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A tu per tu con Mariaelena Mallone, cuore e anima di Mialuis, non solo un brand Made in Torino

Rubrica a cura di ScattoTorino

Mialuis non è semplicemente un marchio Made in Italy e Made in Torino. È uno stile di vita e una filosofia da indossare. È un brand che da sempre si lega inscindibilmente alle donne. A crearlo, nel 2010, Mariaelena Mallone. Laureata in architettura, ha iniziato la sua attività professionale presso lo studio Picco architetti di Torino e nel 2003, oltre a proseguire con la professione di architetto, ha cominciato la sua attività imprenditoriale costituendo Mialuis, un’azienda specializzata nel design, nella produzione e nella commercializzazione di borse. Il nome nasce dalla Signora Maria Luisa, la mamma, che propose di unire il diminutivo della figlia (MIA) con il suo (LUIS). Nel 2004 Mariaelena Mallone ha collaborato con il gruppo Miroglio per i marchi Elena Mirò, Diana Gallesi e Per te by Krizia come consulente per lo stile e la realizzazione di una linea di borse. Dopo una prima esperienza nel 2006 presso la Libera Università delle Arti (L.UN.A) di Bologna, dal 2007 al 2009 è stata docente presso l’Istituto Europeo di Design di Torino (IED). Nel 2010 Mialuis è diventa un vero e proprio marchio iniziando la distribuzione sia a livello nazionale che internazionale. Nello stesso anno ha preso vita anche un altro progetto che ha visto la designer al fianco della Fiat, per la quale ha studiato e prodotto una linea di borse a firma Alfa Romeo/Mialuis e Lancia/Mialuis. Ancora oggi Mariaelena Mallone collabora con aziende torinesi note a livello internazionale creando capsule collection per Martini e Grey Goose. Dal 2017 produce una linea di accessori in pelle composta da portafogli unisex, portadocumenti, portachiavi e portacarte. Mialuis è distribuita in boutique selezionate che si trovano in Italia, Francia, Benelux, Svizzera, Germania, Giappone, Corea e Stati Uniti. Il brand partecipa alle principali fiere del settore e il modello Lena è stato premiato come la migliore borsa icona della categoria “Nomadic Dreamer” alla 111° edizione di MIPEL, la fiera internazionale dedicata agli accessori in pelle, da una giuria internazionale.

Come è nato Mialuis?

“In seconda media avevo pianificato che volevo fare la designer e da sempre sognavo di poter creare un’impresa secondo canoni diversi da quelli proposti dai modelli esistenti. Quel potere silenzioso caratterizzato dalla boriosità che è insito in molti imprenditori non era nelle mie corde. Secondo me, infatti, per fare impresa non bisogna necessariamente essere duri, urlare e schiacciare i collaboratori. Io cercavo dei partner e non dei fornitori. Volevo un dialogo tra le persone e pensavo ad un’impresa morbida. Solo oggi Mialuis è come la immaginavo e la parola chiave che ha contraddistinto il mio percorso è credere: credere in se stessi e andare oltre la passione. Perché credere ti fa vedere la strada e aiuta a farla capire anche a chi non comprende la tua idea”.

Quali sono i plus che caratterizzano il brand?

“Le borse e gli accessori sono rigorosamente Made in Italy, hanno forme inusuali e puntano sulla qualità dei materiali. Inizialmente mi basavo sul tatto e sulla sensazione di benessere che mi procurava perché una texture naturale è morbida e molto diversa da una chimica. In fondo, dentro di me, sapevo già a cosa puntavo e con lo studio, la determinazione e la coscienza ho raggiunto la consapevolezza. Un’altra caratteristica dei miei prodotti sono i colori naturali. Le tinte, infatti, sono realizzate ad hoc da un Maestro del Colore che per ogni collezione studia una ricetta segreta. All’inizio della carriera le mie borse rappresentavano fiori e architetture e avevo bisogno di colore. Poi mi sono interfacciata con il mercato, che richiedeva il nero. Io però preferisco il giallo e il rosso, che rappresentano vitalità e forza, e sto cercando di riportarli nelle collezioni per far conoscere il mio punto di vista sul mondo, che a me piace luminoso e allegro. Le borse, che seguono un processo produttivo monitorato in ciascuna fase, portano ognuna un nome di donna o di uomo: un omaggio a persone che hanno saputo trasmettermi un’emozione, un ricordo, un insegnamento. Allo stesso modo, tutte nascono da sensazioni e istanti vissuti che si traducono in disegni. Morbide, leggere e funzionali, mi piace pensare che queste creazioni possano diventare per chi le indossa ciò di cui ha bisogno: il giusto accessorio che regali un’emozione, entri nella vita di tutti i giorni, diventando fondamentale”.

Nel tuo staff le pari opportunità hanno un ruolo chiave?

