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SAA, Zerogrey, Progesia: a tu per tu con gli organizzatori del Master in eCommerce Management e Strategie Digitali

Rubrica a cura di ScattoTorino

Lo scenario economico internazionale dimostra l’importanza strategica dell’eCommerce Manager, una figura chiave all’interno di qualsiasi azienda di prodotti o servizi che voglia mantenere e consolidare la propria competitività nei mercati attuali e futuri, caratterizzati dalla continua innovazione tecnologica e dalla crescente consapevolezza dei consumatori. Forti del successo della prima edizione SAA – School of Management dell’Università di Torino, Zerogrey società specializzata in eCommerce e in outsourcing e Progesia società di consulenza strategica con esperienza nella ricerca e nella formazione, organizzano anche quest’anno il Master Executive in eCommerce Management e Strategie Digitali. Il corso, che si terrà in modalità online fino alla riapertura dell’Università, è rivolto ai laureati di ogni facoltà o dipartimento, ai manager, ai direttori e ai dipendenti con una consolidata esperienza di lavoro che vogliono approfondire le competenze in materia di eCommerce ed incrementare il proprio valore professionale e strategico. Il Master si svolge presso la SAA, in via Ventimiglia 115 a Torino, ed è iniziato lo scorso 21 maggio; le lezioni sono full time una volta al mese il giovedì, venerdì e sabato per un totale di 250 ore e sono strutturate in modo che possa accedervi anche chi già svolge un’attività lavorativa. Il percorso formativo, che alterna la teoria a numerose esercitazioni pratiche, terminerà nel febbraio del 2021 ed è prevista l’attivazione di tirocini facoltativi presso le aziende partner. ScattoTorino approfondisce l’argomento con Davide Caregnato Direttore Generale di SAA – School of Management, Simone De Ruosi General Manager di Zerogrey, Giulia Carlo e Selene Giovannini Responsabili del Coordinamento Master di Progesia, referenti del progetto.

Dottor Caregnato, ci presenta brevemente la SAA?

“La SAA, già Scuola di Amministrazione Aziendale, prima Business School nata in Italia nel 1957 per formare a livello manageriale quadri e dirigenti, è oggi una School of Management soggetta a direzione, coordinamento e controllo da parte dell’Università degli Studi di Torino e ha per mandato statutario lo scopo di coadiuvare l’Ateneo nello sviluppo di nuove metodologie ad elevata intensità didattica, differenziate per categorie di conoscenza o di andamento nell’apprendimento, nonché, quale oggetto sociale, l’assunzione e l’avvio di ogni attività di formazione e di ricerca che risulti complementare ed atta in particolare a perseguire i propri scopi quali a titolo esemplificativo l’organizzazione e la gestione di executive master, seminari di aggiornamento metodologico e tecnico per l’ulteriore qualificazione professionale di manager, funzionari e dipendenti. A livello istituzionale oggi supporta con il proprio Campus il Dipartimento di Management nella didattica di quattro Corsi di Laurea, di cui due in lingua inglese e uno interamente telematico, con circa 2700 studenti”.

Davide Caregnato, Direttore Generale di SAA – School of Management

Il Master non è solo teorico, ma propone esercitazioni pratiche. Un valore aggiunto?

“La nostra attività di avvicinare gli studenti a percorsi di acquisizione di competenze manageriali viene perseguito già nei percorsi di Laurea con attività di coaching e sviluppo delle necessarie competenze trasversali, che si tramutano, per alcuni di essi in veri e propri percorsi di projecy work sia nelle imprese profit e sia in quelle del Terzo Settore con grande crescita delle competenze degli allievi e spesso con l’introduzione nelle aziende di proposte di sviluppo concrete e immediatamente industrializzabili, con un autentico e proficuo “win-win” delle parti. Queste attività sono ulteriormente sviluppate nei percorsi Master, dove la presenza non solo di docenti universitari, ma di tecnici, manager e professionisti attribuiscono ai discenti maggiore capacità competitiva e progettuale”.

Dottor De Ruosi, di cosa si occupa Zerogrey?

“In poche e semplici parole Zerogrey si occupa di progettare, costruire e gestire soluzioni e-Commerce e omnicanale. Abbiamo una storia che nasce in un garage di Torino nel 2000, proprio come da manuale della start-up innovativa. Oggi siamo anche a Barcellona, Dublino, New York e il nostro servizio ha quattro pilastri fondamentali, seppur modulari poiché possono essere svolti dai brand o da partner terzi: tecnologia SaaS eCommerce e implementazione, fatturazione internazionale, operatività (logistica, customer care, etc), strategia e marketing digitale”.

Simone De Ruosi, General Manager di Zerogrey

Il Master è promosso da partner prestigiosi: qual è il loro ruolo?

“Credo sia una bellissima storia di collaborazione Università-Industria ed è esattamente quello che bisogna fare per sviluppare il tessuto economico e sociale di un paese. All’Università si studia, poi ci si deve tornare per rielaborare le esperienze lavorative e metterle al servizio della ricerca e di nuova formazione. Zerogrey, in qualità di promotrice, ha il compito di portare competenze pratiche e conoscenze di un ecosistema ormai molto complesso come è oggi l’eCommerce. Così come faranno tutti gli altri partner tecnici che interverranno nelle varie lezioni per portare praticità e casi concreti in classe”.

Dottoressa Carlo, qual è il core business di Progesia?

“In Progesia studiamo le migliori soluzioni di crescita dei business e le portiamo nelle aziende grazie al modello di Smart Management del Business Armonico validato dal Dipartimento di Management dell’Università degli Studi di Torino. I pilastri dello Smart Management sono quattro: Cloud and Digital Transformation, Customer Experience Management, Digital Strategy & Marketing Automation, Project Management & Employee Engagement. In Progesia operano professori universitari, professionisti esperti in psicologia del lavoro, marketing non convenzionale, consulenza societaria e direzionale, strategia di business, copywriting, sociologia e strategie digitali.

La sinergia di competenze multidisciplinari è ciò che permette una visione globale dei processi interni ed esterni che caratterizzano le aziende, permettendo di conquistare il vantaggio competitivo grazie alla sintesi che ne può derivare. Da noi ogni persona viene accolta come portatrice di una storia unica fatta di valori ed esperienze, elementi preziosi su cui impostare un percorso di crescita in cui l’innovazione è la chiave per un cambiamento di successo. La mission di Progesia è aiutare i clienti a crescere e ad esprimere il massimo potenziale dal punto di vista commerciale, finanziario, gestionale e innovativo”.

Giulia Carlo e Selene Giovannini Responsabili del Coordinamento Master di Progesia, referenti del progetto

Dottoressa Giovannini, grazie a questo Master i manager quali skill avranno?

“L’eCommerce Manager è una figura professionale oggi indispensabile per qualunque azienda di prodotti o servizi che voglia garantire la propria competitività in futuro. Il modo migliore per apprendere la complessità di questo affascinante settore è imparare dai migliori professionisti sul mercato. Con il Master eCSD sarà analizzato a 360 gradi questo mondo e verranno formati nuovi professionisti che ne conoscano le complessità e le sappiano gestire. Il Master offre agli studenti l’opportunità di apprendere molteplici e trasversali competenze e di comprendere in modo più approfondito le dinamiche che concorrono al buon funzionamento di un sito eCommerce, ampliando anche a tematiche inerenti a circular economy, digital transformation, nuovi modelli di business e alle possibilità che si stanno aprendo grazie alle nuove tecnologie 4.0”.

