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La balaustra reale torna all’antico splendore per turisti e torinesi

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I visitatori dei Musei Reali di Torino possono tornare ad ammirare la splendida balaustra che caratterizza la sala del trono di Palazzo Reale nella sua versione restaurata, grazie al sostegno del Consiglio regionale del Piemonte. L’intervento è frutto di un protocollo di intesa che prosegue nel tempo con progetti destinati alla valorizzazione di Palazzo Reale. L’opera è stata oggetto di un intervento condotto dalla ditta Doneux con la direzione di Franco Gualano, curatore delle collezioni d’arte della residenza. Gli strati di pulviscolo atmosferico accumulatosi negli anni, specie negli interstizi del raffinato intaglio difficilmente raggiungibili durante le normali attività manutentive, ne avevano infatti offuscato lo splendore. Oggi, grazie al lavoro di attenta pulitura, si può nuovamente ammirare la lucentezza della foglia d’oro che ne ricopre l’intera superficie. Situata al piano nobile del Palazzo, la sala del trono venne riplasmata per volontà di Carlo Alberto dal bolognese Pelagio Palagi nella prima metà del XIX secolo, precedentemente l’ambiente fu utilizzato come Camera da Parata, prima delle duchesse e poi delle regine. Palagi modificò gran parte delle decorazioni rendendole adatte al nuovo uso, inserendo anche capolavori già presenti nelle collezioni palatine. Fulcro dell’intervento fu l’ideazione di un nuovo trono, disegnato dall’artista bolognese e realizzato dall’ebanista Gabriele Capello. Sormontato da un ricco baldacchino, il trono fu cinto da un prezioso arredo già presente nelle collezioni reali: la balaustra in legno intagliato, scolpito e dorato realizzata da Francesco Bolgié per racchiudere il letto di Maria Teresa d’Asburgo Lorena-Este, giovane sposa del Duca d’Aosta. Infatti, in occasione del suo matrimonio con il futuro re Vittorio Emanuele I, nel 1789, si rimodernò l’Appartamento dei duchi al secondo piano di Palazzo Reale e la balaustra, ornata da putti, girali d’acanto, vasi, fiaccole e colombe, trovò collocazione. Il restauro si inserisce tra gli interventi sostenuti dal Consiglio regionale del Piemonte, primo tra tutti il recupero della Cappella privata di Carlo Alberto, nel 2016.

Linea di confine. Spigolature di vita e storie torinesi

di Pier Franco Quaglieni

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La grande Russia di Pasternak –  Asproni, non flectar – Il Velo di Gian Luca Caffarena – Il finto e il vero Natale A Torino – Un angolo di Sicilia in città 

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La grande Russia di Pasternak

Quest’anno ricorre il centenario della Rivoluzione d’Ottobre destinata a cambiare la Russia e parte del mondo.Il terrore dei bolscevichi determinò una svolta storica. Anche tanti Paesi d’Europa come la Polonia,l’Ungheria, la Bulgaria,la Romania,la Germania dell’Est dovettero vivere e soffrire sotto il giogo comunista.Non fu solo lo Stalinismo a determinare quelle situazioni drammatiche perché la responsabilità storica ricade sul Comunismo sovietico nel suo insieme,in primis su Lenin e Troskij. Ma ricorre anche un altro anniversario che rivaluta la storia e la cultura russa,collegandola a quella di Tolstoi e di Chekov:il 60° della pubblicazione in Italia del romanzo di Boris Pasternak Il dotor Zivago,un capolavoro vincitore del Premio Nobel che lo scrittore non poté andare a ritirare per il divieto assoluto delle autorità sovietiche. Fu merito di un editore di sinistra come Giangiacomo Feltrinelli che sfidò ogni minaccia e rifiutò ogni lusinga volta ad impedire la pubblicazione di Pasternak. Il romanzo fu pubblicato legalmente in Russia solo nel 1988,dopo che l’autore era morto nel 1960 in povertà ,non aiutato da chi in Italia aveva pubblicato il suo libro e si arricchiva con la sua vendita. Nel libro si racconta una drammatica ed appassionata storia d’amore con Lara che ha per sfondo la guerra civile tra russi bianchi e rossi a seguito della Rivoluzione d’Ottobre. Mio suocero Roger Pegnaieff che ebbe il padre assassinato insieme alla famiglia dai bolscevichi e si salvò miracolosamente da quella strage, mi parlava spesso di quel libro. Il modo per ricordare quegli anni terribili che sfociarono in una dittatura disumana,mi diceva, è leggere Pasternak che di fronte al realismo dell’arte sovietica asservita al regime,scrisse ispirandosi ai valori universali della libertà.

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Asproni, non flectar 
Patrizia Asproni ,g ià Presidente della Fondazione Torino Musei, deus ex machina del successo di Torino con l’allestimento di grandi mostre,è una donna molto gradevole e gentile,una donna che opera a livello internazionale,intrattenendo rapporti con l’intero mondo artistico dei diversi continenti. Ma ha anche un carattere di ferro che non si piega alle arroganze di Appendino a cui ha sbattuto la porta. E’ discendente di Giorgio Asproni, patriota e deputato al Parlamento subalpino e poi al Parlamento italiano per 9 legislature. Nel 1859 fornì armi e soldi per i volontari,partecipando successivamente alle spedizione dei Mille. Fu un irriducibile avversario di Cavour e della destra storica,ma in lui vibrò soprattutto il suo animo di patriota. Divenne amico oltre che di Garibaldi,di Cattaneo,di Mazzini. L’epitaffio sulla sua tomba recita queste due semplici parole che sono il programma di tutta una vita : Non flectar,non mi piegherò . Patrizia Asproni applica orgogliosamente quel motto nella sua vita . “La Stampa” , un tempo, aveva per motto in testata “Frangar non flectar, poi qualche direttore realistico e accomodante ha avuto il buon senso di eliminarlo.Il giornale si era piegato,senza spezzarsi,al fascismo. Ma anche a tanti altri poteri. Non a caso non ha dedicato un rigo a Patrizia Asproni, premiata a Torino ad un anno di distanza dal suo sdegnoso e sdegnato abbandono di un carica che ricopriva a titolo gratuito. 

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Il finto e il vero Natale A Torino

il Natale è iniziato addirittura ad ottobre con luminarie di artista e di negozianti. Un clima artefatto,costruito anzi tempo. Le luci d’artista non sono più neppure un’attrattiva turistica,esse sono ormai obsolete,sempre uguali da troppi anni,con costi di manutenzione proibitivi. Le aperture domenicali dei negozi sono ormai quasi la norma. Spesso i negozi restano deserti perché la crisi morde e costringe a limitarsi a vedere le vetrine luccicanti,senza varcare la soglia degli esercizi commerciali. Ma il clima natalizio è meramente commerciale. Si è persa l’anima del Natale vero, i presepi scompaiono perché considerati un’offesa ai musulmani,i canti tradizionali non si sentono più,la Novena del Natale sopravvive alla Chiesa di San Lorenzo,cantata in latino: “Regem venturum dominum adoremus…”. Solo il Parroco di “San Pietro e Paolo” ,un salesiano colto e coraggioso,don Mauro, che vive nel cuore di San Salvario,è consapevole della necessità di tutelare l’identità cristiana. Don Bosco giunse l’8 dicembre del 1847-170 anni fa- e cominciò la sua missione in una zona già molto difficile allora. Oggi quell’area è esplosiva anche per i conflitti esistenti tra gli stessi musulmani. E va citato anche il grande presepe meccanico di via Po presso la Chiesa dell’Annunziata dove mi portavano bambino e dove sono tornato,ritrovando le stesse, immutate emozioni di un tempo. Che cosa dovrebbe essere il Natale ce lo ricorda un filosofo laico come Massimo Cacciari , non credente : Gesù non è un dio che stabilisce una relazione con gli uomini,ma è Dio che si fa uomo per redimere l’umanità con il suo sacrificio in Croce. Pensiamoci in questi giorni che ci dividono dal Natale e diamo un aiuto a chi non ha nulla. Non c’è bisogno di andare alle aste benefiche promosse dalle madamine torinesi,basta guardarsi attorno ,purtroppo,quasi ad ogni angolo di Torino.

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Il Velo di Gian Luca Caffarena

Il velo è quello tra realtà ed apparenza che copre le vicende di una famiglia di imprenditori genovesi, che si snodano nella parabola discendente di tre generazioni. Il patrimonio, le liturgie domestiche, la Ditta, il buon nome: tutto si sgretola attraverso il decadimento individuale e storico in un affresco tragico in cui la borghesia novecentesca viene fotografata dall’autore con  sguardo disincantato. Sullo sfondo  della storia della famiglia Olivari ricca di cantieri, industrie, poderi agricoli, attività edilizie e finanziarie in Liguria e nel Basso Piemonte, passan la Seconda Guerra Mondiale, la ricostruzione faticosa e coraggiosa, il “miracolo economico”, i rivolgimenti sociali ed economici, che si intrecciano con i tradimenti, i segreti incoffessabili, le morti misteriose, i rapporti ambigui tra la borghesia della “Superba” e i reietti dei suoi bassi vicoli antichi. Un noir che attrae per le sorprese e gli svelamenti, ma che fa anche meditare sul decadimento storico di una società senza più grandi speranze. L’autore è un personaggio della cultura torinese ed è di origini genovesi.  Anticonformista,libero nel pensiero che mal si concilia con il conformismo subalpino. Forse paga il fatto di aver intervistato un mostro sacro come Umberto Eco,svelando un pensiero che Eco avrebbe voluto mantenere nascosto in relazione al ’68.Oltre che un narratore affascinante è anche un giornalista corrosivo che non accetta imposizioni.Torino dovrebbe leggere il suo ultimo libro su cui ha faticato per anni,raggiungendo un livello di eccellenza con una vivacità di scrittura oggi molto rara.Il libro descrive una saga familiare genovese, che può essere paradigmatica per tante altre famiglie italiane.Tra le troppe cocottes del giornalismo torinese,davvero troppe e sgangherate,Caffarena è un chierico che non tradisce, per dirla con Benda.

