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 Afghanistan, anche la Via Lattea si mobilita

Caro direttore, la situazione che si è venuta a creare nell’Afghanistan richiede, com’è ormai evidente a tutti, un sussulto di solidarietà e di concreta disponibilità all’accoglienza anche e soprattutto da parte degli enti locali.

Ora, senza lanciarsi in promesse propagandistiche e in scelte amministrative non praticabili, anche l’Unione Montana Comuni Olimpici della Via Lattea intende dare un contributo fattivo per affrontare la questione, seppur complessa e difficile. Senza dimenticare che, per quanto riguarda i comuni di Oulx e di Claviere, il non risolto problema dei flussi migratori in quei territori continua a creare enormi disagi alle popolazioni con pesanti ricadute per la stessa garanzia dell’ordine pubblico.

Ma, per tornare ai profughi afghani, l’Unione Montana Via Lattea manifesta la sua concreta disponibilità all’accoglienza di giovani atleti afghani dediti alle discipline sportive legate agli sport invernali: dallo sci alpino allo sci nordico. Una disponibilità concreta e praticabile che può rappresentare un contributo per rafforzare e valorizzare la ‘cultura dell’accoglienza e dell’integrazione’ nei nostri territori.

Maurizio Beria, Presidente Unione Montana Comuni Olimpici Via Lattea.
Giorgio Merlo, Assessore Comunicazione Unione Montana Comuni Olimpici Via Lattea

“Afghanistan: non lasciamoli soli!”

Caro direttore, il convegno/conferenza stampa, che si svolgerà sabato 11 settembre, a partire dalle h 10.30 presso la “sala trasparenza” della Regione Piemonte, sita in Piazza Castello, 165, come potrete desumere dalla locandina, non è solo un –  pur importante – momento di analisi culturale o di testimonianze, bensì di un’occasione per la costruzione di una “realtà operativa” a favore del popolo Afghano.
Infatti il nostro obiettivo è iniziare a mettere insieme tutte quelle forze e componenti sociali, disponibili tanto all’accoglienza degli sventurati profughi nei nostri Paesi, quanto al garantire il più possibile diritti umani e civili a coloro che rischiano di essere oppressi da un giogo spietato e oscurantista: minoranze, giovani, intellettuali cittadini che amano la democrazia e la libertà ecc, a partire dalle Donne.
Pur non volendo dimenticare nessuno, è però tristemente evidente come le donne afghane siano le persone condannate a pagare il prezzo più alto.
Per le ragioni succitate – e  tante altre ancora – sentiamo il dovere civile e morale di unirci con forza, convinzione e passione affinchè le nostre sorelle e i nostri fratelli afghani…. non siano lasciati soli.
Giampiero Leo (portavoce del Coordinamento interconfessionale Noi siamo con voi), a nome di tutte le realtà organizzatrici del convegno. 

Gli assistenti sociali e l’assistenza ai profughi

Giornata internazionale della solidarietà. Assistenti sociali piemontesi: “Principio radicato in una buona fetta della popolazione, la disponibilità all’accoglienza dei profughi afghani lo dimostra. Le istituzioni devonoessere soggetti trainanti”.

31 agosto, Torino. Si celebra oggi la Giornata internazionale della solidarietà, istituita dall’Onu nel 2005 per sensibilizzare le persone e la società al tema e, al contempo, stimolare azioni di sostegno e collaborazione nei confronti di chi vive situazioni di disagio.

La solidarietà è posta tra i valori fondanti dell’ordinamento giuridico, tanto da essere riconosciuta e garantita, insieme ai diritti inviolabili dell’uomo, come base della convivenza sociale.

In questa occasione, l’Ordine Assistenti sociali del Piemonte interviene per ricordare da un lato il significato della solidarietà come impegno delle istituzioni, della società civile e di ogni essere umano e dall’altro per sottolineare l’impegno del Servizio Sociale e degli assistenti sociali nel perseguire gli obiettivi di salvaguardia dei diritti umani.

