosito proprio come ha fatto con me; nel frattempo io vi do appuntamento alla prossima settimana alla scoperta o meglio “riscoperta” della nostra città.

(Foto: www.museo.torino.it)

Simona Pili Stella

Monte Verità, culla dell’utopia

Ascona è un comune svizzero del Canton ticino, sul lago Maggiore. E’ lì che s’incontra “il luogo che non c’è”, la culla dell’utopia: il monte Verità. A partire dall’inizio del ventesimo secolo , su questa  collina appena sopra la perla dell’alto Verbano, tra Brissago e Locarno, si riunirono intellettuali e artisti alla ricerca di valori e modi di vita alternativi. Un’umanità varia composta da vegetariani, predicatori del ritorno alla vita rurale, sostenitori dell’utilità delle pratiche igeniste all’aria aperta (ginnastica, sole e bagni freddi) e anche da chi propagandava l’anarchia e il libero amore.

I fondatori del movimento Henry Hoendekoven, figlio di un industriale belga, e Ida Hoffmann, femminista e insegnante di pianoforte, arrivarono sulle rive del lago Maggiore dalla Germania. Vi giunsero a piedi, rifiutando le abitudini di una società sempre più materialistica, alla ricerca di uno stile di vita a contatto con la terra, la natura, la semplicità. A quel tempo il monte Verità si chiamava Monescia e i naturisti comprarono terreni e costruirono case seguendo stili precisi. All’epoca sul colle non c’era neppure l’acqua ma non per  questo si persero d’animo e per tutto il primo ventennio del ’900 il Monte Verità  diventò la “piccola patria” di pensatori, scrittori, artisti, anarchici e di chiunque fosse interessato a sperimentare in completa libertà le proposte rivoluzionarie del gruppo. Vi soggiornarono le menti più vivaci dell’epoca: Carl Gustav Jung, Erich Maria Remarque, Thomas Mann ,André Gide, Herman Hesse ( che viveva a Montagnola, nel ticinese distretto di Lugano ). E non mancarono gli anarchici e rivoluzionari come Bakunin e Lenin. I valori condivisi erano l’emancipazione femminile, il vegetarianismo, la danza di gruppo (o euritmia, spesso fatta alla luce della luna), l’abolizione del denaro con la sostitutiva pratica del baratto, l’originalissima abolizione delle maiuscole nei testi. La comunità sosteneva che la coltivazione della terra in costumi adamitici portava benefici al raccolto. Nel giro di pochi anni gli abitanti di Ascona iniziarono a guardare con sospetto a cosa stava accadendo sulla loro collina. Ma non protestarono, si limitarono a chiamare quei nudisti ballerini, agricoltori, musicisti e messaggeri dell’amore libero, con un innocuo nomignolo: i “balabiòtt”. Sarà pur bizzarra la storia del Monte Verità e dei suoi “danzatori nudi” ma, come mi disse un vecchio intellettuale ticinese e storico del lago Maggiore, “è la bellezza di questa landa libertaria dove le idee si rispettano anche quando non si condividono”.

Marco Travaglini

Il conte Camillo nella piazza della Ghigliottina

Alla scoperta dei monumenti di Torino / In età Napoleonica nel centro di  piazza Carlina venne collocata la ghigliottina, sostituita poi dalla forca negli anni della Restaurazione.  La piazza insieme alla Contrada San Filippo (via Maria Vittoria) fece parte dell’insediamento ebraico

Prosegue il nostro affascinante viaggio alla scoperta della “grande bellezza” di Torino. Questa volta cercheremo di sollecitare la vostra attenzione e curiosità introducendo un personaggio che fu uno dei maggiori protagonisti della nostra città. Stiamo parlando della statua eretta in onore di Camillo Benso Conte di Cavour, situata in piazza Carlo Emanuele II conosciuta da tutti come piazza Carlina. 

Situato al centro della piazza, l’articolato monumento celebrativo presenta un complesso programma iconografico imperniato sull’allegoria. In alto, avvolta in un’ampia toga classicheggiante, campeggia la figura idealizzata di Camillo Benso Conte di Cavour, che nella mano sinistra tiene una pergamena su cui è scritto “Libera Chiesa in libero Stato” mentre, inginocchiata ai suoi piedi, vede l’Italia porgergli la corona civica (corona d’alloro). Nel piedistallo si snodano le quattro figure in marmo che rappresentano le allegorie del Diritto, del Dovere, dell’Indipendenza e della Politica. Completa il piedistallo, nella parte alta, un fregio continuo in bronzo decorato da ventiquattro stemmi delle Province italiane.