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Un angolo di Sicilia a Torino 
Ha aperto un bar pasticceria siciliana nel cuore di Torino, in via Goito 1 angolo corso Vittorio Emanuele,”Mizzica! “ dove si possono gustare cannoli e cassate confezionati come si deve.
Mancava nel centro un negozio del genere da quando Immordino , lo storico Immordino, scelse di trasferirsi in periferia. Il negozio di Giovanni Immordino ,nato subito dopo la guerra vicino alla Consolata,trasferitosi poi in via Urbano Rattazzi, cedette poi la pasticceria al lavorante e visse gli ultimi anni a San Remo. Era stato in guerra con mio padre e si onorò della sua amicizia. Riavere a portata di mano i cannoli sarà un’occasione per tanti siciliani per ritrovarsi. Nella bottega vicino alla Consolata tanti anni fa si ritrovavano il questore di origini siciliane,ufficiali dei carabinieri,magistrati, gente comune. Immordino ogni volta mi regalava un carrettino siciliano. Ci andava anche un notissimo coiffeur, Salvatore Cupani, mancato immaturamente. Erano i siciliani che hanno arricchito Torino con il loro lavoro che decretò il loro successo

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LETTERE  scrivere a quaglieni@gmail.com

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I giornali e la cultura

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Caro professore,
Noto con con piacere che,se voglio essere informato delle attività culturali di Torino , ci sono due possibilità : Il Torinese on line e Torino7 cartaceo.Gli altri giornali intonano le pagine della cultura-compreso il nuovo Corriere di Torino- con paginate sul Circolo dei lettori,su Torino film festival e non informano. Loro scelgono gli eventi, io lettore vorrei esserne informato brevemente e dettagliatamente. Viene a mancare un servizio al lettore. Il giornalista si sostituisce a noi che leggiamo.  Nicola Tesio 

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Concordo totalmente con Lei, forse così i giornalisti possono favorire i loro amici e non faticare a raccogliere i tanti eventi che ,malgrado tutto, caratterizza la vita culturale torinese che vive anche per il sacrificio dei tanti volontari. Solo chi si affida ad un ufficio stampa che costa parecchi soldi, può avere la certezza di ottenere spazio sui giornali. O è costretto a fare pubblicità a pagamento. Ne va dimezzo il pluralismo culturale di Torino.

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(In)sicurezza

Caro Quaglieni,
Ho letto che nella Metropolitana di Torino c’erano gli estintori scaduti da due anni.
Un ennesimo segno che Torino è regredita.Sono indignata. Non guarda neppure più la sicurezza minima. Giulia E.

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Precisiamo che sono scaduti in circa la metà delle fermate.Il che non è comunque poco.Avrebbero dovuto essere revisionati entro novembre 2015.La ricarica non è stata fatta.Quaranta milioni di viaggiatori sono transitati in condizioni di insicurezza. C’è da chiedersi cosa ha fatto chi era incaricato dalla vigilanza e della manutenzione degli estintori. Purtroppo ci sono tanti altri segnali di degrado urbano,di trascuratezza, di inerzia.Torino vive un momento tragico,ma anche le altre città non sono tanto migliori. E’ una magra consolazione perché è l’intero sistema Italia che sta andando a pezzi. Purtroppo.

Limone Piemonte intitola una via al Col. Domenico Rossotto

Domenica 18 giugno  Limone Piemonte ha  intitolato una via cittadina al Colonnello Domenico Rossotto, cittadino d’adozione dal 1991. All’Eroe sono stati dedicati anche gli annessi giardini ove è stata innalzata una stele commemorativa in acciaio, creata dall’artista Nino Baudino

La cerimonia presieduta dal sindaco di Limone Piemonte Angelo Fruttero, già Ufficiale medico di complemento degli Alpini, è stata promossa dall’Istituto del Nastro Azzurro – Sezione di Vigevano e Lomellina ed organizzata dall’A.N.A. – Gruppo Limone Piemonte.Erano presenti la figlia del Colonnello, Signora Maria Vittoria Rossotto e i nipoti, tutti residenti a Vigevano.L’Autorità più elevata è il Comandante del 1° Rgt. a. mon. Col. Stefano Panoni.

Dalla zona di raduno per raggiungere la chiesa parrocchiale di San Pietro in vincoli (1^ fase della manifestazione) aprivano lo sfilamento i gonfaloni dei Comuni di Limone P.te e di Vigevano, seguiti dai labari dell’Istituto del Nastro Azzurro- Federazioni provinciali di Torino e di Imperia e Sezione di Vigevano-Lomellina; dell’ A.N.Art.I.- Delegazione del Piemonte e sezioni di Moncalvo d’Asti e Villafranca P.te; dell’Arma Aeronautica; dei Bersaglieri; del Comitato locale di Limone Piemonte della Croce Rossa Italiana; dell’Unione Combattenti e Reduci di Imperia. Chiudevano la sfilata i gagliardetti dei Gruppi locali degli Alpini preceduti dal loro labaro della Sezione di Cuneo.

Dopo la Santa Messa le Autorità e le citate Associazioni si sono trasferite al monumento ai Caduti dove ha avuto luogo l’alzabandiera con la guardia schierante del 1° Rgt. a. mon. di Fossano, che presentava le armi e, a seguire, la deposizione della corona di alloro ai Caduti ad opera del Sindaco e del Comandante del Reggimento. Sono quindi seguite le allocuzioni del Sindaco che ha commentato “Siamo orgogliosi di dedicare una strada del nostro paese al Colonnello Rossotto, un personaggio di grande levatura morale e intellettuale che era molto legato a Limone, dove ha trascorso molti anni della sua vita. Questo vuol essere uno stimolo per la comunità a ricordare le gesta eroiche del nostro concittadino, che rappresenta senza dubbio un esempio di rettitudine per i giovani” e della professoressa Laura Pasquino, del Nastro Azzurro di Vigevano, che ha brevemente ricordato i meriti del Colonnello Rossotto, più avanti riportati.

Il Presidente del Nastro Azzurro di Vigevano – Lomellina, Brigadiere M.A.V.M. Calogero Modica ha sottolineato, con voce incrinata dall’emozione, come sempre il Colonnello abbia messo prima l’uomo, il soldato con i suoi problemi, le sue ansie, i suoi timori e ha concluso come sia “nostro dovere ricordare l’operato di questo grande uomo, che ha speso tutta la vita per insegnarci con il suo esempio l’Amor di Patria, il rispetto delle istituzioni e l’importanza delle tradizioni, per non dimenticare chi si è immolato per conquistare la libertà di cui godiamo”.

È stato quindi il turno degli Alpini con il Presidente del Gruppo Alpini locale Fedele Gertosio che ha ringraziato tutti gli intervenuti e un grazie speciale l’ha riservato all’artista Nino Baudino, che, con la sua opera, sancisce un rapporto decennale con gli Alpini di Limone P.te. Subito dopo il Vice Presidente della Sezione A.N.A. di Cuneo, Marco Agnello, ha plaudito l’iniziativa, rammaricandosi che altri Gruppi Alpini non siano potuti intervenire per concominanti impegni nella bassa cunese.

 

Per ultimo lo speaker ha invitato il Delegato Regionale A.N.Art.I. del Piemonte e della Valle d’Aosta, Gen. Luigi Ghezzi, a prendere la parola. Il Generale, in rappresentanza del Presidente Nazionale- Gen. Rocco Viglietta- ha portato il saluto dello Stesso e dell’Associazione tutta ed ha ringraziato il Presidente Nazionale del Nastro Azzurro, Gen. Carlo Maria Magnani, per la squisita delicatezza nell’aver voluto coinvolgere nella cerimonia anche gli Artiglieri d’Italia, considerato che il Colonnello Rossotto era sì Alpino, ma pur sempre innanzitutto Artigliere, uscito dalla storica e gloriosa Regia Accademia di Artiglieria e Genio di Torino (cosa tra l’altro confermatami dalla Figlia).