Pari opportunità per me non vuol dire solo donne, ma include anche gli uomini perché siamo tutti esseri umani e ognuno porta il proprio know-how. Come in un coro, ciascun talento forma la sinfonia. Nel mio team non parlo di leadership, ma di cooperazione per il bene comune. Nel gruppo ci sono diverse donne e rispetto le loro esigenze in modo che possano conciliare le responsabilità famigliari con quelle professionali, garantendo la flessibilità di orario e agevolandole durante la maternità, perché essere mamma non è un limite. In atelier tutti collaboriamo per il bene comune e il potenziale di ciascuno viene valorizzato”.

Durante il lockdown hai creato delle iniziative per supportare la filiera: quali?

“In risposta a Carlo Capasa, presidente di Camera Nazionale della Moda Italiana che ci ha richiamato alla collaborazione e all’unità, e in risposta all’iniziativa del White Show e di Confartigianato Imprese, Mialuis si è attivata con #distantimauniti per dimostrare la solidarietà artigianale italiana. Perché la mia creatività prenda vita è fondamentale il lavoro di un Maestro del Colore, di un façonista e dei fornitori di pellami. L’obiettivo è stato dimostrare che si può costruire una valida e forte alleanza tra diversi settori della filiera moda anche se si è lontani. Subito dopo che è stata annunciata la serrata di tutte le attività non di primaria importanza, inoltre, ho coinvolto alcune delle boutique che vendono le borse Mialuis per offrire un aiuto concreto nella lotta contro la diffusione del Covid-19. Chi acquistava sul sito dello store aderente una borsa Mialuis, a condizioni privilegiate, sapeva che il 15% dell’importo versato veniva devoluto a favore di Fondazione Ricerca Molinette Onlus che aveva avviato una campagna di raccolta fondi per affiancare medici, infermieri e tutto il personale impegnato a fronteggiare l’emergenza sanitaria all’interno della Città della Salute e della Scienza di Torino. È stato un modo per supportare la sanità, ma anche le attività commerciali costrette a chiudere per legge”.

Il tuo leit motiv è Mialuis per le donne

Le donne sono la chiave per il futuro perché lo costruiscono e lo crescono. Per questa ragione nel 2019 ho promosso alcune attività di beneficienza a supporto di Onlus torinesi volte alla promozione della salute femminile e al sostegno delle donne nel loro ruolo di mamme, intese come bene comune per la famiglia e per la collettività nel suo insieme.

In questo 2020 il concetto si è evoluto perché sulle mie pagine social riporto esempi virtuosi di donne che possono essere un esempio per altre o possono aiutare chi legge a tirare fuori il proprio talento e il proprio coraggio. Il mio progetto non è femminista, ma vuole ispirare il mondo femminile e far capire che tutto si può fare, ma dipende dalla forza di volontà. Per questo dò voce a coloro che in diverse situazioni hanno portato delle modifiche nella società, anche attraverso un percorso di vita non sempre facile. Tra le protagoniste c’è Debora Corbi, Maggiore dell’Aeronautica Militare. Grazie a lei nel 1999 è stata approvata la legge che dal 2000 ha dato il via ai reclutamenti femminili. C’è poi Angela Carini, medaglia d’argento di pugilato ai Mondiali di categoria dello scorso anno che non ha rinunciato alla femminilità ed ha lanciato una campagna per insegnare alle donne a difendersi. Spesso l’universo femminile è spinto in un angolo e deve trasformare l’energia negativa in positiva cercando la forza dentro di sé. Purtroppo siamo ancora lontani dalla necessità di avere un nostro punto in tanti settori della società.”.

Torino per te è?

“La mia grande sfida. La città mi ha sempre un po’ rifiutata, ma è talmente stimolante che offre mille possibilità ed è più facile emergere qui che altrove. È così chiusa che se canti fuori dal coro, ti fai sentire. Qui posso trovare creatività anche nella stanza buia. Il mio brand si chiama Mialuis Torino ed è un atto d’amore perché se sono così, è anche grazie a questo luogo”.

Un ricordo legato alla città?

“Non vivo nel capoluogo e scendendo dalla collina per arrivare a Torino ammiro ogni giorno un orizzonte incredibile, uno skyline con le case e le montagne che è simbolo di libertà. La curiosità ti spinge sempre a guardare oltre quelle montagne e Torino è come una famiglia che ti accoglie, ti lascia andare oltre i monti e quando torni hai un’esperienza che può fare bene a te e alla città stessa. Lei è sempre lì, pronta ad accoglierti, perché la sua rigidità è un punto di forza e alla fine sai sempre che puoi contare su di lei”.

Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto

Confini regionali chiusi ma si protesta se i turisti europei vanno altrove

COMMENTARII  di Augusto Grandi / Il ministro Boccia continua a tener sigillati i confini tra le regioni italiane mentre il lìder minimo tuona (beh, brontola sottovoce) contro gli accordi tra i Paesi europei che aprono i confini per i turisti di tutte le altre nazioni.