«In questa fase storicaafferma Antonino Attinà (Presidente Ordine Assistenti sociali del Piemonte) riflettere sul tema della solidarietà ci richiama immediatamente ai molteplici esempi di mobilitazione e di impegno etico della società civile durante il periodo di pandemia. E ancora, in questi giorni i tragici fatti dell’Afghanistan stanno mettendo in luce l’assunzione di una responsabilità collettiva necessaria per garantire l’accoglienza dei profughi. A Settimo Torinese, nel centro Fenoglio, i profughi afghani da poco arrivati sono 94. Tra di loro, come informa l’amministrazione comunale, ci sono “42 bambini, alcuni molto piccoli, i loro genitori e, in qualche caso, altri parenti”. Diversi sono i comuni della nostra regione che hanno dato la disponibilità ad accogliere le persone che fuggono dall’Afghanistan e, sempre più, sta diventando rilevante il movimento di Associazioni, gruppi informali e singoli cittadini che si stanno dando da fare per preparare e sostenere le attività di accoglienza. Un ulteriore segnale di quanto il principio della solidarietà sia radicato nella cultura dei piemontesi. Le istituzioni devono comunque continuare ad essere i soggetti trainanti, propulsori, scongiurando il rischio che vi sia una delega verso il basso delle responsabilità istituzionali e che i cittadini siano chiamati a colmare dei vuoti».

«Gli assistenti socialiprecisa Daniela Simone (Tesoriere Ordine Assistenti sociali del Piemonte) sono impegnati nel promuovere e sostenere reti di solidarietà, accompagnandole nel percorso di prossimità, vicinanza e dialogo che garantiscano inclusione sociale e attenzione alle persone più vulnerabili. Inoltre, sono investiti della responsabilità di “riconoscere” la solidarietà spontanea che nasce da cittadini singoli o aggregati, dando valore alle esperienze, competenze e conoscenze di cui sono portatori e a “dare voce” al loro impegno presso le istituzioni. Solo attraverso la sinergia tra le diverse espressioni della solidarietà, i professionisti e le istituzioni si possono attivare processi virtuosi per la costruzione di comunità sempre più attente alle persone».

Secondo Attinà: L’Afghanistan riporta di attualità i valori della solidarietà a cui è necessario dare un significato ampio e globale capace di affrontare la complessità provocata dalle incertezze e dai cambiamenti sociali. Una sfida che coinvolge tanti attori, istituzionali e non, e che responsabilizza tutti in uno sforzo di connessione e collaborazione riconoscendo reciprocamente ruoli e risorse. Sfida che obbliga le politiche a non fare dei diritti una mera bandiera bensì ad assicurarne, per tutti, la vera esigibilità”.

A Porta Palazzo si parla di donne e di Afghanistan con Quirico, Saraceno, Sciuto e Schiavulli

30 agosto, 6 e 13 settembre. Ore 18,30 davanti alla Portineria di comunità. Piazza della Repubblica 1, Torino

Tre lunedì per parlare di Afghanistan, ora che i Talebani sono tornati al potere, e della condizione delle donne e di coloro che hanno lavorato al fianco dei militari statunitensi e di paesi come l’Italia. La questione femminile in questo paese ritorna alla ribalta della cronaca. Le donne sono sparite dagli uffici, dalle strade e temono per la propria vita solo per il fatto di essere donne e di voler studiare e lavorare. Di tutto questo si discuterà, per tre lunedì di fila, in Piazza della Repubblica a Torino alle 18.30 e in diretta sulla piattaforma culturale web-radio su www.tradiradio.org.

Si parte il 30 agosto in collegamento con l’inviato de La Stampa, Domenico Quirico e la corrispondente di guerra Barbara Schiavulli. Si prosegue il 6 settembre con la sociologa Chiara Saraceno in collegamento con la giornalista e filosofa, Cinzia Sciuto. E si finisce il 13 settembre con una pedalata, come nel libro di Gabriele Clima, una storia che parte dalla polvere e dalle voci della capitale Afghana e parla di donne e coraggio.