Il Delegato, prendendo spunto dalle parole del Parroco, Don Elio Dotto, chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la vita per causa mia, la troverà, a commento del Vangelo e dalle parole Soldato, riferita al Colonnello e Soldati ai suoi Artiglieri (Ufficiali, Sottufficiali e Truppa), ha esordito ricordando quanto appropriatamente il Cappellano militare della Caserma Piave di Civitavecchia propose, come riflessione, agli Artiglieri del 13° Gruppo “Magliana” l’accostamento del Soldato a Cristo. Esso, il Soldato, è chiamato a sacrificarsi- financo con la vita- per il Prossimo e questo è schietto altruismo, vera e propria negazione di quell’egoismo che- il Vangelo ammonisce- fa perdere la vita.

L’altra parola chiave è “Soldato”. Sì soldato perché tale termine identifica maturità, responsabilità, disciplina, dovere. E qui il pensiero ci riporta indietro, alla Cresima, quando il Vescovo, con l’imposizione delle mani sul capo e l’unzione della fronte col Sacro Crisma, stigmatizza la piena maturità Cristiana del cresimato, definendolo Soldato di Cristo.

Tornando a noi militari, la cosa più importante dell’uniforme sono le stellette che si portano sul bavero della giubba. Queste stanno sopra le mostrine proprio a ricordare che al di sopra dell’artigliere, dell’alpino, del bersagliere, etc c’è lui, il soldato. E il Colonnello Rossotto era un vero Soldato, un Comandante a tutto tondo: intelligente, capacità professionale superba, prontezza e lucidità di valutazione anche in situazioni più estreme, cura costante dei dipendenti, coraggio. A ciò univa un’eccezionale dirittura morale (esempio, non chiacchiere), che le conquistava la stima e l’affetto dei suoi soldati: non a caso i suoi Artiglieri lo chiamavano “papà Rossotto”. Era un autentico trascinatore: i suoi Artiglieri avevano estrema fiducia in lui e lo seguivano dovunque.

Tutti i vivi all’assalto! Il mio Gruppo alla baionetta con me tra tre minuti!” E al terzo minuto, al grido di “Savoiaaa!“, pistola in pugno, strappando con i denti la sicura della bomba a mano, si lanciò contro i fanti Russi. Tutti i soldati, anche gli addetti ai servizi – furieri, telefonisti, infermieri, dottori, cucinieri, conducenti e addetti alle salmerie – baionetta inastata, scattarono in avanti e questa massa di disperati riesce a ricacciare i Russi e a rompere l’accerchiamento fatale. Questo era il Colonnello Rossotto: una superba figura di Comandante. A Lui si attaglia in pieno il Pensiero di Sant’Agostino in merito al Comando: Rossotto infatti esercitava il comando non per primeggiare, ma per amore di provvedere al bene e – aggiungo io – alla salvezza dei suoi Artiglieri. Dopo le allocuzioni, il Sindaco, il Comandante del 1° Rgt. a. mon. e la Signora Maria Vittoria Rossotto hanno scoperto la targa della via intitolata al Colonnello e la stele a ricordo dello Stesso posizionata negli gli adiacenti giardini.

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IL COLONNELLO DOMENICO ROSSOTTO (di Prof. Laura Pasquino )

Domenico Rossotto è stato Comandante del Gruppo Conegliano del 3° Reggimento Artiglieria da montagna della Divisione Julia dal 1937 al 1943, prima durante la campagna di Grecia e poi sul fronte russo-franco, guidando i superstiti della colonna Rossotto e portando in salvo il gruppo nella ritirata del Don. Per i suoi atti eroici in guerra è stato insignito di ben quattro Medaglie d’Argento al Valor Militare e della Croce di Cavaliere dell’Ordine Militare d’Italia Nel 1985 il Comune di Conegliano (TV) gli ha conferito la cittadinanza onoraria, mentre nel 1992 alla sua memoria è stata intitolata la sede del Gruppo Alpini di Limone Piemonte, dove risiedeva negli ultimi anni di vita. È autore del libro “Ricordi di guerra”, dove racconta il suo passato militare. Inoltre, viene citato nel libro di Giulio Bedeschi “Centomila gavette di ghiaccio” con lo pseudonimo di Colonnello Verdotti.

Questo è tutto sulla cerimonia di Limone P.te.

Non posso però chiudere senza citare quanto il Generale di Corpo d’Armata Umberto Ricagno, già Comandante della Divisione Alpina Julia scrive del Colonnello Domenico Rossotto in un rapporto informativo, datato Bari 26 marzo 1952 ” …Uomo riflessivo e di sangue freddo, pieno di risorse, in situazioni assai difficili dimostrò alta capacità e leggendario valore. …”

Il Delegato Regionale Luigi Ghezzi

 

Oggi al cinema

LE TRAME DEI FILM NELLE SALE DI TORINO

A cura di Elio Rabbione

 

L’altra metà della storia – Drammatico. Regia di Ritesh Batra, con Jim Broabent, Charlotte Rampling e Emily Mortimer. Tony Webster, con un matrimonio alle spalle e ormai in pensione, conduce una vita solitaria e tranquilla. Una lettera lo avverte di un diario, di un antico amore, di un amico che aveva sconvolto la sua vita. Una notizia che lo spinge a voler recuperare quel dario e a confrontarsi con il proprio passato, tra inganni rimpianti e sensi di colpa. Dal regista che di recente ha riunito due mostri sacri come Jane Fonda e Robert Redford, Leone d’Oro alla carriere ad agosto a Venezia, per il crepuscolare “Le nostre anime di notte”. Durata 108 minuti. (Romano sala 1)

 

Ammore e malavita – Commedia. Regia dei Manetti Bros, con Serena Rossi, Giampaolo Morelli, Carlo Buccirosso e Claudia Gerini. Applauditissimo a Venezia, ennesimo esempio in laguna dell’abbuffata – nel bene e nel male – napoletana, risate, musiche e canzoni (anche in prestito da “Flashdance”), sceneggiata fabbricata sui vecchi canoni ma rivista allegramente con l’occhio di oggi. L’infermiera Fatima ha visto qualcosa di troppo e il giovane cuore duro Ciro, sicario nel libro paga di Don Vincenzo, viene comandato di farla sparire. Ma la dolce fanciulla canterina è il primo amore di Ciro e il primo “ammore” non si scorda mai. E allora il boss che fa? Decide di sparire, con tanto di funerale, sotto gli occhi che più lacrime non possono di della consorte donna Maria. Chi vincerà? Durata 134 minuti. (Eliseo Blu, Reposi)

 

La battaglia dei sessi – Commedia. Regia di Jonathan Dayton e Valerie Farsi, con Emma Stone e Steve Carrell. La partita a tennis, con un seguito televisivo di 90 milioni di spettatori in tutto il mondo, che nel 1973 mise l’uno contro l’altra Bobby Riggs, maschilista oltre misura, che aveva fatto dell’istrionismo la legge del suo stare in campo, e Billie Jean King, tutt’all’opposto, gran combattiva per quanto riguardava la libertà in ogni campo delle donne, all’affermazione di ogni loro diritto. Una gara preda dei mass media in un’America ancora in bilico tra conservatorismo e piena trasformazione. Durata 121 minuti. (Ambrosio sala 2, Eliseo Grande, Greenwich sala 2, The Space, Uci)

 

Blade Runner 2049 – Fantascienza. Regia di Denis Villeneuve, con Ryan Gosling, Harrison Ford, Jared Leto e Robin Wright. In un’epoca futura, l’agente K va alla ricerca di Rick Deckard, un tempo posto a caccia dei replicanti ribelli, ancora una volta nel desiderio di una vita vera, quella che non può non avere sentimenti e infelicità, sogni. Ma è anche il racconto della sua vita reale, in piena solitudine, senza ricordi o la fittizia ricostruzione di essi, è l’unione con una compagna virtuale che in qualsiasi momento può esser fatta scomparire, è il disordine e la violenza del cieco scienziato Wallace, che tende a eliminare i vecchi replicanti rimasti per poter creare nuovi esempi, è l’incontro con l’antico agente Harrison Ford, rinato dal cult di Ridley Scott, dall’ormai lontano 1982. Un film che occhieggia ancora verso l’autore Philip K. Dick, che s’impone nella grandezza dei propri ambienti scenografici, che non teme i tempi lunghi, che già le critiche inglesi e provenienti da oltre oceano definiscono come un capolavoro. Durata 163 minuti. (Massaua, F.lli Marx sala Chico e Harpo anche in V.O., Ideal, Lux sala 1, Reposi, The Space, Uci)

 

Brutti e cattivi – Commedia. Regia di Cosimo Gomez, con Claudio Santamaria, Sara Serraiocco e Marco D’Amore. Una banda diversissima da quelle che in passato si possono essere viste sullo schermo. Già i nomi: Papero, Ballerina, il Merda, Plissé Che sarebbe come dire un capo che è senza gambe, la sua donna che si ritrova senza braccia, un rasta strafumato e perdutamente rintronato, un nano rapper. Il tutto concepito come “Freaks” anni 2000 e impaginato come banda dei “Soliti ignoti”. Durata 85 minuti. (Ambrosio sala 3, Massaua, The Space, Uci)

 