Non accetteremo accordi bilaterali che taglino fuori l’Italia”, avverte Conte. E non si capisce se si accorga di quanto sia ridicolo.

Innanzitutto perché gli accordi non sono bilaterali, poiché ormai non riguardano più soltanto Austria e Germania ma coinvolgono la Francia, i Paesi Bassi, la Danimarca, la Slovenia, la Croazia, la Cechia, la Slovacchia, l’Ungheria. In pratica restano escluse solo Spagna ed Italia.

Al lìder minimo hanno dato fastidio soprattutto gli inviti rivolti ai turisti tedeschi di scegliere le “spiagge sicure”, che sarebbero poi quelle sull’altra sponda dell’Adriatico, dunque in territorio attualmente sloveno e croato. Ma Conte ed il dittatorello lombrosiano dovrebbero spiegare come possono pretendere che i turisti europei considerino sicure le spiagge italiane sottoposte ai demenziali provvedimenti governativi…

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Confini regionali chiusi ma si protesta se i turisti europei vanno altrove

Anche Ricolfi contro il governo che vuole “la società parassita di massa”

COMMENTARII  di Augusto Grandi / La società parassita di massa”, la definisce Luca Ricolfi, sociologo non certo schierato con il centrodestra ma, non per questo, meno critico nei confronti dei disastri provocati dal lìder minimo e dai dittatorelli.

D’altronde, tragicamente, le analisi più feroci e puntuali stanno arrivando da personaggi come Cacciari e Saraceno, compagni di sicura fede e critici intransigenti dei demenziali provvedimenti del ministro Azzolina…

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Anche Ricolfi contro il governo che vuole “la società parassita di massa”

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria 

Jeanine  Cummins  “Il sale della terra”  -Feltrinelli-  euro 18,00

Acapulco, Lydia e il figlio di 8 anni, Lucas, sono in bagno quando sentono i colpi a raffica che massacrano la loro famiglia – 16 persone- riunite in cortile per festeggiare la quinceañera di una nipote. Miracolosamente nascosti nella doccia riescono a scampare alla carneficina; ma da quel momento saranno soli al mondo e braccati dai narcotrafficanti.

Iniziano così 400 pagine a perdifiato che narrano l’allucinante corsa verso los Estados Unidos, di una giovane donna e del suo piccolo grande ometto, genio della geografia, che la tragedia ha fatto maturare di colpo. E il romanzo ci catapulta in qualcosa che per noi è inimmaginabile.

I retroscena del massacro vengono svelati strada facendo: il marito di Lydia era un giornalista integerrimo e aveva scritto un articolo sul nuovo jefe dei Jardineros. E’ Javier, criminale a capo di una pericolosa banda di narcos, con patetiche aspirazioni poetiche. Lydia l’ha conosciuto nella sua libreria e ha stabilito un rapporto fatto di intesa e confidenze. Eppure è lui che ha ordinato lo sterminio dei suoi familiari e non si fermerà finché non avrà ucciso anche lei e Luca, che per salvarsi si mimetizzano con le orde di migranti disperati.

“Il sale della terra”  è la sconvolgente storia della loro fuga: su treni da prendere in corsa col rischio di essere spappolati, incontri con personaggi dall’umanità dolente, profonda e varia, alcuni pronti a fregarli, altri invece amichevoli. Come le bellissime sorelle Soledad e Rebecca violentate dalla vita e dagli uomini; o Beto, 11enne di Tijuana cresciuto nella miseria di una discarica.

A guidarli verso il Norte -tra pericoli vari, arsura e sole bruciante del deserto, notti gelide e acquazzoni torrenziali- è il coyote El Chacal che, per lavoro, da anni, con durezza e perizia, porta i disperati verso il confine statunitense.

Un’Odissea che Jeanine Cummins -scrittrice spagnola, cresciuta nel Maryland, residente a New York- ha scritto dopo lunghe e approfondite ricerche, viaggiando da un lato all’altro del confine, per dare voce e rendere omaggio alle “migliaia di storie che non sentiremo mai”. E’ il primo dei suoi 4 romanzi tradotti in italiano e non vediamo l’ora di leggere gli altri

 

Franck Thilliez   “Il manoscritto”  -Darkside- Fazi Editore-  euro  18,00

E’ un thriller mozzafiato che non ha nulla da invidiare allo strepitoso “Il silenzio degli innocenti” (di Thomas Harris, pubblicato nel 1988, che ha ispirato l’omonimo film con Anthony Hopkins e Jodie Foster).

L’ingegnere e scrittore francese Franck Thilliez ha costruito una trama mozzafiato intorno a sparizioni, torture e omicidi di ragazze scomparse nel nulla, corpi scuoiati, mutilazioni, sadismo, masochismo, necrofilia e  perversioni varie e assortite. Tutto scritto con un ritmo incalzante che si presterebbe perfettamente alla trasposizione in film.

