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Le imprevedibili vie della storia: riappare il socialismo

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / Molti analisti politici non si sa bene in base a quali considerazioni – la storia non si ripete mai – prevedevano il riproporsi in Italia del fascismo a distanza di cento anni dalla sua nascita. Ed hanno sostenuto questa tesi con vigore, vedendo nel pericolo nero una minaccia alle istituzioni repubblicane . La stessa Commissione Segre venne istituita con lo scopo di arginare questa minaccia.

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Il Coronavirus ha cambiato il corso della politica e non c’è più nessuno che parli del virus fascista. Neppure l’ANPI che si diletta di esibirsi in manifestazioni faziose che snaturano il senso vero di un antifascismo non rituale , non ha continuato a gridare al lupo.
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In conseguenza del virus sembra invece che sia risorto il socialismo . Il Sindaco di Milano si dichiara di estrema sinistra e propone l’ipotesi socialista come panacea di tutti i mali. Romano Prodi (che svendette le proprietà pubbliche ai privati) oggi propone la presenza dello Stato nelle imprese come azionista e quindi controllore. Lo studioso di storia delle dottrine politiche  Pier Paolo Portinaro ritiene che il ruolo del privato vada totalmente ridiscusso, parlando in occasione della festa della “Repubblica al tempo del Coronavirus”.  Anche i Cinquestelle vorrebbero ricondurre la vita  del maggior numero di italiani ad un reddito statale ed assistenzialistico e la politica del Governo Conte, incapace di dare appoggio alle imprese private, sta mettendo le basi per un declassamento sociale ed economico di molti che avevano saputo fare impresa e produrre ricchezza. A questo proposito c’è stato chi assurdamente ha detto che produrre più ricchezza (che sempre genera maggiore benessere) alimenta più povertà. Un paleo – socialismo si sta profilando all’orizzonte. Un pauperismo da decrescita infelice sta crescendo come una sinistra minaccia al nostro futuro. Non sono queste la vie giuste per affrontare la crisi. La ricchezza prima va prodotta o riprodotta e poi eventualmente redistribuita secondo i meriti e non secondo i criteri dell’assistenzialismo. Anche cento anni fa, con la nascita dell’ultimo Governo Giolitti,  entrava in crisi comatosa lo Stato liberale e i socialisti e i comunisti pensavano di ripetere in Italia la rivoluzione bolscevica  del 1917 in Russia. La storia non si ripete mai perché i contesti sono sempre diversi ed essa non è mai un paradigma per il presente. Certo, cent’anni fa lo Stato liberale non resse all’urto di bolscevichi e fascisti. Oggi questo Stato appare uscito non indenne dal disastro del virus al di là delle apparenze. C’è una crescente sfiducia da parte di tanti cittadini. Vorrei denunciare la deriva a sinistra che si sta intravvedendo e che ritengo una minaccia al quel pochissimo di democrazia liberale rimasta. Non sono un liberista senza regole alla Bruno Leoni. Nella polemica che divise Croce ed Einaudi sul liberalismo e sul liberismo mi sarei schierato con Croce che difendeva il primato del liberalismo rispetto al liberismo economico einaudiano. Ma oggi in Italia sono in gioco le fondamenta stesse dello Stato liberale che vanno difese con un’iniezione di liberismo economico , l’unico capace di far riprendere il Paese. L’ipotesi egualitaria e giacobina che sta emergendo, mi fa venire un brivido dietro la schiena  quasi come la pandemia. La giustizia sociale nella libertà, il socialismo liberale di Rosselli e la socialdemocrazia di Saragat sono tutt’altra cosa. Dobbiamo renderci conto che le democrazie illiberali non sono solo quelle di destra ,ma anche quelle di sinistra. La lezione di Tocqueville, di Croce, di Popper lo sta a dimostrare.
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Molti italiani sono stanchi, ma la fiumana in via del Corso è un errore

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / Al di là degli errori e dei ritardi del Governo e delle Regioni, a mitigare gli effetti della pandemia che ha provocato morte e sconcerto in tutta Italia, è stato il distanziamento sociale. Questo risulta essere un dato oggettivo e inoppugnabile. Un distanziamento sociale che ha provocato la sospensione  inevitabile, ma indispensabile di precisi diritti costituzionali in nome della salvaguardia della salute  e della vita.

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La manifestazione del 2 giugno a Roma del centro – destra a Roma ha rappresentato un’evidente trasgressione delle norme anti-contagio, come si può vedere dalle  molte riprese  in diretta della fiumana di gente che seguiva il tricolore portato a braccia  in via del Corso. Qui la politica non c’entra, c’entra il senso di responsabilità. Alla vigilia della  riapertura dei “confini” tra regioni non è stato un bel segno di civismo violare le norme. Comprendo e anche in parte condivido la stanchezza e la rabbia di molti italiani per questa tragedia che ha colpito vite e attività di tantissime persone e che sta provocando una crisi economica e sociale a dir poco tragica. Forse la situazione è scappata di mano ai promotori che parlavano di trecento persone in piazza ben distanziate. La presenza di giornalisti e operatori ha già di per sé modificato la situazione. Ma soprattutto la partecipazione di tanta gente ha snaturato la manifestazione ed è sintomo di un disagio vero della gente. Era allora il caso di promuoverla? Possibile che nessuno abbia pensato ai pericoli che essa poteva determinare? La posta in gioco è la salute delle persone, in primis degli stessi manifestanti. Una vera destra nazionale avrebbe dovuto dimostrare una sensibilità diversa e non determinare un pessimo esempio per gli Italiani che sono stati mesi  disciplinati e chiusi in casa. Chi sventola il Tricolore deve sapere che certi valori nazionali sono superiori alle ragioni di parte. Così non è accaduto a Roma. Al di là di ogni altra valutazione.
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Bonomi accusa il governo (e fa bene). Ma non offre alternative

COMMENTARII  di Augusto Grandi / Carlo Bonomi, neo presidente di Confindustria, marca il territorio. Ed accusa il governo di provocare danni peggiori di quelli del virus. Difficile dargli torto anche se il pessimo Gualtieri considera “ingenerose” le dichiarazioni del numero 1 di viale Astronomia.