Torino per voi è?

Davide Caregnato: “Amo Torino, città laboriosa e austera. Bella e da godere in un’infinità di angoli ricchi di arte, storia e cultura. Città dove si sta bene, nei musei e nei ritrovi culturali, così come nella movida. Non ho molto da aggiungere a quello che è il pensiero di molti turisti che visitano la città, che a volte se ne innamorano più di chi ci abita e la fa vivere ogni giorno. A Torino si fanno poche parole, ma si crea autentico valore”.

Simone De Ruosi: “Torino è una città da sempre innovatrice nel campo sociale, tecnologico, economico, culturale. Fu capitale d’Italia per pochi anni a livello politico e amministrativo, ma per decenni lo fu sotto tutti questi altri aspetti. Oggi è una città che si è smarrita, ha perso qualche treno di troppo e ha perso l’appeal di città innovatrice che per molti altri centri europei come Milano, Barcellona, Amsterdam e Dublino è elemento polarizzatore. Ha il vantaggio di avere ancora un grande tessuto di piccole e grandi realtà innovatrici, economiche e non, dunque questo gap può e deve colmarlo. Il Master può essere il nostro piccolo granello di sabbia. Oltre a tutto questo, Torino è la mia città”.

Giulia Carlo: “È l’odore di pioggia e le corse per ripararsi sotto i portici del centro, è il piacere di perdersi fra i vicoli del Quadrilatero Romano, è il Museo Egizio che ogni alunno torinese ha visitato come minimo tre volte nella vita (una per ciclo scolastico!). È il rumore del fiume Po lungo i Murazzi, le passeggiate in bicicletta da bambina con mamma e papà al Valentino e soprattutto Torino è casa mia”.

Selene Giovannini: “Torino è eleganza, bellezza, arte e cultura. Per me, piemontese doc, rappresenta la mia vita, la mia quotidianità. Ci fosse il mare sarebbe a tutti gli effetti la città perfetta”.

Un ricordo legato alla città?

Davide Caregnato: “Torino 2006, lo scambio culturale di quei giorni, le emozioni continue, ogni angolo preso d’assalto da stranieri – in tutti i sensi – che scoprono angoli e sapori nuovi della nostra città e del nostro territorio. Il lavoro volontario di tantissimi amici stretti intorno al bisogno della città di essere ancora più bella e di essere un esempio di efficienza. La magia di quelle giornate è indimenticabile”.

Simone De Ruosi: “Sono nato e cresciuto nella periferia operaia di Torino, pertanto di ricordi ce ne sono moltissimi e in questi tempi di emergenza Covid-19 affollano la mente. Di Torino amo i moltissimi salotti, che per chi vive in periferia, sono sempre magici e mai scontati: i tanti spazi verdi piccoli o grandi, ma tutti ben curati; le piazzette colme di bistrot come Piazza Emanuele Filiberto, 4 Marzo, Savoia, Carlina. Amo la ristorazione, sperimentale e slegata dagli standard tradizionali come in molte città italiane. Raramente si trovano i piatti tipici, è assai più facile trovare innovazione, anche in cucina”.

Giulia Carlo: “Le Olimpiadi invernali del 2006 vissute da Volontaria”.

Selene Giovannini: “L’immensa emozione provata nel rivedere l’eleganza e la bellezza di Torino dopo un periodo di vita in Australia”.

Coordinamento: Carole Allamandi

Intervista: Barbara Odetto

Il sacrificio di Bianchi, cattolico “rivoluzionario”

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / Non ho mai amato particolarmente Enzo Bianchi fondatore della Comunità di Bose che conobbi in treno per Roma anni fa e con cui scambiai una conversazione  molto interessante ed istruttiva. Ero un giovane professore e Bianchi  mi dimostrò simpatia.

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Andai ad ascoltarlo  in una conferenza e apprezzai le  sue doti di raffinato intellettuale e di oratore carismatico. La sua comunità aperta a diverse confessioni cristiane e a uomini e donne è figlia del Concilio Vaticano II e trovò protezione nel cardinale di Torino  Michele Pellegrino, arcivescovo progressista che spesso sostenne anche posizioni molto  più scomode come quella dell’abate di San Paolo Dom Giovanni  Franzoni che sostenne divorzio ed aborto e fu dichiaratamente comunista.
A parlarmi sempre in termini molto positivi di lui fu un mio professore di liceo, Fratel Enrico Trisoglio del Collegio San Giuseppe e il mio amico Giovanni Ramella, ma i loro discorsi non mi convinsero mai fino in fondo, anche se l’esperienza di Bose è cosa di per sé apprezzabile che anche il Cardinale Gianfranco  Ravasi, presidente del cortile dei Gentili aperto al dialogo tra credenti e non credenti, apprezzava molto. Certo la statura intellettuale  e culturale del Cardinale non è neppure confrontabile con quella di Padre Bianchi. L’idea di riscoprire il Cristianesimo delle origini era sicuramente molto seducente e la Comunità di Bose ha rappresentato una realtà molto viva sotto la guida di Padre Bianchi che in qualche modo ha anticipato tante idee espresse da papa  Francesco. Con il papa sembrava ci fosse piena consonanza, ma adesso parte proprio dalla Segreteria di Stato Vaticana, con l’avallo del Papa, l’ordine a Bianchi di lasciare la Comunità da lui fondata nel 1967. Bianchi ha 77 anni ed ha fatto coincidere la sua vita con Bose. Pare che i conflitti interni alla Comunità richiedano questo sacrificio. Certo le persone sono meno importanti delle istituzioni che essi stessi hanno fondato, ma dispiace questa fine così apparentemente ingiusta e poco umana: un uomo che debba lasciare la Comunità di cui è simbolo, è cosa tragica e in fondo assai poco cristiana, anche se l’obbedienza alla Chiesa e’ un vincolo irrinunciabile per un monaco sia pure laico come Bianchi. Molte delle valutazioni “politiche“ contingenti di Padre Bianchi sono lontane dal mio modo di pensare liberale. Ma come uomo e come credente comprendo la sua sofferenza e il suo tormento, sperando che possa trovare nelle certezze della fede la forza per andare avanti. Bianchi con i suoi libri e i suoi articoli ha sconvolto certi canoni ed è diventato la bestia nera del cattolicesimo conservatore ed integralista. Appare paradossale che sia il Papa le cui idee e la cui cultura  sono le più vicine a  quelle di Bianchi, a obbligarlo a lasciare.
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L’esempio di Tobagi quarant’anni dopo

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / Sono passati 40 anni dall’omicidio del giornalista del “Corriere della Sera” Walter Tobagi, ammazzato da un gruppo terrorista minore  dell’area eversiva della sinistra, composto anche da giovani di buona famiglia che uscirono dal processo con pene ridicole rispetto ad un omicidio così barbaro, collaborando e dissociandosi 