Nel basamento vi sono quattro bassorilievi in bronzo che rappresentano due avvenimenti storici ( “Il Congresso di Parigi” e “Il ritorno delle truppe sarde dalla Crimea”) e gli stemmi della famiglia Cavour incorniciati da una corona d’alloro e da una ghirlanda di frutti. Nato il 10 agosto 1810 da una famiglia aristocratica e di forte spirito liberale, Camillo Paolo Filippo Giulio Benso frequentò in gioventù il 5° corso dellaRegia Accademia Militare di Torino fino a diventare Ufficiale del Genio. Abbandonata la carriera militare, il giovane si dedicò (sia per interesse personale che per educazione familiare) alla causa del progresso europeo, viaggiando all’estero soprattutto in Francia ed Inghilterra. Ricoperto il ruolo per diciassette anni come sindaco del Comune di Grinzane, affina le sue doti di politico ed economista e dal 1848, diviene deputato al Parlamento del Regno di Sardegna; in seguito con il governo D’Azeglio diventa Ministro dell’Agricoltura, del Commercio, della Marina e nel tempodelle Finanze.

Fondatore del periodico “Il Risorgimento” (assieme al cattolico liberale Cesare Balbo), Cavour manifesta costantemente la sua distanza dalle idee insurrezionali di Mazzini, promuovendo una linea di cambiamento moderata che ottenne più consensi nei cittadini borghesi ed aristocratici. Diventato nel 1848 Presidente del Consiglio dei Ministri promosse riforme economiche sia per lo sviluppo industriale che per l’agricoltura del Regno perseguendo, inoltre, una forte politica anticlericale volta a creare uno stato laico e ad abolire i privilegi della Chiesa. Essendo un abile diplomaticoriuscì ad accordarsi sia a livello internazionale con Francia ed Inghilterra, sia a livello nazionale, riuscendo a destreggiarsi fra le esigenze della monarchia e gli impulsi repubblicani, riuscendo così ad ottenere le annessioni al Regno di Sardegna di numerose province attraverso peblisciti.

Cavour morì il 6 giugno del 1861 all’età di cinquantuno anni, compianto da tutta l’Italia appena unificata.Nei giorni successivi alla sua scomparsa venne espressa, in una seduta della Giunta di Torino, l’intenzione di erigere un monumento a Camillo Benso Conte di Cavour; fu aperta una sottoscrizione per l’erezione del monumento alla quale parteciparono istituzioni e cittadini da tutta Italia e anche dall’estero ed in un anno, si riuscì a raccogliere la cifra di L. 550.000. A gennaio del 1863 venne bandito il concorso e la Commissione incaricata, dopo aver fissato la cifra di L.500.000 per i premi e per la realizzazione, scelse come localizzazione piazza Carlo Emanuele II.L’architetto napoletano Antonio Cipolla si aggiudicò il progetto ma, una volta esposta la relazione alla Giunta (nel giugno del 1864), dopo una lunga discussione tra i membri della Commissione, venne sospeso ogni provvedimento; l’anno dopo una seconda Commissione affidò l’incarico direttamente a Giovanni Duprè, che lo assunse ufficialmente nell’aprile 1865.

La realizzazione dell’opera richiese otto anni e dopo aver spostato più volte la data dell’inaugurazione, l’8 novembre 1873 venne finalmente inaugurato, davanti alla presenza del Re, il monumento a Camillo Benso Conte di Cavour. Per quanto riguarda la piazza che ospita il celebre monumento, sappiamo che piazza Carlo Emanuele II fu oggetto di un primo progetto seicentesco redatto da Amedeo di Castellamonte su commissione dello stesso Carlo Emanuele II, che aveva richiesto una piazza celebrativa della sua persona con monumento equestre centrale. In realtà, in seguito, la piazza venne semplificata nel disegno e destinata a mercato.