Il racconto inizia nel nord est della Francia, nei dintorni di Grenoble, con l’inseguimento di un’auto rubata la cui corsa si ferma in uno schianto. Nel bagagliaio i poliziotti scoprono l’orrore: il cadavere di una giovane il cui viso è stato scuoiato.

Intanto una famosa scrittrice di gialli arriva per assistere il marito vittima di un’aggressione e della conseguente perdita di memoria. Lei è Léane, firma i suoi libri con uno pseudonimo e la sua vita non è più la stessa da 4 anni; da quando la figlia Sarah è stata rapita ed è probabilmente la 9° vittima di un serial killer che non vuole svelare dove ha occultato il corpo. Una tragedia che ha fatto crollare il matrimonio con Jullian, ossessionato dall’idea di scoprire ad ogni costo cosa sia successo alla figlia. Leane rimette piede nell’isolata villa di famiglia sul mare nel nord della Francia e viene catapultata in un incubo senza fine.

 

 

A cura di  Maggie Fergusson  “Pezzi da museo”  -Sellerio-   euro  16,00

Dal Tenement Museum di New York al Kelvingrove di Glasgow, passando per quello acciaccato di Kabul o quello curiosissimo delle Relazioni Interrotte di Zagabria, spaziando tra Europa, America e Australia.

Sono 22 le collezioni straordinarie raccontate da altrettanti scrittori (non studiosi d’arte): dalle più famose a quelle di nicchia. Il libro nasce dall’incontro tra grandi autori (di cui trovate brevi note biografiche a fondo libro) e i musei sparsi per il mondo che li hanno affascinati. Visitatori d’eccezione capaci di raccontarci riflessioni storiche, culturali, ma soprattutto emotive ed affettive. Con sensibilità e in modo accattivante ci invitano a scoprire esposizioni uniche e particolarissime.

Spesso i racconti sono lo spunto per ripercorre le genesi delle collezioni esposte o per riannodare esperienze e gusti personali. Come l’inglese Jacqueline Wilson al Musée de la Poupée di Parigi “…è come entrare in un libro di favole d’età vittoriana” che la riporta alla sua visita di anni prima con la figlia, e all’amore della sua famiglia per le bambole.

O come la scrittrice britannica di origine sierraleonese Aminatta Forna che ha scoperto l’insolito museo dei cuori infranti. E’ stato fondato da una coppia separatasi amichevolmente che, invece di buttare via gli oggetti che avevano accompagnato il loro matrimonio, ha avuto il colpo di genio di avviare una mostra itinerante. Ha già fatto il giro del mondo raccogliendo una miriade di oggetti posseduti da cuori spezzati, traditi e disillusi che hanno deciso di condividere con i visitatori le storie racchiuse nei loro feticci d’amore.

Altri brani invece sono a suon di musica: dalle composizioni del finlandese Sibelius e la sua casa-museo fuori Helsinki alle note del museo degli Abba.

Poi ci sono autentici pezzi di Storia, come nel racconto di Roddy Doyle che, nel Lower East Side di New York, entra nelle stanze in cui tra fine 800 e inizi 900 si dipanarono le vite stentate di persone comuni che non avevano voce, “…il museo è tutto strati e ondate: strati di pittura, ondate di gente”.

O come Rory Stewart che si avventura in quello che rimane del Museo Nazionale dell’Afghanistan dopo le bombe e i picconi dell’Isis.

Sono tante le meraviglie di questo libro, da leggere tenendosi accanto computer o iPad per andare a vedere o rivedere -almeno virtualmente- quadri e sculture che magari non conoscevamo. Ma anche spunto per futuri viaggi e scoperte da fare, tra gallerie, sale, cultura e bellezza all’ennesima potenza.

Arriva l’ondata

Caleidoscopio rock USA anni 60 / In Louisiana non tutto doveva essere R&B, anche se il peso del passato era ingombrante e condizionante. C’era chi aspettava il “treno giusto”, magari con partenza da oltreoceano, per esempio una potente ondata, da lontano, che portasse una nuova scarica di adrenalina tra i giovani statunitensi dopo qualche tempo di “calma equatoriale”.

C’era chi fiutava l’aria specialmente in quelle aree dove la caratterizzazione musicale era meno marcata da generi musicali di grande respiro, magari in zone ai margini o “di passaggio” tra uno stato e l’altro; d’altronde si sa… presso le “aree di confine” si sta generalmente molto attenti a chi transita, sia esso un viaggiatore, un mezzo di trasporto o… un nuovo trend musicale in arrivo.

