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La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

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Il centenario di Nilde Iotti – 25 aprile tra canti e bandiere a Torino – Ripartire? 

Il centenario di Nilde Iotti

Il 10 aprile ricorreva il centenario della nascita di Nilde Iotti, un personaggio storico che merita una qualche attenzione non solo perché è stata la prima donna eletta Presidente della Camera dei deputati, una carica che mantenne per tre legislature, dimostrando un ‘indipendenza e un’autorevolezza che le venne riconosciuta da tutti. Figlia di un ferroviere socialista, la Iotti, laureata in lettere all’Università Cattolica di Milano,  si avvicinò alla Resistenza e al partito comunista per cui venne eletta deputato all’Assemblea Costituente. Ebbe notorietà soprattutto per la sua relazione con Palmiro Togliatti segretario di un partito comunista allora fortemente familista e persino perbenista. Quella relazione venne ostacolata dal partito e certo non servì alla carriera politica della Iotti che di fatto iniziò  a decollare solo dopo la morte di Togliatti nel 1964. Togliatti è considerato un politico senza scrupoli, attento allievo del marxismo – leninismo in salsa machiavellica. Egli venne considerato un politico cinico, pronto a barattare tutto per l’interesse del partito e anche per sé stesso.Se così non fosse stato, non sarebbe sopravvissuto alle purghe di Stalin di cui fu un obbediente esecutore. Aver avuto una lunga e intima convivenza con un uomo considerato così difficile per la sua doppiezza non deve essere stato semplice ,anche se l’amore ci porta a vedere le cose in modo diverso da quello reale. Sarebbe stato interessante poter leggere un diario di Nilde Iotti relativo alla sua vita non solo politica. Forse la Iotti ci avrebbe fatto scoprire un’umanità di Togliatti rimasta in ombra. Certamente questo legame consentì alla Iotti di crescere in una scuola politica senza pari ,ma va detto che questa donna seppe camminare lungo una strada tutta sua con dignità e capacità indiscusse. Le politiche che oggi animano le cronache odierne avrebbero molto da imparare da lei, dal suo stile ,dalla sua eleganza e dalla sua sobrietà un po’ algida.
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25 aprile tra canti e bandiere a Torino

Paradossalmente agli arresti domiciliari anche il giorno delle festa della Liberazione ,mi sono affacciato al mio balcone di una via centrale di Torino alle 15 del 25 aprile. Ho notato come l’invito dell’ANPI a cantare dai balconi Bella Ciao sia caduto nel vuoto più assoluto. Magari in altre zone della città si saranno formati dei cori, come forse leggeremo sul nuovo quotidiano “Repustampa” che ha esordito significativamente proprio il 25 di aprile. Ho parlato con parecchi amici al telefono e nessuno mi ha detto di aver sentito cantare. Pochissime le bandiere tricolori esposte per il 25 aprile anche secondo i miei amici. Anche su internet non mi pare di aver visto fervore patriottico. Forse la gente stremata dalla pandemia economica, dal fantasma della disoccupazione e del fallimento,non convinta della bontà operate dal Governo per la fase 2, ha ben altro a cui pensare. Forse sbaglia, perché riandare alla storia – se è vero che non è una cura – consente almeno dei confronti e delle contestualizzazioni che aiutano a capire. Ma illudersi che la gente con le attività ferme e senza prospettive future si metta anche a cantare e a sbandierare tricolori , è un’ utopia. Per decenni ci hanno detto che la Patria non esisteva, che era un’invenzione dei reazionari e dei fascisti ed ora, malgrado gli anni di Ciampi, è impossibile oggi pensare agli italiani come a dei patrioti << pronti alla morte>>, come dice il nostro Inno nazionale. C’è stato in molti un riavvicinamento naturale alla fede dei padri, un riavvicinamento a quelle chiese che devono restare deserte. E’ naturale che ciò accada in tempi in cui è a rischio la vita delle persone che possono trovare un reale conforto nella fede di Cristo che ha sconfitto la morte e ha predicato parole d’amore.

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Ripartire ?

C’è tanta volontà di ripartire e di non cedere, ma la situazione economica almeno nelle Regioni del Nord è davvero molto grave. I 600 euro dati dal governo sono una mancia inutile che non consente neppure di pagare le spese correnti di affitto,luce e gas delle attività anche più piccole. L’ idea del prestito fino a 25mila euro appare molto discutibile perché la strada dell’indebitamento delle aziende già toccate da una crisi che dura da anni, appare un evidente errore. La logica da seguire sarebbe quella di eliminare o ridurre al minimo i laccioli burocratici che hanno impedito lo sviluppo delle nostre imprese, ispirandosi ad ampi criteri di libertà di intraprendere. Invece si tende a continuare nella logica perversa del reddito di cittadinanza ulteriormente esteso. Tutto ciò porterà ad un Paese non più di cittadini ,ma di sudditi di uno Stato padrone. Per altri versi, l’Europa si sta rivelando poco disponibile alla solidarietà. Il Governo italiano non ha oggettivamente il prestigio per imporsi, malgrado il presidente Conte faccia il possibile. Siamo tornati l’Italietta di un tempo e il nostro destino è segnato per molto tempo. I gravi errori commessi nei decenni e la pandemia ci condannano ad una marginalità di cui purtroppo dobbiamo dolorosamente prendere atto. Ci vorranno: decenni per recuperare. Vorrei sbagliarmi ,ma il senso della storia mi induce ad essere pessimista, al di là dell’ottimismo della volontà da cui dobbiamo tutti sentirci animati.
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Scrivere a quaglieni@gmail.com

 

Il senso della Libertà

PAROLE ROSSE  di Roberto Placido / Questo 25 aprile 2020 lo ricorderemo a lungo. La Festa nazionale della Liberazione da settantacinque anni ci ricorda da dove nasce la Repubblica Italiana e soprattutto grazie a chi il nostro paese ha riacquistato, oltre alla dignità, la libertà e la democrazia. Per troppi anni è stata relegata, oltre ad un giorno di festa da scuola e dal lavoro, a cerimonia istituzionale ristretta ai rappresentanti delle istituzioni, delle associazioni della resistenza, ai partigiani ed i loro famigliari ed a quanti, una minoranza, hanno sempre avuto una forte sensibilità democratica.