Tobagi era un mite, un tollerante, un giornalista indipendente che non si lasciava condizionare , ma era sempre alla  ricerca della notizia e dell’approfondimento. Tra i tanti giornalisti settari degli Anni Settanta che fecero della demagogia militante la loro missione, il cattolico e simpatizzante socialista Tobagi seppe distinguersi nettamente. I suoi articoli erano delle analisi lucide e spassionate. Celebre quella in cui sondò la “pancia” della provincia lombarda  nel 1976, mettendo in evidenza la rabbia della gente comune verso la politica alla vigilia del Governo di unità nazionale. Un preannuncio di quello che dieci e più  anni dopo sarebbe stato il successo della Lega in Lombardia.
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Tobagi ebbe il coraggio di scandagliare nel profondo le formazioni terroristiche, mettendone in evidenza errori, personalismi, mancanza di strategia politica. Fu simile a Carlo Casalegno che ebbe il coraggio di scrivere del terrorismo e della violenza come arma politica inaccettabile. Ambedue pagarono con la vita. Proprio nel  1980 Mario Soldati, neo presidente del Centro” Pannunzio”, lo invitò ad aprire ad ottobre la nuova stagione del Centro che vedeva in lui un esempio  di giornalismo fuori ordinanza. La morte il 28 maggio impedì quell’incontro che nella Torino ancora insanguinata dal terrorismo  sarebbe stato un atto di coraggio e un colpo a certo intellettualume giornalistico e universitario torinese ambiguo sul tema del terrorismo, malgrado la morte di Carlo Casalegno. Tobagi vide e denunciò la zona grigia che era attratta dai terroristi e, sotto sotto, simpatizzava con essi.  Anche certi ambienti milanesi radical- chic dimostrarono la loro
pochezza quando venne gambizzato Indro Montanelli. Erano ambienti  legati allo stesso “Corriere”  come Giulia Maria Crespi proprietaria della testata. Tobagi rilevò anche come veniva perseguitata la destra vista come il male assoluto da abbattere e verso cui era giustificata e persino doverosa la violenza come dimostrò “Lotta continua” in tante occasioni non ultima quella dell’Angelo Azzurro  dove fu vittima un giovane studente lavoratore arso vivo dalle molotov lanciate da personaggi che ancora oggi pretendono , come se niente fosse accaduto, di ricoprire ruoli pubblici .  Di fronte ad un grave episodio di intolleranza (ma poi ci furono anche dei morti tra i missini) nei confronti di un giovane di destra,  Tobagi andò a intervistare due coscienze dell’Italia civile: Arturo Carlo Jemolo e Norberto Bobbio. Riporto le loro dichiarazioni perché indicano la scelta della democrazia e della tolleranza che è il lascito più grande di Tobagi. Jemolo disse: <<Qualunque pensiero politico è libero e legittimo, anche se discordante con la Costituzione, purché non inciti direttamente al crimine >>. E Bobbio a sua volta disse <<Non riesco a vedere  una ragione plausibile per trattare il fascista in modo diverso da qualsiasi altra persona >>.
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Lezioni rimaste inascoltate che ci indicano il   metodo  liberale della tolleranza praticato in quegli anni solo da Marco Pannella. Nel maggio del 1978 lo conobbi di sfuggita in un convegno del “Mulino” a Bologna in cui si discuteva del compromesso storico e  il mio amico e maestro Nicola Matteucci prese le distanze da altri suoi colleghi cattolici progressisti,  aperti a quell’ipotesi nefasta che avrebbe creato in Italia la “Repubblica conciliare”  di cui parlava Spadolini. Me lo ricordo molto diverso da tanti giornalisti che conoscevo. Se non fosse stato ucciso a 33 anni, sarebbe stato un nuovo Ronchey senza l’esperienza internazionale e la cultura di Alberto, ma uguale a lui nello scrupolo nel cercare e controllare le notizie per rispetto della verità e dei lettori. Sarebbe potuto diventare un ottimo direttore del “Corriere della Sera” come Piero Ostellino , anche se dubito che una direzione Tobagi sarebbe potuta durare molto. Certo sarebbe potuta essere una direzione totalmente opposta a quella di Piero Ottone che aprì alla demagogia il giornale che fu di Luigi  Albertini. Il suo fu un esempio che i giornalistini che imperversano nelle televisioni con il loro becero e arrogante protagonismo, non conoscono e non saprebbero praticare per mancanza di professionalità, di cultura  e di umiltà. Ricordo un piccolo particolare forse insignificante per molti ma per me allora illuminante. Tobagi portava la cravatta in tempi in cui ci si presentava in tv in maniche di camicia come si fa oggi, dimostrando trascuratezza e spavalderia anche nel modo di vestire oltre che di parlare e di scrivere.  Un elemento piccolo piccolo certo, ma manifestazione di uno stile che in quegli anni si era perso del tutto.
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Assembramenti: per le Frecce sì, nei ristoranti no

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni  / Appare davvero irresponsabile la decisione del ministro della Difesa di far sorvolare delle città italiane ancora in lotta con il Coronavirus   dalle “Frecce tricolori”

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Forse voleva essere un segno di serenità, di ripresa  e anche di patriottismo condivisibile, ma a Torino, ad esempio, questa sorvolata ha avuto effetti devastanti con assembramenti vietati che contraddicono la severità adottata nei confronti di cinema e teatri chiusi e che, se riapriranno, dovranno soggiacere a norme difficilmente praticabili. Gli stessi ristoranti combattono per la loro sopravvivenza a causa di restrizioni spesso incompatibili con i locali. In questo caso ogni norma contenitiva non è stata fatta rispettare.
In piazza Vittorio, sul ponte Vittorio, nella stessa via Po e soprattutto sui gradini della Gran Madre c’ è stato un affollamento del tutto illegale ,molto peggiore della già deprecabile  movida provocata da giovani che arrogantemente e impietosamente ritengono che il virus colpisca solo gli anziani. Cosa ha deciso il presidente della Regione, cosa il prefetto, cosa il questore, cosa il sindaco di Torino (che adesso si lagna tardivamente)? Sembra nulla per prevenire quanto è accaduto. Ma andava fatto un  rapido passo presso il ministro per evitare il sorvolo del tutto non necessario.I torinesi non avevano bisogno di “Frecce tricolori”, ma di più mascherine e tamponi, di più efficienza delle strutture sanitarie. E invece è stata loro offerta un’occasione che può allargare il contagio. Una situazione davvero incomprensibile ed emblematica dello sbandamento della fase 2. Se il 3  giugno non potremo recarci in Liguria, dovremo dir grazie a chi non ha prevenuto atti e violazioni davvero irresponsabili che hanno dimostrato l’immaturità di parte dei torinesi, ma soprattutto di chi dovrebbe impedire che accadano fatti come questo.
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(foto C. Bernardinelli)

Il virus che ha contagiato la giustizia mette a rischio i diritti dei cittadini

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni / La situazione del CSM  e non solo, ma anche quanto avviene al Ministero della Giustizia, appare sconcertante. Giletti nella sua trasmissione televisiva domenicale ha ulteriormente documentato opacità scandalose emerse  da nuove  intercettazioni.