Con la decisione di erigere il monumento a Cavour la Giunta comunale approfitta dell’occasione per ripensare la piazza, proponendo l’abbattimento di una serie di casupole e facendo sorgere la Chiesa di Santa Croce, il palazzo Roero di Guarene e l’ex Collegio delle Provincie (ora Caserma dei Carabinieri). In età Napoleonica nel centro della piazza venne collocata la ghigliottina, sostituita poi dalla forca negli anni della Restaurazione.  La piazza insieme alla Contrada San Filippo (via Maria Vittoria) fece parte dell’insediamento ebraico; il ghetto venne istituito per regia costituzione, in vigore sino al 1848, quando lo Statuto pose fine alle restrizioni imposte agli ebrei.

Nota curiosa riguardante la piazza, è il fatto che essa sia sempre stata conosciuta (almeno da tutti i torinesi) come “Piazza Carlina”. Riguardo a questo nomignolo esistono varie leggende, ma pare che la più diffusa sia quella che vede il soprannome “Carlina” legato all’atteggiamento molto effeminato di Carlo Emanuele II e al sospetto che le sue attenzioni sessuali fossero indirizzate più agli uomini che non alle donne. Le maligne voci, nate durante il suo trono, diedero così vita all’ormai riconosciuto toponimo Piazza Carlina. 

(Foto: il Torinese)

Simona Pili stella

Ultimi preparativi in Val Chisone per la XI Edizione del Festival Letterario “Scritto Misto”

La Fondazione Centro culturale valdese di Torre Pellice sta ultimando gli ultimi dettagli del Festival letterario Scritto Misto, giunto all’XI edizione, che si svolgerà dal 12 luglio al 3 agosto. L’evento, promosso in collaborazione con la Città Metropolitana di Torino, l’8×1000 della Chiesa valdese, l’Unione dei Comuni delle Valli Chisone e Germanasca e le municipalità di Perosa Argentina, Fenestrelle e Usseaux  unirà letteratura e musica in un viaggio itinerante per riflettere sul tema che rappresenta il “fil rouge” degli eventi di questa edizione: “Siamo ancora in tempo”. Un argomento che invita a una riflessione profonda sui valori sui valori e l’importanza della memoria, necessari per comprendere il presente e orientare il futuro. “ Ci proponiamo in questa edizione – commenta Deborah Severini, curatrice del Festival – di offrire un’occasione di confronto per riscoprire i principi di libertà, giustizia e solidarietà, per riaffermare il valore della pace tra i popoli e di porre al centro delle nostre azioni le persone in un contesto globale segnato da conflitti e tensioni, come è quello attuale”. Il programma itinerante tra libri e musica si svolgerà tra Perosa Argentina, Fenestrelle e Usseaux e vi prenderanno parte scrittori come Gianni Oliva, Carlo Greppi, Fabio Geda, Marco Travaglini, Monica Canalis, Stefano Garzaro, Cinzia Dutto, Aldo Ferrero e molti altri. Ogni incontro sarà caratterizzato da interventi musicali – con le performance di Le Madamè, Dino Tron, Chaira Effe, Giovanni Battaglino, la Fondazione Accademia di Musica, Le Armoni d’Archi e altri – che si intrecceranno con la letteratura attraverso repertori particolari che spaziano dalla musica classica a quella tradizionale delle valli Chisone e Germanasca, coinvolgendo il pubblico in un percorso culturale variegato e sempre diverso.

Si inaugura a Omegna la pinacoteca con la collezione Lagostina-Zanasi

Tutto è pronto a Omegna, sul lago d’Orta, per l’inaugurazione della pinacoteca ‘Guido Boggiani’, allestita nella storica e ristrutturata Villa Liberty nel parco Maulini, che accoglie le opere della collezione d’arte dei coniugi Giampietro Lagostina e Maria Grazia Zanasi. Il taglio del nastro è in programma nel pomeriggio di sabato 14 giugno alle 16. Le opere donate dalla signora Zanasi nel 2020, dopo la morte del marito, sono 86, per un valore stimato tra i 500mila e i 600mila euro. La collezione comprende perlopiù opere di pittori italiani come Felice Casorati, Renato Guttuso, Mario Sironi, Ottone Rosai, Massimo Campigli, Antonio Calderara, Aligi Sassu, Siro Penagini, Mario Tozzi, Leonardo Dudreville, Mauro Maulini e Achille Tominetti, ma non mancano opere d’arte sacra, tra cui spicca l’Adorazione dei Magi di Giulio Carpioni, risalente alla metà del Seicento. La collezione annovera anche alcune opere di scuola fiamminga e olandese del 17° secolo, alcune icone russe dell’Ottocento e un olio di Maurice Utrillo, uno dei pochi celebri pittori di Montmartre effettivamente nato nel quartiere parigino. L’esposizione comprende inoltre alcune opere della collezione dell’associazione I Lamberti, una serie di disegni di Boggiani, l’artista e antropologo cui è intitolata la pinacoteca, e alcune sculture. “Questo – ha detto Zanasi commentando l’imminente inaugurazione della pinacoteca – è il regalo mio e di mio marito alla città. Ora questi quadri, che sono sempre stati da noi molto amati, non sono più nostri, ma vostri: guardateli, amateli, portate i vostri figli e i vostri amici”. Villa Liberty, i cui lavori sono costati circa trecento mila euro, sarà aperta al pubblico nei pomeriggi dal giovedì alla domenica e potrà ospitare laboratori per le scuole.