Con il passare degli anni e con la naturale e fisiologica scomparsa dei protagonisti di quello straordinario periodo è sorto il problema di tramandare la loro esperienza e valori e di coinvolgere le giovani generazioni. Periodicamente abbiamo assistito a tentativi revisionistici da parte della destra neofascista o ex fascista e da qualche storico di sinistra o presunto tale. Anche quest’anno, perdendo l’occasione di dare un segno di maturità quanto mai necessario in una situazione emergenziale da destra è arrivata la proposta di dedicare il 25 aprile alle vittime del Corona Virus. Proposta tanto irricevibile quanto idiota. L’ipocrisia porta a non avere il coraggio di chiamare le cose con il proprio nome.

Se si fosse mantenuto lo spirito e la composizione delle forze che hanno animato le formazioni partigiane il 25 aprile sarebbe stata vissuta con una partecipazione e condivisione se non unanime, impossibile, certamente in misura decisamente maggiore. Voglio ricordare che nel Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) e nelle formazioni partigiane c’erano rappresentanti socialisti, comunisti, cattolici democratici, liberali, repubblicani, monarchici ed azionisti. Quindi, mi riferisco specialmente ad una parte della sinistra che ha cercato di appropriarsi della “resistenza”, la Resistenza non era e non è di una parte sola, ad essa hanno partecipato, dando sostegno e copertura, operai, impiegati, contadini, civili, preti e suore e molti rappresentanti delle forze dell’ordine. Per chi fosse interessato c’è una bella pubblicazione del Comando generale dell’Arma dei Carabinieri sul ruolo dei Carabinieri durante la lotta di Liberazione. Un altro elemento da confutare è quello della territorialità, si è svolta solo al nord dell’Italia. Chi lo sostiene dimentica o fa finta di dimenticare lo sbarco alleato, la “ linea gotica” e l’Italia divisa in due. Problema risolto dalla folta e numerosa, molte migliaia, presenza di meridionali nelle formazioni partigiane. Uno su tutti il comandante del CLN che liberò Torino, Pompeo Colajanni, nome di battaglia “Barbato”, siciliano, ufficiale della cavalleria. Sul ruolo e sulla partecipazione dei meridionali alla lotta di liberazione voglio ricordare il convegno organizzato dal Consiglio Regionale del Piemonte il 16 giugno 2013 al Teatro Carignano a Torino.

Per concludere su di un altro elemento, spesso riproposto, quello degli esigui numeri dei partigiani, rammento che alla lotta di Liberazione hanno contribuito sicuramente le formazioni partigiane, i molti civili, ed, non si possono dimenticare e lo sono stati per troppo tempo, i seicentomila internati militari italiani (IMI) che rifiutarono di combattere per la repubblica di Salò e preferirono i campi di concentramento pagando un prezzo altissimo in termini di vite umane e privazioni. Tutto questo è la storia passata e recente ma la vera particolarità, che mi ha fatto riflettere, di questo 25 aprile è l’essere tutti “prigionieri” in casa da quasi due mesi. Festeggiare la Liberazione stando chiusi in casa, segregati quasi volontariamente, un ossimoro, per combattere un nemico invisibile e quindi più subdolo, non può che fare riflettere sul senso e sul valore della libertà. E’ proprio vero che una cosa l’apprezzi molto di più quando non ce l’hai, quasi, più o ti viene a mancare. Forse è per questo senso di privazione, di mancanza, che ci sono state un numero straordinario di manifestazioni e di iniziative con una partecipazione e condivisione che ci dà la percezione tangibile di essere liberi pur essendo “prigionieri” e segregati. La libertà e la democrazia sono, insieme alla Costituzione, i più importanti dei grandi “regali” che ci hanno portato la Resistenza e la lotta di liberazione.

La Cuoca Insolita propone: i ravioloni #celafaremo

Tra qualche giorno sarà il 25 aprile, la Festa della Liberazione. È una data importante per l’Italia e quest’anno la sentiamo con maggiore intensità. Ci siamo stretti e continueremo a farlo, da lontano, per alleviare il peso di vivere un momento così complicato, in cui tante persone lavorano per il resto dei cittadini, con un fortissimo senso di altruismo, tanti lottano contro una malattia e tanti aspettano pazienti che arrivino tempi migliori, grati verso chi li aiuta. Questa è l’Italia, con tutti i suoi pregi e i suoi difetti, ma siamo noi. E io desidero celebrarla con voi, scegliendo solo ingredienti italiani, nelle vostre case, nelle vostre cucine. Viva l’Italia! #celafaremo #iorestoacasa

Tempi: Preparazione 1 ora;

Cottura 10 min per il ripieno + 2 minuti per i ravioli;

Attrezzatura necessaria: Contenitore bordi alti, piccolo contenitore per il ripieno, pentola per cottura ravioli, 1 padella piccola, pellicola per alimenti, un matterello grande

Difficoltà (da 1 a 3): 2

Costo totale: 2,90 € (4,40 €/kg)

Ingredienti per 4 persone (per ogni porzione sono previsti tre ravioli, uno per colore):

Per la pasta verde:

  • Farina di semola bianca – 50 g
  • Farina di piselli – 10 g
  • Acqua – 30 g

Olio e.v.o. – 1 cucchiaino scarso

Per la pasta bianca:

  • Farina di semola bianca – 65 g
  • Acqua – 25-30 g
  • Olio e.v.o. – 1 cucchiaino scarso

Per la pasta rossa:

  • Farina di semola bianca – 50 g
  • Farina di barbabietola – 10 g
  • Acqua – 25 g
  • Olio e.v.o. – 1 cucchiaino scarso

Per il ripieno:

  • Porri – 80 g
  • Finocchi al vapore – 80 g
  • Ricotta – 160 g
  • Olio extra vergine oliva – 40 g
  • Sale – ½ cucchiaino (4 g)
  • Pepe – 4 macinate

Per condire il piatto:

  • Parmigiano grattugiato – 20 g
  • Foglie di salvia sminuzzate – 2 a testa

Olio extra vergine – 1 filo

Perché vi consiglio questa ricetta?

  • Valori nutrizionali: rispetto ai classici ravioli ricotta e spinaci, questa ricetta ha il 26% di calorie in meno, il 45% in meno di carboidrati (e stiamo parlando di un primo piatto) e il 20% di grassi saturi in meno.
  • Avete colorato la pasta con coloranti naturali, preparati da voi a partire dalla verdura. Coloratissimi, profumati e ricchissimi di fibre. Per sapere come produrre le farine di piselli e di barbabietola, potete andare sulla ricetta Ravioloni #celafaremo su www.lacuocainsolita.it
  • Le farine colorate si conservano per 6 mesi a temperatura ambiente chiuse in un barattolo. Potrete usarle per ricette salate ma anche per colorare creme dolci e biscotti.
  • Se volete, potrete usare anche la farina di semola integrale (ricordando che assorbe più acqua: usate più acqua per l’impasto), per un maggiore apporto di fibre
  • Se avete problemi con i latticini o se siete vegani, potete sostituire la ricotta con il tofu aromatizzato alle erbe e il parmigiano con il lievito alimentare in scaglie.