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Sembra quasi paradossale che i sostenitori delle intercettazioni a strascico siano divenuti essi stessi vittime di un sistema barbaro che viola ogni privacy  e che l’attuale ministro ha ulteriormente potenziato.
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La guerra selvaggia e senza esclusione di colpi , per correnti politiche e per bande tribali, al CSM per la spartizione dei posti appare da oltre un anno uno scandalo vistoso a cui non si è posto rimedio con lo scioglimento dell’attuale CSM. Torna alla memoria che il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga ebbe il coraggio di sospendere la delega al vicepresidente del CSM  Giovanni Galloni, un democristiano di sinistra arcigno e giustizialista, e di mandare i Carabinieri a Palazzo dei Marescialli dove ha sede il CSM. Cossiga cercò come capo del CSM di arginare lo strapotere dei magistrati, denunciandone in alcuni casi  anche la faziosità politica. Poi si dimise da Presidente della Repubblica e l’Italia ebbe la disgrazia di avere un presidente ex magistrato nella persona di Oscar Luigi Scalfaro che sostenne il pool di Milano, Borrelli e Di Pietro che distrussero per via giudiziaria l’assetto democratico del Paese che solo gli elettori avevano il diritto di cambiare. La Magistratura si sostituì al potere sovrano del popolo con un’azione in cui le regole inquisitorie adottate portarono  a dei suicidi : incarcerare le persone perché confessassero fu la regola di comportamento dei giudici milanesi sostenuti da Scalfaro e da tanti giornalisti faziosi.  Il coraggio di Cossiga non bastò a fermare la furia giustizialista che ottenne il massimo appoggio del Quirinale con Scalfaro  presidente il quale non fu mai super partes. Oggi vanno ricordate queste pagine di storia, auspicando che ci siano interventi rapidi, decisi e severi soprattutto in Parlamento a tutela di una giustizia giusta. Le mozioni di sfiducia contro il ministro Bonafede non sono passate, ma gli errori gravi e le sue scelte demagogiche non possono essere archiviate. Oggi la Giustizia in Italia vive anch’essa una pandemia, ma le vittime sono i cittadini e i loro diritti.
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L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Arianna Farinelli  “Gotico americano”   -Bompiani-   euro 18,00

Questo primo romanzo della scrittrice romana -che da quasi 20 anni vive negli Stati Uniti ed insegna in un’università newyorkese- assembla più argomenti e lo fa tenendoci incollati alle pagine fino alla fine.

Scritto magnificamente, racconta rapporti tra genitori e figli che sconfinano in soffocanti dipendenze e impossibili emancipazioni affettive, tradimenti, sessualità incerte, e l’amore impossibile tra una donna matura e il suo giovane allievo che finisce ingoiato dall’Isis.

Difficile tenere insieme tanti argomenti e incastrarli alla perfezione, ma la missione della Farinelli è perfettamente compiuta.

Protagonista del libro è Bruna, che ha fatto uno scatto sociale rispetto alla modesta famiglia di origine: è diventata professoressa ed insegna in un college di New York. Si è trasferita in America anche per amore di Tom, medico di successo, emotivamente immaturo e soggiogato da genitori invadenti ed ottusi.

Bruna e Tom hanno due figli, Minerva e Mario, sui quali i nonni paterni incombono: inevitabile lo scontro con i suoceri, acuito dalla scoperta che il piccolo Mario si sente femmina costretta in un corpo che non riconosce, disprezzato dal nonno che lo chiama “faggot” (finocchio)… e sarà la goccia che fa traboccare il vaso.

Anche dopo l’apparente strappo del cordone ombelicale, Tom continua a rivelarsi un marito e padre assente e ad un certo punto il “matrimonio americano” di Bruna giunge al capolinea.

Tanto più che nella sua vita irrompe Yunus, con lo straripante vigore dei suoi 20 anni. E’ un suo allievo afroamericano, ha un passato difficile, arriva da Harlem e tutti i pomeriggi si ritrova nel suo letto, tra passione e interessi comuni.

Poi un bel giorno scompare: si è convertito all’Islam ed è partito per Mosul, dove finisce per militare nelle file del sanguinario Stato Islamico, tra sgozzamenti e orrore allo stato puro.

Bruna si trova così nell’occhio del ciclone: incinta di Yunus, interrogata dall’Fbi, in rotta con il marito. Di più non vi anticipo, ma scoprirete schemi che saltano, vite che sembravano perfette e invece nascondevano scheletri nell’armadio, integrazioni difficili, ricerca affannosa di identità e senso di appartenenza…e tanto altro… in un libro di esordio strepitoso.

 

Roberto  Bolaño   “Sepolcri di cowboy”   -Adelphi –   euro 18,00

Lo scrittore -cileno di nascita e messicano di adozione, nato a Santiago del Cile nel 1953 e morto a Barcellona  nel 2003 a soli 50 anni- scrisse i tre abbozzi di romanzi raccolti in questo volume, negli ultimi anni della sua vita. Sono stati trovati dopo la sua morte, mentre il suo nome diventava leggenda, insieme ad altri inediti pubblicati postumi.

Il primo dei tre scritti, che dà il nome al volume, ha chiari riferimenti autobiografici. Suo alter ego è il giovane Arturo Belano (voce narrante) sospeso tra due mondi. Scorrono pagine in cui compaiono i genitori: la madre cilena, donna bellissima dalla mente matematica, stravagante, lettrice di romanzi rosa e riviste esoteriche. Il padre messicano, pugile che si dichiara con fierezza cowboy, figlio di cowboy e lettore appassionato solo di romanzi western. La loro è una storia d’amore che va avanti e indietro tra i due paesi e genera tre figli.

Su tutto però incombe il golpe militare che l’11 settembre del 1973 abbatté il governo del Presidente Salvador Allende, innescando l’atroce destino dei desaparecidos.

Arturo, che più di tutto si sente latinoamericano, decide di  tornare in Cile per partecipare alla rivoluzione. Belano racconta i curiosi incontri durante il viaggio (inclusa una spogliarellista che seduce lui e il compagno di cabina), poi arriva il dramma di un intero paese con la rievocazione dell’incredulità di fronte alla notizia del golpe.

Nel secondo brano, la “Patria” del titolo è quella della dittatura militare e qui l’autore intesse storie tragiche ed emblematiche. Come quella di una ragazza desaparecida e il dramma di una vita finita nel nulla, con i devastanti effetti sulla sua famiglia. O ancora, punta il dito contro l’organizzata e redditizia rete del traffico di organi che prevede il rapimento di bambini mendicanti-vagabondi per i quali il destino ha in serbo un futuro da macelleria.

Di tutt’altro tono, invece, l’ultimo brano che parte da un’eclissi e ci fa scoprire il Gruppo Surrealista Clandestino che da tempo sopravvivrebbe nelle fogne parigine.

 

Preston & Child   “L’uomo che scrive ai morti”   -Rizzoli-  euro 19,00

Ancora un punto messo a segno dalla coppia formata dal giornalista del “New Yorker” Douglas Preston e dall’editor e saggista Lincoln Child, che firmano un altro dei loro thriller con protagonista Aloysius  Pendergast. Ritroviamo così il pluridecorato agente dell’FBI: cane sciolto poco incline a rispettare la catena di comando, dai metodi investigativi poco ortodossi, avvolto da un certo mistero, sempre vestito in modo impeccabile, con un’affilata intelligenza, notevole cultura e pungente sarcasmo.