Cars 3 – Animazione. Regia di Brian Fee. Ancora un’avventura per Saetta McQueen, in piena depressione per la vittoria del giovane rivale Jackson Storm: ma l’idea di abbandonare le corse verrà immediatamente scacciata se all’orizzonte si mostrerà un’angelica Cruz, che ha cancellato l’idea di correre in pista per abbracciare quella di diventare una perfetta istruttrice. Durata109 minuti. (The Space, Uci)

 

Cattivissimo me 3 – Animazione. Regia di Kyle Balda e Pierre Coffin. Quando è ormai divenuto un importante membro della Lega Anti Cattivi, Gru viene avvertito di avere un fratello gemello, Dru: con lui andrà alla ricerca di Balthazar, il cattivo ossessionato dalla fama e fanatico degli anni Ottanta. Durata 96 minuti. (Massaua, Uci)

 

Come ti ammazzo il bodyguard – Azione. Regia di Patrick Hughes, con Ryan Reynolds, Salma Hayek, Gary Oldman e Samuel L. Jackson. Prendete due tipi che hanno il vizio dietro incarico altrui di far fuori la gente, prendete il fatto che per trascorsi non proprio del tutto felici non si vedano di buon occhio, prendete ancora il fatto che siano messi a proteggersi a vicenda per ripararsi dalle perfide intenzioni e dai fendenti di un tipaccio dell’Est che la corte dell’Aia dovrà processare per crimini di guerra. Aspettatevi battute al vetriolo, fanfaronate all’eccesso, inseguimenti, scazzottate e spari a non finire, il tutto condito con quell’aria di scanzonata commedia che in fondo alla storia brinderà all’amicizia e al lieto fine. Durata 118 minuti. (The Space, Uci)

 

Dove non ho mai abitato – Commedia. Regia di Paolo Franchi, con Fabrizio Gifuni, Emmanuelle Devos e Giulio Brogi. Dall’autore di “Nessuna qualità agli eroi” con Elio Germano. Dove un anziano architetto riesce a riunire, in occasione della costruzione di una villa, la figlia che vive a Parigi dopo aver sposato un ricco finanziere e l’allievo in cui ha sempre maggiormente creduto, ambizioso. Un nuovo rapporto, nuovi sentimenti. Girato a Torino. Durata 93 minuti. (F.lli Marx sala Groucho, Massimo sala 1)

 

Emoji, accendi le emozioni – Animazioni. Regia di Tony Leondis. Protagonisti gli emoticon, ovvero quelle belle faccine gialle che vi compaiono sugli smartphone. I quali non riescono ad entrare nelle connessioni del giovane Alex con la propria ragazza; inoltre uno di questi emoji, Gene, non riesce a mantenere l’unica espressione che gli è consentita. Servono aggiustamenti. Durata 86 minuti. (Massaua, Reposi, The Space, Uci)

 

L’incredibile vita di Norman –Commedia. Regia di Joseph Cedar, con Richard Gere, Charlotte Gainsbourg, Steve Buscemi, Lior Ashkenazi e Michael Sheen. La professione di Norman Oppenheimer è quella di creare appetitosi contatti tra i mondi finanziario e politico newyorkesi, di mettersi in bella e lucrosa luce con quella comunità ebraica americana che tesse parecchi fili. Più o meno preso sul serio, più o meno veramente in relazione con tutti quelli con cui afferma di essere in contatto. E la vita andrebbe avanti così, se un giorno non s’imbattesse in un deputato israeliano in odore di divenire premier. Che cosa accadrà quando questi, raggiunta la carica, offrirà a Norman un caldo abbraccio proprio davanti a chi conta? Ancora il culto dell’”immagine” (e dei quattrini): ma siamo sicuri che il potere paga (e appaga) sino in fondo? Durata 112 minuti. (Romano sala 3)

 

Kingsman: il cerchio d’oro – Azione. Regia di Matthew Vaughn, con Colin Firth, Taron Egerton, Julienne Moore e Channing Tatum. Seconda puntata degli ironici agenti segreti sulla scia di James Bond 007, camuffati dietro una sartoria londinese che nasconde il gruppo capitanato da un molto british Harry Hart, decisamente redivivo se nella puntata precedente il cattivo di turno era riuscito a mandarlo a miglior vita. Questa volta, guerrescamente rimesso in sesto, se la deve vedere con la narcotrafficante Moore, feroce e sorridente, che ha delle soluzioni finali di tutto rispetto per i propri nemici. Una gran bella dose d’ironia, inseguimenti e lotte come raramente se ne vedono, un ritmo invidiabile, una ferocissima Moore troppo amante del tritacarne e di hamburger sui generis. Divertimento assicurato. Un po’ troppo lungo ma ti siedi poltrona e non pensi a nient’altro. Durata 141 minuti. (Uci)

 

IT – Horror. Regia di Andrés Muschietti, con Bill Skarsgård, Sophia Lillis, Jeremy Ray Taylor e Jaeden Lieberher. Tratto dal romanzo del “maestro” Stephen King, perla rara nel genere ai recenti botteghini Usa. Durante un temporale, il giovanissimo George guarda la sua barchetta di carta scendere giù per i rivoli d’acqua e scomparire nella fogna di Derry, piccola città del Maine che sembra il ricettacolo di ogni male. Là è nascosto IT, che si nasconde sotto gli abiti e il viso colorati di Pennywise, vero orco per le giovani vittima che scoverà in città. Sette ragazzini pieni di paure, molestati, dalla debole salute, grassi e spaventati, con grosse lenti poggiate sul naso, neri ed ebrei. Tutti pronti a unirsi pur di distruggere il Male. Salvo rimandare la conclusione delle gesta ad un prossimo capitolo, buttato al di là di una trentina d’anni, in un’età più che matura. Durata 135 minuti. ((Centrale V.O., Massaua, Ideal, Lux sala 2, Reposi, The Space anche V.O., Uci anche V.O.)

 

Lego Ninjago – Il film – Animazione. Redia Charlie Bean, Paul Fisher e Bob Logan. Terzo episodio a ruotare attorno ai mattoncini della gloriosa ditta danese. Qui Loyd in compagnia dei suoi amici Lego dovrà difendere Ninjago City dagli attacchi del feroce Garmadon sotto la guida di un vecchio saggio: tra assalti e combattimenti compare pure – inspiegabilmente – un gatto in carne e ossa. Durata 101 minuti. (Massaua, Ideal, The Space, Uci)

 

Nemesi – Thriller. Regia di Walter Hill, con Sigourney Weaver e Michelle Rodriguez. La storia di Frank, assassino su commissione, che una vendicativa operazione chirurgica ha reso uomo. Spetterà al nuovo essere fare vendetta. Durata 95 minuti. (Greenwich sala 1, The Space, Uci)

 

Nico, 1988 – Drammatico. Regia di Susanna Nicchiarelli, con Tryne Dyrholm e Thomas Trabacchi. L’ultimo anno di vita della cantante Christa Päffgen, in arte Nico, voce dei Velvet Underground, la sua volontà di riconciliarsi con il figlio unico che per anni ha dimenticato. Premio Orizzonti per il miglior film a Venezia. Una storia che corre tra Parigi e Norimberga, tra Manchester e il litorale romano, è anche il riappropriarsi da parte della cantante della propria più autentica personalità, quando inizia la sua carriera da solista. Durata 93 minuti. (Massimo sala 1, anche V.O.)

 

Noi siamo tutto – Commedia drammatica. Regia di Stella Meghie, con Nick Robinson e Amanda Stenberg. Al romanzo si è già appassionato un numero enorme di persone, ora sullo schermo l’incontro tra la diciottenne Maddy, che una malattia tiene rinchiusa tra le pareti della sua casa, impossibilitata ad avere alcun rapporto esterno, e il suo nuovo vicino Olly. Durata 96 minuti. (Uci)

 

Nove lune e mezza – Commedia. Regia di Michela Andreozzi, con Claudia Gerini, Lillo, Giorgio Pasotti, Stefano Fresi e Michela Andreozzi. Opera prima. Due sorelle, diversissime tra loro, l’una è violoncellista, l’altra un più comune vigile urbano, c’è chi vorrebbe un giglio ma non riesce ad averlo e c’è chi può ma non vuole. Poi c’è la coppia gay, che è sposata e che il figlio pure ce l’ha. Durata 90 minuti. (Ideal, Reposi, Uci)

 

Il palazzo del viceré – Drammatico. Regia di Gurinder Chadha, con Gillian Anderson, Hugh Bonneville e Manish Dayal. Il nipote della regina Vittoria, Lord Mountbatten, come ultimo Viceré, ha il compito di accompagnare l’India nella transizione verso l’indipendenza. Ma la violenza esplode tra musulmani, induisti e sikh, sfociando in quella che è definita la “Partition” tra Pakistan e India, coinvolgendo anche gli oltre 500 membri dello staff che lavorano al Palazzo. La storia d’amore tra due giovani, musulmana lei, induista lui, rischia di essere travolta dal conflitto delle rispettive comunità religiose. Durata 106 minuti. (Eliseo Rosso, Romano sala 2)

 