“Volevamo interrogarci su cosa succede a un passo da noi, in Afghanistan e così abbiamo deciso di aggiungere un extra tempo a Summertime, non avere paura, la stagione estiva della Rete italiana di cultura popolare, proprio per parlare della condizione femminile. Si tratta di un tempo necessario per dialogare sui temi della interculturalità, del rapporto fra uomo e donna, della democrazia, in Afghanistan come in Italia, insieme alle ragazze e ai ragazzi delle scuole, perché le loro, e nostre, domande non rimangano senza risposte”.

Dal virus di Whuan al virus Taleban

A cura di LINEAITALIAPIEMONTE.IT

Di Riccardo Ruggeri*

Dopo il Virus di Wuhan, e il suo pendant il Vaccino, inizierà una nuova pandemia di chiacchiere? Impossibile pretendere “cambiamenti” sulla base di teorie non supportate da una determinazione feroce di execution. Gli afgani l’execution l’hanno nel sangue, noi europei l’abbiamo persa settant’anni fa.

L’Europa ha rinunciato a essere una grande potenza, diventando un grande discount e una ONG moralizzante. Questo stravagante modo di ragionare “radical chic” sta portando l’Occidente alla sconfitta in ogni campo. Non ci resta che inginocchiarci anche ai taleban

Affrontare il problema Afghanistan in termini di analisi è, almeno per me, opera velleitaria e inutile, per cui me ne guarderò bene. Trovo ridicolo sputare sentenze su un Paese che dai tempi di Alessandro Magno ha respinto qualsiasi invasore, seppur dotato di eserciti potenti e in possesso di armi via via più moderne e sofisticate…

… continua a leggere: VIRUS TALEBAN

 

*Riccardo Ruggeri operaio Fiat per 40 anni poi Ceo di New Hollande, manager, imprenditore, giornalista, editore, scrittore.

Autorizzato da Zafferano.news, solo per abbonati (abbonamento gratuito)

“L’ultimo lenzuolo bianco”, viaggio interiore in Afghanistan

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Vi riproponiamo questa recensione che torna di stretta attualità per le drammatiche vicende afghane

LIBRI / L’AFGHANISTAN E IL VIAGGIO INTERIORE DI FARHAD BITANI

Dice di non essere uno scrittore Farhad Bitani, ma un militare che la vissuto la paura, un essere umano che porta i segni indelebili della guerra, visibili e invisibili, che hanno condizionato, facendolo tuttora,  il suo modo di guardare la vita. Figlio di un generale e mujaheddin, appartenente ad una delle famiglie più ricche e fortunate dell’Afghanistan, Bitani ha vissuto nella guerra, assuefatto dalla normalità del conflitto, proprio come, purtroppo, tutte le ultime generazioni della popolazione afghana.

Da vincitore prima, il padre contribuì alla sconfitta del potere sovietico,  e da perseguitato in un secondo momento, a causa della presa di potere da parte dei talebani, ha egli stesso partecipato alla guerra che ha significato assisterne agli orrori, vivendoinevitabilmente una vita che non ha mai conosciuto la pace.

Nel 2011, durante una vacanza che lo riporta dall’Italia, dove studiava presso l’Accademia Militare,  al suo paese d’origine  accade un terribile episodio, un attentato, che cambia la sua esistenza per sempre: “la strada era piena di dossi, ho rallentato, dai boschi arriva uno sparo, poi una grandinata di colpi, cinque o sei sparano coi kalasnikov, corriamo come pazzi in mezzo ai colpi”. Bitani si salva, ma rimane ferito. “Non sono morto, ci ripenso e non so spiegarmi perché”.

Il libro racconta la vita dell’autore, un afghano di Kabul, ci porta in un disperato scenario di guerra cronica, in una realtà scandita da un indottrinamento radicato contro l’occidente, da una cultura opprimente. Si narra di una quotidianità che cambia drammaticamente sotto il potere talebano, vessazioni giornaliere, interrogazioni sulla dottrina seguite da terribili punizioni, burqa per le donne e barba per gli uomini con obbligo inappellabile di osservanza.