Non è che il ministro abbia tutti i torti, a patto di considerare le promesse come fatti concreti. Il che non è.

Il lìder minimo ed i suoi dittatorelli hanno distribuito miliardi a pioggia, provocando una voragine nei conti pubblici ma senza creare la benché minima premessa per il rilancio del Paese…

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Bonomi accusa il governo (e fa bene) ma non offre alternative

L’incultura storica è nemica di un nuovo Risorgimento

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / Chi scrive ha ripetutamente richiamato il pericolo potenzialmente  liberticida insito  nei decreti del presidente del Consiglio dei  ministri , ”calati dall’alto“ come ha denunciato il presidente del Senato Casellati, l’unica alta carica dello Stato che si rivela davvero interessata a difendere lo Stato di diritto che ha subito, durante la pandemia, attacchi evidenti

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Ho anche scritto sul diritto di manifestare con responsabilità, criticando però con asprezza gli assurdi assembramenti per il sorvolo intempestivo e assurdo delle Frecce Tricolori che meriterebbe un’ indagine da parte di qualche magistrato.
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Ho infine sconsigliato al centro- destra di manifestare il 2 giugno festa nazionale poco sentita,ma pur sempre festa nazionale. Ciò premesso, appare di una notevole gravità che questo capo popolo da quattro soldi, ex generale dei carabinieri ed ex deputato socialdemocratico, Pappalardo stia organizzando manifestazioni di protesta che violano le norme di sicurezza sanitaria, soffiando sul fuoco del disagio sociale sempre più evidente. Gli assembramenti non vanno fatti non solo perché vietati, ma perché pericolosi. E l’uso delle mascherine è un atto di tutela di se’ stessi e degli altri. Chi trasgredisce è un barbaro, un untore, un asociale stupido ed autolesionista. Queste manifestazioni non esprimono il senso della democrazia, ma sono un’offesa a chi, stando chiuso in casa per mesi, ha contribuito a contenere il contagio e sono anche un oltraggio ai morti di Coronavirus e ai medici e infermieri che hanno lottato per salvare vite umane. I Gilet arancione, figli dei forconi e della protesta dei tir, sono pericoli reali per la democrazia perché tendono a cavalcare le difficoltà economiche, agitando slogan velleitari e assurdi che minacciano la stessa convivenza civile. Chi scrive ha denunciato senza mezzi termini gli errori di governo e regioni, ma non può accettare che questo ex generale dei Carabinieri che tradisce il suo passato militare di servitore dello Stato, possa creare problemi alla già difficile ripresa. I mestatori vanno ripresi, fermarti e condannati senza mezzi termini dall’ opinione pubblica. Ed anche il centro-destra che vuole portare una corona d’alloro all’altare della Patria dopo il presidente della Repubblica che in quell’occasione rappresenta tutti gli Italiani, dovrebbe essere più cauto. Una vera destra consapevole della storia d’ Italia dovrebbe andare all’Altare della Patria, ad esempio, a deporre una corona d’alloro al Padre della Patria Vittorio Emanuele II nel bicentenario della nascita, auspicando un nuovo Risorgimento. Ma l’incultura storica della destra è  purtroppo incapace di pensare a certi gesti capaci di collegare passato e futuro.
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L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

 

Fabiano Massimi  “L’angelo di Monaco”   -Longanesi –     euro  18,00

La storia è vera e il libro inizia con gli ultimi istanti di vita della 23enne Angela Maria Raubal, detta Geli. E’ la nipote prediletta di Adolf Hitler, col quale viveva, e viene trovata morta la mattina del 19 settembre 1931 nella sua camera da letto, chiusa a chiave dall’interno. Suicidio o omicidio ben congegnato? Chi era davvero questa giovane, figlia della sorellastra di “Woolf”, come  lui si firmava in lettere compromettenti? Alcuni testimoni la descrivono fatua, dedita al lusso e ai divertimenti, piena di vita e di fascino, tanto da aver soggiogato “zio Alf” facendogli perdere lucidità. Oppure è una reclusa super sorvegliata, vittima impotente delle più aberranti perversioni dello zio, fino alle voci sull’incesto?

Inutile dire che la sua morte getta ombre pesanti sul Fűhrer, leader del partito da lui fondato, che richiama la Germania al risveglio e al predominio della pura razza ariana. Non è ancora il dittatore che invaderà mezza Europa sterminando milioni di ebrei…ma ci sta arrivando e uno scandalo non può proprio permetterselo.

Le indagini vengono affidate a 2 commissari con l’imperativo di chiuderle al più presto. L’ordine arriva dall’alto, da Hitler in persona e dai suoi accoliti più spietati, tra i quali Himmler e il morfinomane Göring. Ma la strada verso la verità è lastricata di menzogne, manipolazioni, inganni e ogni volta che stanno per essere rintracciati testimoni chiave…immancabilmente vengono trovati morti, apparentemente suicidatisi.