È la magia il tema del Festival Nazionale Luigi Pirandello e del ‘900

Ideato da Giulio Graglia con la direzione artistica di Mario Brusa

Ritorna dal 9 giugno fino al 12 settembre, dopo il successo degli anni passati, la XIX edizione del Festival Nazionale Luigi Pirandello e del ‘900, che ha quest’anno come suo direttore artistico la figura di Mario Brusa. Presentato al Circolo dei Lettori, luogo di elezione che accolse la presentazione della prima edizione del Festival, nel 2007, con Gianni Oliva come Assessore alla Cultura, quest’anno il Festival presenta un tema particolare, quello della “magia”. Proprio la magia in Pirandello è spesso rappresentata come una forza che trasforma l’immaginazione in realtà, un modo diverso di interpretarla, che supera la razionalità. L’immaginazione, nell’opera dello scrittore, viene utilizzata per creare storie e protagonisti che oltrepassano la realtà e il linguaggio. Se da un lato la fantasia è una forza creativa che dà forma a sentimenti spesso impossibili da esprimere, dall’altro la realtà viene letta da Pirandello come un movimento continuo e in perenne trasformazione. Il poeta assume i connotati di un mago che dialoga con il lettore, entrambi immersi nella finzione. Un tema che riporta persino a una grande opera di Shakespeare, uno dei grandi testi dell’umanità, “La Tempesta”, in cui la magia si fa poesia attraverso i poteri di Prospero e del suo fido Ariel, che lo riporterà, alla fine, a riconquistare l’umanità perduta. Se la fantasia si spegne, l’uomo impazzisce. Nel programma di quest’anno, infatti, non manca la rappresentazione di “Sei personaggi in cerca d’autore”, che avverrà il 18 giugno, alle 20.45, curata da Giulio Graglia, con gli attori under 25 dell’Accademia Mario Brusa. L’appuntamento sarà al castello di Lucento per la Fondazione AIEF, in via Pianezza 123. Sarà replicato il 27 giugno, alle 20.45, per AmMira Festival Punto13, in via Farinelli 36/9, a Torino. Si tratta del dramma più famoso e senz’altro uno di quelli più amati dello scrittore siciliano. Si cerca di svelare il meccanismo della magia e della creazione artistica, e il passaggio dalle persone ai personaggi, dall’aver forma all’essere forma. La magia significa anche avere Arturo Brachetti come ospite nello spettacolo in programma il 26 luglio, alle 20.45, dal titolo “Arturo racconta Brachetti”, presso Villa Tosco Prever, a Coazze.

“Ogni anno – dichiara l’Assessora alla Cultura della Città di Torino Rosanna Purchia – il fascino dell’opera di Luigi Pirandello e degli autori del Novecento, rivive nel Festival Pirandello tra spettacoli, passeggiate letterarie e incontri di approfondimento. La capacità di creare legami con le diverse realtà territoriali è un tratto distintivo della manifestazione, in grado di coinvolgere istituzioni, associazioni culturali, compagnie teatrali, e che da questa edizione si apre anche al mondo dello sport. Un ringraziamento sentito va all’ideatore e anima del Festival Giulio Graglia, e un caloroso augurio di buon lavoro al direttore artistico Mario Brusa che, per la prima volta, guiderà con competenza e dedizione verso il futuro questa importante rassegna culturale”.