E si sa bene che il fiuto di chi vive in tali aree è particolarmente fino, ancor meglio se associato ad “antenne ben dritte” per captare verso quale direzione si dirigerà il gusto giovanile, quella “gallina dalle uova d’oro” che poteva dare una spinta alle bands per il “grande salto”. Ed ecco che la conformazione “antenne dritte” era tipica di bands che cercavano qualcosa di nuovo oltre il rock&roll e che, come predetto, si muovevano in aree “borderline”, come in Louisiana nella fascia settentrionale verso i confini con Texas, Arkansas e Mississippi lungo la Interstate 20: ne erano un esempio The Spectres. Nati tra Ruston e Monroe nell’autunno 1965, erano composti in formazione originale da Jim Steele (V), Daniel Gilbert (V, chit), Terry Montgomery (b), Sidney Johnson (V, org) [e Woodard Bardin (org)], Bill Bass (batt); furono tra le prime bands della Louisiana a seguire decisamente l’onda della British Invasion operando tra Monroe, Ruston e Shreveport soprattutto in adult clubs e con l’onore di essere opening band per The Lovin’ Spoonful. I buoni agganci col produttore Rocky Robin portarono The Spectres ad incidere il primo 45 giri nel 1966: “No Good, No Where World” [Gray – Carraway] (NJ 1020; side B: “High Stepper”), con etichetta N-Joy records, presso Sound Studios. Nel frattempo il cantante Jim Steele fu chiamato al servizio militare e la band dovette assestarsi su una diversa distribuzione tra i membri. Per quanto riguarda il secondo 45 giri, tengo a sottolineare l’etichetta (che a mio giudizio produsse realtà interessanti): Paula records, di proprietà di Stanley Lewis a Shreveport. Il singolo uscì nel 1967 e presentava un side B migliore del lato A: “Psychodelic Situation” [D. Gilbert] (270; side B: “I Cried”), inciso presso i Robin Hood Briant’s Studios in Texas; non a caso “I Cried” ricevette buona accoglienza nelle radio locali e fu brano di punta di svariati gigs fino in Mississippi (Vicksburg e Jackson). Ma il 1967, come tutti ben sappiamo, fu anno spartiacque che vide il grande movimento psichedelico travolgere ed inglobare microrealtà locali trasformando suoni, testi, gusti e modi di captare il messaggio musicale; con le nuove ricerche sul riverbero, sulla dicotomia scenografica suono-luce e con la nuova fenomenologia dei “concerti evento” intesi come unione di forme artistiche concomitanti… chi arrivava al 1967 “col fiato corto” era destinato ad essere doppiato a velocità tripla. La medesima sorte toccò inevitabilmente anche a The Spectres, che (con l’uscita di Steele e Montgomery) giunsero a sciogliersi entro l’estate del 1968, quando ormai il garage rock psichedelico “di nome ma non di fatto” sapeva già di stantio.

Gian Marchisio

 

 

La realtà virtuale per gli schiavi, gli incontri solo per chi comanda

COMMENTARII di Augusto Grandi / Ce lo stanno ripetendo in ogni modo, ad ogni istante. E se fosse l’ennesima menzogna, ripetuta all’infinito dai media di servizio, per convincere l’ex popolo bue trasformato in popolo di pecore?

O meglio, una imposizione fatta passare per informazione. Un cambiamento obbligatorio per le masse, ma che non vale per chi controlla ed indirizza il gregge…

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La realtà virtuale per gli schiavi, gli incontri solo per chi comanda

Intervista a Virginia Tiraboschi, tra imprenditoria, il ricordo di Olivetti e bellezza

Rubrica a cura di ScattoTorino

Laureata in Economia e Commercio a Torino, Virginia Tiraboschi è una donna colta e raffinata che sa unire l’intelligenza emotiva a quella pratica. Per oltre vent’anni ha ricoperto incarichi prestigiosi nella Pubblica Amministrazione: prima come Responsabile dell’area economico finanziaria del Comune di Ivrea, poi in qualità di esperta di fiscalità locale del Comune di Torino dove per 11 anni è stata Direttore di diverse strutture complesse tra le quali gli Acquisti, l’lCT e il Marketing territoriale in relazione alla promozione dell’evento olimpico. Grazie al suo background professionale e alle attitudini a coordinare progetti complessi di respiro internazionale, la Regione Piemonte l’ha scelta come Direttore Cultura, Turismo e Sport e nel 2017 è stata Presidente della Commissione Turismo di Confindustria Cuneo. Eletta al Senato della Repubblica Italiana nel 2018, è stata anche membro della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e sugli illeciti ambientali ad esse correlati, mentre attualmente è membro della Commissione Industria, Commercio e Turismo.