Questo romanzo mozzafiato miscela magnificamente realtà e immaginazione. Trae linfa dalle cronache dell’epoca -testimonianze, articoli di giornale, documenti ufficiali- e sono accertati personaggi, luoghi, tempi e ipotesi. I commissari incaricati delle indagini si chiamavano davvero come quelli del libro; Heydrich era “la belva bionda”, Eva Braun che qui fa capolino avrà il ruolo che tutti conosciamo. Soprattutto sono veri, anche se hanno dell’incredibile, i dati che risultano dalle carte ufficiali; come l’indagine aperta e chiusa in giornata o il mistero e i maneggi intorno all’autopsia di cui non c’è referto. Su tutto si innesta la bravura di Fabiano Massimi nel narrare una pagina di sporca storia e, pensando a Geli, scrive: “Per la sua morte non c’è stata giustizia. Forse un romanzo renderà giustizia alla sua vita”.

 

Marie Lamballe  “Il destino di una famiglia”    -Rizzoli-   euro 19,50

Il destino di cui si parla è quello della famiglia tedesca Koch alla fine della 2° Guerra Mondiale, ruota intorno al loro Cafè Angel a Wiesbaden, e ad altri personaggi che in un modo o nell’altro si ritroveranno nel locale una volta passata la bufera e compiuti i vari destini.

Heinz Koch è stato arruolato insieme ai figli e finisce prigioniero di guerra degli americani che lo ingaggiano come démineur (sminatore): fato beffardo perché, scampato ai combattimenti, è nel pericolo annidato nelle mine antiuomo che incappa tragicamente.

Durante la sua assenza è toccato alla moglie Else e alla figlia Hilde sopravvivere e pensare all’attività di famiglia che, prima della guerra, era rinomato ritrovo di artisti. Intorno a loro una girandola di persone. C’è Julia, costumista teatrale ebrea tenuta nascosta.

Luisa, figlia illegittima di un barone, che alla morte del padre viene cacciata insieme alla madre (entrambe considerate meno di zero dai parenti blasonati)… e le attende una fuga disperata, bombardamenti, ma anche incontri di grande umanità.

E c’è Jean Jacques soldato francese che la guerra conduce per un attimo nella vita di Hilde, della quale si innamora, ma che ritorna nel suo paese, e faticosamente riprende il suo ruolo di marito e proprietario dei vigneti di famiglia.

Ovviamente molto altro accade nelle vite dei personaggi ai quali si finisce per affezionarsi: alcune raccontate benissimo e a tutto tondo, altre un po’ meno. Ma, per chi ama le saghe familiari, il romanzo resta un affresco godibilissimo sullo sfondo storico della guerra e della caduta della Germania, con alle porte l’arrivo di russi e americani.

 

Henry “Come diventare newyorkesi” – Mattioli-   euro   10,00

Vale la pena riscoprire lo scrittore americano William Sydney Porter nato a Greensboro (Carolina del Nord) l’11 settembre 1862 e morto a New York il 5 giugno 1910, autore prolifico di 400 racconti scritti sotto pseudonimo O. Henry.

La sua fu a dir poco una vita avventurosa: avido lettore fin da piccolo, una carriera scolastica non oltre i 15 anni ma una cultura sconfinata da autodidatta, poi contabile nella farmacia dello zio, e in seguito mandriano, giornalista, disegnatore, impiegato di banca, suonatore di chitarra e mandolino, realizzatore di mappe topografiche …Insomma uomo dai tanti mestieri e dalla vita complicata.

Nel 1894 viene accusato di appropriazione indebita e scappa in Honduras; torna solo per accudire la prima moglie (sposata di nascosto perché la famiglia di lei era contraria) minata dalla tubercolosi. William dopo varie vicende, nel 1902 si trasferisce a New York, ha pochi soldi ma grandi idee e talento infinito. Sono gli anni in cui scrive racconti a getto continuo e viene incoronato dalla fama, che gusterà per poco tempo, stroncato alla fine da cirrosi epatica, con complicanze derivanti dal diabete e dalla cardiopatia.

“Come diventare newyorkesi” raccoglie 9 racconti e ci conduce dritti nelle strade della Grande Mela di quegli anni, facendoci immedesimare nei sogni e nei difetti dei suoi abitanti.

Il primo è magnifico e geniale: protagonista è lo spiantato poeta Raggles che si avventura nelle città e le corteggia come fossero donne, ognuna con le sue caratteristiche. Da Chicago (“..che ti piomba addosso”) all’elegante e casalinga  Pittsburg, passando per New Orleans e Boston, per arrivare a New York.

Una Manhattan frenetica e indifferente dalla quale Raggles si sente dapprima ignorato e respinto; poi è un incidente a fargli scoprire il vero cuore della città.

I brani successivi non sono da meno, abitati da cameriere che sognano ricchezze, ricche fanciulle che si fingono povere, broker che lavorano per un futuro migliore e incontri che sarebbero perfetti se solo ognuno si mostrasse per quello che è realmente.

Partiti in confusione, sardine affogate, tecnici disastrosi…

COMMENTARII  di Augusto Grandi / Nel caos rispunta la società civile? 

Mentre gli amministratori locali insistono con diktat più o meno assurdi, più o meno dettati dall’incapacità e dalle proprie paure, la società civile si prepara per “andare a comandare”. I politici hanno fallito.

Non hanno saputo affrontare l’emegenza, e questo può essere comprensibile, ma hanno dimostrato di non essere in grado di gestire neppure l’ordinaria amministrazione. E questo è molto, ma molto, più grave.