“Luigi Pirandello è un punto di riferimento per il teatro – afferma il direttore artistico Mario Brusa – quanti testi scritti da lui hanno fatto parte della mia vita di attore e di regista. Un’emozione quando mi è stato chiesto di assumere questo ruolo per il Festival, fondato nel 2007 dall’amico Giulio Graglia, perché dopo tante esperienze acquisite in campo teatrale, televisivo e come direttore di doppiaggio, mi mancava di occuparmi di un Festival dedicato al grande drammaturgo siciliano. Nella vita accadono magie inaspettate, e non è un caso che il tema di quest’anno sia proprio dedicato alla magia, un termine forse un po’ abusato, ma molto amato da chi è abituato a respirare il palcoscenico, perché il teatro è magia. Ogni sera, quando si spengono le luci e si dà vita a un testo, si entra nella finzione, in un’altra dimensione. Immaginazione e realtà si fondono, e rapiscono il pubblico. Si torna indietro nel tempo oppure si va avanti oppure, usando un titolo caro a Pirandello, si recita “a soggetto”. Magia è scoprire nuovi talenti, come gli studenti dell’Accademia che dirigo, e che per il Festival hanno preparato ‘Sei personaggi in cerca d’autore’. Magia è ammirare anche il grande Arturo Brachetti. Anche i temi più leggeri sono magici, come il ricordo dell’avanspettacolo in ‘Così ridevamo’, previsto il 7 luglio, alle ore 20.45, in collaborazione con Evergreen Fest, al Parco della Tesoriera. Saranno presenti Franco Barbero, Rosalba Bongiovanni, Margherita Fumero, oltre a me stesso, e sarà una produzione Linguadoc”.

È poi intervenuto anche Giampiero Leo, consigliere di indirizzo della Fondazione CRT, di cui è presidente della Commissione arte, cultura, welfare e territorio, che ha sottolineato il ruolo del Festival nel suo legame con il Piemonte e il ruolo che, da sempre, ha rivestito la Fondazione CRT nel supportare economicamente il Festival Luigi Pirandello e nel renderlo possibile.

Lo spunto della creazione del Festival, avvenuta nel 2007, è legato al soggiorno che Luigi Pirandello fece nel 1901 a Coazze, ospite della sorella Lina, viaggiando in treno da Roma a Torino, e quindi, sempre in treno, da Torino a Giaveno, e giungendo in calesse a Coazze.

Torino, con i suoi teatri Alfieri e Carignano, ha giocato un ruolo fondamentale per Pirandello, nonostante il pubblico sabaudo e la critica non siano mai stati così benevoli nei suoi confronti, ma ciò che ha particolarmente influenzato la creatività del Premio Nobel per la Letteratura sono stati gli abitanti e il paesaggio della Valsangone. A Coazze Pirandello si è fermato per due mesi, e questi sono i luoghi gli hanno ispirato la stesura de “Il taccuino di Coazze”, della commedia “Ciascuno a suo modo”, di due novelle, “Gioventù” e “La Messa di quest’anno” e la stessa del romanzo “Giustino Roncella nato Boggiolo”.

Il Festival ospita anche il Premio Letterario Giovanni Graglia, dedicato al padre di Giulio Graglia, nato nel 2005 e presieduto dalla scrittrice Sabrina Gonzatto, previsto per il 12 settembre, alle ore 18, presso il Circolo della Stampa Sporting Torino. Nella medesima location si terrà il 16 giugno, alle ore 18, una partita di calcio solidale, “Pirandello Vs Soriano”, a cura di Linguadoc, in collaborazione con Pirandello Contemporaneo (Brasile), NIC (Nazionale Italiana Cantanti) e ASL Città di Torino. Un altro momento particolarmente interessante della rassegna è quello delle Passeggiate Pirandelliane a Coazze, accompagnate dal professor Piero Leonardi, previste il 13 e 20 luglio prossimo alle ore 18, in collaborazione con il Comune di Coazze, a cura di Linguadoc, nata nel 1997 grazie all’intuizione di Giulio Graglia. Negli anni Linguadoc ha organizzato eventi culturali per enti pubblici e privati in Italia e all’estero, confermandosi per continuità e innovazione.

L’edizione 2025 del Festival Nazionale Luigi Pirandello e del ‘900 ricorda tre anniversari importanti, quello di Carlo Levi, per il quale il 9 giugno si terranno le proiezioni “In ricordo di Carlo Levi” con RAI TECHE, a cura di Linguadoc, nel palazzo della Radio di via Verdi 31 a Torino.