40 anni sono i nuovi 20 – Regia di Hallie Meyers-Shyer, con Reese Witherspoon, Candice Bergen e Michael Sheen. Ovvero quando una bionda e ancora avvenente signora californiana, di fresco divorzio, due amorose bimbette a carico, forse inserito qualche tratto autobiografico se il padre stato un regista affermato e la madre un’attrice, incrocia sulla sua strada un aitante ventisettenne che riprende per lei una gran bella cotta. Ma ecco che ricompare l’antico consorte e le idee non saranno più chiare come erano sembrate all’inizio della nuova relazione. Durata 97 minuti. (Reposi, Uci)

 

Ritorno in Borgogna – Drammatico. Regia di Cèdric Klapisch, con Ana Girardot, François Civil, Pio Marmaï. Dieci anni fa Jean ha lasciato la famiglia, proprietaria di un grande vigneto in Borgogna, per trasferirsi all’estero. A causa della malattia terminale del padre, lascia l’Australia, dove vive con moglie e figlio, e torna a casa per rincontrare la sorella Juliette e il fratello Jérémie. Ma c’è la morte del padre, c’è la ricerca di una forte somma di denaro per pagare le tasse di successione: sarà l’occasione per i tre fratelli i legami che li hanno tenuti vicini un tempo. Durata 113 minuti. (Due Giardini sala Nirvana, Nazionale sala 2, Uci)

 

Una donna fantastica – Drammatico. Regia di Sebastiàn Leilo, con Daniela Vega. Marina è una donna giovane e attraente, innamorata di un uomo di vent’anni maggiore di lei. All’improvviso l’uomo muore: è in quel momento che la sua natura transgender la metterà di fronte ai pregiudizi della società in cui vive. Ma lei è una donna forte e coraggiosa, pronta a battersi contro tutto e contro tutti per difendere la propria identità e i propri sentimenti. Durata 104 minuti. (Due Giardini sala Ombrerosse, Nazionale sala 1)

 

L’uomo di neve – Thriller. Regia di Tomas Alfredson, con Michael Fassbender, Rebecca Ferguson e Charlotte Gainsbourg. Trasposizione cinematografica del settimo appuntamento tra Jo Nesbø ed il suo Harry Hole, detective della polizia sporco e traumatizzato, troppe volte attaccato alla bottiglia, che coltiva in sé drammi persi in anni passati, dedicandosi allo stesso tempo a districare le matasse che hanno all’interno delitti e vittime. Qui un killer perseguita e cancella donne separate con figli, le riduce a pezzi, lasciando sul luogo del delitto un inconfondibile pupazzo di neve. I delitti avvengono tra una nevicata e l’altra, nella fredda terra della Norvegia, è necessaria la materia prima per quei pupazzi posti dinanzi alle abitazioni delle vittime. Un trascorrere continuo tra passato e presente, angosce in cui trovano spazio una collega di Hole e la ex moglie. Una vera delusione per chi abbia letto le pagine del libro, il protagonista non è messo a fuoco e avanza stancamente nella storia, colpa maggiore la storia è costruita con un accavallarsi o un viaggiare caotico e controproducente di azioni in parallelo, con un disordine che non fa nulla per riporsi nel campo della ordinata stabilità. Meglio di gran lunga tornare al libro. Durata 125 minuti. (Ambrosio sala 1, Massaua, Ideal, Lux sala 3, Reposi, Uci)

 

Valerian e la città dei mille pianeti – Fantascienza. Regia di Lui Besson, con Dane DeHaan e Cara Delevingne. Una storia che vediamo soltanto oggi sugli schermi ma alla quale l’autore di “Nikita” pensava da almeno due decenni. In un lontanissimo futuro, Valerian e Loreline sono incaricati di una missione presso Alpha, metropoli immersa negli spazi galattici. Creature dai lunghi arti, con contorno di cattivi di vario genere e mostri famelici. Tecniche di ultimissima generazione, musiche assordanti, scenografie pronte a infiammare ogni immaginazione. Durata 140 minuti. (Uci)

 

I vari volti della polis nella mostra “Polisgraphics

Arte e grafica rappresentano il fil rouge della mostra dal titolo “Polisgraphics”, che apre battenti l’11 ottobre prossimo presso il Miaao, Museo di Arti Applicate, nella galleria Sottana. Si tratta di una dichiarazione di intenti attraverso la quale si vogliono documentare alcuni lavori realizzati a partire dagli inizi del XXI secolo da ventisette grafici, artisti, illustratori, architetti e designer italiani sul ruolo della polis intesa nell’accezione più ampia del termine, come città, comunità, democrazia, autonomia e quale radice etimologica del termine “politica”. Una coppia di artisti formatisi per l’occasione, Mauro Buccico e Mario Cresci, invita a prendere in considerazione la tradizione come rivoluzione, in una lettura diversa e avanguardista della cultura popolare. Un trio formatosi in occasione della mostra, composto da Marco Calabrese, Alessandro Scali e Mauro Gottardo, illustra prove di passaggio dal digitale all’analogico e al pensiero manuale, attraverso un apparecchio steampunk come il Giphoscope, creato e fabbricato dai primi due, accanto agli stupefacenti disegni di Gottardo. Nelle loro opere la polis risulta sovrappopolata e degradata, come si era configurata negli anni Sessanta, destinata a essere occupata da nuove comunità di mosche, piccioni e topi. Anche il tema del genere viene trattato nella mostra, in particolare da tre artisti in modo diverso. L’attivista lesbica Mary Tremonte, discepolo della studiosa femminista Silvia Federici, ha realizzato risografie e serigrafie per Queer Scouts; Franco Ferrero ironizza su un certo immaginario maschile, e il designer Andrea Vecera denuncia le terribili violenze subite dalle donne. E lo fa con un’opera dal titolo “Ipazia” che descrive la donna attraverso gli occhi di alcune protagoniste femminili che hanno subito violenze. Si tratta di un progetto finanziato dal Programma Operativo della Regione Piemonte e cofinanziato dal Fondo Sociale Europeo, finalizzato a favorire l’inserimento lavorativo di donne vittime di violenza, attraverso la realizzazione di percorsi integrati di inserimento socio-lavorativo, in cui per le donne vittime di violenza sia anche possibile acquisire consapevolezza, serenità e riappropriarsi della dignità. Andrea Vecera è oggi uno dei più eclettici designer torinesi. Laureatosi in Design Industriale al Politecnico di Torino, con il quale tuttora collabora, ha da sempre nutrito una profonda passione per le arti visive, mostrata già dai suoi primi lavori esposti in alcune mostre d’arte. Oltre a essere un artista grafico, realizza oggetti di design anche industriale ed ha ottenuto importanti riconoscimenti, vincendo il primo premio internazionale Hp hand project design 2008 promosso da Hewlett -Packard e, nel 2007, il Silver Award nella competizione di giovani talenti Samsung Young Design Award, con il progetto “hiRec-produt recorder”, e nel 2008 il primo premio per il merchandising ufficiale di Torino World Design Capital.

Mara Martellotta

 

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Dall’arte rinasce la cultura politica di opposizione

Il titolo della mostra PolisGraphics è una dichiarazione di intenti: si vogliono infatti documentare alcuni lavori realizzati a partire dagli inizi del XXI secolo da ventisette grafici, artisti, artieri, illustratori, architetti, designer italiani di varie generazioni sul tema della polis intesa nell’ accezione ampia del termine: città, comunità, democrazia, autonomia, e come radice etimologica del termine politica. Politique d’abord e Art without Boundaries quindi, citando l’intestazione del seminale libro di Gerard Woods, Philip Thompson e John Williams (Thames and Hudson, 1972).