Poliedrica e curiosa, è stata Amministratore Delegato della San Maurizio 1619 sa, società lussemburghese che gestisce alberghi, ristoranti e centri benessere situati in prestigiose location italiane e destinati ad una clientela sofisticata. Infaticabile, Virginia Tiraboschi è anche un’imprenditrice illuminata nel settore del benessere e della cosmetica oltre che la promotrice di ICO Valley, che sorgerà nell’ex area Olivetti di Ivrea e che avrà l’obiettivo di qualificare il primo sito industriale UNESCO del Novecento con un progetto di formazione accademica e di valorizzazione del Made in Italy nell’era digitale. Un tema, il digital, a lei caro che promuove da tempo con energia anche nel turismo, la più digitale di tutte le industrie, che potrebbe valere ancora di più se riuscisse ad esprimere tutto il potenziale dell’offerta italiana, che è la più vasta in qualità e quantità al mondo. Per scaramanzia non parla di una piattaforma che attraverso una Digital Travel Experience può dare un grande valore alle porte di ingresso secondarie che sono situate in 5.800 comuni italiani con meno di 5.000 abitanti dove è concentrato il 16% del patrimonio culturale. “L’Italia” sottolinea “ha un patrimonio di cultura, arte, siti storici e musei che potrebbe qualificare l’offerta turistica in maniera unica e ineguagliabile a livello mondiale. Il futuro sta anche nel guardare ai 2 miliardi e mezzo di Millennials che nel 2025 comporranno la metà della popolazione mondiale che viaggerà ad ogni latitudine”.

Ci presenta ICO Valley?

“Lo definirei uno Human Digital Hub, perché pone al centro una comunità di uomini e donne con i loro saperi, esperienze e conoscenze, i manager di domani, persone umanamente illuminate e competenti dal punto di vista digitale, che hanno affinato le loro soft skills. Si tratta di un progetto che nasce da una frase che Adriano Olivetti pronunciò davanti ai suoi operai nella fabbrica di Ivrea: “Io voglio che la Olivetti non sia solo una fabbrica, ma un modello, uno stile di vita. Voglio che produca libertà e bellezza, perché saranno loro, libertà e bellezza, a dirci come essere felici! La libertà della quale l’umanità può beneficiare se governa le tecnologie e la bellezza italiana conosciuta nel mondo con il marchio “Made in Italy”, sintesi perfetta di “bello, buono, ben fatto, bel vivere italiano”, di tutto ciò che la PMI produce nel turismo e nell’industria creativa italiana.

Le PMI e gli artigiani, che concorrono per il 90% alla creazione del PIL nazionale, troppo spesso hanno dovuto promuovere in autonomia le eccellenze italiane con modesti risultati perché non adeguatamente supportate dal Sistema Paese; con il digitale possono raggiungere tante nicchie nel mondo, ben 400 milioni di nuovi potenziali consumatori, scalando i mercati internazionali, aumentando la brand awareness del nostro Paese e le esportazioni. Il progetto è ai nastri di partenza ed entro giugno sarà inaugurato il Comitato Promotore che guiderà e coordinerà tutte le attività strategiche nelle sue due componenti principali, la formazione, che sarà sempre più strategica per formare continuamente il futuro capitale umano, e l’industria nazionale del digitale”.

Qual è l’obiettivo di questo Hub per l’eccellenza italiana?

Garantire un’alta formazione accademica in campo digitale e formare il CEO del XXI secolo, un manager che governi la crescita e lo sviluppo nell’interesse della comunità e del suo benessere diffuso, che definisca le politiche produttive in accordo con i territori ai quali restituire ricchezza e progetti di qualità che vedano sempre centrali l’uomo, le tecnologie e l’ambiente. Vogliamo promuovere un nuovo concetto di impresa etica, che può diventare la protagonista della quinta rivoluzione industriale e di un capitalismo dal volto umano che guidi un nuovo rinascimento manifatturiero, valorizzando nel mondo la creatività, l’innovazione e l’artigianalità del Made in Italy attraverso le tecnologie innovative e i servizi digitali”.

Cosa sorgerà all’interno dell’area?

“Ivrea sarà una città laboratorio sostenibile, efficiente e a misura d’uomo in cui sorgerà un’Accademia del digitale per formare i tecnici, i manager e i leader aziendali del futuro. Oggi c’è un gap notevole tra il mondo del lavoro e la formazione universitaria: le imprese cercano figure professionali con competenze digitali che non si riescono a reperire sul mercato. L’Hub vuole colmare questo vuoto e diventare l’ecosistema digitale nel quale i migliori talenti saranno i protagonisti di start up geniali e innovative destinate a diventare imprese robuste, organizzate e strutturate dove si creerà valore attorno all’economia materiale e immateriale, due porzioni di PIL reale che possono far ritornare l’Italia protagonista a livello mondiale del rinascimento manifatturiero”.

Quali sono i valori di questo Hub Made in Italy?