Quella di Bitani è una testimonianza importante, una critica robusta ai fondamentalismi, una presa di consapevolezza sulle falsità raccontate a proposito della “guerra santa”,  complice il ruolo dell’ignoranza, che ha portato ad utilizzare “il nome dell’Islam per il potere”.

Il lavoro dello scrittore è un racconto consapevole, vissuto sulla propria pelle, del dramma di tutte quelle persone che fuggono dalla guerra con una speranza, carichi di una tragedia inimmaginabile, avvolti da quella disperazione a volte incompresa.

 

Maria La Barbera

Gara di solidarietà per i profughi afghani, 42 sono bambini

I profughi afgani ospitati a Settimo Torinese nel centro Fenoglio sono in tutto 94, di cui 42 bambini, alcuni molto piccoli, con  i loro genitori e altri parenti.

I profughi  rimarranno  al Fenoglio circa una decina di giorni per poi essere distribuiti  in diversi  Comuni nei progetti di accoglienza già attivi.

Gara di solidarietà della cittadinanza per consegnare cibo,  vestiti, giocattoli.

Il  Comune ha chiesto alla Croce rossa  un elenco di materiale di cui c’è effettiva necessità,  consultabile sul sito di Fondazione Comunità Solidale.

Afghanistan: “Chieri farà la sua parte”

Il Sindaco di Chieri Alessandro Sicchiero: “Ci muoveremo d’intesa con Prefettura ed Anci. Illumineremo il campanile di San Giorgio.”

 

«Anche Chieri è pronta a fare la sua parte, accogliendo le famiglie in fuga dall’Afghanistan, in accordo con le Prefetture, l’Anci e le istituzioni coinvolte. Condivido appieno le parole del Presidente dell’Europarlamento, David Sassoli: l’Europa ha il dovere di accogliere i profughi afghani e tutti coloro che rischiano di essere esposti alla vendetta talebana. Attendiamo che venga fatta chiarezza e definito un piano operativo, nell’ambito del quale anche Chieri darà un proprio contributo, coinvolgendo le realtà dell’associazionismo locale e del Terzo settore, le parrocchie e le famiglie chieresi. Sono certo che non mancherà una forte risposta di solidarietà ed accoglienza da parte della nostra comunità. Inoltre, penseremo ad un atto simbolico di vicinanza al popolo afghano, in particolare alle donne, e ringrazio il consigliere Tommaso Varaldo per la sua sollecitazione in tal senso. Non le bandiere a mezz’asta, usate per ricorrenze ed eventi istituzionali e coordinati, bensì l’illuminazione del campanile di San Giorgio, ancora più visibile, magari in occasione dell’inizio del Settembre Chierese».

Il Sindaco di Chieri Alessandro Sicchiero

Le lezioni del fallimento occidentale in Afghanistan

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LETTERE AL GIORNALE


Caro direttore, seguo le vicende afghane da quasi trentanni, dapprima come ricercatore e giornalista e poi, più da vicino come practitioner di varie organizzazioni internazionali attive in Asia centrale.

Se sono stato anchio colto alla sprovvista dalla rapidità del crollo del regime di Kabul a Ferragosto, non ho mai avuto dubbi che questo sarebbe stato lesito finale della sciagurata invasione lanciata dagli USA nel 2001. Ricordiamo alcuni punti fondamentali. Durante lintervento sovietico in Afghanistan(1979-1989), gli USA hanno armato ed addestrato bande di fondamentalisti islamici provocando lesplosione deljihad (e del traffico deroina) a livello mondiale. Dopo che il paese sprofondò nel caos in seguito all’abbandono sovietico, sempre gli USA approvarono la presa del potere da parte dei talebani. Quando, in maniera a tuttoggi inspiegata in modo razionale, avvenne lattacco dell11 settembre, Washington decise dinvadere il paese senza uno straccio di prova che riconducesse i terroristi al regime dei Talebani.