PolisGraphics però non è un’esposizione nostalgica di situazioni storiche precedenti di art engagé, e un po’ dépassé. È un florilegio più spregiudicato, irriverente e attuale, che vuole contraddire il luogo comune per cui oggi latiterebbe l’opposizione, soprattutto giovanile. Le installazioni e gli artefatti esposti, quasi tutti autoprodotti, sono espressioni di un pensiero eccentrico, davvero “laterale”. A esempio la coppia, formatasi per l’occasione, composta da Mauro Bubbico e Mario Cresci, invita a considerare “la tradizione come rivoluzione”, in una lettura diversa, persino “avanguardista” della cultura popolare, e del Sud come terra eletta per un nuovo tipo di progettazione, anche esistenziale. Claudio Calia invece celebra il Nord come terreno di coltura di nuove forme di contestazione, pratica e teorica, illustrando a fumetti le lotte contro la TAV, le ultime riflessioni di un “buon maestro” come Toni Negri e tracciando, a livello nazionale, una mappa dei centri sociali presentata da Zerocalcare. Accuse alla mercificazione dell’arte e del design sono avanzate da Ugo La Pietra che rende omaggio all’ Ezra Pound di Contro l’Usura e, in più “comiche” modalità, da Undesign. Tommaso Tozzi, tra i promotori delle culture cyberpunk in Italia, difensore dei diritti digitali, creatore di centri sociali virtuali, propone un quadro sinottico di suoi lavori riuniti sotto il titolo emblematico Hacker Art. Un trio formatosi per l’occasione, composto da Marco Calabrese, Alessandro Scali, Mauro Gottardo illustra prove di passaggio dal digitale all’analogico e al “pensiero manuale”, attraverso un apparecchio steampunk come il Giphoscope creato e fabbricato dai primi due e gli stupefacenti disegni a penna a sfera di Gottardo: per loro la polis è quella sovrappopolata e degradata, così come si è configurata dagli anni ’60, ed è destinata a essere occupata da nuove comunità di mosche, piccioni e topi. E ancora Mary Tremonte, attivista lesbica discepola della studiosa femminista Silvia Federici, turba e delizia con le sue risografie e serigrafie per Queer Scouts; Franco Ferrero ironizza su certo immaginario maschile e Andrea Vecera denuncia vere violenze sulle donne. Quattro autori rialzano bandiere: in quella rossa di Leandro Agostini della falce e del martello restano solo i manici, e l’inno diventa Avanti pop; nella stampa lenticolare di Jorrit Tornquist la vista del nostro stellone è turbata da un’ambigua percezione di emblemi rosso-neri; negli stendardi di Nicolò Tomaini e Andrea Mariscotti i simboli dei “nuovi regimi” social del web interferiscono con quelli totalitari di un tempo, del comunismo e del nazismo. Una simile direzione di ricerca è imboccata anche da Massimiliano Zoggia con un assemblage “omografico”. La FIAT poi, in una esposizione di questa natura allestita a Torino, non poteva mancare: così Mario Benvenuto celebra la vecchia cosiddetta Officina Stella Rossa nella quale erano concentrati i “sovversivi”, mentre i Diversi Associati ridisegnano la pianta, e indicano una futura e insieme antica destinazione a parco di Mirafiori. Di altri artieri si affiggeranno manifesti per partiti d’invenzione e polemici verso le politiche urbane e culturali correnti con i loro slogan, a partire dal non identificato “Banksy di Torino” che tra gli altri ha preso di mira la Sindaca Appendino con Pugn e mes, d’après Armando Testa; Sergio Cascavilla con Né a destra né a sinistra ma con i vincitori; Guerrilla Spam con Shit art fair, dedicato alla fiera Artissima e a Maurizio Cattelan; ed Elio Varuna con Per il ritorno delle barriere estetiche. Ecco, il rischio è forse, rinviando al Giorgio Bárberi Squarotti di Poesia e ideologia borghese (Liguori 1976), di confondere l’ingiustizia economica e sociale con l’insufficienza estetica e progettuale del mondo. Ma per i curatori della mostra, e per molti invitati più “disciplinati” principiando dalla giovane talentuosa Silvia Virgillo, dal rigoroso, architetturale artista e designer in bianconero Marcello Morandini e dal policromo, sofisticato “artiste décorateur” Alessandro Moreschini, si può teoricamente sostenere, in un ludo verbale maccheronico, che estetica etica est. La mostra PolisGraphics è stata concepita e organizzata nel contesto del programma culturale collaterale ai Torino Graphic Days, di Torino Design of the City, settimana di incontri, esposizioni e workshop dedicati al design e all’assemblea della World Design Organisation (WDO)™.

Artieri di tutto il mondo unitevi!

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Scheda di Mostra

PolisGraphics. Nuove arti applicate “impegnate”

Curatela: Enzo Biffi Gentili con Michele Bortolami, Tommaso Delmastro

e Lorenza Bessone per il Seminario Superiore di Arti Applicate/MIAAO

della Congregazione dell’Oratorio di Torino

con un apporto critico di Carlo Branzaglia

Sede: Galleria Sottana del MIAAO Museo Internazionale delle Arti Applicate Oggi

via Maria Vittoria 5. 10123 Torino Italia

Periodo di svolgimento: dal mercoledì 11 al martedì 31 ottobre 2017

Inaugurazione: mercoledì 11 ottobre ore 18. Finissage: martedì 31 ottobre, Halloween.

Giorni di apertura: dal martedì alla domenica, lunedì chiuso. Ore 15-20

INGRESSO LIBERO

Info: T +39 (0)11 561 11 61(ore 9-13) M miaao.museo@gmail.com S https://miaao.jimdo.com/

Bambina uccisa dai partigiani: la condanna dell’Anpi

Riceviamo e volentieri pubblichiamo il documento dell’ANPI di Savona che si riferisce  al caso della bambina tredicenne savonese stuprata e uccisa da partigiani comunisti. Il nostro giornale dedicò all’episodio due articoli di Pier Franco Quaglieni .Va dato atto che il nuovo documento dell’ANPI  corregge quello iniziale; il nuovo testo  non si può non condividere ed apprezzare.

“Il Comitato Provinciale, allargato al Consiglio Provinciale, dell’ANPI di Savona riunitosi in data 23 settembre 2017: ribadisce che L’ANPI ha sempre condannato e condanna le vendette e le violenze perpetrate all’indomani della Liberazione.

Lo fa anche rispetto alla vicenda terribile ed ingiustificabile dell’assassinio di Giuseppina Ghersi, avvenuto nei giorni convulsi e drammatici che seguirono il 25 aprile del 1945, così come espresso nel comunicato della Segreteria nazionale ANPI del 15 settembre 2017 e nella notazione del Presidente nazionale dell’ANPI, Carlo Smuraglia, pubblicata su ANPInews n° 257.”

G7, Torino si arrende ai contestatori. Ma la sicurezza viene prima della grandeur

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

Dopo gli ultimi aggiornamenti organizzativi  c’è davvero da domandarsi se i G 7 debbano continuare a tenersi nelle città o non debbano essere spostati in zone aperte e sicure in cui l’ordine pubblico possa essere garantito e contemporaneamente tutti i contestatori del mondo possano agitarsi e protestare come meglio desiderano ,senza recare danni.  La comparsa di una ghigliottina a Venaria non è un bel segno, indica il furore giacobino e violento che sta già manifestandosi e che  dovremo subire durante i giorni del G 7 a Venaria Reale e a Torino. In primis la Reggia resterà chiusa due settimane con grave danno turistico ed economico. In secondo luogo la cittadina e’ già in ansia per quello che potrà succedere, senza che le autorità diano ai cittadini  un segno la  sicurezza   Indispensabile che oggi deve  prevalere sul diritto di manifestare di qualche gruppo estremistico che non sa  neppure cosa significhi l’avverbio ” pacificamente “. Il diritto costituzionale e’ ben altra cosa dal caos violento  generato dai facinorosi. Cio’ che è stato deciso per Torino rasenta la follia. Scegliere un albergo in centro città per ospitare i ministri appare assurdo. Avevano detto che l’accoglienza sarebbe avvenuta in Canavese, in una realtà quindi distante sia da Venaria sia da Torino.

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Chi aveva progettato una cena al Castello del Valentino e una visita al Politecnico, forse ,vive fuori dalla realtà e infatti i due incontri sono stati cancellati. Forse non dovevano neppure essere messi  in calendario perché le ragioni di ordine pubblico oggi sono una priorità , specie a Torino. Mettere a rischio  l ‘incolumità delle persone a Torino, dopo piazza San Carlo , non è più consentito.  I cosiddetti antagonisti devono essere messi in condizioni di non nuocere. A Milano per l’inaugurazione dell’Expo hanno fatto disastri, per non ricordare  Genova messa a ferro e fuoco. Gli italiani sono stanchi  di violenze inutili e rifiutano questi  sfaccendati che sbarcano il lunario facendo i professionisti della violenza di piazza. Come diceva Flaiano ,questi vogliono fare le rivoluzioni e le barricate con i mobili degli altri. Se lo Stato non è in grado di difenderci, e’ meglio evitare  di rincorrere  la grandeur dei G7. Le zone militarizzate  avranno un grave danno e la città nel suo insieme ne trarrà solo disagi. Quali saranno i vantaggi? Credo nessuno. I ministri possono vedersi con calma da altre parti, evitando le parate, le cene, le cerimonie che, in tempi come questi, risultato, oltre che costosi, del tutto inutili anche sul piano politico.

 

quaglieni@gmail.com

Linea di confine. Spigolature di vita e storie torinesi

di Pier Franco Quaglieni
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OGR svolta nella cultura torinese – Bachi l’avvocato gentiluomo – A Colleretto Giacosa tra storia e gastronomia canavesana – L’Internazionale liberale di Oxford 
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OGR svolta nella cultura torinese
Ha ragione  il quasi sempre giustamente ipercritico Gabriele Ferraris nell’affermare  su “Torinosette ” che le OGR “nei progetti della Fondazione CRT e negli auspici di tutti diventeranno anima a motore di un nuovo rinascimento  torinese “.E’ vero le presidenze Marocco e Quaglia della Fondazione CRT hanno saputo proseguire e ampliare la presidenza Comba in una linea di continuità nel rinnovamento davvero esemplare. Senza fare progetti faraonici,la Fondazione CRT lavora con ritmo tipicamente  e saldamente piemontese senza lasciarsi affascinare dall’effimero e dalle mode e soprattutto dal settarismo politico. Il bando non è l’unica strada da perseguire.  Il direttore artistico delle OGR è stato scelto senza bando, in assoluta controtendenza . Come scrive Ferraris, la scelta muove” dal rispetto dell’intelligenza e dell’esperienza” che non sempre dai bandi è accertata con sicurezza e imparzialità. Il sistema dei punteggi può riservare brutte e belle sorprese, asseconda dei  concorrenti .Molte volte i bandi sono un modo solo apparentemente trasparente per continuare nelle logiche spartitorie del passato. Le OGR saranno davvero il futuro della cultura torinese. Non debbono dimenticarlo Circolo dei lettori e Polo del ‘900 che si ritengono legittimi leviatani che pretendono di  assorbire in sè tutto ciò che sia etichettabile come culturale nell’area torinese. E pensare che quando furono aperte frettolosamente  nel 2011 per i 150 anni dell’Unità d’Italia in alcuni locali di corso Castelfidardo bastava la pioggia per mettere in crisi tutto.Oggi l’impegno profuso in questi anni  ha cambiato tutto.
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Bachi l’avvocato gentiluomo L’avv. Emilio Bachi era nato a Torino nel 1907. Antifascista, figlio di Donato Bachi noto militante socialista , dopo essersi laureato in Giurisprudenza e in Scienze politiche all’Università di Torino, svolse la professione di avvocato fino alla promulgazione delle leggi razziali. Costretto ad abbandonare la sua professione, nel 1939 si trasferì in  Francia dove restò fino al momento dell’invasione dell’esercito tedesco. Dopo l’8 settembre 1943 entrò in Giustizia e Libertà, diventando vice-comandante della formazione che operava in Valle d’Aosta. Trasferitosi a Roma per sfuggire ai rastrellamenti dei fascisti, in seguito alla liberazione della città lavorò  a Radio Roma. Tornato a Torino, nel 1946 riprese la professione di avvocato e contemporaneamente andò a dirigere il Giornale Radio. Precedentemente iscritto al Partito d’Azione, nel 1947 entrò nel Partito Repubblicano, diventando il  più importante dirigente regionale e uno dei leader repubblicani a livello nazionale a fianco di Ugo La Malfa  e in questa veste fu per molti anni consigliere comunale di Torino, ricoprendo la carica di assessore all’Edilizia e allo Stato Civile tra il 1951 e il 1956 ed anche di vicesindaco di Amedeo Peyron.  Presidente dell’Università Popolare, come  in precedenza suo padre,fu presidente della Comunità israelitica di Torino negli Anni  Settanta.Socio della Società per la Cremazione di Torino dal 1941, divenne  presidente della Società nel 1961 e mantenne questa carica per circa trent’anni fino al 1990,  Di formazione laica,  sembra fosse stato aderente alla massoneria,anche se di molti massoni non ebbe mai le ambiguità .Emilio Bachi mori  a Torino nel 1990. Le sue ceneri sono conservate nella tomba di famiglia presso il cimitero israelitico di Torino. Egli fu un gentiluomo della politica a cui diede un apporto,assolutamente incompreso dai più ,come grande avvocato civilista nominato in tanti enti e società per la sua competenza e mai per ragioni di tessere politiche. Fu il maggiore civilista  nella sua epoca a Torino. Era un personaggio anomalo con il suo cappello diplomatico, sempre elegantissimo, nel già degradato ambiente politico torinese dove lo conobbi e nel quale la cravatta era già diventata un optional . Aveva avuto degli scontri con La Malfa ed era entrato  negli Anni 60 nel partito socialdemocratico,una realtà che lo collegava idealmente  alle posizioni di suo padre. Quando però si rese conto che Turati,Treves ,Matteotti e Saragat erano cosa diversa da Nicolazzi e Magliano,abbandonò la politica, salvo rientrare negli ultimi anni nel  PRI con tutti gli onori. Era amico di Sandro Pertini che lo nominò Cavaliere di Gran Croce,la massima onorificenza dello Stato. Bachi meritava di essere nominato senatore a vita per la sua esistenza  specchiata e per il grande prestigio  raggiunto nell’attività forense .Simile a lui ho conosciuto solo il prof. Claudio Dal Piaz . Lo conobbi e lo frequentai, conservo alcune sue lettere. Il prof. Mario  Viora di Bastide, presidente della “Reale “e della Deputazione subalpina di storia patria, fu un comune  caro amico. Era un uomo del Risorgimento nato in ritardo come lo fu Viora . Aveva fatto sua e vissuto in prima persona la lezione morale di Giuseppe Mazzini. La figlia Simonetta, valente scrittrice che tramanda la storia della famiglia, ne è l’erede orgogliosa e degna.E ne ha pienamente ragione perché un padre come il suo,è cosa rarissima.

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A Colleretto Giacosa tra storia e gastronomia canavesana 
Qualche sera fa sono stato a Colleretto Giacosa, ospite della straordinaria sindaca Paola Gamba. Abbiamo parlato con la figlia dell’ambasciatore Nicolò Carandini  Silvia e con il figlio del ministro Leone Cattani Paolo, del liberalismo di tanti personaggi importanti che  si identificano nel Canavese,a partire da Francesco ed Edoardo Ruffini per poi parlare di Adriano Olivetti  e di tanti altri. Una serata riuscita. Merita una citazione il locale dove ho cenato ,il ristorante Del Monte.Lo chef Luca, che non ho conosciuto,perché lui lavora seriamente in cucina e non ama esibirsi nei convenevoli,realizza una  cucina con i prodotti del territorio canavesano.Molta frutta e gli ortaggi provengono dall’orto  del ristorante. I suoi piatti tipici  la tartare di fassone,i ravioli del plin fatti in modo non banale,lo zabaione al  Passito di Caluso, In stagione funghi e tartufo bianco e nero. Da consigliarsi la zuppa di cavolo di Montaldo Dora,la tofeja cotta nella pentola di terracotta di  Castellamonte. Ho fatto difficoltà a trovare l’insegna del locale che è molto frequentato perché conosciuto ed  apprezzato dalla sua clientela. Unica nota negativa il rapporto con Slow Food :ai suoi presidi io non ho mai creduto e resto scettico  su molte iniziative di Petrini. Ma il patto con Slow Food  appare invisibile.
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L’Internazionale liberale di Oxford 

Nel 1947 si tenne ad Oxford l’Internazionale Liberale dopo la Seconda Guerra Mondiale,per l’Italia partecipò il prof. Alessandro Passerin d’Entrèves ,grande storico del pensiero politico. Nel 1967, per iniziativa di Giovanni Malagodi, si tenne sempre ad Oxford un’altra Internazionale che aggiornò la Carta scritta nel 1947 in cui si affermavano valori antichi e sempre nuovi come quelli di pace,di libertà ,di democrazia dopo lo sconvolgimento del conflitto mondiale. Lette oggi le parole della dichiarazione appaiano persino ovvie,anche se più che mai noi viviamo in un clima perturbato da guerre e da terrorismo minaccioso. Nel 1967 i liberali vollero rivedere la Carta,dando un’apertura più sociale al liberalismo. I tempi nuovi lo richiedevano. Il documento del 1967 non presagì neppure in minima parte il cataclisma dell’anno successivo dove si mise in discussione non solo la democrazia liberale,ma la democrazia tout -court. Nello stesso anno si tenne al teatro Carignano di Torino un Convegno  in cui ,oltre a Malagodi, Luigi Firpo ,Passerin d’Entrèves, Sergio Ricossa,Padre Stefano Trovati,moderati dal prof. Salvatore Fiandaca, gli intervenuti discussero per circa due ore della Carta. Mi parve allora un dibattito interessante che contribuiva a rinnovare il
liberalismo. Rileggendo gli atti del Convegno, vedo la miopia di molti che non colsero che in quello stesso periodo a Palazzo Campana  muoveva i primi rumorosi passi la contestazione studentesca.Non c’è una parola di Firpo o di Passerin su questi pericoli incombenti. Solo il gesuita Trovati aveva già individuato tutti i temi del cristianesimo terzomondista del dissenso che imputava le colpe di tutte le ingiustizie all’Europa capitalista. I liberali ma, direi,soprattutto i democratici non seppero attrezzarsi culturalmente per combattere il ’68 e le sue fughe nell’ideologia intollerante. Quando arrivò l’ondata di piena fummo travolti. Non avevamo saputo costruire qualche argine in difesa dei nostri valori di tolleranza,di libertà,di democrazia,di riconoscimento dei  meriti individuali,di rifiuto della massificazione soffocante già intravista da Tocqueville. Il marxismo sembrò prevalere nelle sue componenti più massimaliste,ma la dura lezione della storia,con il crollo del Muro di Berlino,si rivelò superiore alla  nostra  inconsistenza intellettuale e soprattutto politica .Recentemente una persona mi ha parlato dei liberali come ad una sorta di riserva indiana. Storicamente quelle riserve dovrebbero essere abitate soprattutto dai comunisti,ma un altro imprevisto della storia ha cambiato le previsioni.
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LETTERE scrivere a quaglieni@gmail.com
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La sindaca e l’avvocata

La Giunta pentastellata ha partorito un documento per evitare discriminazioni di genere negli atti comunali , codificando le parole sindaca, avvocata  e tante altre . Cosa ne pensa ?      

 

                                                                                 Gina Trugli 

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Penso che con tutti i problemi irrisolti di Torino il  documento che evita le discriminazione di genere ,sia poco importante perché si ferma alle parole . La parità tra i sessi si realizza con fatti concreti e non parole . La parità e non l’eguaglianza che sarebbe parola impropria. Ma un po’ di fumo ,sia pure senza arrosto, piace molto ai grillini .
                                                                                                                                                                                                                  

Liberali?

Caro professore, il giornale “Critica liberale” che sarebbe l’organo di quella che fu la sinistra liberale e poi via via è diventata la sinistra illiberale, ha creato un nuovo giornale on line “Non mollare” organo del post azioniamo. Cosa ne pensa?                                  

                                                                                                                     Rinaldo Buini

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Enzo Marzo fondatore di “Critica liberale” fu liberale negli anni 70  ,poi si dimise dal partito liberale e incominciò a virare verso il PCI,sempre più a sinistra,magari anche oltre il PCI. Così capitò anche Franco Antonicelli, senatore con i voti del PCI,indipendente da tutto fuorché dal partito che lo elesse. Aver fatto un nuovo giornale, riallacciandosi a quello di Salvemini e dei Rosselli è un atto di suprema presunzione. E’ un po’ come se io facessi  rinascere il “Mondo” di Pannunzio. Ma ,forse ,qualche titolo in più forse lo avrei. Definirsi post azionisti  mi sembra  poi quanto di più illiberale si possa pensare. Le alcinesche seduzioni della giustizia e della libertà,come le definiva Bobbio, finiscono di ridurre il liberalismo  ad un fatto marginale.  Lo storico Giorgio Spini,socialista, diceva onestamente che nel “Socialismo liberale” la parola liberale è semplicemente un aggettivo.

                                                                                                                                             pfq

Tangentopoli 25 anni dopo. Ripensamenti

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

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Usare la carcerazione preventiva come strumento per estorcere una confessione era una forma di tortura inumana, barbara, incivile, incostituzionale, che avrebbe fatto fremere il milanese Cesare Beccaria , ma anche il giurista-padre della nostra Costituzione Piero Calamandrei

Antonio Di Pietro, che è stato forse il personaggio politico che più ho sentito il dovere di osteggiare, ha dichiarato “All’aria che tira” della 7: <<Cominciamo innanzitutto prendendo atto di una verità sacrosanta, di cui io sono diciamo così testimone, anzi parte interessata: (…) il consenso sulla paura. (…) Ho fatto una politica sulla paura e ne ho pagato le conseguenze. (…) La paura delle manette, la paura del, diciamo così, “sono tutti criminali”, la paura che chi non la pensa come me sia un delinquente. Poi alla fine, oggi come oggi, avviandomi verso la terza età, bisogna rispettare anche le idee degli altri. (…) Ho fatto l’inchiesta Mani Pulite, e con l’inchiesta Mani Pulite si è distrutto tutto ciò che era la cosiddetta Prima Repubblica: il male, e ce n’era tanto con la corruzione, ma anche le idee, perché sono nati i cosiddetti partiti personali >>Per Di Pietro rappresenta un atto di onestà e una sconfessione del suo operato di circa 25 anni.La corruzione che finì di uccidere la I Repubblica era senz’altro un fatto molto preoccupante e che moralmente andava condannato e politicamente combattuto.Non era solo il “mariuolo” Chiesa che rubava, ma la cancrena era molto più ampia. Ed era necessario ,per salvare l’Italia, provvedere ad alcune amputazioni.Ma il clima stabilito da Borrelli e dai suoi sostituti ,in testa Di Pietro, con il famoso pool di Mani Pulite è stato davvero intollerabile. Essi hanno creato nel Paese un clima di paura e di ricatto,un clima che ha portato anche a dei suicidi.Usare la carcerazione preventiva come strumento per estorcere una confessione era una forma di tortura inumana,barbara,incivile,incostituzionale, che avrebbe fatto fremere il milanese Cesare Beccaria ,ma anche il giurista-padre della nostra Costituzione Piero Calamandrei.L’antifascista Luciano Perelli,insigne latinista torinese,che aveva patito il carcere sotto il fascismo insieme al padre e al fratello,si senti ‘ anche lui ribollire di indignazione e mi disse che erano logiche da Gestapo.

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I liberali non potevano accettare certi metodi e il clima da caccia alla streghe dominato dal tintinnio delle manette.<<Mettere in carcere e gettare via la chiave>> fu un modo di dire coniato in quegli anni in cui vennero distrutti un’intera classe politica e interi partiti che avevano avuto la legittimizzazione democratica del voto e del consenso di milioni di italiani.Io ricordo nel 1992 di aver ripetutamente scritto in difesa dei partiti come cardine della democrazia e di aver vissuto con indignazione i linciaggi fatti dai giornali,dalla Tv, soprattutto da “Milano Italia”, dai PM che confusero le Aule di Tribunale per luoghi in cui veniva ghigliottinato a priori chiunque fosse sospettato di un qualsivoglia reato. L’alleanza perversa tra certi magistrati e gran parte della stampa ha imbarbarito il Paese in modo che ancora oggi appare irrimediabile. Si trattava di difendere la nostra civiltà giuridica e le regole della convivenza civile sistematicamente oltraggiate dai metodi a cui ricorreva il famoso pool di Milano.Il lancio delle monetine contro Craxi fu un atto vergognoso ,un vero atto squadristico istigato dall’irrespirabile clima mediatico che si era creato in Italia e che ha costituito il trampolino di lancio di alcuni giornalisti specializzati nel killeraggio e nella violazione sistematica del segreto istruttorio.Il principio costituzionale della presunzione di innocenza venne calpestato ripetutamente in modo clamoroso senza che il Capo dello Stato pro tempore avesse nulla da eccepire.I cittadini si sentirono in balìa di una parte di magistratura, in effetti minoritaria,fortemente politicizzata, che ha rappresentato una gravissima ipoteca sullo svolgimento della vita democratica del Paese.E’ quella stessa parte di magistratura che salvò il solo partito comunista e non certo perché fosse illibato.Primo Greganti fu l’eroe che si immolo’ per il PCI.Quando Craxi affrontò in Parlamento lo scottante e umiliante problema del finanziamento occulto dei partiti nessuno dei chiamati in causa rispose,anzi finse di non sentire. In primis, i Presidenti delle Camere,per non dire del Presidente della Repubblica . Spadolini Presidente del Senato, l’unico liberale delle tre alte cariche dello Stato ,tacque e non impedi’ ai leghisti di esibire il cappio nell’Aula di Palazzo Madama ,una vergogna inaudita che mi impedì a priori di poter simpatizzare per la Lega,ancor prima che a causa del suo inaccettabile secessionismo antirisorgimentale. Vittorio Feltri, che era stato socialista, sull’”Indipendente “sostenne a spada tratta Di Pietro e il giacobinismo forcaiolo della Lega. Solo Pia Luisa Bianco corresse il tiro di un giornale che ebbe vita cortissima proprio per l’impostazione data da Feltri.

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Queste cose le scrive uno che,dimostrando di vedere abbastanza lontano,nel 1974 chiese con un appello formale al Presidente della Repubblica,in compagnia dell’illustre giurista Arturo Carlo Jemolo,di non firmare la legge sul finanziamento pubblico dei partiti, ritenendolo non sostitutivo di quello occulto,ma aggiuntivo.Fummo facili profeti. E sapevamo bene dei traffici del PCI con l’Est europeo e con le cooperative e dei finanziamenti che arrivavano direttamente dall’URSS.Come sapevamo che i partiti nel 1974 erano appena usciti dallo scandalo dei petroli per cui Ugo La Malfa aveva personalmente scusa agli italiani. Per altri versi,partiti che erano esclusi da ogni finanziamento come il MSI trassero grande vantaggio dal finanziamento pubblico che ,sottoposto a referendum per iniziativa di Pannella, venne clamorosamente bocciato dagli italiani.Quel fare tabula rasa dei partiti democratici che avevano retto la Repubblica dal 1945 in poi,salvando il partito comunista, favorì la discesa in campo di Berlusconi contro cui quegli stessi magistrati e altri loro colleghi si accanirono per un intero ventennio.Oggi Di Pietro riconosce i suoi errori.Lo fa con il suo linguaggio sempre un po’ contorto,anche se il suo italiano ruspante e’ sicuramente migliorato… E giunge, arrivato alla terza età, a riconoscere persino che bisogna “rispettare anche le idee degli altri.” Ne prendiamo atto con piacere. Ma il ritardo nell’acquisire l’ABC della democrazia liberale è stato davvero troppo grande. In ogni caso dalla fine dei partiti e dalla nascita dei partiti personali egli stesso godette evidenti vantaggi. Un partito come il suo, discioltosi come neve al sole in seguito ad una trasmissione della Gabanelli,ben difficilmente avrebbe avuto consenso senza la fine della I Repubblica che comunque seppe privilegiare il valore della Politica con la p maiuscola .Lo stesso giudice Corrado Carnevale che presiedette la commissione di concorso a giudice in cui venne promosso Di Pietro, ebbe a posteriori qualche ripensamento,lui che venne dileggiato come “ammazzasentenze”perché scrupoloso nell’applicare le norme e nel cassare quindi sentenze emesse in modo frettoloso,sommario,giuridicamente errato,quelle che potremmo definire, in una parola, le sentenze “ammazzagiustizia”.

 

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