Scende in campo per districare una matassa decisamente inquietante che inizia con il ritrovamento nel cimitero di Bayside-Miami di un cuore sanguinante sulla tomba di una ragazza suicidatasi 11 anni prima, Elise Baxter. E’ accompagnato da un biglietto in cui qualcuno ha scritto con grafia elegante un messaggio che sa di pentimento ed ha riferimenti letterari ben precisi, firmato da un fantomatico Signor Cuorinfranti.

Ed è solo l’inizio, perché 3 giorni dopo lo schema si ripete; altro cuore strappato a una vittima e depositato sulla tomba di una presunta suicida di tempo addietro.

Pendergast arriva a Miami insieme al giovane collega Coldmon, che i vertici del Bureau gli hanno affiancato più che altro per sorvegliarlo. Ma ben presto le indagini sconfinano oltre le Everglades della Florida, passano dal Maine e da New York, perché si collegano ad altri delitti.

Tra autopsie e macabre scoperte, una mano decisiva la gioca anche la bravura della giovane anatomopatologa Charlotte Fauchet, della quale Pendergast intuisce subito la professionalità puntigliosa.

Insomma, un thriller ad alta tensione, in cui a fiutare le tracce lasciate dallo psicopatico di turno è l’abilissimo Pendergast che ha in se lo strabiliante mix dei detective più celebri della narrativa: eleganza alla Philo Vance, raffinato come James Bond, fuori dal comune come Hercule Poirot, colto e con l’istinto da segugio di Sherlock Holmes.

Settembre Nero

PAROLE ROSSE  di Roberto Placido / Da cinquant’anni evoca e viene usato per indicare situazioni tragiche in ricordo di quanto successe in Giordania nel lontano 1970. E’ quello che succederà dal prossimo 1 settembre alla scuola italiana.

Perché è sempre più chiaro che il prossimo settembre la nostra scuola non riaprirà. La pandemia di Covid 19 ne ha amplificato i problemi, i ritardi e le difficoltà. Molti hanno pensato di potere risolvere tutto con il cosiddetto DAD ( didattica a distanza ). Ma anche con l’insegnamento a distanza si sono evidenziati ed acuiti i problemi delle diverse “Italie”. Banda larga inesistente in molte realtà, impreparazione degli insegnanti e delle scuole e un numero elevato di ragazzi senza PC (computer) o Tablet. Un’indagine effettuata a Roma dalla Comunità di Sant’Egidio ha evidenziato che, tra i bambini da 6 a 10 anni, il 61% non ha effettuato nemmeno un’ora di didattica online.

Ed ancora, un terzo delle famiglie non possiede un computer e di conseguenza le linee di ADSL sono ancora meno. In questo quadro bisogna poi sottolineare tutte quelle famiglie che hanno due se non tre figli in età scolastica con la necessità di fare lezione alla stessa ora e magari con l’aggiunta di uno dei genitori in tele lavoro da casa ed il computer è solo uno. Questa situazione porta alla mente la famosa “ Lettera ad una Professoressa” di Don Milani “ Non c’è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali”. Anche perché a distanza non è scuola, è un surrogato e cioè una …ciofeca. Il digitale e la tecnologia sono un elemento complementare dell’istruzione e non un fondamento. Meno male che , a ricordare questo importante aspetto ci hanno pensato un gruppo di intellettuali, sedici, tra i quali il filosofo Massimo Cacciari, che hanno sottoscritto un documento che chiede e ricorda che il futuro della scuola non è il DAD che, tra l’altro, aumenta le disparità ed elimina la socialità che è uno degli elementi fondamentali dell’istruzione e della formazione dei ragazzi. Insomma la scuola non è più il presidio della Nazione. Funzione prima svolta dall’esercito fino a quando c’è stata la leva obbligatoria. La Nazione è rimasta così senza presidio, sguarnita. In questa fase, può sembrare incredibile, spesso si sono distinti negativamente una parte del corpo docente e soprattutto il ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina. Approdata in Parlamento dopo essere stata paracadutata, dal suo capo cordata Luigi Di Maio, da Biella, dove insegnava, a Torino e poi posta, casualmente, alla guida del ministero di Viale Trastevere in seguito alle dimissioni del suo predecessore Lorenzo Fioramonti. Da quel ministero, ritenuto una volta “ di peso” e ad appannaggio della vecchia Democrazia Cristiana, sono passati oltre una trentina di ministri, politici e tecnici di grande prestigio come Aldo Moro, tre futuri Presidenti della Repubblica come Antonio Segni, Oscar Luigi Scalfaro e, l’attuale, Sergio Mattarella fino ad uno dei più recenti e prestigiosi, accademico e linguista, Tullio De Mauro.

Anche da questi dati si percepisce la distanza siderale tra quei ministri e quello attuale ed i guai della nostra scuola. Un ministro, Lucia Azzolina, che in più di un’occasione ha dimostrato l’assoluta inadeguatezza ed incapacità. Lo si può chiedere agli assessori regionali all’istruzione, lasciati, nello sconcerto generale, improvvisamente da soli nel bel mezzo di una riunione. La coalizione di governo ed il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte si dovrebbero porre il problema, urgente, della sua sostituzione. Così sono passati tre mesi senza impostare una strategia complessiva che coinvolgesse le regioni, che hanno la delega sulla materia, i comuni e le città metropolitane che hanno la responsabilità della manutenzione degli edifici delle scuole superiori. Un piano anche ambizioso che sfruttasse l’emergenza per recuperare i tagli e la mancanza di finanziamenti degli ultimi anni. La sbornia aziendalista dell’ultimo decennio ha colpito duramente sia la Sanità, e ce ne siamo drammaticamente accorti in questa circostanza, che l’Istruzione. Un piano che preveda il recupero di edifici scolastici in disuso e da mettere in sicurezza, attrezzature e reti informatiche, ed un numero adeguato di docenti. Proprio sui docenti, in una situazione di emergenza, stiamo assistendo ad un braccio di ferro tra i partiti della maggioranza per l’assunzione di 32.000 docenti e cioè se farlo per titoli, assumendo i precari che già insegnano oppure, come prevede la legge, per concorso. In tutto questo rimane una certezza, a settembre non ci saranno. Così, un governo che ha fatto riaprire e ripartire praticamente tutto, aziende, bar, ristoranti, impianti sportivi, palestre e parrucchieri, che ha dato soldi, in qualche caso a pioggia, dalle Partite Iva ai Tatuatori, non ha riaperto le scuole e gli ha dato le briciole in termini di finanziamento. Dei 55 miliardi stanziati alla scuola , con l’immane lavoro da fare sono stati destinati solo 1,45 miliardi. Cioè molto meno della percentuale che riceve normalmente e che da tutti è ritenuta ampiamente insufficiente. Pochi, non maledetti e che nemmeno riusciranno a spendere entro settembre. Insieme al ministro ha segnato il passo dimostrando insufficienza, ritmi inadeguati ed una generale impreparazione la struttura burocratica del ministero.