L’unica arma di difesa rimasta ai politici è il totale fallimento delle esperienze di governo affidate ai tecnici: i disastri provocati dalla banda Monti non sono stati dimenticati.

Però una soluzione deve essere individuata. Roma e Torino andranno al voto il prossimo anno, lìder minimo permettendo, ed è evidente che Raggi ed Appendino non sono più accettabili alla guida delle rispettive città. Le grandi manovre per il “dopo” sono già iniziate ed i pentastellati tentano la carta disperata della tenuta del governo nazionale per imporre al Pd un’alleanza nelle due città, in modo da tentare la riconferma dei due sindaci…

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Partiti in confusione, sardine affogate, tecnici disastrosi. Nel caos rispunta la società civile?

È tempo di verità e chiarezza

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni / Siamo a quasi cento giorni dalla crisi pandemica e dovremmo essere ad un punto di svolta o comunque in una situazione in cui si devono  incominciare a trarre delle conclusioni, sia pure provvisorie. In parte la situazione sanitaria appare sotto controllo, malgrado i ritardi e gli errori commessi da governo, regioni, comuni e politici e le imprudenze imperdonabili e superficiali di una parte di Italiani.

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La situazione economica in cui ci troviamo, appare invece gravissima e angosciante. Le misure del governo sono state intempestive, faragginose, lente, tardive. Chi ha dovuto chiudere le proprie attività  non sa come sbarcare il lunario, molti dipendenti non hanno ricevuto la cassa integrazione in deroga. L’economia non riesce a riprendersi . Il turismo non vede un orizzonte di ripresa.Si sta delineando una rabbia sociale esplosiva che potrebbe scardinare le stesse istituzioni democratiche, travolgendole. Neppure la politica estera italiana riesce a raggiungere obiettivi concreti. La Svizzera aprirà in giugno le sue frontiere con tanti paesi , ma non con l’Italia. Si parla di corridoi turistici che potrebbero tagliare fuori l’Italia. Per altri versi anche in Italia si commettono gravi errori come stanno facendo i presidenti di Sardegna e Sicilia che si inventano il passaporto sanitario, una vera e propria assurdità giuridica  e politica. Per altri versi l’ idea dei 60mila  vigilantes e’ un’idea peregrina per non dire stupida  che offende i cittadini  sono stati disciplinati per oltre due mesi e non da’ certezze di sorta. L’idea di “guardie rosse” o di ronde come pensavano i leghisti in passato, che vigilino  sulla nostra vita, esprime un quid di autoritarismo forse inconsapevole, ma non per questo non meno preoccupante. Circa gli aiuti europei che sembrerebbero arrivare- ma non è ancora così chiaro –   è  preoccupante l’entusiasmo per gli aiuti dell’ex presidente del Consiglio Monti, responsabile primo di un asservimento totale dell’Italia ad un’Europa che non aveva più nulla a che vedere con quella che fu in passato la Comunità europea. C’è chi ha detto non senza qualche ragione : “Timeo Danaos et  dona ferentes”: i Greci che avevano lasciato il cavallo di Troia in dono ai Troiani per poterli sconfiggere e distruggere.
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La scuola italiana esce dalla crisi sanitaria devastata con una ministra che ha rivelato dilettantismo , improvvisazione e uno spirito grillino davvero incompatibile con un’ istruzione pubblica almeno decente. Le lezioni in teleconferenza sono state un pannicello caldo che non ha sostituito le lezioni che restano comunque quelle del docente in classe a contatto con gli allievi. In ogni caso ci sono stati studenti che sono stati abbandonati a se’ stessi. La scuola non sappiamo quando potrà riaprire. Una situazione peggiore di quella vissuta durante la seconda guerra mondiale con conviveva con i bombardamenti.  Gli esami di scuola media saranno di fatto una mera formalità e anche quelli di Maturità saranno un bluff. Peggio del clima sessantottino di cui è intrisa la ministra. Tutti dicono che bisogna essere semplici e veloci, ma il Leviatano della burocrazia appare invulnerabile. Molti dei provvedimenti legislativi sono stati scritti con una  incompetenza  e una  improvvisazione che l’Italia non aveva mai conosciuto, malgrado il degrado giuridico che abbiamo subito negli anni. Un’ultima osservazione: cosa hanno portato di positivo e di utile i 500 consulenti assoldati dal Governo ? Cosa ha fatto Colao che non è neppure venuto in Italia ?  Cosa ha fatto e cosa sta facendo Arcuri con  le mascherine accumulando dei ritardi vergognosi e accusando i farmacisti di colpe inventate? Questi sono i problemi, i dubbi e le ansie della maggioranza degli Italiani che non si sente ben governata. Si danno  con facilità prestiti miliardari ad a FCA  e perfino ai Benetton, trascurando chi sta rischiando la sopravvivenza e magari sotto sotto vengono considerati degli evasori fiscali che hanno accumulato ricchezze illecite con il nero. Senza voler diffondere allarmismo, bisogna avere il coraggio di sollevare dei dubbi, come ci ha insegnato a fare Bobbio . Non c’è più spazio per là demagogie e le certezze propagandistiche. Occorre la verità e la chiarezza senza furbizie.  Ovviamente mi auguro di sbagliare totalmente per il bene della nostra Patria  a cui bisogna sempre guardare e che il pessimismo dello storico sia almeno in parte infondato.
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Dove si trova ël Barabiciu?

Torino, bellezza, magia e mistero

Torino città magica per definizione, malinconica e misteriosa, cosa nasconde dietro le fitte nebbie che si alzano dal fiume? Spiriti e fantasmi si aggirano per le vie, complici della notte e del plenilunio, malvagi satanassi si occultano sotto terra, là dove il rumore degli scarichi fognari può celare i fracassi degli inferi. Cara Torino, città di millimetrici equilibri, se si presta attenzione, si può udire il doppio battito dei tuoi due cuori.

Articolo 1: Torino geograficamente magica
Articolo 2: Le mitiche origini di Augusta Taurinorum
Articolo 3: I segreti della Gran Madre
Articolo 4: La meridiana che non segna l’ora
Articolo 5: Alla ricerca delle Grotte Alchemiche
Articolo 6: Dove si trova ël Barabiciu?
Articolo 7: Chi vi sarebbe piaciuto incontrare a Torino?
Articolo 8: Gli enigmi di Gustavo Roll
Articolo 9: Osservati da più dimensioni: spiriti e guardiani di soglia
Articolo 10: Torino dei miracoli

Articolo 6: Dove si trova ël Barabiciu?

Negli articoli precedenti si è parlato del lato buono di Torino, ma nell’urbe augustea sappiamo che ci sono anche poli di energia negativa. Il “cuore nero” della città, com’è noto ai più, si trova in piazza Statuto, dalle parti di Valdocco, nome che può essere ricondotto a “vallis occisorum”, ossia il luogo dove avvenivano le esecuzioni capitali e si inumavano i cadaveri oppure a “vallis occasus”, cioè la direzione in cui il sole tramonta. “Nomen omen”, verrebbe da dire. In piazza Statuto si trova il monumento che commemora l’apertura del traforo del Frejus e i tre ingegneri che lo progettarono, Sebastiano Grandi, Severino Grattoni e Germano Sommeiller. Ai Torinesi tuttavia esso soprattutto ricorda i caduti durante la lavorazione, ben 48 morti tra i 4 mila operai (tra di essi 18 si spensero per un’epidemia di colera). Sul monumento spicca la statua di un angelo con una stella in fronte e una penna nella mano destra, che dovrebbe raffigurare il genio alato della scienza, ma tale figura è associata notoriamente a Lucifero. Se volete sapere come mai la statua sia stata assimilata all’immagine del Diavolo, potete rischiare di andare a chiederglielo di persona, perché all’interno del giardino che la circonda si trova un tombino, che pare non essere un comune scarico fognario, anzi sarebbe nientemeno che la porta degli Inferi. Va segnalato però, che la maggiore concentrazione di energie diaboliche si trova poco oltre l’estremità della piazza, al di là di corso Principe Oddone, dove vi è un giardino, non troppo curato, che passa quasi inosservato, al centro del quale svetta un piccolo obelisco sormontato da un astrolabio. Tuttavia questo non è l’unico luogo in cui si può respirare l’aria malsana di “Chiel là,” o di “ël Barabiciu”, per dirla con una credenza piemontese, per cui è meglio non pronunciare il nome del maligno, perché tutte le volte che qualcuno lo dice, lui si avvicina di sette passi. Potreste incontrare “Belzebù” anche in altri posti. C’è infatti un palazzo, da alcuni soprannominato “Ca dël Diav”, caratterizzato da dicerie per nulla lusinghiere e a dir poco terrificanti.  Si tratta di Palazzo Trucchi di Levaldigi, edificato tra il 1673 e il 1677 dall’architetto Amedeo di Castellamonte (1613-1683), per il ministro delle Finanze Giovanni Battista Trucchi, conte di Levaldigi (1617-1698). La posizione del palazzo, tra via Alfieri e via XX Settembre, ne sottolinea il particolare taglio diagonale della facciata d’ingresso, caratterizzata dal rigoroso tracciato ortogonale della parete. L’aspetto complessivo dell’edificio è severo e imponente, come testimoniano le bugne del basamento, il ritmo delle lesene binate, i cornicioni marcapiano aggettanti e i timpani delle finestre. All’interno gli ambienti sono stati radicalmente rielaborati tra gli anni Dieci e Trenta del Novecento e riadattati alle nuove esigenze occupazionali. Dal 1939 l’edificio è sede della filiale della Banca Nazionale del Lavoro. La costruzione nasconde la sua leggenda di malvagità proprio all’interno di un particolare della struttura architettonica, precisamente nel portone, rimasto quello originario, montato nel 1675 e riccamente intagliato.  Giovanni Trucchi non era nobile di nascita (la famiglia ottenne il titolo comitale – “comes” = “conte” per “concessione d’arma”), ma riuscì ad ottenere una carica che lo rendeva secondo solo al duca Carlo Emanuele I, egli riuscì infatti a rivestire la dignità di Presidente Generale delle Finanze Sabaude, ed era anche soprannominato il “Colbert piemontese”, con riferimento a Jean-Baptiste Colbert, (1619-1683), braccio destro del Re Sole.