Il secondo anniversario ricorderà i cinquant’anni dalla morte di Pier Paolo Pasolini e presso il Circolo dei Lettori andrà in scena “Affabulazione e altre narrazioni” il 20 giugno alle ore 18.

Terzo anniversario è quello per gli ottanta anni della Liberazione con “Festa grande di aprile”, in ricordo di Franco Antonicelli. L’evento si terrà il13 giugno alle ore 18 presso il Circolo dei Lettori, produzione di Linguadoc, in collaborazione con l’Ordine dei Giornalisti del Piemonte.

Carlo Levi sarà  inoltre ricordato insieme a Cesare Pavese durante l’incontro dal titolo “I confinati” il 25 giugno alle ore 20.45 presso piazza della Confraternita a Santo Stefano Belbo, in collaborazione con il Pavese Festival.

Per informazioni info@linguadoc.it

Tel 3356299996

Mara Martellotta

“Novecento” di Baricco al termovalorizzatore

Grande successo di pubblico sabato 7 giugno, al termovalorizzatore di Torino per l’adattamento, da parte della compagnia teatrale PoEM, di “Novecento” di Alessandro Baricco. L’opera, prodotta dal Teatro Stabile di Torino, valorizzata dalla regia di Gabriele Vacis e dagli allestimenti e dalla scenofonia di Roberto Tarasco, si è svolta all’aperto, con il pubblico che ha assistito di fronte a un bilico – un pianale industriale trasformato in palcoscenico – da cui ha preso vita la vicenda del leggendario pianista del Virginian.

 Hanno assistito allo spettacolo oltre 300 spettatori che hanno apprezzato l’allestimento che ha favorito il dialogo tra attori, pubblico e impianto in un unico organismo scenico.

Il termovalorizzatore, luogo in cui si trasformano i rifiuti in energia e calore, ha ospitato una diversa metamorfosi: quella della parola scritta che si fa voce, corpo e visione.

Torino, 1872: quando la statua di Balbo traslocò

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Alla scoperta dei monumenti di Torino / I lavori per il ricongiungimento della città storica con il Borgo Nuovo, stravolsero completamente l’area implicando la demolizione dello spalto al quale si appoggiava il giardino. Durante questa fase il monumento a Cesare Balbo subì uno spostamento provvisorio, per poi essere riposizionato, nei primi mesi del 1874, nella nuova Aiuola Balbo

Cari amici lettori e lettrici, eccoci nuovamente pronti per un’altra piacevole (si spera) ed interessante passeggiata per le vie della città alla scoperta delle sue affascinanti opere. Questa settimana vorrei parlarvi di un noto personaggio storico nato nel capoluogo piemontese e divenuto un personaggio di rilevante importanza per la città di Torino; sto parlando di Cesare Balbo e del monumento a lui dedicato. (Essepiesse)

La statua è situata in via Accademia Albertina sull’asse centrale dell’Aiuola Balbo, ai margini della vasca d’acqua centrale. Cesare Balbo è ritratto in posizione seduta, vestito in abiti borghesi con un ampio mantello sulle spalle; con la mano destra stringe gli occhiali, mentre sul ginocchio sinistro tiene aperto con la mano il libro “Le speranze d’Italia”, libro da lui scritto, pubblicato nel 1844 a Parigi e dedicato all’ideale politico dell’unificazione italiana.

 

Cesare Balbo nacque a Torino il 21 novembre del 1789 da Prospero Balbo già sindaco di Torino e ambasciatore di Parigi ed Enrichetta Taparelli D’Azeglio, fu un uomo politico, scrittore e Presidente del Consiglio del Regno di Sardegna. Cesare Balbo maturò culturalmente in varie città europee a causa della continua peregrinazione che il padre dovette subire nei difficili anni del regno di Vittorio Amedeo III di Savoia; fu così che venne a contatto con le nuove teorie illuministiche che, in quegli anni, stavano prendendo sempre più piede nei maggiori centri culturali europei.

Fu propugnatore dell’indipendenza d’Italia dal dominio austriaco ed uno dei più importanti esponenti della cultura liberale piemontese. Nel 1848, dopo la concessione dello Statuto Albertino, divenne presidente del primo Ministero costituzionale piemontese e fu deputato del Parlamento Subalpino fino alla sua scomparsa. Immediatamente dopo la sua morte, avvenuta a Torino il 3 giugno 1853, alcuni cittadini torinesi decisero di erigergli una statua alla memoria. Venne istituito il “Comitato per l’erezione di un monumento a Cesare Balbo” presieduto da Cesare Alfieri di Sostegno e del quale facevano parte Giuseppe Arconati, Ottavio di Revel, Federico Scoplis e Luigi Torelli.