Formazione, che è fondamentale, diffusione di un nuovo modello di industria, valorizzazione di un patrimonio di idee, creazione di modelli innovativi, promozione dell’eccellenza italiana. Secondo noi il futuro potrebbe essere migliore se si guardasse a un nuovo orizzonte sul cui sfondo ci stanno un capitalismo dal volto umano e le élite culturali, politiche e imprenditoriali che guidano il progresso e lo sviluppo secondo un modello che non dovrà mai appiattirsi, ma che dovrà sempre evolversi, creando ricchezza e distribuendola al tempo stesso alla comunità. Olivetti era un manager illuminato che offriva cultura, spazi di libertà, coinvolgimento in progetti innovativi e piani di formazione. È stato un modello unico e visionario che noi abbiamo l’ambizione di voler riproporre per le future generazioni verso le quali abbiamo l’obbligo di consegnare un mondo migliore”.

Perché avete scelto Ivrea e le Aree Olivetti?

“Per me era un dovere restituire alla città dove sono nata un pezzo della fortuna che mi sono conquistata nella vita. Sono contenta che si possa realizzare il progetto qui perché è il centro del Canavese, oltre che il 54° sito italiano Unesco. La zona è facilmente raggiungibile in quanto poco distante da Torino e da Milano, oltre che sulla direttrice dell’autostrada Torino-Aosta che porta verso la Francia e la Svizzera. Gli stabilimenti Olivetti, poi, sono un esempio di architettura industriale tra i più rilevanti in Europa; luoghi di lavoro pensati per l’uomo, ma compatibili con le esigenze economiche e produttive”.

Un altro settore che la vede protagonista è lo skincare

San Maurizio 1619 SkinFood nasce in un monastero italiano del 1619, ora sede del Relais San Maurizio, dove gli antichi saperi dei monaci cistercensi sono stati attentamente conservati e tramandati. Grazie alla nostra expertise abbiamo sviluppato il concetto di nutricosmetica: un programma innovativo che abbina le funzionalità dei principi attivi con la qualità degli ingredienti naturali e i trattamenti curativi nel Daily Beauty Routine Protocol. I protocolli che consigliamo aiutano a coniugare benessere psicofisico e bellezza estetica. Alla base della nutricosmetica San Maurizio SkinFood ci sono i principi della dieta mediterranea – patrimonio immateriale dell’Unesco – nella quale sono valorizzati i principi attivi di frutta, verdura ed erbe aromatiche che implementano l’efficacia dei processi di detersione, idratazione, nutrizione della pelle e rigenerazione cellulare”.

Quali sono i plus di SkinFood?

“La nostra cosmesi è naturale, in quanto senza coloranti e conservanti tradizionali, e funzionale perché la presenza di vitamine, minerali, omega, polifenoli e numerosi antiossidanti compensa le carenze cutanee, favorendo la stimolazione del processo ritmico naturale e apportando micronutrienti a ogni cellula. San Maurizio SkinFood è anche psico-cosmesi in quanto la fitomelatonina, un estratto oleoso di melatonina vegetale proveniente da piante alpine, genera positività, felicità, sorriso ed energia, nel rispetto del bioritmo naturale.

I sieri e le creme che abbiamo studiato hanno una profumazione gradevole e sono altamente concentrati, hanno la capacità di rivitalizzare ed energizzare le cellule, fungere da antiossidanti protettivi del Dna e preventivi nei confronti dei danni del fotoaging e sono la base ideale per il make-up. Un nostro best seller è una linea a base di tartufo bianco, tubero magico con proprietà lenitive. È un potente antiage che rigenera in profondità e stimola la produzione del collagene dell’elastina, svolge un’idratazione a lunghissimo termine e ha un effetto schiarente grazie ad un enzima che regola la produzione di melanina, contribuendo così all’eliminazione delle macchie cutanee”.

Dove è possibile acquistare questi prodotti top di gamma?

“Stiamo progettando una piattaforma online, ma abbiamo sempre creduto e continueremo a investire anche nelle reti fisiche, perché crediamo fortemente nel contatto diretto con la clientela alla quale ci piace regalare emozioni con offerte personalizzate che coinvolgono i cinque sensi. Nel nostro spazio è possibile vivere un momento di benessere attraverso un trattamento o un massaggio oppure provando le creme, sempre assistiti dal nostro personale altamente preparato. Il flagship store si trova in via Maria Vittoria 41 a Torino, in una zona ricercata ed esclusiva della città, ed è in progetto l’apertura di nuovi Sensi Store in Italia. Lo spazio è accogliente, arredato con elementi naturali, colori tenui e rilassanti. Abbiamo ricreato in città un luogo di benessere molto riservato dove ci piace accogliere la clientela con discrezione e simpatia. Le nostre referenze sono anche rivolte al pubblico delle strutture ricettive di nicchia e a centri benessere per i quali abbiamo ideato un Welcome kit per il cliente”.

Torino per lei è?