Quella in cui gli europei sono stati coinvolti per ventanni è stata dunque una guerra d’aggressione senza alcuna base legale. Tale guerra gli americani lhannocondotta sulla pelle degli altri (lAlleanza delle minoranze afghane del Nord) o seppellendo le posizioni nemiche di bombe, ogni volta falciando decine di innocenti.

Gli americani si sono quindi ingegnati a mettere al potere una serie di dipendenti delle loro multinazionali, completamente scollati dalla realtà del paese. In parallelo, con lentusiastico sostegno dei vassalli europei, si è cercato di imporre in un paese di comunità agricole tradizionali il modello occidentale di stampo anglo-americano. In tal modo, gli occidentali hanno ripetuto lerrore sovietico, solosostituendo il liberismo al marxismo. Peggio che prima, la stragrande maggioranza degli afghani (non i dipendenti delle ONG mostrati dalle TV italiane) ha accolto con ripugnanza un modello di modernità che anche da noi sempre di più si rivela come fondamentalmente marcio, basato comè sulla mercificazione di ogni valore, la competizione quale regola onnipresente, un femminismo puritano anglosassone che crea odio verso gli uomini, pornografia di massa venduta come liberazione. Per non parlare degli eccessi LGTB, che suscitano orrore in tutte le società ad est della linea Varsavia-Istanbul.

Anche trascendendo dallavversione delle masse per gli pseudovalori occidentali, il tentativo di applicarli in Afghanistan nasceva morto nel momento in cui non si prevedevano sforzi per la costruzione di unarchitettura statale ed economica efficace per il nuovo protettorato. I sovietici questo lo fecero ed in effetti il regime da essi lasciato a Kabul riuscì a reggersi da solo per sette anni (19891996).

Sotto gli americani, nella corruzione regnante di governanti senza scrupoli al soldo dello straniero, le masse si sono riallineate ai rappresentati del vecchio ordine che per inciso avevano anche bloccato il narcotraffico, ridivenuto imperante durante loccupazione.

Per anni Washington e le sue ignave ancelle europee (i soli a credere nella retorica dei diritti umani) hanno cercato di corrompere quanta più gente possibile per portare qualcuno dalla loro parte. Costoro li abbiamo visti accalcarsi dietro gli aerei allaeroporto di Kabul.

Per noi europei la cosa più indicata da fare di fronte a questo disastro sarebbe di trarne le debite conseguenze e scuotersi da un torpore che ci porterà solo nuove tragedie.

Ventanni fa scrissi che l’Afghanistan, dopo essere stato la tomba del potere sovietico, annunciava l’inizio della fine dell’egemonia anglosassone sulla scena internazionale. Sottolineo anglosassone invitando chi legge a finirla con la retorica dellOccidente, che è solo unasovrastruttura ideologica per il dominio anglo-americano sul resto dellEuropa. Le immagini che arrivano da Kabul servano a riflettere sul fatto che strutture come la NATO non contribuiscono più a creare sicurezza ma producono al contrario linstabilità (basta guardare alla Libia) in cui lItalia è oggi immersa. I paladini dell“Occidente smettano di stracciarsi le vesti per le mogli dei funzionari defenestrati di Kabul ed inizino invece a concentrarsi sulla situazione delle donne saudite, martoriate da un regime a cui ilsistema a cui loro si vantano d’appartenere fornisce ogni genere di supporto. Traiamo dalla tragedia dellAfghanistan le giuste lezioni: se vogliamo evitare nuovi disastri per il futuro, dobbiamo tornare padroni del nostro destino. Anche perché, data la nuova guerra fredda che USA e Gran Bretagna alimentano contro la Russia, la principale potenza nucleare, i prossimi cataclismi causati dal vassallaggio atlantico saranno sempre più vicini a noi e potrebbero rivelarsi fatali.

Fabrizio Vielmini
analista Vision & Global Trends(https://vision-gt.eu)