Rimasta più con i piedi e la mente al secolo scorso ed alle circolari ministeriali a cui seguivano, immancabilmente, le circolari esplicative che lasciavano il dubbio se inviate perché si rendevano conto di scriverle in maniera incomprensibile e se ritenessero dirigenti e funzionari delle scuole incapaci di capire. Tra dirigenti, , CTS (comitato tecnico scientifico), Consiglio Superiore dell’Istruzione ed una pletora di consulenti hanno prodotto, poco, lentamente e male. Hanno favorito la riluttanza di molti docenti, un’indagine parla del 70% contraria a riprendere l’insegnamento diretto, adducendo l’elevata età media degli insegnanti. Sconsigliando le sessioni d’esame in diretta. Fortunatamente invece si faranno. Mi chiedo ma quei docenti vanno a fare la spesa, affollano le parrucchiere, vanno per negozi o per strada? Perché , rispettando le norme, non possono fare gli esami? Per inciso l’INAIL ( Istituto Nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro) ha classificato la scuola, insegnanti compresi, a rischio medio-basso. E cosa dire di quegli insegnanti che hanno interrotto velocemente l’aspettativa quando hanno scoperto che le lezioni si svolgevano online?! Così molti precari sono rimasti a casa senza lavoro. Senza dimenticare la levata di scudi per fare tutte le vacanze pasquali quando le scuole erano chiuse da settimane. Al ministro, a tutto il suo ministero, consulenti compresi, gli italiani chiedono e vogliono sapere, ed hanno cominciato a farlo anche con manifestazioni nelle principali città, se dal 1 settembre i bambini delle materne, i ragazzi delle elementari e medie e gli studenti delle superiori avranno un aula sicura ed un insegnante.

Forse qualche bonus in meno e qualche aula ed insegnante in più non guasterebbero. Ritornando sugli esami, poteva essere, quella di fare ritornare le classi quinte delle superiori, un quinto degli studenti, e le classi terze delle medie, un terzo degli studenti, quanto prima a scuola proprio i vista degli esami, un segnale di funzionamento e di preparazione per tutta la scuola e per tutto il paese. Invece con ritardi, scuse e resistenze è andata, purtroppo, come sappiamo. Lo stesso Sindacato deve decidere se difendere, in alcuni casi, rivendicazioni corporative o lanciare ed attuare un’alleanza con gli studenti e con le famiglie che invece rischiano di essere lasciate sole nella gestione dei figli. Una struttura inefficace unita ad un ministro privo di autorevolezza e preoccupata più di fotografarsi e rilanciare commenti con personaggi discutibili e controversi oppure di rispondere, senza capirne il senso vero, ad un Tweet della simpatica e brava Sabina Guzzanti, non possono e non sono in grado di affrontare la sfida ed i problemi che ha davanti la nostra scuola. Sarebbe necessario un grande sforzo, una grande capacità ed intelligenza organizzativa e strategica per recuperare spazi, edifici, insegnanti, per fare partire la scuola in sicurezza, anche in prossimità delle famiglie. Un settore strategico per il presente e per il futuro del nostro paese non può essere abbandonato a se stesso. Non si possono penalizzare intere generazioni. In queste condizioni il primo settembre la scuola, nel senso tradizionale, non riprenderà e sarà una vera tragedia. Ecco il perché di un titolo così evocativo, tragico e funesto.

Macron/Merkel: un primo passo (difficile) per una nuova Europa

COMMENTARII  di Augusto Grandi / L’Europa sono i Chieftains che suonano musica galiziana dedicando un disco ai pellegrini che affrontano il Cammino di Santiago. Strade d’Europa, come cantava la Compagnia dell’Anello.

E sulla strada d’Europa si sono incamminati persino Micron e Merkel. Anzi, in questo caso il disastroso presidente francese che non ne azzecca una in politica interna, si è riconquistato il cognome ufficiale, Macron.

È riuscito a convincere Angela Merkel a rompere il fronte degli egoisti anche se l’asse carolingio ha, per ora, ipotizzato un intervento complessivo per circa 500 miliardi, pari alla metà di quello auspicato. Ed anche le condizioni, al momento, non sono ottimali. Ma è comunque un primo passo, importante…

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Macron/Merkel, un primo passo (difficile) per una nuova Europa

Alla ricerca delle Grotte Alchemiche

Torino, bellezza, magia e mistero

Torino città magica per definizione, malinconica e misteriosa, cosa nasconde dietro le fitte nebbie che si alzano dal fiume? Spiriti e fantasmi si aggirano per le vie, complici della notte e del plenilunio, malvagi satanassi si occultano sotto terra, là dove il rumore degli scarichi fognari può celare i fracassi degli inferi. Cara Torino, città di millimetrici equilibri, se si presta attenzione, si può udire il doppio battito dei tuoi due cuori.

Articolo 1: Torino geograficamente magica
Articolo 2: Le mitiche origini di Augusta Taurinorum
Articolo 3: I segreti della Gran Madre
Articolo 4: La meridiana che non segna l’ora
Articolo 5: Alla ricerca delle Grotte Alchemiche
Articolo 6: Dove si trova ël Barabiciu?
Articolo 7: Chi vi sarebbe piaciuto incontrare a Torino?
Articolo 8: Gli enigmi di Gustavo Roll
Articolo 9: Osservati da più dimensioni: spiriti e guardiani di soglia
Articolo 10: Torino dei miracoli

Articolo 5: Alla ricerca delle Grotte Alchemiche

Una delle zone più belle e più incantate di Torino è sicuramente piazza Castello. Si, perché la piazza è magica sia sopra che sotto. Se in superficie la zona è costellata da talismani e caricatori di energia positiva e in più si trova nelle vicinanze un portale destinato a pochi sapienti iniziati, sotto, nell’oscurità della terra, si diramano le celebri, tanto cercate e mai trovate Grotte Alchemiche. E non è un caso che, ancora oggi, la celebrazione del Santo Patrono si effettui proprio su questo suolo. I festeggiamenti odierni affondano le radici nell’antica e pagana usanza dei falò, i fuochi di mezza estate che avevano lo scopo di contrastare simbolicamente l’avanzata del buio che si estendeva sulla terra. I fuochi venivano accesi la notte del 25 giugno, come buon auspicio per le sementi, mentre le piante raccolte prima dell’alba avrebbero avuto poteri magici. La festività, successivamente, venne fatta coincidere con la celebrazione di San Giovanni. Ma andiamo per ordine.
Nel 1925 viene deposta sotto i portici della Prefettura, dal lato del Teatro Regio, una lapide dello scultore Dino Somà in onore degli immigrati che dal Sud America tornarono in Italia per combattere nella Grande Guerra e caddero al fronte. Alla base è posto un tondo rappresentante Cristoforo Colombo, in atteggiamento pensoso, nell’atto di misurare un mappamondo con un compasso; sullo sfondo una caravella. Il talismano di piazza Castello si trova nascosto proprio in quest’opera patriottica, precisamente nel mignolo della mano destra di Colombo che viene in fuori. Se decidete di credere a certe storie, sfregare il dito che sporge dal medaglione bronzeo del celebre navigatore parrebbe portare la sorte dalla vostra parte. E a giudicare dalla netta doratura, si direbbe, a discapito degli scettici, che di persone che “toccano dito” prima di affrontare una qualche difficoltà a Torino ce ne siano un bel po’. Il contatto diretto con certi “amuleti” non è solo prerogativa di questo luogo torinese, infatti si sa che porta fortuna toccare il “porcellino” alla Loggia dei Mercati a Firenze, precisamente in quel caso è necessario mettere una moneta sulla lingua dell’animale, lasciare che scivoli giù, e infine accarezzargli il muso.