Apertasi una pubblica sottoscrizione, in pochi mesi la cifra raggiunta superò le 10.000 lire delle quali circa la metà fu costituita da oblazioni private, mentre la restante parte venne donata da enti pubblici. Per ciò che riguardava invece il concorso del Municipio di Torino, si fu inizialmente orientati su due ipotesi diverse: rendere disponibile un’area all’interno del Camposanto generale oppure, nel caso il Comitato avesse voluto erigerlo in sito pubblico, concorrere economicamente alla sua realizzazione. Essendo scelta la seconda opzione, il Municipio decise di stanziare la somma di 3.000 lire, alla quale si aggiunsero i contributi dei Municipi di Pinerolo, Susa e della Provincia di Torino (1.000 lire), raggiungendo così la cifra di 10.554 lire.

Della realizzazione dell’opera venne incaricato Vincenzo Vela (lo stesso autore dell’opera già vista da noi “Alfiere dell’ Esercito Sardo”), da pochi mesi professore di scultura dell’Accademia Albertina di Torino. Vela scelse di rappresentare Cesare Balbo in una posa “naturale”, in un atteggiamento anche posturale, che ricordasse la sua vita, il suo lavoro ed anche il suo impegno di letterato e di scrittore. Per la realizzazione del monumento vennero versate a Vela circa £ 10.000, mentre le rimanenti 554 lire furono spese per la realizzazione di una cancellata di protezione.

Nei primi mesi del 1856, Cesare Alfieri propose al Sindaco Notta di posizionare l’opera nel Giardino dei Ripari, tra il nascente Borgo Nuovo e la città storica; il 5 giugno 1856 il Consiglio Comunale, venendo incontro a questa richiesta, diede il suo consenso alla collocazione della statua in cima al declivio che dalla via della Madonna degli Angeli conduce al Giardino. Il monumento a Cesare Balbo venne inaugurato l’8 luglio del 1856 ed in questa occasione venne donato al Municipio che lo accettò ufficialmente nella seduta del Consiglio Comunale del 15 novembre 1856.

In seguito però, nel 1872 delle nuove politiche condussero alla riconfigurazione dell’area occupata dal Giardino dei Ripari; i pesanti lavori per il ricongiungimento della città storica con il Borgo Nuovo, stravolsero completamente l’area implicando la demolizione dello spalto al quale si appoggiava il giardino. Durante questa fase il monumento a Cesare Balbo subì uno spostamento provvisorio, per poi essere riposizionato, nei primi mesi del 1874, nella nuova Aiuola Balbo dove ancora oggi si può ammirare. Purtroppo, durante la seconda guerra mondiale l’opera venne danneggiata durante i bombardamenti.

 

Visto che abbiamo accennato alla realizzazione della “nuova” Aiuola Balbo, ricordiamo che essa è un giardino d’origine tardo ottocentesca; è caratterizzata dall’essere realizzata su terrapieno e quindi delimitata da un perimetro murario che la isola, sollevandola, dalle strade che la circondano. Di forma rettangolare, ha come fulcro una importante fontana centrale ed è piantumata con alberi disposti in modo naturale lungo tutto il perimetro.

Il disegno definitivo dell’Aiuola Balbo venne realizzato nel 1873 dall’ingegnere capo Pecco, che progettò un giardino totalmente verde, sollevato di circa un metro e mezzo al di sopra del piano stradale. I monumenti a Cesare Balbo, Eusebio Bava e Daniele Manin vennero ricollocati in modo simmetrico e armonico nell’Aiuola Balbo, nel centro del giardino sul suo asse longitudinale; l’ inserimento dell’ importante fontana centrale vennedeciso solo più tardi, nel febbraio 1874. L’Aiuola Balbo, inaugurata il 19 settembre 1874, oggi ospita complessivamente sei monumenti che la caratterizzano come un giardino dedicato ai patrioti attivi nei moti per l’indipendenza degli stati europei.

Simona Pili Stella

Foto  G i a n n i  C a n e d d u

Musei Reali di Torino, nella Cappella della Sindone l’installazione multimediale Oculus Spei

Dal 6 giugno al 26 agosto prossimo, presso la Cappella della Sindone dei Musei Reali di Torino, sarà esposta al pubblico Oculus Spei, installazione multimediale di Annalaura di Luggo.

La mostra, curata da Ivan D’Alberto, promossa dai Musei Reali e dal Museo Diocesano di Torino, ha ricevuto il patrocinio morale del Giubileo 2025, del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e del Ministero della Giustizia.

La Cappella della Sindone, monumento che custodisce uno dei simboli della cristianità e della spiritualità universale, si apre all’arte contemporanea, accogliendo un progetto che intreccia tecnologia, arte e fede. In questo spazio sacro, dove la Sindone si offre come simbolo di redenzione, Oculus Spei propone un messaggio profondo: la speranza come forza positiva che permette di affrontare ogni sfida e difficoltà.

L’opera multimediale è interattiva dell’artista napoletana si articola attorno a 5 Porte Sante ideali, davanti alle quali il visitatore è invitato a bussare concretamente. Oltre alle prime 4 Porte Sante, il pubblico trova persone con disabilità provenienti dai 4 angoli del mondo. Sono uomini e donne che si fanno testimoni di forza e resilienza. Una luce che discende dall’alto, li attraversa aprendo un varco nel loro cuore e nel loro sguardo. Da sempre l’occhio, per Annalaura di Luggo, è la chiave d’accesso più profonda verso l’animo umano. La quinta Porta è ispirata a quella del carcere di Rebibbia, aperta da Papa Francesco come segno di accoglienza e misericordia, e rappresenta il momento più intimo e trasformativo del percorso. Il visitatore, ripreso in tempo reale, si trova in una gabbia simbolica che evoca ogni forma di prigionia, precarietà e vulnerabilità, ed è proprio in questa condizione di reclusione che la luce riappare, suggerendo una possibile liberazione interiore attraverso la speranza.

“L’esposizione dell’opera multimediale Oculus Spei di Annalaura di Luggo – afferma Mario Turetta, direttore dei Musei Reali di Torino – all’interno degli spazi fortemente caratterizzati della cappella, consente di far dialogare le opere del passato con le espressioni artistiche contemporanee. L’attraversamento simbolico delle opere di Oculus Spei, ideate con un sapiente uso della luce, protagonista della stessa architettura barocca della Sindone, implica una visione inclusiva pienamente in linea con la missione degli stessi Musei Reali, aperta a tutti i pubblici, e per i quali l’arte costituisce uno strumento cruciale di mediazione e condivisione”.

“L’opera avvicina – spiega Lorenza Santa, curatrice delle collezioni di Palazzo Reale – ha esperienze, emozioni, difficoltà e sogni – invitando lo spettatore a riflettere e a superare confini e barriere”.

“Dopo l’allestimento nel Pantheon romano – spiega Gianluca Popolla, direttore del Museo Diocesano – arriva a Torino questo evento che ci consente di informare e orientare gli occhi, fisici e simbolici, poiché crea un singolare e affascinante dialogo tra il percorso  architettonico e artistico ideato secoli fa dal genio di Guarino Guarini nel luogo dove era ospitata la Sacra Sindone, e le moderne installazioni multimediali della grande artista”.

Ad ampliare il senso dell’opera, l’omonimo documentario di Annalaura di Luggo, che approfondisce i temi del progetto attraverso un racconto visivo che intreccia le immagini delle Porte Sante con riflessioni e testimonianze sul tema della speranza. Ne emerge una narrazione corale dove l’arte diventa spazio di ascolto e condivisione.

Annalaura di Luggo è nata nel 1970 a Napoli, dove vive e lavora, e il suo percorso si esprime attraverso la ricerca a multimediale, fotografia, video e regia. Le sue opere e installazioni sono realizzate attraverso la fusione di tecnologie e manualità, e dialogano con il fruitore che spesso è protagonista dell’azione, portato a riflettere su questioni sociali e ambientali, e su temi come i diritti umani, la cecità, il mondo animale, la natura e la biodiversità.

Presentando il biglietto d’ingresso al Museo Diocesano, è previsto uno sconto di 5 euro per visitare i Musei Reali (10 euro anziché 15).

Mara Martellotta

Foto Andrea Guermani Musei Reali