“Come Amministratore Delegato della San Maurizio 1619, dal 2014 al 2018 ho viaggiato moltissimo, ma il mio cuore è rimasto ad Ivrea. Ciò nonostante amo anche Torino, che mi ha dato molto ed è il luogo in cui vivo. È elegante, per certi aspetti difficile, e per relazionarsi con le persone occorre avere uno stile sabaudo, ma è la città delle più grandi incubazioni progettuali perché ha una grande capacità creativa e innovativa. Qui nascono idee importanti che poi altri fanno proprie, ma tutto è rimediabile. Non voglio pensare ad una Torino subalterna a Milano perché oggi più che mai credo che il pensiero laterale che proviene dalla community e favorisce la capacità di innovare e di creare sia vincente in quanto diverso da quello del XX secolo, che oggi non è più adattabile al futuro”.

Un ricordo legato alla città?

“A 14 anni venni a Torino per studiare al Liceo linguistico Cadorna. Provenivo da una cittadina di provincia ed ero timida, disorientata e al tempo stesso un po’ ribelle. Dopo un mese mi tinsi da sola i capelli di color biondo platino e la mia insegnante di latino mi redarguì e mi impose di mettere una bandana. Allora non era di moda come oggi e dovetti rimanere così per quasi un mese, vergognandomi incredibilmente”.

Coordinamento: Carole Allamandi

Intervista: Barbara Odetto

Così è la fine

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni /A “Carta Bianca” ho ascoltato le opinioni di Oscar Farinetti e di Arrigo Cipriani, due nomi che rappresentano, in misura differente per tradizione e stile, la ristorazione italiana anche a livello internazionale.

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Malgrado le evidenti assurdità di norme caotiche e nello stesso tempo molto costrittive, Farinetti si è dichiarato ottimista e soddisfatto dell’ operato del governo, ignorando gli errori, anche quelli più marchiani, commessi  nella fase  fase 1  e nella fase 2.
La fedeltà politica perinde ac cadavere porta Farinetti ad accettare tutto, compresa la regolarizzazione di 650 mila immigrati, sottovalutando la crisi profonda e forse irreversibile delle nostre imprese turistiche e ricettive. Ha sostenuto senza distinguo che a maggior ragione oggi bisogna accogliere tutti, come se la pandemia non esistesse. Cipriani da uomo libero  ha parlato  senza peli sulla lingua e ha evidenziato   chiaramente l’ impossibilità da parte della stragrande maggioranza dei ristoratori di riaprire i loro locali ed è arrivato  addirittura a paventare  un’uscita dalla Ue della Germania così come ha fatto la Gran Bretagna. Da uomo abituato a ragionare in termini internazionali  ha collocato la crisi italiana nella dimensione esatta della sua gravità anche rispetto all’Europa. Farinetti è uomo che proviene dall’apparato politico e non si è mai discostato dall’ambito provinciale in cui è nato e cresciuto. Arrigo Cipriani è il moderno Marco Polo che ha portato la cucina e soprattutto l’ospitalità veneziana e italiana nel mondo e ragiona senza vincoli politici. Il fatto incontestabile è che i distanziamenti imposti a tutta Italia  senza discernimento impediranno ai locali di aprire o li costringeranno a fallire dopo aver riaperto. Così sarà la fine dice Cipriani, ricordando che dal ‘43 al ‘45 il suo Harry’s era diventato un bivacco del marò della X Mas repubblichina. Dopo l’occupazione fu possibile riprendere il lavoro e rinascere. Oggi questa ipotesi è molto dubbia e anche l’ex Sindaco di Venezia Massimo Cacciari si detto è d’accordo con Cipriani. Il povero Farinetti  con il suo ottimismo leibniziano  vedremo cosa saprà inventare per salvare Eataly.
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(foto vvox.it)

Cronache della peste. L’italiano sano

Esco malvolentieri, mi dice al telefono il Gianni. Non che abbia paura di sta fuffa del corona virus… a me ste fole non le possono dar da bere… È che mi dà fastidio la gente…

Tutti questi con guanti e mascherine, che camminano strisciando lungo i muri… come neppure nella peste del ‘300…i vecchi terrorizzati. E i giovani peggio ancora… Un popolo di… Ma che dico… Questo non è più un popolo. E forse non lo è mai stato…

Condivido. L’ ho scritto sino a nauseare i miei pochi lettori (magari fossero i fatidici 25…) lo spettacolo degli italiani in questi mesi è stato, e continua ad essere indegno. E anche indecente. Con delle eccezioni, però…

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Sotto le macerie della politica si registrano nuovi movimenti

Il nulla cosmico che sta caratterizzando la scena politica è ormai imbarazzante, inaccettabile.

Con la scusa dell’emergenza si sono affidati i pieni poteri ad una squadra di dittatorelli dello Stato Libero di Bananas che hanno evidenziato limiti imbarazzanti. Ma il fatto stesso che l’opposizione non sia stata in grado di contrastare questa deriva dimostra l’assoluta inconsistenza dell’intero centrodestra…

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