Anche sfiorare il “piede” della statua di San Pietro, ubicata all’interno dell’omonima basilica, pare porti benefici positivi, così come toccare il “piede” della Madonna nera di Oropa, (che ora è stata inserita all’interno di una teca e distanziata dal pubblico), che però non pare consumato. Questo perché ogni religione, per quanto aniconica, ha i suoi oggetti sacri o magici, ed essi sono considerati come una sorta di collegamento diretto tra due dimensioni, il tramite attraverso cui l’uomo può raggiungere il trascendente. Certe volte non si ha solo bisogno “di un po’ di fortuna”, ma può capitare che si senta la necessità di “ricaricarsi”, di riacquisire energia perduta, e allora bisogna fare un bel sospiro e fermarsi, ma nel punto giusto. È opportuno allora avvicinarsi al Padiglione, o Pavaglione, la grande cancellata ornata con le dorate teste di Medusa, che separa piazza Castello dalla Piazzetta Reale, e soffermarsi proprio nel punto in cui le due statue dei Dioscuri aprono il varco per il passaggio: ecco, se ci si mette in linea retta con la cancellata, a metà tra Castore e Polluce, ci si troverà in quello che è definito il cuore bianco di Torino. Secondo coloro che studiano tali materie, questo sarebbe anche il punto che divide le energie positive da quelle negative, perché, come si è sostenuto più volte, per mantenere l’equilibrio, al cuore bianco corrisponde un cuore nero, che non si troverebbe poi così distante. Prima di andare via, dopo esserci inebriati di positività e aver toccato il mignolo di Colombo, perché “non si sa mai”, sediamoci su una panchina, affacciamoci sulla piazza e guardiamo verso il basso, ora proviamo a immaginarci cosa accade lì sotto. È abbastanza noto che a Torino ci siano le Grotte Alchemiche, secondo alcuni sarebbero situate tra piazza Castello e i Giardini Reali, ma il vero problema è entrarvi, poiché pare siano stati posti numerosi ingressi fittizi proprio per sviare e stancare i curiosi insistenti. Cosa accade dunque in queste Grotte Alchemiche? E che cos’è allora l’alchimia? Che cosa vogliono gli alchimisti? Intanto pare che le Grotte siano tre, nella prima si dominano le leggi della fisica, nella seconda si contattano forme di esistenza più evolute, nella terza si entra in altre dimensioni al di là del tempo e dello spazio. Non dobbiamo però commettere l’errore di prendere alla leggera questa presenza, non bisogna immaginare bizzarri laboratori stregoneschi in cui si aggirano loschi e avidi individui, al contrario, gli studi e le ricerche che si svolgerebbero nelle Grotte, sono volte all’arricchimento dell’anima e della conoscenza.

L’alchimia è un’antica filosofia esoterica che tocca diversi ambiti disciplinari, dalla chimica, alla fisica, all’astrologia, ancora la metallurgia e la medicina. Il termine deriva dall’arabo al-khīmiyya  (الكيمياء o الخيمياء), “pietra filosofale”, che è il greco tardo χυμεία, “fondere”, colare insieme”, “saldare”. L’alchimia è materia complessa, anche perché implica l’esperienza di crescita personale di chi la pratica. In tal senso, la disciplina può essere paragonata alla metafisica o alla filosofia, in quanto i processi e i simboli alchemici, oltre al significato di trasformazione materiale, possiedono un significato interiore, relativo allo sviluppo spirituale. Gli obbiettivi dell’alchimia sono conquistare l’onniscienza, creare la panacea universale, ossia un rimedio per curare tutte le malattie e prolungare la vita, la ricerca della pietra filosofale, cioè la sostanza catalizzatrice capace di risanare la corruzione della materia. Ora che sappiamo che cosa cercare, siamo sicuri di volerle trovare queste Grotte? A quanto pare i Savoia avrebbero risposto positivamente, dal momento che ricoprirono un ruolo di massima importanza per quel che riguarda la storia dell’alchimia piemontese. Alcuni esponenti della famiglia si interessarono più di altri alla materia, come Carlo Emanuele I, il Testa’d feu, che si fece costruire un laboratorio alchemico nei sotterranei del castello, o la Madama Reale, che pare si fosse messa in combutta con un mago francese, un certo Craonne. Non sappiamo se qualche esponente della famiglia reale riuscì in definitiva a trovare gli antri magici di cui stiamo parlando, ma qualcun altro invece si: Philippus Aureolus Theophrastus Bombastus von Hohenheim, (1493-1541), noto come Paracelso, Michel de Notre-Dame,(1503-1566), ossia Nostradamus e tale Giuseppe Balsamo, conosciuto con il nome di Cagliostro. Data la levatura intellettuale che caratterizzò questi personaggi, non sentiamoci eccessivamente in difetto per non essere stati ritenuti degni di scorgere l’accesso alle Grotte. Dunque, alziamoci dalla nostra panchina e continuiamo la nostra passeggiata, passando, però, per quello che pare essere uno degli ingressi ai saperi ctoni, cioè la Fontana del Tritone, posta all’interno dei Giardini Reali. Si dice che dopo tre giri intorno alla costruzione, un elementale apra l’ingresso invisibile, ovviamente solo a chi è ritenuto degno di tale onorificenza. Probabilmente così non sarà, ma perché non correre il rischio?

Alessia Cagnotto

A tu per tu con Mariaelena Mallone, cuore e anima di Mialuis, non solo un brand Made in Torino

Rubrica a cura di ScattoTorino

Mialuis non è semplicemente un marchio Made in Italy e Made in Torino. È uno stile di vita e una filosofia da indossare. È un brand che da sempre si lega inscindibilmente alle donne. A crearlo, nel 2010, Mariaelena Mallone. Laureata in architettura, ha iniziato la sua attività professionale presso lo studio Picco architetti di Torino e nel 2003, oltre a proseguire con la professione di architetto, ha cominciato la sua attività imprenditoriale costituendo Mialuis, un’azienda specializzata nel design, nella produzione e nella commercializzazione di borse. Il nome nasce dalla Signora Maria Luisa, la mamma, che propose di unire il diminutivo della figlia (MIA) con il suo (LUIS). Nel 2004 Mariaelena Mallone ha collaborato con il gruppo Miroglio per i marchi Elena Mirò, Diana Gallesi e Per te by Krizia come consulente per lo stile e la realizzazione di una linea di borse. Dopo una prima esperienza nel 2006 presso la Libera Università delle Arti (L.UN.A) di Bologna, dal 2007 al 2009 è stata docente presso l’Istituto Europeo di Design di Torino (IED). Nel 2010 Mialuis è diventa un vero e proprio marchio iniziando la distribuzione sia a livello nazionale che internazionale. Nello stesso anno ha preso vita anche un altro progetto che ha visto la designer al fianco della Fiat, per la quale ha studiato e prodotto una linea di borse a firma Alfa Romeo/Mialuis e Lancia/Mialuis. Ancora oggi Mariaelena Mallone collabora con aziende torinesi note a livello internazionale creando capsule collection per Martini e Grey Goose. Dal 2017 produce una linea di accessori in pelle composta da portafogli unisex, portadocumenti, portachiavi e portacarte. Mialuis è distribuita in boutique selezionate che si trovano in Italia, Francia, Benelux, Svizzera, Germania, Giappone, Corea e Stati Uniti. Il brand partecipa alle principali fiere del settore e il modello Lena è stato premiato come la migliore borsa icona della categoria “Nomadic Dreamer” alla 111° edizione di MIPEL, la fiera internazionale dedicata agli accessori in pelle, da una giuria internazionale.