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Si mormorava molto sul denaro posseduto dal conte Trucchi, che sembrava non esaurirsi mai, e lo stesso conte, per burlarsi di tali dicerie, ordinò che il portone venisse montato in una sola notte e di nascosto. In questo modo la gente avrebbe iniziato a bisbigliare che fosse avvenuto un qualche sortilegio, se non proprio un vero patto satanico. Per far sì che non ci fossero dubbi in tal senso, il conte fece inserire al centro del portone un ornamento in bronzo con la forma della testa del demonio, dalla cui bocca – come si può ancora oggi ammirare – escono due serpenti che si intrecciano e formano il batacchio. Ma forse un po’ di malignità in quel luogo c’era sul serio, e lo dimostrano alcuni fatti. Nel 1790, durante una delle feste indette da Maria Anna Carolina di Savoia, una delle ballerine invitate al ricevimento venne uccisa a pugnalate. Successivamente, nel 1817, nel corso dell’occupazione francese, il capitano Du Perrì, che era in possesso di documenti segreti, cercò rifugio tra quelle stesse mura, ma scomparve all’interno del palazzo. Il corpo venne ritrovato vent’anni dopo, murato in un’intercapedine. Un altro punto cittadino in cui si annidano energie maligne è proprio all’interno di un edificio in cui tutto ci si aspetterebbe tranne che entrare in contatto con Satana o con qualcuno dei suoi seguaci. Si tratta del piccolo gioiello architettonico della chiesa di San Lorenzo edificata tra il 1668 e il 1687 su progetto di Guarino Guarini, per l’ordine monastico dei Teatini. L’edificio è a pianta centrale ottagonale, con i lati di forma convessa, con un presbiterio ellittico posto trasversalmente che introduce un asse principale nella composizione. Lo spazio, al livello inferiore, è definito dalla presenza di ampie serliane che delimitano le cappelle laterali, mentre la copertura è costituita da una cupola a costoloni che si intrecciano fino a formare l’ottagono sul quale poggia la lanterna. All’interno è voluto un gioco di contrasti tra luci ed ombre, per cui  in basso domina l’oscurità, accentuata dalla mancanza di finestre, la luce, invece, aumenta man mano che ci si eleva. Si può anche notare che la chiesa è “affollata” da angeli, in tutto più di 400, sono forse così tanti per contrastare qualche altra presenza che è riuscita a insinuarsi tra le sacre pareti? E allora guardiamo con attenzione verso l’alto: tra i costoloni intrecciati è possibile scorgere delle grandi facce demoniache, che si delineano, nette, man mano che lo sguardo vi si fissa, vigile. Se vi è venuta un po’ di angoscia non temete, sono moltissimi i rimedi per scacciare colui che è meglio non nominare, non mettete in tavola mai il pane rovesciato, attenti a non entrare in casa con il piede sinistro, mettete un ferro di cavallo dietro la porta (ma nel verso in cui forma una U), e fate attenzione al sale, se cade siate pronti a lanciarvene un po’ dietro la spalla sinistra. E, soprattutto, se uno sconosciuto, losco e misterioso, vi si avvicina e vi chiede di fare un patto con lui, “daje dël ti al Diav e butlo fora ëd ca”!

Alessia Cagnotto

SAA, Zerogrey, Progesia: a tu per tu con gli organizzatori del Master in eCommerce Management e Strategie Digitali

Rubrica a cura di ScattoTorino

Lo scenario economico internazionale dimostra l’importanza strategica dell’eCommerce Manager, una figura chiave all’interno di qualsiasi azienda di prodotti o servizi che voglia mantenere e consolidare la propria competitività nei mercati attuali e futuri, caratterizzati dalla continua innovazione tecnologica e dalla crescente consapevolezza dei consumatori. Forti del successo della prima edizione SAA – School of Management dell’Università di Torino, Zerogrey società specializzata in eCommerce e in outsourcing e Progesia società di consulenza strategica con esperienza nella ricerca e nella formazione, organizzano anche quest’anno il Master Executive in eCommerce Management e Strategie Digitali. Il corso, che si terrà in modalità online fino alla riapertura dell’Università, è rivolto ai laureati di ogni facoltà o dipartimento, ai manager, ai direttori e ai dipendenti con una consolidata esperienza di lavoro che vogliono approfondire le competenze in materia di eCommerce ed incrementare il proprio valore professionale e strategico. Il Master si svolge presso la SAA, in via Ventimiglia 115 a Torino, ed è iniziato lo scorso 21 maggio; le lezioni sono full time una volta al mese il giovedì, venerdì e sabato per un totale di 250 ore e sono strutturate in modo che possa accedervi anche chi già svolge un’attività lavorativa. Il percorso formativo, che alterna la teoria a numerose esercitazioni pratiche, terminerà nel febbraio del 2021 ed è prevista l’attivazione di tirocini facoltativi presso le aziende partner. ScattoTorino approfondisce l’argomento con Davide Caregnato Direttore Generale di SAA – School of Management, Simone De Ruosi General Manager di Zerogrey, Giulia Carlo e Selene Giovannini Responsabili del Coordinamento Master di Progesia, referenti del progetto.

Dottor Caregnato, ci presenta brevemente la SAA?

“La SAA, già Scuola di Amministrazione Aziendale, prima Business School nata in Italia nel 1957 per formare a livello manageriale quadri e dirigenti, è oggi una School of Management soggetta a direzione, coordinamento e controllo da parte dell’Università degli Studi di Torino e ha per mandato statutario lo scopo di coadiuvare l’Ateneo nello sviluppo di nuove metodologie ad elevata intensità didattica, differenziate per categorie di conoscenza o di andamento nell’apprendimento, nonché, quale oggetto sociale, l’assunzione e l’avvio di ogni attività di formazione e di ricerca che risulti complementare ed atta in particolare a perseguire i propri scopi quali a titolo esemplificativo l’organizzazione e la gestione di executive master, seminari di aggiornamento metodologico e tecnico per l’ulteriore qualificazione professionale di manager, funzionari e dipendenti. A livello istituzionale oggi supporta con il proprio Campus il Dipartimento di Management nella didattica di quattro Corsi di Laurea, di cui due in lingua inglese e uno interamente telematico, con circa 2700 studenti”.

Davide Caregnato, Direttore Generale di SAA – School of Management

Il Master non è solo teorico, ma propone esercitazioni pratiche. Un valore aggiunto?

“La nostra attività di avvicinare gli studenti a percorsi di acquisizione di competenze manageriali viene perseguito già nei percorsi di Laurea con attività di coaching e sviluppo delle necessarie competenze trasversali, che si tramutano, per alcuni di essi in veri e propri percorsi di projecy work sia nelle imprese profit e sia in quelle del Terzo Settore con grande crescita delle competenze degli allievi e spesso con l’introduzione nelle aziende di proposte di sviluppo concrete e immediatamente industrializzabili, con un autentico e proficuo “win-win” delle parti. Queste attività sono ulteriormente sviluppate nei percorsi Master, dove la presenza non solo di docenti universitari, ma di tecnici, manager e professionisti attribuiscono ai discenti maggiore capacità competitiva e progettuale”.

Dottor De Ruosi, di cosa si occupa Zerogrey?

“In poche e semplici parole Zerogrey si occupa di progettare, costruire e gestire soluzioni e-Commerce e omnicanale. Abbiamo una storia che nasce in un garage di Torino nel 2000, proprio come da manuale della start-up innovativa. Oggi siamo anche a Barcellona, Dublino, New York e il nostro servizio ha quattro pilastri fondamentali, seppur modulari poiché possono essere svolti dai brand o da partner terzi: tecnologia SaaS eCommerce e implementazione, fatturazione internazionale, operatività (logistica, customer care, etc), strategia e marketing digitale”.

Simone De Ruosi, General Manager di Zerogrey

Il Master è promosso da partner prestigiosi: qual è il loro ruolo?

“Credo sia una bellissima storia di collaborazione Università-Industria ed è esattamente quello che bisogna fare per sviluppare il tessuto economico e sociale di un paese. All’Università si studia, poi ci si deve tornare per rielaborare le esperienze lavorative e metterle al servizio della ricerca e di nuova formazione. Zerogrey, in qualità di promotrice, ha il compito di portare competenze pratiche e conoscenze di un ecosistema ormai molto complesso come è oggi l’eCommerce. Così come faranno tutti gli altri partner tecnici che interverranno nelle varie lezioni per portare praticità e casi concreti in classe”.

Dottoressa Carlo, qual è il core business di Progesia?

“In Progesia studiamo le migliori soluzioni di crescita dei business e le portiamo nelle aziende grazie al modello di Smart Management del Business Armonico validato dal Dipartimento di Management dell’Università degli Studi di Torino. I pilastri dello Smart Management sono quattro: Cloud and Digital Transformation, Customer Experience Management, Digital Strategy & Marketing Automation, Project Management & Employee Engagement. In Progesia operano professori universitari, professionisti esperti in psicologia del lavoro, marketing non convenzionale, consulenza societaria e direzionale, strategia di business, copywriting, sociologia e strategie digitali.

La sinergia di competenze multidisciplinari è ciò che permette una visione globale dei processi interni ed esterni che caratterizzano le aziende, permettendo di conquistare il vantaggio competitivo grazie alla sintesi che ne può derivare. Da noi ogni persona viene accolta come portatrice di una storia unica fatta di valori ed esperienze, elementi preziosi su cui impostare un percorso di crescita in cui l’innovazione è la chiave per un cambiamento di successo. La mission di Progesia è aiutare i clienti a crescere e ad esprimere il massimo potenziale dal punto di vista commerciale, finanziario, gestionale e innovativo”.

Giulia Carlo e Selene Giovannini Responsabili del Coordinamento Master di Progesia, referenti del progetto

Dottoressa Giovannini, grazie a questo Master i manager quali skill avranno?

“L’eCommerce Manager è una figura professionale oggi indispensabile per qualunque azienda di prodotti o servizi che voglia garantire la propria competitività in futuro. Il modo migliore per apprendere la complessità di questo affascinante settore è imparare dai migliori professionisti sul mercato. Con il Master eCSD sarà analizzato a 360 gradi questo mondo e verranno formati nuovi professionisti che ne conoscano le complessità e le sappiano gestire. Il Master offre agli studenti l’opportunità di apprendere molteplici e trasversali competenze e di comprendere in modo più approfondito le dinamiche che concorrono al buon funzionamento di un sito eCommerce, ampliando anche a tematiche inerenti a circular economy, digital transformation, nuovi modelli di business e alle possibilità che si stanno aprendo grazie alle nuove tecnologie 4.0”.

Torino per voi è?

Davide Caregnato: “Amo Torino, città laboriosa e austera. Bella e da godere in un’infinità di angoli ricchi di arte, storia e cultura. Città dove si sta bene, nei musei e nei ritrovi culturali, così come nella movida. Non ho molto da aggiungere a quello che è il pensiero di molti turisti che visitano la città, che a volte se ne innamorano più di chi ci abita e la fa vivere ogni giorno. A Torino si fanno poche parole, ma si crea autentico valore”.

Simone De Ruosi: “Torino è una città da sempre innovatrice nel campo sociale, tecnologico, economico, culturale. Fu capitale d’Italia per pochi anni a livello politico e amministrativo, ma per decenni lo fu sotto tutti questi altri aspetti. Oggi è una città che si è smarrita, ha perso qualche treno di troppo e ha perso l’appeal di città innovatrice che per molti altri centri europei come Milano, Barcellona, Amsterdam e Dublino è elemento polarizzatore. Ha il vantaggio di avere ancora un grande tessuto di piccole e grandi realtà innovatrici, economiche e non, dunque questo gap può e deve colmarlo. Il Master può essere il nostro piccolo granello di sabbia. Oltre a tutto questo, Torino è la mia città”.

Giulia Carlo: “È l’odore di pioggia e le corse per ripararsi sotto i portici del centro, è il piacere di perdersi fra i vicoli del Quadrilatero Romano, è il Museo Egizio che ogni alunno torinese ha visitato come minimo tre volte nella vita (una per ciclo scolastico!). È il rumore del fiume Po lungo i Murazzi, le passeggiate in bicicletta da bambina con mamma e papà al Valentino e soprattutto Torino è casa mia”.

Selene Giovannini: “Torino è eleganza, bellezza, arte e cultura. Per me, piemontese doc, rappresenta la mia vita, la mia quotidianità. Ci fosse il mare sarebbe a tutti gli effetti la città perfetta”.

Un ricordo legato alla città?

Davide Caregnato: “Torino 2006, lo scambio culturale di quei giorni, le emozioni continue, ogni angolo preso d’assalto da stranieri – in tutti i sensi – che scoprono angoli e sapori nuovi della nostra città e del nostro territorio. Il lavoro volontario di tantissimi amici stretti intorno al bisogno della città di essere ancora più bella e di essere un esempio di efficienza. La magia di quelle giornate è indimenticabile”.

Simone De Ruosi: “Sono nato e cresciuto nella periferia operaia di Torino, pertanto di ricordi ce ne sono moltissimi e in questi tempi di emergenza Covid-19 affollano la mente. Di Torino amo i moltissimi salotti, che per chi vive in periferia, sono sempre magici e mai scontati: i tanti spazi verdi piccoli o grandi, ma tutti ben curati; le piazzette colme di bistrot come Piazza Emanuele Filiberto, 4 Marzo, Savoia, Carlina. Amo la ristorazione, sperimentale e slegata dagli standard tradizionali come in molte città italiane. Raramente si trovano i piatti tipici, è assai più facile trovare innovazione, anche in cucina”.

Giulia Carlo: “Le Olimpiadi invernali del 2006 vissute da Volontaria”.

Selene Giovannini: “L’immensa emozione provata nel rivedere l’eleganza e la bellezza di Torino dopo un periodo di vita in Australia”.

Coordinamento: Carole Allamandi

Intervista: Barbara Odetto

Il sacrificio di Bianchi, cattolico “rivoluzionario”

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / Non ho mai amato particolarmente Enzo Bianchi fondatore della Comunità di Bose che conobbi in treno per Roma anni fa e con cui scambiai una conversazione  molto interessante ed istruttiva. Ero un giovane professore e Bianchi  mi dimostrò simpatia.

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Andai ad ascoltarlo  in una conferenza e apprezzai le  sue doti di raffinato intellettuale e di oratore carismatico. La sua comunità aperta a diverse confessioni cristiane e a uomini e donne è figlia del Concilio Vaticano II e trovò protezione nel cardinale di Torino  Michele Pellegrino, arcivescovo progressista che spesso sostenne anche posizioni molto  più scomode come quella dell’abate di San Paolo Dom Giovanni  Franzoni che sostenne divorzio ed aborto e fu dichiaratamente comunista.
A parlarmi sempre in termini molto positivi di lui fu un mio professore di liceo, Fratel Enrico Trisoglio del Collegio San Giuseppe e il mio amico Giovanni Ramella, ma i loro discorsi non mi convinsero mai fino in fondo, anche se l’esperienza di Bose è cosa di per sé apprezzabile che anche il Cardinale Gianfranco  Ravasi, presidente del cortile dei Gentili aperto al dialogo tra credenti e non credenti, apprezzava molto. Certo la statura intellettuale  e culturale del Cardinale non è neppure confrontabile con quella di Padre Bianchi. L’idea di riscoprire il Cristianesimo delle origini era sicuramente molto seducente e la Comunità di Bose ha rappresentato una realtà molto viva sotto la guida di Padre Bianchi che in qualche modo ha anticipato tante idee espresse da papa  Francesco. Con il papa sembrava ci fosse piena consonanza, ma adesso parte proprio dalla Segreteria di Stato Vaticana, con l’avallo del Papa, l’ordine a Bianchi di lasciare la Comunità da lui fondata nel 1967. Bianchi ha 77 anni ed ha fatto coincidere la sua vita con Bose. Pare che i conflitti interni alla Comunità richiedano questo sacrificio. Certo le persone sono meno importanti delle istituzioni che essi stessi hanno fondato, ma dispiace questa fine così apparentemente ingiusta e poco umana: un uomo che debba lasciare la Comunità di cui è simbolo, è cosa tragica e in fondo assai poco cristiana, anche se l’obbedienza alla Chiesa e’ un vincolo irrinunciabile per un monaco sia pure laico come Bianchi. Molte delle valutazioni “politiche“ contingenti di Padre Bianchi sono lontane dal mio modo di pensare liberale. Ma come uomo e come credente comprendo la sua sofferenza e il suo tormento, sperando che possa trovare nelle certezze della fede la forza per andare avanti. Bianchi con i suoi libri e i suoi articoli ha sconvolto certi canoni ed è diventato la bestia nera del cattolicesimo conservatore ed integralista. Appare paradossale che sia il Papa le cui idee e la cui cultura  sono le più vicine a  quelle di Bianchi, a obbligarlo a lasciare.
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Scrivere a quaglieni@gmail.com