Per sapere come produrre le farine di piselli e di barbabietola, potete andare sulla ricetta Ravioloni #celafaremo su www.lacuocainsolita.it

Approfondimenti e i consigli per l’acquisto degli “ingredienti insoliti” a questo link: https://www.lacuocainsolita.it/ingredienti/).

In caso di allergie…

Allergeni presenti: Cereali contenenti glutine, latte

Preparazione

Fase 1: LA PASTA FRESCA

Per ogni colore, separatamente, mescolate tutti gli ingredienti in una terrina a bordi alti. Lavorate l’impasto per circa 5-10 minuti con le mani, su un piano di lavoro pulito, fino a quando vi accorgerete che la superficie diventa liscia, quasi come la seta. Se volete velocizzare il lavoro, potete anche fare un impasto unico sommando tutti gli ingredienti (ma non mettete tutta l’acqua subito: ne aggiungerete dopo, poco alla volta) tranne le farine colorate e dopo 6-7 minuti dividete l’impasto in tre parti uguali; una parte resterà così; ad una parte invece andrà mescolata la farina rossa di barbabietola, mentre alla terza parte aggiungerete la farina verde di piselli. Aggiungete l’acqua che non avevate aggiunto prima (attenzione perché ogni impasto richiede delle quantità di acqua diversa). Mescolate bene gli impasti rosso e verde in modo che il colore diventi ancora più uniforme. Chiudete separatamente le tre palline di pasta fresca in fogli di pellicola e lasciate riposare per 30 min.

FASE 2: IL RIPIENO

Fate imbiondire a fuoco vivo i porri sminuzzati finemente nell’olio in una padella. Versate quindi un poco di acqua (meno di una tazzina da caffè) e lasciate evaporare completamente (questo servirà per rendere i porri più leggeri e digeribili). Aggiungete ora i finocchi già cotti a vapore e schiacciati con una forchetta e lasciate cuocere ancora 2 minuti. Togliete dal fuoco e unite la ricotta fresca, il sale e il pepe e amalgamate bene.

FASE 3: LA PREPARAZIONE DEI RAVIOLONI #CELAFAREMO

Prendete circa 20 g di pasta fresca e create una piccola pallina. Infarinate leggermente il piano di lavoro e con il matterello stendete la pasta, creando un disco di circa 10-12 cm (la pasta non dovrà essere troppo sottile). Cercate di non infarinare la parte superiore del disco. Fate la stessa cosa con ogni impasto colorato.

In una metà del cerchio disponete una cucchiaiata di ripieno (circa 30 g) e poi chiudete sopra l’altra metà del cerchio. Sigillate bene la mezzaluna con i lembi di una forchetta. Disponete su un piano infarinato con semola.

FASE 4: LA COTTURA

Portate a bollore una pentola di acqua. Salate e buttate delicatamente i ravioloni. Scolate dopo 2 minuti, con l’aiuto della schiumarola.

FASE 5: LA PRESENTAZIONE DEL PIATTO

Condite i vostri Ravioloni #celafaremo con le foglie di salvia sminuzzate, il parmigiano e un filo d’olio, che daranno ancora più sapore al vostro piatto senza nascondere i tre colori della nostra bandiera!

Buon appetito e buona festa!

CONSERVAZIONE

Nel surgelatore (da crudi): separate bene tra loro i ravioloni e cospargeteli di semola. Una volta surgelati, potete metterli tutti insieme in un sacchetto gelo e conservarli per 3-6 mesi. Al momento dello scongelamento, separateli nuovamente tra loro e sistemateli su un vassoio con della semola.

In frigorifero (da crudi): 2-3 giorni (fateli asciugare un pò all’aria prima di metterli frigorifero e poi chiudeteli in un contenitore). Sconsigliato conservarli dopo cottura (si attaccano tra loro).

Chi è La Cuoca Insolita

La Cuoca Insolita (Elsa Panini) è nata e vive a Torino. E’ biologa, esperta in Igiene e Sicurezza Alimentare per la ristorazione, in cucina da sempre per passione. Qualche anno fa ha scoperto di avere il diabete insulino-dipendente e ha dovuto cambiare il suo modo di mangiare. Sentendo il desiderio di aiutare chi, come lei, vuole modificare qualche abitudine a tavola, ha creato un blog (www.lacuocainsolita.it) e organizza corsi di cucina. Il punto fermo è sempre questo: regalare la gioia di mangiare con gusto, anche quando si cerca qualcosa di più sano, si vuole perdere peso, tenere a bada glicemia e colesterolo alto o in caso di intolleranze o allergie alimentari.

Tante ricette sono pensate anche per i bambini (perché non sono buone solo le merende succulente delle pubblicità). Restando lontano dalle mode del momento e dagli estremismi, sceglie prodotti di stagione e ingredienti poco lavorati (a volte un po’ “insoliti”) che abbiano meno controindicazioni rispetto a quelli impiegati nella cucina tradizionale. Usa solo attrezzature normalmente a disposizione in tutte le case, per essere alla portata di tutti.

Calendario corsi di cucina ed eventi con La Cuoca Insolita alla pagina https://www.lacuocainsolita.it/consigli/corsi/

Giuseppe Bergamaschi, chi è l’uomo che ha trasformato le maschere di Decathlon per gli ospedali

Rubrica a cura di ScattoTorino

Papà bresciano e mamma coreana, Giuseppe Bergamaschi è un cittadino del mondo. Nato in Sud America, ha vissuto i primi anni di vita in Africa e sin da bambino ha interagito in un contesto multiculturale ricco di contaminazioni. La sua visione ampia del mondo è una qualità che ancora oggi fa di lui un uomo lungimirante sia nella vita sia nel lavoro. Benché non sia torinese, ha vissuto all’ombra della Mole. Grazie al ruolo del padre, Amministratore Delegato del gruppo Fiat, ha conosciuto la Torino dei capi di stato, degli imprenditori, ma anche delle persone meno note. Amante delle sfide che il territorio gli pone, Giuseppe Bergamaschi si è specializzato nel campo tecnologico quando il settore era ancora agli esordi e ha fondato la Onevo Group. L’azienda è specializzata nella progettazione, prototipazione, produzione e fornitura per le imprese di tecnologie e servizi ICT all’avanguardia, dedicate alla gestione Smart dei settori City, Retail, Office, Bulding, Eventi, Mobility e Industry 4.0. Poiché, dice Bergamaschi, convivere è diverso dal semplice appuntamento di lavoro, dal 2014 ha creato infine degli uffici dedicati allo smart office in modo da ospitare altre aziende con le quali collaborare e creare una contaminazione di idee. Perché ScattoTorino lo intervista­­­? Perché in epoca Covid-19 quest’uomo ricco di energia e di passione ha sentito l’esigenza di fare qualcosa per aiutare e in una domenica di pandemia ha realizzato i raccordi e le valvole stampate in 3d che permettono l’adattamento delle maschere da snorkeling di Decathlon per l’utilizzo in cpap. Quelle utilizzate nei reparti di rianimazione.

L’attenzione verso il prossimo è nel suo dna?

I miei genitori hanno portato avanti una grande attività sociale in Sud America. Quando ero bambino e vivevamo là per il lavoro di mio padre, nei fine settimana ci recavamo nelle zone abitate dagli Indios per portare cibo e tutto ciò che mancava, inoltre costruivamo case, chiese, scuole e sviluppavamo l’allevamento. Utilizzavamo materiali di scarto come gli imballi in legno delle portiere delle auto che dovevano essere mandati al macero o i vetri difettosi delle macchine. Il metodo che papà aveva ideato era sostenibile ed ecologico. Quando gli stabilimenti erano chiusi, poi, i miei genitori organizzavano giorni di scuola per i bambini che non potevano frequentarla regolarmente”.

Avrebbe potuto seguire la professione paterna, invece ha optato per la tecnologia. Perché?

“Perché un tema in continuo divenire ed è sinonimo di ciò che è l’uomo: è curiosa, ha bisogno di evolvere e di scoprire aspetti nuovi della vita e lavora per migliorarli. All’inizio la tecnologia era per pochi e il mio compito era dare una prospettiva di sviluppo al settore, ad esempio facendo capire ai clienti la sua importanza non solo professionale, ma anche nella vita privata. Siccome credo che la specializzazione sia fondamentale, ho creato delle business unit con competenze mirate per ogni settore e successivamente ho interconnesso le diverse tecnologie – dall’informatica alla sorveglianza, dalla telefonia al web – per creare possibilità quasi infinite di utilizzo che portassero a innovazione, efficienza organizzativa e funzionale e ad un’economia sostenibile che puntasse all’ottimizzazione”.

Di cosa si occupa Onevo Group?

“È un’azienda tecnologica ICT e system integrator di telecomunicazioni, videoanalisi, networking, IoT, raccolta dati, sicurezza informatica e videosorveglianza che sviluppa tecnologie a supporto delle aziende e degli utilizzatori finali. La sua mission è migliorare le esperienze e renderle più fruibili, innovative e sicure in ogni ambiente. Onevo ha il compito di rendere interconnessi i luoghi, gli strumenti, le necessità, le persone con la massima attenzione verso l’esigenza dell’uomo e non del suo controllo. È in prima linea in questa rivoluzione grazie a tecnologie proprietarie sviluppate per i settori office, retail, building, industry e automotive e, con il supporto di partner di eccellenza, completa e integra la propria offerta con servizi a 360° su soluzioni innovative di piattaforme, design e arredi”.

Onevo e Salone dell’Auto Parco Valentino di Torino. Una partnership importante?

“Dalla seconda edizione abbiamo promosso quello che è stato un evento rappresentativo della città, condividendo i temi dell’innovazione, del design e della ricerca, da sempre orgoglio di Torino. Abbiamo sviluppato un nuovo ecosistema composto da Smart City, Smart Mobility, Smart Building e Smart Interior con il quale ognuno di noi vivrà e si confronterà nei prossimi anni.

Siamo infatti consapevoli che i luoghi diventeranno ibridi e dovranno mutare in base alle esigenze degli utilizzatori e che la tecnologia contaminerà anche gli arredi, che diventeranno intelligenti. Il nostro lavoro ha riscosso molto successo e saremo presenti anche al Milano Monza Open-Air Motor Show dove ci occuperemo della parte tecnologica dell’evento”.

In che modo Onevo Group sta supportando la sanità durante la pandemia?

“In questi giorni la costante di molti è vivere in modo passivo la situazione, perché è difficile pensare di fare qualcosa di utile. Io invece avevo una grande energia, ma non sapevo come incanalarla. Poi una domenica a pranzo ho letto che a Brescia stampavano delle valvole 3D e lanciavano un appello a tutta Italia perché l’emergenza era ormai avanzata e ne avevano bisogno. Sono andato in ufficio, ho preparato e stampato tutto in modo da spedire già il lunedì successivo. Ho anche parlato con i collaboratori, che come sempre si sono dimostrati coesi, e abbiamo iniziato a lavorare senza sosta per produrre i raccordi e le valvole stampate in 3D che permettono l’adattamento delle maschere da snorkeling di Decathlon per l’utilizzo in cpap. Per intenderci, quelle usate nei reparti di rianimazione degli ospedali”.

Come è stato l’iter per consentire l’utilizzo delle valvole?

“Abbiamo contattato gli ospedali piemontesi per dare la nostra collaborazione e abbiamo iniziato un confronto proattivo con i medici per capire come usare questi strumenti, ma è stato tutto molto complesso. Il primo problema era reperire le maschere perché eravamo appena entrati nel lockdown, così abbiamo utilizzato Facebook per chiedere alle persone di donarcele e centinaia di contatti hanno risposto subito all’appello. Oltre al fatto che non potevamo incontrare i donatori e quindi non sapevamo come recuperare le maschere, c’era il problema che i dispositivi non sono medici né certificati. Abbiamo contattato la Polizia di stato, la Protezione Civile, i comuni, gli ospedali e le altre istituzioni per creare un protocollo funzionale. Il materiale non certificato può essere usato solo in caso compassionevole, quindi quando non si hanno altri mezzi, e abbiamo percorso questa via”.

A chi state dando i dispositivi di protezione?

“Abbiamo iniziato a collaborare con la Protezione Civile di Acqui Terme che si è occupato della distribuzione delle maschere agli ospedali. Abbiamo svolto un lavoro di igienizzazione, sanificazione, disinfezione all’ozono, montaggio e collaudo di ogni kit, che abbiamo consegnato agli ospedali e alle case di cura della zona di Acqui Terme e di Torino”.

Un altro problema è il reperimento delle mascherine. Come state procedendo?

“Abbiamo pensato ad una modifica della maschera da snorkeling di Decathlon per i medici e per il personale sanitario in modo da proteggere occhi, naso e bocca. Abbiamo progettato dei nuovi kit, che abbiamo stampato in 3D, che ci permettono di utilizzare dei filtri usati in ambito medico, militare e agricolo, per cui meno difficili da reperire, con una protezione garantita al 99% e una ventilazione sufficiente che permette di non far appannare la maschera. Questi filtri costano meno delle mascherine fpp2 e fpp3 e durano di più: la mascherina usata dal personale medico, infatti, dopo 4 ore deve essere buttata via, mentre i filtri durano dalle 24 ore ad oltre un mese. Abbiamo studiato i pezzi in ospedale e cercato velocemente la tecnologia più adatta e il materiale utilizzabile. Inoltre non tutti i filtri, i raccordi e le valvole hanno la stessa misura per cui ci è stato richiesto dalla Protezione Civile di riadattarli e in meno di 24 ore lo abbiamo fatto. Si sono complimentati dicendo che i nostri prodotti sono precisi e di qualità. Sono contento di contribuire ad aiutare in questo stato di emergenza”.

Torino per lei è?

“È una città che scelgo perché mi ci sono ritrovato a vivere, ma è anche una scelta confermata. È a misura d’uomo e ha un valore storico e artistico importante. Torino è una piazza dura perché non si apre subito alle nuove idee, ma se si riesce qui, si riesce anche altrove e questo è stimolante. Spesso a Torino nascono delle eccellenze che poi vengono abbandonate perché non si hanno le risorse per sostenerle. Avremmo bisogno di consolidare le capacità e valorizzarle nel territorio perché quando l’innovazione fatta con coscienza si unisce alla tradizione al buon gusto, si crea un luogo di cultura e qualità”.

Un ricordo legato alla città?

“Da bambino andavo al Club Scherma Torino che ha sede presso il parco del Valentino e a pranzo, con mia madre, consumavamo un panino al Giardino delle rose e dopo facevamo una passeggiata fino in centro. Questo ricordo mi ha indotto ad essere partner del Salone dell’Auto Parco Valentino: volevo fornire dei servizi e metterlo in sicurezza perché volevo valorizzarlo”.

Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto

L’isola del libro

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Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

 

John le Carré  “La spia corre sul campo”   – Mondadori-  euro  20,00

L’88enne scrittore inglese David John Moore Cornwell, che da quasi 60 anni firma i suoi libri ad alto tasso di adrenalina con lo pseudonimo John le Carré, ambienta la sua ultima spy story al tempo della controversa Brexit e inventa una spia che incarna lo stato d’animo di un patriota deluso. E’ Nat, 47 anni, vanta una genealogia affascinante: il padre, un malinconico maggiore delle Guardie Scozzesi, mentre la madre -discendente da nobile famiglia russa scampata alla rivoluzione- era propensa a spassarsela con ammiratori vari. Negli ultimi 25 anni Nat è stato membro dei Servizi Segreti Britannici, fedele fino al midollo alla sua Regina. Se era convinto che il suo lavoro di agente segreto volgesse verso una meritata pensione, è costretto a rivedere i suoi piani perché un nuovo incarico lo attende. Deve riesumare e rendere operativo il “Rifugio”, sezione russa con base a Londra, più che altro “…una succursale in disuso….discarica per disertori da quattro soldi ricollocati e informatori allo sbando di infima categoria..” Ecco Nat alle prese con più problemi: oligarchi russi che nella city riciclano soldi sporchi, reclutamento di amanti di suddetti oligarchi, la moglie blasonata di uno dei capi dell’MI6 che intrallazza con i miliardari russi e mette i bastoni tra le ruote alle spie che cercano di incastrarli. Insomma gli elementi per una bella spy story ci sono tutti. Aggiungete personaggi interessanti come la giovane Florence (idealista che svetta a capo della scalcagnata squadra del Rifugio), la moglie paziente e la figlia ribelle di Nat, il ricercatore Ed (che odia la Brexit Trump e Putin). Collocateli tutti sullo sfondo di un’Inghilterra in cui non ci si riconosce più, ed avrete tutte le coordinate per un libro che trasuda anche una certa rabbia politica.

 

Dolores  Reyes  “Mangiaterra”  -Solferino-  euro  17,00

E’ un indimenticabile personaggio femminile quello creato dalla scrittrice argentina Dolores Reyes, nata a Buenos Aires nel 1978, femminista, insegnante e madre di 7 figli, che dedica questo libro di esordio alla memoria di due adolescenti vittime di femminicidio. Inutile dire che il romanzo è un caso politico oltreché editoriale, perché onora la memoria delle giovani Melina Romero e Araceli Ramos, uccise dalla brutalità maschile e i cui resti riposano in un cimitero nell’area metropolitana della capitale argentina.

Protagonista di queste intese 205 pagine è Mangiaterra, ragazzina che scopre presto di avere un potere misterioso. Un dono che è anche una maledizione.

Le basta inghiottire un pugno di terra perché le appaiano persone morte o scomparse, e vedere che fine hanno fatto. Ha iniziato mangiando la terra sulla tomba della madre, nella speranza di sentirla ancora vicina per qualche istante. Ed è la sua prima visione agghiacciante perché scopre che è stata picchiata a morte dal marito…e dopo nulla sarà mai più come prima.

Da allora diventa una sorta di veggente, dapprima vista con sospetto; poi la notizia del suo dono si diffonde e a lei finisce per rivolgersi un’umanità dolente in cerca di risposte sulla sorte dei suoi cari. Nei sobborghi miseri di Buenos Aires le tragedie sono una costante: donne e bambini spariscono o vengono uccisi quotidianamente. E’ a Mangiaterra che chiedono aiuto i parenti: la conducono su tombe o luoghi cari ai scomparsi, lei affonda le mani in zolle e segreti racchiusi nel suolo, il suo corpo e la sua anima si contraggono e il suo sguardo scalfisce la nebbia che avvolge una morte, una prigionia, una scomparsa. Lei può regalare speranze oppure annunciare una morte. E lei può fare giustizia smascherando mostri assassini, trovando donne tenute prigioniere da folli, indicando corpi martoriati e occultati in sepolture nascoste. Può restituire alle famiglie angosciate i cari che davano per persi e regalare il sollievo della pace alle anime di chi non tornerà più, ma almeno avrà una degna sepoltura.

 

 

Juan José Saer  “Il fiume senza sponde”  -La Nuova Frontiera – euro 18,00

E’ un reportage tra storia, antropologia, follie, aneddoti e ricordi: di fatto un trattato immaginario sul Rio de la Plata, corso d’acqua immenso in cui confluiscono i fiumi Uruguay e Paranà. E’stato scritto e pubblicato nel 1991 da uno dei massimi scrittori argentini della seconda metà del 900, Juan José Saer (nato nel 1937, morto nel 2005), ora tradotto da Nuova Frontiera. Sulle sponde del Rio de la Plata -dove sorgono le metropoli di Buenos Aires e Montevideo- nel 1516 c’era l’assoluta desolazione.

Fu scoperto da Juan Diaz de Solís che lo chiamò Mar Dulce; però, ironia della sorte, proprio lì fece una fine orrenda. Appena sbarcato con un piccolo contingente di uomini fu assalito dagli indios che a colpi di frecce, lance e mazze lo massacrarono e mangiarono crudo insieme ai suoi compagni, tutto sotto gli occhi inorriditi dei marinai rimasti sulla nave. A detta di storici equilibrati, de Solis e i suoi uomini furono considerati cacciagione e come tali braccati e uccisi.

Parte da lì, Saer –narratore colto e profondo- per mettere a fuoco credenze e usanze degli indigeni che abitavano la zona. Poi ripercorre le rotte di altri navigatori come Magellano e Caboto,  per arrivare alle fasi della fondazione e dello sviluppo di Buenos Aires. Città tra le più affascinanti e complesse al mondo: dalla fase coloniale in cui era un agglomerato di ranchos squallidi e poveri, poi lo sviluppo da metà del 1700, fino agli anni terribili della dittatura militare e dei desaparecidos. Ed è proprio il Rio de la Plata la tomba per migliaia di prigionieri che, dopo essere stati sequestrati e torturati, venivano storditi col pentotal, caricati su aerei ed elicotteri della marina e gettati, ancora vivi, in mare e nel grande fiume.

 

 

 

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

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La triplice fragilità italiana – Un’ambizione naufragata – E’ mancato Pier Luigi Berbotto

La triplice fragilità italiana

Oggi l’ Italia è ad un punto della sua storia che è senza  senza precedenti. La pandemia devastante ha provocato e si accompagna  ad  una crisi economica rovinosa. Ma rispetto ad altri paesi l’Italia sta vivendo anche  un momento di grande discordia istituzionale che si manifesta nel dissidio tra Stato e regioni e tra singole regioni. Il governatore della Campania parla addirittura di confini regionali. Lo Stato appare debole e forte nello stesso tempo perché non c’è un governo  con persone autorevoli e adeguate che abbia il necessario sostegno nazionale, anche se molti provvedimenti del governo – i decreti del presidente del Consiglio dei ministri – non passano attraverso il vaglio del Capo  dello Stato e l’approvazione delle Camere ,malgrado tocchino libertà sancite dalla Costituzione. In questo contesto  confuso ed autoritario nello stesso tempo appare vistosa l’assenza del Parlamento e delle alte cariche dello Stato. Il contrasto tra regioni è indice del disfacimento dello Stato unitario. E c’è chi, non capendo cosa accade , invoca un’assemblea costituente. Una  vera torre di Babele  in momenti in cui ci dovremmo sentire responsabilmente tutti nella stessa barca. Nella storia italiana non c’è una pagina così negativa. Caporetto al confronto appare una piccola cosa. Se poi aggiungiamo la sostanziale avversità dell’Europa  nei nostri confronti, abbiamo il quadro completo di una situazione di cui forse non ci rendiamo neppure conto e dalla quale potrebbe determinarsi un vero conflitto sociale provocato dalla crisi e dalla miseria. Affidiamoci allo Stellone d’Italia, ma questa volta forse non sarà sufficiente.
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Un’ambizione naufragata

Licia Mattioli, già vicepresidente di Confindustria e della Compagnia di San Paolo è stata sonoramente battuta come candidata presidente di Confindustria dove ha voluto ad ogni costo restare ostinatamente  in lizza fino all’ ultima ora . Non rientrerà  neppure nella Compagnia di San Paolo. Alcune sue  affermazioni polemiche  dopo la sconfitta indicano una certa mancanza di stile in un momento in cui il mondo imprenditoriale dovrebbe essere più che mai unito. Non ho mai avuto nulla di personale contro questa intraprendente signora  che in pochi anni ha scalato anche la presidenza dell’ Unione Industriale di Torino. E’ ardimentosa, a volte persino aggressiva, con un carattere spesso spigoloso che in questa occasione  ha avuto  contro di se’  anche il fatto di rappresentare  la continuità con uno dei peggiori presidenti di Confindustria. Non posso tuttavia dimenticare un episodio di tre anni fa quando, seduta vicino a me, applaudi’ un relatore che invocava la chiusura dei covi neofascisti, mentre a Torino stava avvenendo un’aggressione  violentissima  dei centri sociali nei confronti della Polizia la quale stava tutelando un legittimo comizio elettorale dell’estrema destra. In quella sala pochissime persone applaudirono il relatore che per la sua faziosità  perse  da quella sera la mia stima. Quell’applauso della vice presidente di Confindustria mi sorprese molto e mi rivelò  una posizione  politica che non avrei mai potuto condividere.
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E’ mancato Pier Luigi Berbotto

E’ mancato giovedì scorso lo scrittore Pier Luigi Berbotto, noto soprattutto per il suo romanzo “Concerto rosso” edito da Mondadori. Lo conobbi oltre trent’anni fa e ho mantenuto un rapporto di amicizia e di stima con lui. Ho il solo rammarico di non averlo frequentato  con la assiduità che meritava. Ho sempre letto i suoi libri ,ma mi è mancato il rapporto umano con lui. Nella galassia degli scrittori piemontesi era l’unico degno di essere letto. Non ha avuto il successo letterario che meritava, ma questo ci porterebbe a considerazioni molto amare sull’editoria, sulla critica e sul giornalismo. Era amico di Giovanni Arpino e seppe come lui dimostrare indipendenza e dignità, non barattando mai nulla per perseguire il successo. Ora le sue opere parlano per lui ed esse non sono destinate all’oblio come quelle di tanti scrittorelli legati all’effimero o alla faziosità politica. Ci trovammo a ricordare insieme l’amico comune Piero Passaggio ai suoi funerali ed apprezzai il suo discorso sobrio,partecipato, profondo. Anche nella quotidianità era un uomo degno di stima. La sua morte lascia un vuoto incolmabile in molti. Peccato non aver potuto presentare il suo ultimo libro “Uno sguardo oltre la siepe” che rappresenta il suo estremo messaggio  e avrà il successo che merita.
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Scrivere a quaglieni@gmail.com

#iosorrido, il coinvolgente progetto fotografico di Barbara Odetto e Alessandro Lercara

Rubrica a cura di ScattoTorino

Da un anno e mezzo ScattoTorino racconta i protagonisti della città. A dar loro voce è la giornalista Barbara Odetto, che ha creduto nel format ideato da Carole Allamandi sin dagli inizi. Questa volta, però, i ruoli si invertono e Carole intervista Barbara che, come addetta stampa e giornalista di moda e lifestyle, è abituata a lavorare “dietro le quinte” per dare luce ai clienti o ai tanti cantanti e attori che intervista. Come copywriter e titolare di un’agenzia di comunicazione, sono invece le campagne pubblicitarie a parlare per lei. Con lei intervista anche Alessandro Lercara, fotogiornalista e reportaggista da oltre 20 anni che ha mantenuto viva la propria produzione artistica personale ottenendo riconoscimenti di cui il più recente è la vittoria del concorso fotografico indetto dal UNHCR – Agenzia ONU per i rifugiati – dal titolo Per Amore. Perché ScattoTorino dedica loro spazio? Perché sono gli autori di #iosorrido: un progetto fotogiornalistico che si sta muovendo sui social e che in pochi giorni ha riscosso molto interesse. In dieci anni di amicizia, Barbara e Alessandro hanno collaborato insieme sia per alcuni magazine sia per dei clienti comuni. Nel 2012, dopo aver visitato i Campi di Concentramento e Sterminio di Auschwitz-Birkenau con il Treno della Memoria, hanno dato vita ad un progetto fotogiornalistico che successivamente si è trasformato in una mostra che ancora oggi viene richiesta da enti privati durante il Giorno della Memoria o il 25 aprile: Echi da Auschwitz. Viaggio nella memoria attraverso le immagini di Alessandro Lercara e i testi di Barbara Odetto.

Barbara, come è nato #iosorrido?

In quarantena nelle nostre case, come tutti, a causa del Coronavirus, qualche giorno fa Alessandro Lercara ed io, parlando al cellulare, ci siamo chiesti come avremmo potuto fare qualcosa di utile. Il nostro lavoro è sempre stato raccontare e confrontandoci abbiamo capito che in questi giorni così difficili volevamo provare a dare un punto di vista positivo. Così, proprio ora che una mascherina davanti alla bocca è sinonimo di rispetto per il prossimo, è nato #iosorrido”.

Alessandro, di cosa si tratta?

“È un reportage che vuole documentare questo periodo così surreale attraverso le parole e le immagini di chi da ormai un mese è forzatamente in casa ed esce solo per lavoro o per svolgere le mansioni previste dalla legge. È un invito a cercare dentro di sé uno o più aspetti positivi di questo momento storico, un hashtag per sentirsi uniti a distanza e per trasmettere forza a chi fatica a ritrovare il bello nel quotidiano”.

Barbara, sorridere durante la pandemia può sembrare in controtendenza?

“In effetti, durante i numerosi brainstorming che hanno preceduto la nascita del progetto e il relativo lancio sui social, Alessandro ed io ci siamo chiesti più volte se fosse giusto sorridere durante questa terribile emergenza causata dal Covid-19 che, come purtroppo testimonia quotidianamente la cronaca, sta cancellando una generazione e distruggendo gli affetti più preziosi. Ci siamo domandati se fosse irrispettoso verso le vittime, i contagiati e le loro famiglie. Poi abbiamo pensato che forse tutti abbiamo bisogno un sorriso, di un momento spensierato per spezzare la tensione. Questo virus è democratico e in maniera diversa colpisce tutti: chi è stato contagiato, i medici che lottano ogni giorno e quando tornano a casa devono stare lontano dalla famiglia, i professionisti e i commercianti obbligati a rinunciare al lavoro, chi invece ogni giorno lavora con la paura di contrarre la malattia. Forse un sorriso può alleviare la tensione e distogliere per un attimo il pensiero da questo dramma”.

Alessandro, come si partecipa a #iosorrido?

“Chi desidera far parte della community può inviare un’email a iosorridoprogetto@gmail.com oppure contattarci su Facebook e Instagram. Le pagine si chiamano Iosorrido. Ognuno dei protagonisti deve mandarci 3 foto orizzontali in alta risoluzione indicando il nome dell’autore: un primo piano dove si vede solo il viso coperto dalla mascherina, una a figura intera o a mezzo busto, sempre con la mascherina indossata, e un primo piano con la mascherina che pende da un orecchio che useremo a fine quarantena. Le foto possono essere scattate in casa, sul balcone, in cortile, per strada mentre si fa la spesa o si svolge una delle attività consentite dalla legge. Io effettuerò la post produzione in modo che ogni immagine sia perfetta e in linea con lo stile del progetto e in alcuni casi ho potuto scattare personalmente le foto con un teleobiettivo, che mi ha permesso di rimanere ad una distanza di almeno 5 metri, durante i miei spostamenti per i servizi fotogiornalistici. I partecipanti dovranno poi rispondere a 3 domande che invieremo e che saranno studiate specificamente per la persona, delle quali una è il leit motiv del progetto: per chi o per cosa sorridi? A tutti sarà richiesto infine di compilare la liberatoria che inoltreremo”.

Barbara, come evolverà il progetto dopo la quarantena?

“In questa prima fase le foto e le interviste saranno pubblicate sui social, ma un giorno ci piacerebbe allestire una mostra o pubblicare un libro per testimoniare il periodo storico e per ringraziare chi ha creduto nell’iniziativa”.

Alessandro, è difficile lavorare al progetto insieme, ma distanti?

“La tecnologia ci aiuta, ma ci sentiamo spesso per definire il piano editoriale e verificare i materiali che riceviamo. L’energia positiva di #iosorrido è stata capita e in tanti ci hanno già inviato foto e interviste. La partecipazione è così elevata che anche noi ci siamo stupiti e queste persone, senza saperlo, non solo ci hanno regalato i loro sorrisi, ma hanno fatto sorridere anche noi”.

Torino per voi è?

Barbara: “Una bella signora che si svela a poco a poco. Molti amici stranieri, quando vengono a Torino, rimangono impressionati dalla sua bellezza e dal patrimonio artistico e culturale che impreziosisce le nostre piazze e le nostre vie. Io stessa a volte scopro angoli affascinanti che non conoscevo”.

#IOSORRIDO

Alessandro: “Una fonte continua d’ispirazione, una città molto regolare nelle forme che cela un’energia e un temperamento forti. Quel temperamento che l’ha resa precursore di molteplici invenzioni e capace di distinguersi nel mondo. Torino è il luogo in cui mi sento protetto e allo stesso tempo libero”.

Un ricordo legato alla città?

Barbara: “Come addetta stampa seguo eventi moda che vedono la partecipazione di moltissime persone. Ricordo l’emozione che provo poco prima di far entrare il pubblico. Mi piace sapere che noi Torinesi non siamo poi così immobili come spesso veniamo descritti e sono contenta, nel mio piccolo, di contribuire a far conoscere un’anima dinamica della città. Perché Torino è così: può sembrare distratta e non interessata, ma se sai affascinarla, risponde con il cuore. ScattoTorino lo dimostra ed anche #iosorrido”.

Alessandro: “Come fotogiornalista ho avuto il piacere di documentare molti degli avvenimenti accaduti nella mia città negli ultimi 20 anni ed è bellissimo vedere l’energia con cui partecipa Torino, il senso d’appartenenza dei Torinesi e il sorriso di soddisfazione che ho visto nascere più volte alla richiesta di informazioni da parte di un turista in visita. Perché all’apparenza Torino è austera, ma ha un cuore enorme”.

Coordinamento e intervista: Carole Allamandi

Ph: Alessandro Lercara

Nella foto di copertina (da sinistra in alto): Barbara Odetto giornalista e addetta stampa, Alessandro Lercara fotografo, Sergio Rosso responsabile degli Asili Notturni e dell’associazione Piccolo Cosmo, Maurizio Maina imprenditore agricolo, Rosanna Tonello pensionata ed ex sarta, Virginia Sanchesi organizzatrice di eventi, Luciano Gallino dirigente d’azienda, Erika Lercara fiorista, Ivan Bert musicista, Barbara Bonassin impiegata comunale, Antonella Moira Zabarino presidente di Progesia, Carole Allamandi imprenditrice, Beppe Tamburino running motivator.

N’aso carià ‘d sòld, il profondo detto piemontese

Rubrica a cura del Centro Studi Piemontesi 

N’aso carià ‘d sòld. Un modo di dire piemontese che letteralmente si traduce “un asino carico di soldi”. Il significato è profondo: si riferisce a persona che per quanto si abbellisca di orpelli, di soldi, se non arricchisce il suo animo resta comunque quel che è. “In effetti un asino anche se lo carichi di ornamenti, gioielli e lo si tappezza di banconote rimane sempre un asino

[Vedi: Piero Abrate – Pino Perrone, Modi di dire piemontesi, prefazione di Albina Malerba, disegni di Dario Allolio, Genova, Ligurpress, 2016, pp. 366].

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

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Cossiga che seppe guardare lontano – Coronavirus, crisi economica ed Europa

 

Cossiga che seppe guardare lontano

Francesco Cossiga è mancato dieci anni fa .E’ stato uno dei Presidenti della Repubblica più discussi che si rivela con il passare degli anni uno degli statisti più lucidi della storia repubblicana. Egli colse prima di ogni altro la crisi della I Repubblica successiva al crollo del Muro di Berlino e allo sconquasso degli equilibri europei e internazionali derivati dalla fine dell’ Unione Sovietica. Ebbe chiara la necessità di rinnovare l’impianto istituzionale italiano a cui si rivelò sorda la classe politica dei partiti di governo e di opposizone. Si dimise da Presidente nella primavera del 1992 ,alla vigilia di Tangentopoli che fece collassare il sistema dei partiti ,complice una magistratura che era debordata dai suoi ruoli per assumere una funzione giustiziera e moralizzatrice che Cossiga ebbe il coraggio di denunciare. Come uomo politico democristiano venne meno allo stereotipo del conformismo e del moderatismo proprio di una certa politica. Come è stato ricordato di recente ,cercò anche di porre in evidenza il problema della catena di comando in tempi di emergenza ,un tema che si sta rivelando molto attuale in questi tempi in cui il Parlamento è assente nel dibattito e ratifica a posteriori l’ operato del governo.  Cossiga denunciò con chiarezza la fine di un regime partitocratico non democratico e di una Magistratura politicamente schierata . Non venne ascoltato o addirittura venne considerato un pazzo. In effetti, se rileggiamo oggi certi suoi discorsi e certi messaggi al Parlamento comprendiamo la sua lungimiranza che la storia finirà di riconoscergli. Ho avuto rapporti personali con Cossiga quand’era Presidente e conobbi la raffinatezza politica dell’uomo e la sua intelligenza che lo ponevano molto al disopra dei vari Occhetto e De Mila allora predominanti .

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Coronavirus, crisi economica ed Europa

Forse stiamo lentamente uscendo dalla fase più acuta della pandemia che l’ Italia non ha saputo o voluto affrontare per tempo,come dimostrano i Tg e i giornali di gennaio 2020 quando tanti politici dimostrarono di aver sottovalutato la gravità dell’epidemia . Solo alla fine di febbraio si cominciò ad agire seriamente, anche se le mascherine restano un problema ancora oggi. Siamo invece nel pieno di una crisi economica che può ammazzare l’Italia ,rendendola un Paese marginale forse ancora peggiore della Grecia .Il Governo non appare idoneo a mettere in campo provvedimenti adeguati, anzi la scelta verso il credito e il conseguente ulteriore indebitamento delle aziende in crisi appare scellerata ,come scellerato appare il ricorso ad una patrimoniale. L’ Europa finora ha dimostrato di non voler realmente aiutare l’Italia e l’eventuale ricorso al Mes appare un colpo micidiale all’economia italiana boccheggiante .Sembriamo un Paese in balìa di principianti assolutamente inadeguati ad affrontare i tempi eccezionali che dobbiamo affrontare .L’Europa ha dimostrato di non esistere come fatto politico ,trattando l’ Italia come un Paese di straccioni . Di fronte ai colossi degli USA e della Cina l’Europa rischia essa stessa di liquefarsi in nome degli egoismi nazionali. Pandemia, crisi economica e fine della UE sono i segni della fine di un’epoca storica a cui subentra il caos internazionale. Per il bene del Paese spero di essere troppo pessimista e mi auguro di sbagliare. Spero di essere io in errore e di non comprendere una situazione ingarbugliata, la più difficile della storia italiana  dall’unità in poi.
Buona Pasqua a tutti i lettori
Scrivere a quaglieni@gmail.com