Come è nato Mialuis?

“In seconda media avevo pianificato che volevo fare la designer e da sempre sognavo di poter creare un’impresa secondo canoni diversi da quelli proposti dai modelli esistenti. Quel potere silenzioso caratterizzato dalla boriosità che è insito in molti imprenditori non era nelle mie corde. Secondo me, infatti, per fare impresa non bisogna necessariamente essere duri, urlare e schiacciare i collaboratori. Io cercavo dei partner e non dei fornitori. Volevo un dialogo tra le persone e pensavo ad un’impresa morbida. Solo oggi Mialuis è come la immaginavo e la parola chiave che ha contraddistinto il mio percorso è credere: credere in se stessi e andare oltre la passione. Perché credere ti fa vedere la strada e aiuta a farla capire anche a chi non comprende la tua idea”.

Quali sono i plus che caratterizzano il brand?

“Le borse e gli accessori sono rigorosamente Made in Italy, hanno forme inusuali e puntano sulla qualità dei materiali. Inizialmente mi basavo sul tatto e sulla sensazione di benessere che mi procurava perché una texture naturale è morbida e molto diversa da una chimica. In fondo, dentro di me, sapevo già a cosa puntavo e con lo studio, la determinazione e la coscienza ho raggiunto la consapevolezza. Un’altra caratteristica dei miei prodotti sono i colori naturali. Le tinte, infatti, sono realizzate ad hoc da un Maestro del Colore che per ogni collezione studia una ricetta segreta. All’inizio della carriera le mie borse rappresentavano fiori e architetture e avevo bisogno di colore. Poi mi sono interfacciata con il mercato, che richiedeva il nero. Io però preferisco il giallo e il rosso, che rappresentano vitalità e forza, e sto cercando di riportarli nelle collezioni per far conoscere il mio punto di vista sul mondo, che a me piace luminoso e allegro. Le borse, che seguono un processo produttivo monitorato in ciascuna fase, portano ognuna un nome di donna o di uomo: un omaggio a persone che hanno saputo trasmettermi un’emozione, un ricordo, un insegnamento. Allo stesso modo, tutte nascono da sensazioni e istanti vissuti che si traducono in disegni. Morbide, leggere e funzionali, mi piace pensare che queste creazioni possano diventare per chi le indossa ciò di cui ha bisogno: il giusto accessorio che regali un’emozione, entri nella vita di tutti i giorni, diventando fondamentale”.

Nel tuo staff le pari opportunità hanno un ruolo chiave?

Pari opportunità per me non vuol dire solo donne, ma include anche gli uomini perché siamo tutti esseri umani e ognuno porta il proprio know-how. Come in un coro, ciascun talento forma la sinfonia. Nel mio team non parlo di leadership, ma di cooperazione per il bene comune. Nel gruppo ci sono diverse donne e rispetto le loro esigenze in modo che possano conciliare le responsabilità famigliari con quelle professionali, garantendo la flessibilità di orario e agevolandole durante la maternità, perché essere mamma non è un limite. In atelier tutti collaboriamo per il bene comune e il potenziale di ciascuno viene valorizzato”.

Durante il lockdown hai creato delle iniziative per supportare la filiera: quali?

“In risposta a Carlo Capasa, presidente di Camera Nazionale della Moda Italiana che ci ha richiamato alla collaborazione e all’unità, e in risposta all’iniziativa del White Show e di Confartigianato Imprese, Mialuis si è attivata con #distantimauniti per dimostrare la solidarietà artigianale italiana. Perché la mia creatività prenda vita è fondamentale il lavoro di un Maestro del Colore, di un façonista e dei fornitori di pellami. L’obiettivo è stato dimostrare che si può costruire una valida e forte alleanza tra diversi settori della filiera moda anche se si è lontani. Subito dopo che è stata annunciata la serrata di tutte le attività non di primaria importanza, inoltre, ho coinvolto alcune delle boutique che vendono le borse Mialuis per offrire un aiuto concreto nella lotta contro la diffusione del Covid-19. Chi acquistava sul sito dello store aderente una borsa Mialuis, a condizioni privilegiate, sapeva che il 15% dell’importo versato veniva devoluto a favore di Fondazione Ricerca Molinette Onlus che aveva avviato una campagna di raccolta fondi per affiancare medici, infermieri e tutto il personale impegnato a fronteggiare l’emergenza sanitaria all’interno della Città della Salute e della Scienza di Torino. È stato un modo per supportare la sanità, ma anche le attività commerciali costrette a chiudere per legge”.

Il tuo leit motiv è Mialuis per le donne

Le donne sono la chiave per il futuro perché lo costruiscono e lo crescono. Per questa ragione nel 2019 ho promosso alcune attività di beneficienza a supporto di Onlus torinesi volte alla promozione della salute femminile e al sostegno delle donne nel loro ruolo di mamme, intese come bene comune per la famiglia e per la collettività nel suo insieme.

In questo 2020 il concetto si è evoluto perché sulle mie pagine social riporto esempi virtuosi di donne che possono essere un esempio per altre o possono aiutare chi legge a tirare fuori il proprio talento e il proprio coraggio. Il mio progetto non è femminista, ma vuole ispirare il mondo femminile e far capire che tutto si può fare, ma dipende dalla forza di volontà. Per questo dò voce a coloro che in diverse situazioni hanno portato delle modifiche nella società, anche attraverso un percorso di vita non sempre facile. Tra le protagoniste c’è Debora Corbi, Maggiore dell’Aeronautica Militare. Grazie a lei nel 1999 è stata approvata la legge che dal 2000 ha dato il via ai reclutamenti femminili. C’è poi Angela Carini, medaglia d’argento di pugilato ai Mondiali di categoria dello scorso anno che non ha rinunciato alla femminilità ed ha lanciato una campagna per insegnare alle donne a difendersi. Spesso l’universo femminile è spinto in un angolo e deve trasformare l’energia negativa in positiva cercando la forza dentro di sé. Purtroppo siamo ancora lontani dalla necessità di avere un nostro punto in tanti settori della società.”.

Torino per te è?

“La mia grande sfida. La città mi ha sempre un po’ rifiutata, ma è talmente stimolante che offre mille possibilità ed è più facile emergere qui che altrove. È così chiusa che se canti fuori dal coro, ti fai sentire. Qui posso trovare creatività anche nella stanza buia. Il mio brand si chiama Mialuis Torino ed è un atto d’amore perché se sono così, è anche grazie a questo luogo”.

Un ricordo legato alla città?

“Non vivo nel capoluogo e scendendo dalla collina per arrivare a Torino ammiro ogni giorno un orizzonte incredibile, uno skyline con le case e le montagne che è simbolo di libertà. La curiosità ti spinge sempre a guardare oltre quelle montagne e Torino è come una famiglia che ti accoglie, ti lascia andare oltre i monti e quando torni hai un’esperienza che può fare bene a te e alla città stessa. Lei è sempre lì, pronta ad accoglierti, perché la sua rigidità è un punto di forza e alla fine sai sempre che puoi contare su di lei”.

Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto