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Torototela, qual è il significato di questa parola piemontese?

Rubrica a cura del Centro Studi Piemontesi

Torototela: È il titolo di una bella poesia di Nino Costa (1886-1945). La traduzione potrebbe essere “cantastorie”; così lo cita in esergo di poesia Costa: “Menestrello campagnolo, estroso e vagabondo, di cara e giocosa memoria. Nelle feste e nelle baldorie paesane improvvisava, non senza grazia, la poesia la canzone e la satira di circostanza”.

Ma anche “antico e rozzo strumento musicale”. Il REP (Repertorio Etimologico Piemontese, Torino, Centro Studi Piemontesi-Ca dë Studi Piemontèis, 2015) spiega come etimologia “Voce imitativa…dei ritornelli delle canzoni popolari e del suono dello strumento con cui il cantastorie si accompagnava”. E cita una fonte che affianca questo strumento al “corrispondente arabo Arababbah”.

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

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Non c’ è da stare allegri – L’8 marzo – Giampiero Leo, l’Assessore santo e pluralista – Lettere

Non c’ è da stare allegri

Nicola   Zingaretti, sempre con il sorriso, è stato anche lui contagiato dal Coronavirus. Era andato il 27 febbraio a Milano a brindare per un aperitivo,dicendo che la parola d’ordine sarebbe stata la normalità. Zingaretti è il segretario del Pd e il Presidente della Regione Lazio a cui dedica pochissimo tempo, in deroga ad ogni elementare logica del buon senso e della buona amministrazione. Qual è il messaggio che deriva ai cittadini da una situazione tanto grave ? Zingaretti non è un privato cittadino, ma ricopre due ruoli pubblici rilevanti. Il Presidente della Lombardia Fontana si esibisce in Tv con la mascherina , il Presidente del Veneto Zaia offende i Cinesi, dicendo che mangiano topi vivi, Berlusconi si rifugia in Svizzera con la nuova fiamma (una giovane deputata), facendo annunciare dall’ufficio stampa del Partito la frattura con la vecchia fidanzata. Salvini sta cercando di dare una spallata al governo  che certo non dà prova di capacità ad affrontare questi terribili frangenti. Non c’è da stare allegri. Sono tempi bui in tutti i sensi.
Il Parlamento resta aperto un  solo giorno alla settimana ,dando l’idea di una fuga di fronte al pericolo. Una classe dirigente di nominati e non di eletti dal popolo dà un’idea pessima di sé . Di fronte agli Italiani e all’estero. Il male da combattere è il virus ,ma certo i combattenti si rivelano quasi sempre inadeguati. Solo la scienza può salvarci,ma pure gli scienziati si dividono e anche loro vogliono esibirsi in Tv come i politici. E’ tutto molto triste. Sperare che ci salvi lo Stellone d’Italia,come si diceva un tempo,ritorna di moda. Ma forse bisogna sperare nella Divina Provvidenza che è l’unica vera “risorsa” che ci sia rimasta e che forse non meritiamo più  perché da Paese laico  siamo diventati  un Paese profano  senza moralità né pubblica né privata, dove la stessa idea di bene e di male, secondo il  semplice diritto naturale, appare confusa e contraddittoria.
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L’8 marzo

Oggi è l’8 marzo,  festa della donna. Non credo che ci saranno manifestazioni né distribuzione di mimose. Festeggiare sarebbe comunque fuori posto. Potrebbe essere anche l’occasione per rimeditare su certi estremismi femministi che nulla hanno a che fare con la parità di genere. L’estremismo che in parte può essere  storicamente giustificato dal predominio maschilista duro a morire,non è mai, sui tempi lunghi, la soluzione giusta. Uomini e donne nella loro diversità sono complementari e destinati ad essere una coppia e in molti casi una  famiglia. Oggi si parla di famiglie plurali, ma io resto alla famiglia naturale, così come delineata dalla laicissima Costituzione repubblicana. Mi ostino a restare legato a quella e solo a quella.
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Giampiero Leo, l’Assessore santo e pluralista

In occasione della recente commemorazione torinese di Giampaolo Pansa, organizzata dal Centro “Pannunzio”, l’unica che sia avvenuta in Italia, è emerso un articolo che il giornalista scrisse nel 1985 su Giampiero Leo, definito da Pansa l’Assessore santo. Prima di lui c’era stato solo La Pira, definito “ Sindaco santo” di Firenze,  il quale pensava più ai grandi incontri internazionali che ai problemi reali  della città. La Pira non fu un buon sindaco ,invece Leo si rivelò negli anni un politico molto  capace e concreto, con i piedi per terra, malgrado la sua figura ascetica. Nell’articolo di Pansa Leo appare come un democristiano che amava molto Moro ed apprezzava Bodrato e un ciellino, anzi il leader di Cl in Piemonte. Conobbi Leo in quell’anno, anche se forse ci eravamo visti all’università negli anni della violenza, quando sia lui che io rischiammo il linciaggio degli estremisti contestatori. Ci fece incontrare un comune amico, il prof. Nattero, grande medico, fondatore del Centro universitario per la cura delle cefalee. Iniziò allora  un rapporto che è durato negli anni. Leo è l’unico politico con il quale abbia avuto un rapporto così duraturo e leale nel corso dei decenni. Pansa definì Giampiero  anche un Assessore ecumenico e colse nel segno perché il suo pluralismo a 360 gradi  lo dimostrò con i fatti, sia come Assessore in Comune, sia come Assessore regionale alla Cultura, il migliore nel corso dei cinquant’anni di storia  della Regione. Nessuno come Leo ha dimostrato equilibrio, cultura, sensibilità, disponibilità all’ascolto e soprattutto a compiere gesti coerenti con il suo pensiero davvero liberale nel senso più altro del termine. Pansa aveva colto nel segno, vedendo in lui la discontinuità con il grigio decennio rosso a Torino e cogliendo in Giampiero la vera novità del nuovo corso. La novità non  erano  certo il Sindaco Cardetti e tanto meno l ‘ex Sindaco Porcellana. La Dc ebbe suoi uomini coinvolti nello scandalo Zampini che segnò il tramonto di Novelli. Il vero rinnovamento, perché limpido, onesto e colto era Leo, nessun altro. I partiti laici e i socialisti si presentarono alla ribalta della nuova amministrazione di pentapartito con uomini molto modesti. Quando Leo andò oltre, passando in Regione,segnò uno spartiacque netto con le Giunte di sinistra, ma anche con la gestione dell’Assessore democristiano Nerviani, un Preside novarese molto modesto. Con Leo Assessore la cultura poté tirare un sospiro di sollievo e visse il decennio migliore, direi il decennio aureo.
La parola pluralismo venne applicata anche a dispetto dei faziosi di destra che avrebbero voluto una gestione partigiana e addirittura punitiva dell’Assessorato alla cultura, copiando, sia pure ribaltato,lo schema egemonico imposto dalla sinistra. Leo seppe resistere e mantenere un equilibrio istituzionale. Non so se Pansa abbia avuto modo di incontrare Leo in tempi recenti. Una volta i due si incontrarono al Premio” Pannunzio” che venne conferito al giornalista quand’era sotto violento attacco da parte dell’ ANPI. Sono però certo che Pansa avrebbe potuto scrivere un secondo articolo, confermando i giudizi espressi tanti anni prima su Leo.
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Lettere    scrivere a quaglieni@gmail.com

Il virus e il libero pensiero
Non crede, con i suoi articoli in effetti molto fuori dal coro, di costruire a destabilizzare la coesione nazionale di fronte alla lotta contro il virus ?      Gino Fini
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Il libero pensiero ha un suo ruolo sempre. Benedetto Croce, di fronte alla Grande Guerra, quando gli chiesero di porsi al sevizio della Causa nazionale, disse che la Nazione aveva bisogno di uomini di cultura liberi e indipendenti come della pudicizia delle sue donne. Per altri versi, vedendo le vie del centro di Torino piene di gente ammassata, mi sembra che gli inviti del Governo non siano rispettati senza nessun intervento volto a cambiare le cose.
Barbero e il Risorgimento
Vedo con piacere che Alessandro Barbero difende, si può dire da solo ,il Risorgimento italiano dagli attacchi neo borbonici. Cosa ne pensa ?           Luisa Frola  
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Sono contento che difenda il Risorgimento,anche se sconfina sempre di più dalle sue competenze di storico del Medio Evo. Barbero è un uomo televisivo,un tuttologo . Niente a che vedere con studiosi come Umberto Levra o anche solo con eruditi come Adriano Viarengo. I tempi in cui Adolfo Omodeo difendeva il Risorgimento contro gli attacchi di Gobetti sono lontanissimi, come sono lontani quelli in cui Rosario Romeo difendeva le ragioni della unificazione “regia” e cavouriana dalle critiche di  Gramsci. Oggi dobbiamo accontentarci di Barbero a cui “Torino Magazine” ( forse a corto di vip)  dedica la copertina: un pinerolese  che insegna a Vercelli, molto  poco torinese, ma va bene lo stesso. Oggi sta  davvero cambiando tutto.

L’era del cialtrone bianco

PAROLE ROSSE  di Roberto Placido / La bella canzone del maestro Franco Battiato mi ha fornito l’ispirazione per il titolo di Parole Rosse di questa settimana relativa al periodo che stiamo vivendo a causa dell’epidemia del Coronavirus o Covid19 che dir si voglia. Stiamo assistendo, in una situazione di vera emergenza, ad alcuni comportamenti, da parte di chi ha la responsabilità ai vari livelli e nei vari settori chiamati a gestire il problema, che non avremmo voluto vedere, leggere o sentire.

In una “hit parade” al contrario oppure in testa ad una “schif parade”. Al primo posto, incontrastato, troviamo il Presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana con quell’incredibile video dove maldestramente cerca di infilarsi una mascherina medica. Mi sono chiesto cosa hanno fatto di male i lombardi, oltre a votarlo, per subire una scena del genere?! Video che ha fatto il giro del mondo, di tutte le principali televisioni, giornali e siti. Un danno miliardario incalcolabile all’economia della Lombardia e dell’Italia.

Ha incominciato a prendere plasticamente forma l’inadeguatezza della classe politica italiana. Bisogna considerare che l’avvocato Attilio Fontana si trova alla guida della regione economicamente e finanziariamente più forte d’Europa con una percentuale di PIL (prodotto interno lordo) più grande di diversi stati europei. Gli ha fatto subito eco, in un ideale pareggio destra-sinistra, Luca Ceriscioli, insegnante, Presidente della Regione Marche che incurante delle decisioni del governo e delle indicazioni e nonostante la fase iniziale e la distanza dai principali focolai dell’epidemia, tutti nel nord Italia, chiudeva le scuole marchigiane. E’ evidente che l’essere un’insegnante diventa un’aggravante ed ha pesato, sciaguratamente di più, la prossima scadenza elettorale. Nell’olimpo di questa infame classifica un posto lo prende anche il Presidente della Regione Veneto Luca Zaia, ex ministro dell’agricoltura e considerato uno dei più capaci amministratori leghisti, immaginate gli altri, con le dichiarazioni sui cinesi che non si lavano e mangiano i topi e sul nostro “primato” nell’igiene della persona. Sarà stato per quello che i nostri cugini francesi, ai quali spesso facciamo notare la mancanza dai loro bagni domestici di uno degli accessori atti all’igiene personale, hanno risposto con quel vergognoso servizio televisivo di Canal+ sulla pizza corona con “bieco” pizzaiolo che prima di infornarla aggiunge un catarrotico sputo. Le dichiarazioni di Zaia hanno creato frizioni con la Cina e altri danni economici incredibili in una situazione sempre più difficile in un paese fermo e, oramai, in recessione. A poco sono servite le successive scuse. Come si dice dalle sue parti “peggio il tacon del buso” (il taccone peggio del buco). Zaia avrà avuto un rigurgito di campanilismo in ossequio ad uno dei detti più conosciuti di una delle più importanti città venete, Vicenza, ed ai suoi cittadini definiti “magna gatti”. Qui si affonda nella leggenda, fine ‘600, con la città colpita dalla peste portata dai topi e Venezia che manda in soccorso un esercito di topi. Debellata la peste per risolvere il problema della sovra popolazione felina, si dice, che li mangiarono e da questo il detto. Ma tornando al problema Coronavirus, è evidente la frammentazione delle istituzioni, con troppe competenze tra i vari livelli ed un’assenza di una catena di comando chiara.

 

Un comportamento del governo, bulimico nelle dichiarazioni ed esternazioni, a zig zag passando da un rigore di facciata, all’inizio della vicenda, con la chiusura dei voli diretti dalla Cina, quando la maggior parte arrivavano, con voli con scalo intermedio, invece della quarantena. Quarantena che, perfida rivincita, impone oggi la Cina a tutti gli arrivi dall’Italia. Con una Protezione Civile debole e tentennante. Per non parlare della telenovela partite di calcio della serie A, a porte chiuse, aperte, a metà, e non per la serie B-C-D ecc. Andate a vedere un video di una partita interna del Benevento, attuale capoclassifica della serie B, per capire la densità di presenza di tifosi. Piccola parentesi calcistica, un sistema che vale il 2% del nostro PIL non può essere lasciato in mano a, quando va bene, dei dilettanti. Poi la vicenda scuole e tutto il resto. Prepariamoci ad affrontare il picco di contagiati-malati-decessi, come dicono gli esperti, che se smettessero di litigare, in qualche caso, sarebbe meglio. Speriamo che trovino quanto prima, un anno? il vaccino e proviamo a mantenere la calma, rispettare le minime regole di igiene e di una prudente socialità. Gli esempi sarebbero, purtroppo, talmente tanti che bisognerebbe fare alcune puntate ed è meglio che mi fermi qui. Alcune riflessioni finali, molti hanno scoperto l’importanza della sanità pubblica e lo straordinario livello di chi ci lavora. La scarsità, dopo decenni di tagli dissennati sia da parte di giunte e governi di destra che di sinistra, dei posti letto negli ospedali ed in particolare quelli di terapia intensiva. La scarsità di adeguati fondi alla Ricerca e di tanti, troppi, ricercatori quarantenni da sempre precari. La scomparsa dei “NO VAX”, non se ne trova uno nemmeno a pagarlo. Ma su tutto, fino ad ora, ha stupito positivamente la compostezza, della stragrande maggioranza degli italiani, nell’affrontare serenamente, con compostezza, questa straordinaria emergenza. A parte la fantasia, che ha scatenato una circolazione di vignette e frasi esilaranti, che aiuta ad affrontare con un po’ di leggerezza una fase molto difficile, gli italiani si dimostrano, se mai ce ne fosso stato bisogno, molto meglio di chi li rappresenta.

La storia dei Savoia, la dinastia più longeva di tutte le casate europee

Rubrica a cura di Somewhere Tour & Events

Ma quale fu il segreto che permise ai Savoia di trasformarsi da semplici “conti” nei futuri Re d’Italia? Forse più di uno, ma sicuramente furono in grado di creare un utile stato cuscinetto a ridosso dei valichi alpini, che divideva le grandi potenze europee dell’epoca. Gli storici rilevano spesso l’indole guerrafondaia della dinastia sabauda, che non per nulla potrà vantare nel 1700 una delle migliori accademie militari d’Europa. Tuttavia, l’esercito sabaudo era l’esercito di uno stato povero e non poteva certo competere, sul piano militare, con le corone di Francia, di Spagna o d’Austria.

Sarà nell’abile politica delle alleanze che il ruolo del piccolo e povero stato sabaudo sarà cruciale, arrivando addirittura a capovolgere gli esiti delle grandi guerre che attraversavano l’Europa tra il ‘600 e il ‘700. E, il miglior modo di fare le alleanze, allora come oggi, è quello dei matrimoni. I Savoia avevano la capacità di imparentare la loro numerosa prole attraverso matrimoni strategici con gli eredi di tutte le più importanti casate dell’epoca. E non per nulla, le Madame dei Savoia saranno in grado di condurre una propria politica e di governare anche a lungo come reggenti, contribuendo a stabilizzare gli instabili equilibri dell’epoca.

La storia dei Savoia comincia con la Contessa Adelaide

Questa lunga storia, non a caso, incomincia da un matrimonio con una donna straordinaria: la Contessa AdelaideSiamo alla fine del X secolo e, prima di questo matrimonio, i Conti di Savoia non si erano affacciati al di qua delle Alpi. Adelaide si sposa con Oddone, figlio del Conte Umberto di Biancamano, a sua volta figlio di un mitico Beroldo della casa Sassone, capostipite della casata cui sarà assegnata una contea che faceva perno sull’attuale Savoia. La Marca della Contessa Adelaide, invece, tagliava trasversalmente il Piemonte da Ivrea fino ad Albenga, sul mare, tenendo dentro anche i valichi alpini e quindi l’accesso alla Val di Susa. Così i Savoia iniziano ad interessarsi ai territori subalpini. Ma sarà una strada lunga: Adelaide, che morirà centenaria nel 1091, dopo essere sopravvissuta a 3 mariti e 3 figli, lascerà lo stato in un vuoto politico che durerà a lungo. 

I Conti di Savoia, insieme ai Principi d’Acaja, ramo collaterale della famiglia, li ritroviamo già verso la fine del ‘200 e poi con l’epoca degli Amedei tra il ‘300 e il ‘400. Tra tutti, ci piace ricordare Amedeo VI, il Conte Verde, che fu personaggio davvero cruciale. Oggi vi aspetta proprio davanti al municipio, nel monumento commissionato da Carlo Alberto a Pelagio Palagi nel 1830, forse posto lì per ricordare che fu il primo Signore di Torino non solo a riconoscere le leggi comunali, ma a riordinarle tutte in un codice coerente che verrà incatenato a una delle colonne dell’ingresso del Palazzo di Città. 

Da Conti a Duchi, con Amedeo VIII Duca di Savoia

Il passaggio da Conti a Duchi i Savoia lo fecero con un personaggio davvero originale: Amedeo VIII, che nel XV secolo si autonominò Duca ed anche Papa! Ma è solo con il Duca Emanuele Filiberto, che deciderà di spostare da Chambery a Torino la capitale del ducato sabaudo, che si apre la stagione moderna della dinastia. Siamo negli anni ‘60 del ‘500, gli anni in cui nasce per volere del Duca la Cittadella di Torino, fortezza militare all’avanguardia per l’epoca e che segna il passaggio verso Torino Capitale. E proprio con Emanuele Filiberto prima e poi con suo figlio Carlo Emanuele I, i successori e le madame reali Cristina Di Francia e Giovanna Battista di Savoia Nemours che Torino incomincia ad assumere l’aspetto che ancora oggi ammiriamo in tante vie del centro storico.

Oltre alla politica dei matrimoni è il momento della politica d’immagine: il territorio diventa rappresentazione del potere e, per stare alla pari con le grandi case europee dell’epoca, Torino si dota di una nuova urbanistica e di una Corona di palazzi (la corona di delizie) utile a far apparire molto più ricco e potente di quanto non fosse, lo stato dei Savoia. Con Carlo Emanuele I nascerà anche quel gusto per il collezionismo che porterà alla raccolta di oggetti d’arte e archeologici, di codici miniati e di armi che sono all’origine del grande polo museale torinese di oggi. Questo patrimonio fa parte integrante della politica d’immagine, rappresentata plasticamente e pittoricamente nei fregi e nelle decorazioni delle varie anticamere della Sala del Trono a Palazzo Reale, vere e proprie immagini utili a impressionare diplomatici e ambasciatori degli stati limitrofi.

Torino metropoli europea grazie ad architetti e urbanisti scelti dai Savoia

Tra il ‘600 e il ‘700 Torino diventa una metropoli europea: cambia volto anche grazie alla capacità dei Savoia di individuare architetti e urbanisti del livello di Guarini e di Juvarra. È la Torino della Madame Reali e soprattutto di Vittorio Amedeo II, personaggio chiave, che si inserisce nella guerra di successione al trono di Spagna – scoppiata nel 1701, cambiando segretamente alleanza e passando da quella francospagnola (a cui era cooptato) a quella Austriaca, grazie alla parentela col principe Eugenio di Savoia Soissons della casa d’Austria. Sono gli anni dell’Assedio e della Battaglia di Torino (1706) in cui le truppe austropiemontesi batteranno il nemico franco-spagnolo. In cambio dell’alleanza con l’Austria, a Utrecht nel 1713, i Savoia acquisiranno così la corona di Re di Sicilia.

Il XVIII secolo si chiude con la Rivoluzione Francese e per i Savoia è l’ora dell’Esilio. Torneranno nel 1815 tentando la difficile e antistorica operazione della restaurazione. Ma i tempi sono cambiati: a Vittorio Emanuele I succederà Carlo Felice che non avendo eredi passerà il potere al ramo dei Savoia Carignano, nella persona di Carlo Alberto. Il Sovrano dovrà gestire il difficile momento di transizione tra l’ancièn régime, ormai sulla via del tramonto, e le richieste popolari. È lui a concedere lo Statuto e ad aderire al progetto delle guerre di indipendenza anche se, tra mille ripensamenti, sarà lui a riplasmare ancora una volta la città, lo stesso Palazzo Reale e ad aprire al pubblico le collezioni riservate un tempo a studiosi o personaggi illustri. Suo figlio Vittorio Emanuele II al termine del complicato periodo delle guerre d’indipendenza si ritroverà così ad essere Re d’Italia. Non saranno anni facili, quelli della monarchia parlamentare, su cui ancora tanti capitoli rimangono aperti, ma certo il XX secolo segnerà la fine del millenario regno dei Savoia. Dopo le vicende del Fascismo e della II Guerra Mondiale, i Savoia verranno esiliati e nascerà la Repubblica Italiana.

 

Una vita di corsa: chi è Giuseppe Tamburino, running motivator

Rubrica a cura di ScattoTorino

Ha 62 anni e sembra un ragazzo. Il suo segreto? La corsa, che è passione e lavoro allo stesso tempo. Con oltre 130.000 chilometri di strada nelle gambe e un cospicuo numero di maratone alle quali ha partecipato, anche con ottimi risultati, Giuseppe Tamburino ha creato diversi progetti – di carattere sociale e non – legati a questo sport: dall’Ecomaretona a Girls Just Wanna Have Run sino a Run&Clean. Tutte iniziative di successo che coinvolgono le persone e legano l’attività sportiva ad aspetti etici mai banali che vanno dalla pulizia del luogo in cui si corre alla sicurezza delle donne runner. Siccome la fatica non gli pesa, Beppe scrive anche sul mensile Correre e racconta storie sulla motivazione, si occupa di team building e con il suo progetto #runningmotivator accompagna nella corsa sia il personale delle aziende sia i singoli. In media si allena 3 volte al giorno per un totale di circa 30 chilometri quotidiani e non è mai stanco perché, dice: “Quello che mi attrae di più è il senso di libertà e condivisione che solo la corsa ci regala”.

Corsa Beppe

Una vita di corsa?

“Ho iniziato 35 anni fa. Era estate e i miei genitori mi avevano mandato in collegio a Paderno del Grappa. Per stare all’aria aperta potevo solo correre in pista, sotto il sole. Così per due mesi mi sono allenato, arrivando a percorrere anche 20 chilometri al giorno. Ho vinto la mia prima gara proprio lì, anche se non avevo ancora capito quanto mi piacesse la corsa. Dopo i 30 anni, a seguito di un incontro fortuito, ho preparato la prima delle mie 27 maratone, tante con un tempo sotto le 3 ore. Devo molto al mio allenatore, Alessandro Rastello, che è stato fondamentale. Ho partecipato ad una serie innumerevole di gare e della maratona di Milano ho un bellissimo ricordo: il mio best time di 2’43” e mia cugina, già malata, che mi seguiva e mi aspettava all’arrivo.  Correre mi ha sicuramente cambiato la vita e reso una persona migliore”.

Cosa significa essere un Running Motivator?

“Ho ideato questa figura 10 anni fa. Non sono un personal trainer o un allenatore, ma una persona capace di portare chiunque dal divano al parco perché, come cita il mio hashtag, #insiemepuoi. Metto la mia esperienza al servizio degli altri e li motivo alla corsa. Essendo empatico, quando mi alleno con qualcuno lo ascolto e creo un rapporto vero. Inoltre, avendo partecipato a tante manifestazioni sportive e avendone create a mia volta parecchie, ho percorso migliaia di chilometri con la gente che mi ha regalato la propria storia, che uso come proprietà transitiva. Se uomini e donne con problemi personali gravi hanno trovato nella corsa una motivazione per cambiare la loro vita o comunque migliorala, può farlo chiunque. Oggi si rivolgono a me circa 300 persone e si tratta sia di aziende come Europe Assistance o Shiseido, sia singoli individui che amano il running o vogliono dedicarsi alla corsa. Io li motivo, li preparo, ma quando hanno raggiunto l’obiettivo lascio che procedano da soli e tanti hanno anche partecipato a delle maratone. Tra chi corre solamente, la maggioranza sono donne: ammiro la loro determinazione e la capacità di mettersi alla prova”.

Tra i tuoi progetti di successo c’è stata l’Ecomaretona

“Nel 2008 ho creato ed organizzato quella che è stata la più lunga corsa a tappe in favore dell’ambiente e dello sport pulito, che ha coinvolto centinaia di associazioni sportive e tanti appassionati. L’evento ha avuto un grande successo ed ha contato 5 edizioni: la prima da Ventimiglia a Reggio Calabria, la seconda nel 2009 da Reggio Calabria a Trieste, nel 2010 in Sardegna e in Sicilia, nel 2014 da Ventimiglia a Reggio Calabria e nel 2015 da Trieste a Ventimiglia. I giorni di corsa sono stati circa 300 per un totale di 40.000 partecipanti. Ogni giorno, con il team, cambiavamo posto, incontravamo persone e inviavamo il reportage ai media partner che erano Radio2, Radio Montecarlo e la rivista Correre. Per me è stata un’esperienza unica condividere questa passione con tutti coloro che ho incontrato lungo le diverse tappe. Per questa attività ho ricevuto, e ne sono molto orgoglioso, due medaglie dal Presidente della Repubblica”.

Cos’è Run&Clean?

“Il progetto unisce la corsa con l’attenzione all’ambiente. In pratica invito i runners, ma anche chi cammina, a raccogliere lattine, bottiglie e ciò che trova sul proprio percorso. Basta avere con sé un sacchetto, dei guanti protettivi e buona volontà. In Italia ci sono 7 milioni di persone che corrono ogni settimana. Se tutti aderissero all’iniziativa avremmo parchi, sentieri, vie e spiagge più pulite. L’esempio è più importante delle parole, per questo mi impegno in prima persona e metto faccia e gambe in ogni mia idea”.

Un’altra bella iniziativa è Girls Just Wanna Have Run

“Si tratta di un progetto gratuito dedicato alla sicurezza delle donne che corrono, ma desidero che a parlarne sia Margherita Cavaglià, che è l’ideatrice”.

Margherita Cavaglià (che abbiamo raggiunto al telefono) spiega: “Ho sempre fatto agonismo di canottaggio e il fiume e il parco del Valentino li ho vissuti tanto poi, 3 anni fa, sono stata aggredita mentre stavo correndo alle 3 del pomeriggio. Mi sono spaventata e ho smesso di correre per 2 anni, optando per la palestra. Nel dicembre del 2019 ho deciso di ricominciare e ho cercato dei gruppi, ma non ho trovato nulla dedicato alle donne, così ho pensato di crearlo io. Mi sono rivolta a Beppe, che ha accettato con entusiasmo di unirsi all’iniziativa. Girls Just Wanna Have Run, che riprende il titolo di una famosa canzone di Cindy Lauper, organizza uscite che sono anche dedicate alla sensibilizzazione e all’informazione.  Con noi c’è Diletta Gasperoni che è una personal trainer ed insegna degli esercizi a corpo libero per migliorare la postura e la muscolatura. Il progetto, che sta riscuotendo l’interesse di possibili sponsor di abbigliamento sportivo, è replicabile ovunque e ha grandi ricadute sul territorio. Al momento, senza pagare sponsorizzazioni su Facebook, la pagina conta circa 600 iscritte e vorremmo creare un gruppo a livello nazionale ed inserire dei corsi di sicurezza: dall’uso dei fischietti ai consigli pratici – come ad esempio non ascoltare la musica che attenua la percezione dei rumori circostanti – all’importanza di correre insieme per non essere un bersaglio dei molestatori”.

Corsa Beppe Beppe, Torino per te è?

“Se avesse il mare sarebbe il top! È comunque un luogo bellissimo in cui vivere, anche se ha perso lo spirito imprenditoriale che aveva ai tempi della Fiat. Oggi ci sono molte startup e tante iniziative importanti, ma manca un progetto di business a lungo termine. Forse dovremmo chiederci cosa vogliamo fare da grandi”.

Un tuo ricordo legato alla città?

Nel 2006 ho organizzato per Samsung il viaggio della fiamma olimpica che da Roma è arrivata a Torino attraversando l’Italia. Ho gestito il budget e l’idea nella sua totalità, vincendo una gara a livello mondiale. Per giorni ho corso e condiviso la stessa passione con le circa 250 persone, tutte fantastiche, che facevano parte del gruppo: insieme abbiamo fatto 10.500 chilometri passando anche per la Sicilia e per la Sardegna e abbiamo coinvolto 11 milioni di italiani. Con noi c’era una carovana di 16 mezzi che includeva anche Radio2 e due postazioni di dj che cambiavano la musica in base a chi incontravamo lungo il percorso. Ricordo ancora l’emozione, quando siamo arrivati a Torino, nel veder scendere le persone dai carri e baciare il suolo. È stata un’esperienza unica e di grande responsabilità che, una volta conclusa, mi ha lasciato un vuoto incredibile e mi ha portato a organizzare l’Ecomaretona”.

 

Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto

L’impatto degli inquinanti dell’aria sulle foreste e le loro funzioni

Rubrica a cura di IPLA – Istituto per le Piante da Legno e per l’ambiente

Sul finire del secolo scorso grande risalto ebbero i danni causati alle foreste, in particolare del centro Europa, dalle cosiddette “piogge acide”, rese tali a causa dell’immissione in atmosfera di anidride solforica dovuta al largo utilizzo di combustibili fossili.

Le preoccupazioni per le foreste

Oggi a preoccupare di più sono le notevoli masse di emissione di anidride carbonica (CO2) che rappresentano uno dei più urgenti problemi ambientali, giacché aumentano “l’effetto serra” con il conseguente riscaldamento generalizzato della terra. Un ulteriore elemento di criticità è rappresentato dall’eccesso di ozono. Il danno sulle piante in questo caso è correlato alla sua concentrazione in atmosfera e all’assorbimento delle foglie. Nello specifico la sua fitotossicità inibisce la fotosintesi clorofilliana danneggiando l’assorbimento di nutrienti. Con concentrazioni di ozono elevate si stima una riduzione dell’attività fotosintetica fino al 15%.

Il ciclo del carbonio

Negli ecosistemi terrestri il ciclo del carbonio permette di assorbire CO2 consentendo ai boschi di diventare “serbatoi di carbonio”. Se si favoriscono gli assorbimenti degli ecosistemi, maggiore sarà la quantità di carbonio fissata a lungo termine nella biomassa e nel suolo e minore sarà l’impatto delle emissioni in atmosfera.

foreste

Il protocollo di Kyoto e i successivi accordi internazionali impegnano i Paesi a ridurre le emissioni che provocano l’effetto serra e ne regolamentano la contabilizzazione secondo un mercato ufficiale che è l’ETS (Emission Trading System). Esiste inoltre la possibilità di scambiare “crediti di carbonio” nel cosiddetto mercato volontario in cui individui, società e organismi pubblici comprano crediti per mitigare le loro emissioni derivanti da produzioni industriali, trasporti, produzione di energia e altre fonti. Fra i vari progetti, oltre a quelli più diffusi nel campo delle energie rinnovabili, vi sono anche quelli in ambito forestale.

 

L’Ipla e lo studio delle foreste piemontesi

È in tale ottica che l’Ipla, a partire dagli anni 2000, per conto della Regione Piemonte, è impegnata in attività di studio e di monitoraggi finalizzati all’identificazione di tecniche di gestione delle risorse naturali (boschi e impianti per l’arboricoltura da legno) e alla contabilizzazione del carbonio in vista di un mercato regionale dei crediti. L’Ipla ha stimato che nelle foreste piemontesi (quasi 1 milione di ettari), considerando le piante e i suoli, per ogni ettaro ci siano circa 600 tonnellate di anidride carbonica stoccata, di cui oltre 200 nelle radici e nei fusti delle piante.

D’altro canto studi recenti hanno dimostrato che concentrazioni elevate di ozono possono ridurre la produttività delle foreste fino al 50%, con conseguente impatto sulla capacità delle stesse di immagazzinare l’anidride carbonica. Stiamo parlando infatti di sistemi complessi, nei quali le variabili sono molteplici e le correlazioni tra loro sono molto numerose e altrettanto complesse. Ciò premesso, è evidente l’importanza di studiare l’impatto che l’ozono può avere sulle piante e sugli ecosistemi forestali quali fornitori di servizi.

Mitimpact, il progetto di UniTO in collaborazione con Arpa e Ipla

A tale proposito, il Dipartimento di Economia e statistica dell’Università degli Studi di Torino, nell’ambito del progetto Mitimpact, in collaborazione con l’Arpa e l’Ipla, sta definendo una metodologia che permetta di stimare gli impatti dell’ozono sugli ecosistemi da un punto di vista economico.

foresteSiccome la sensibilità delle specie forestali è diversa, uno studio parallelo condotto dal Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari dell’Università degli Studi di Torino, fornirà scenari futuri su come la vegetazione si trasformerà adattandosi ai cambiamenti climatici. Si prevede quale sarà la risposta complessiva delle foreste in un quadro di progressivo innalzamento delle temperature, riduzione delle precipitazioni e aumento delle concentrazioni di alcuni inquinati dell’aria come l’ozono, favoriti dalla luce e dal calore.

Di tutto questo se ne è discusso durante un importante incontro con Corinne Le Quéré, Alto Commissario per il clima nominato dal governo francese, organizzato a Nizza lo scorso 2 febbraio dal Conseil Départemental. Corinne Le Quéré, che è anche Direttrice del Tindall Centre per la ricerca sui cambiamenti climatici e reggente della cattedra per i cambiamenti climatici all’Università Est Anglia, è una climatologa di fama mondiale che ha fornito validi spunti su come proseguire la ricerca in questo campo. Le nostre foreste, apparentemente statiche, sono in realtà in continua trasformazione, sia per le naturali dinamiche ecologiche sia per le modificazioni ambientali che stanno subendo.

“Esageroma nen!” Qual è il significato di quest’espressione?

Rubrica a cura del Centro Studi Piemontesi

Esageroma nen! La traduzione letterale è “non esageriamo”, ma il senso profondo, caro a Norberto Bobbio, è la coscienza “dei propri limiti e la conseguente diffidenza per chi siede a scranna”. Una sorta di naturale understatement dell’”homo pedemontanus”: “laborioso, leale, probo, di poche parole, riservato nell’espressione dei suoi sentimenti, misurato nei gesti, obbediente, ma non servile…”.

[vedi: RENZO GANDOLFO, Conoscenza – e coscienza – attuale del
passato piemontese, Torino, Centro Studi Piemontesi, 2019 (terza ristampa)]

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

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Carpanini, l’onesto  e capace che non fu Sindaco – Badini Confalonieri l’unico grande liberale piemontese – Lettere 

Carpanini, l’onesto  e capace che non fu Sindaco

Ieri è stato l’anniversario della morte di Domenico Carpanini, vicesindaco di Castellani,candidato sindaco morto durante il primo incontro elettorale con il candidato sindaco Roberto Rosso nel 2001. Ho visto su Facebook che e’ ricordato da molti amici. Anch’io sono stato suo amico per molti anni. Quando era vicesindaco mi invitava all”’Arcardia” a colazione per sentire il mio parere sull’ amministrazione ,una cosa che non è più capitata ,come succedeva con il Sindaco Castellani che  a volte mi telefonava . Erano  persone di alto livello istituzionale e di grande moralità  politica, quasi un ossimoro. Carpanini mi stupì per suoi atteggiamenti non ideologici , laici,malgrado venisse dal PSIUP ,un partito un po’ fanatico che si pose a sinistra del PCI,partito  in cui entrò successivamente ,senza avere le caratteristiche di quelli che ancora oggi considero i  comunisti “trinariciuti”. Ricordo che nel 1992  venne candidato alla Camera ed ottenne pochissimi voti che gli impedirono di essere eletto. Fu un convinto “ migliori sta “in un partito torinese fatto di puri e duri. Con lui si poteva parlare di tutto ed era molto interessato alla cultura liberale che non aveva mai conosciuto prima  .Aveva posizioni molto esplicite su degrado urbano ed immigrazione e avrebbe voluto agire con grande decisione, ma non glielo permisero. Anche la  sua candidatura a sindaco fu molto sofferta perché contrastata da parecchi compagni di partito. Con la sua morte improvvisa diede spazio ad un allora signor nessuno come Chiamparino che da sempre non ritengo  sia stato un buon amministratore: l’eredità lasciata a Fassino fu devastante, un buco di  bilancio incolmabile. Solo in un’ occasione, ai funerali di Enrico Paulucci per cui proposi la cittadinanza onoraria che Castellani e Carpanini consegnarono alla mia presenza al maestro, non mi fu amico, ignorandomi  e fingendo quasi di non conoscermi. Cose che solo i politici sanno fare. Poi, senza scuse, cercò di riprendere i rapporti con me con la stessa cordialità di sempre. Non fu più così, almeno da parte mia, ma il dolore e lo sconcerto per la sua morte in trincea mi colpirono e mi addolorarono. Fu una morte simile a quella di Berlinguer. So che ebbe grandi dispiaceri nell’ambito famigliare e la politica limpida era rimasta l’unico interesse forte ed appassionato della sua vita. Una volta mi disse con sincerità : <<Io sono solo un impiegato di banca in aspettativa e tutti mi chiamano dottore . Questo mi imbarazza molto>>  . Una frase che non ho mai sentito da tanti finti dottori e dottoresse che imperversano nella pubblica amministrazione e nel giornalismo.
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Badini Confalonieri l’unico grande liberale piemontese

Dopo Luigi Einaudi e Marcello Soleri,  l’unica figura di spicco del liberalismo piemontese fu Vittorio Badini Confalonieri,  avvocato di grido, costituente, deputato per 5   legislature, ministro, presidente nazionale  del PLI. Fu un gentiluomo di antico stampo, anni luce distante dal politico di mestiere. Qualche volta lo incontravo sull’autobus 52 che arrivava dalla zona precollinare dove abitava. Fu uno statista importante che non badava a clientele elettorali negli anni in cui i partiti, anche il liberale, si erano degradati e nel  1976 venne battuto da un oscuro avvocato della provincia cuneese. Non furono leaders  né Alpino, né Catell, né Rotta. L’unico fu Badini Confalonieri che fu anche un grande oratore. Qualche volta venne anche al Centro “Pannunzio” e in qualche occasione fummo oratori insieme al Circolo della Stampa . Nel centenario della nascita fui l’unico a ricordarlo a Torino, non riuscii a promuovere nulla  a Cuneo  che era il suo collegio elettorale storico e neppure il Rotary, che si vantò della sua adesione, volle fare qualcosa in suo ricordo. Adesso esce una raccolta di scritti e discorsi inediti curata dal figlio Luca, autorevole docente all’Università di Torino ed unico degno  continuatore della scuola di Giovanni Getto. Essa ha per titolo” Liberali piemontesi e altri profili”,  un libro edito dal Centro  studi piemontesi. Sono ritratti di 17 personalità della politica e della vita pubblica piemontese dell’ Ottocento e del Novecento: Pellico, Barbaroux, Cavour, Brofferio, Sella, Frassati, Gobetti,  Badoglio, Soleri, Einaudi, Brosio,Verzone, Villabruna, Luciano Salza, Valletta, Cadorna, Sogno. Personaggi anche molto diversi tra loro  perché lo stile di Badini non si fermava alle pur legittime preferenze personali. Era un uomo dai vasti interessi culturali e storici. Insieme a Zanone,  fu l’ unico liberale meritevole di essere ricordato nel secondo Novecento, forse anche più di Zanone che pure fu segretario del PLI, ma non ebbe la statura di Badini Confalonieri.

Lettere           scrivere a quaglieni@gmail.com

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Il coronavirus
Ho condiviso ed apprezzato i suoi  coraggiosi articoli controcorrente sulla gestione italiana del Coronavirus dei giorni scorsi, cosa ne  pensa oggi?   Lina Teppati
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Penso che ci siano stati degli errori gravi nel mese di gennaio nel sottovalutare la situazione e alla fine di febbraio nel creare allarmismo mediatico . Continuo a non capire. In pochi giorni siamo passati dall’allarme alla tranquillità forzata .Credo comunque che Conte e Speranza siano del tutto inadeguati. Cirio in Piemonte si è distinto per equilibrio e capacità. Fontana e Zaia si sono distinti invece  per gesti e affermazioni avventate e persino stupide.
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Norma Cossetto
A Chieri il Sindaco non vuole esporre una targa in ricordo di Norma Cossetto  offerta dai consiglieri di minoranza . Mi sembra un atto di faziosità inaudito .   Luigi Alzati
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Certo,  Norma Cossetto ,martire delle foibe , va  ricordata e onorata .Non capisco perché i consiglieri di minoranza abbiano offerto la targa ,certo mi sembra assurdo non esporla in piazza Martiri delle foibe .Vorrei capire anch’io il perché di un rifiuto incomprensibile .
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Intercettazioni
Cosa pensa della legge sulle intercettazioni ? Io temo un salto nel buio.        Angela Giani
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Con la scusa dell’emergenza questa legge e’ stata approvata  anche con il voto dei renziani. Non è vero che garantisca di più la privacy. Anzi, è una minaccia  nei confronti del cittadino. E’ una  legge che lascia nelle mani dei giudici  ogni decisione su intercettazioni a trascico, assolutamente deprecabili. Il giustizialismo sta trionfando indisturbato. E’ una grave minaccia insieme all’interruzione della prescrizione, problema che è stato congelato e su cui Renzi ha ceduto.

Cinema e Food, un rapporto «insaziabile»!

Rubrica a cura di Somewhere Tour & Events

Che cosa lega il Cinema al Cibo? Al giorno d’oggi siamo abituati ad andare al cinema e gustare pop corn e dolciumi vari, a cenare in compagnia delle pay TV, a rilassarci davanti al nostro film preferito o all’ultima novità, con qualche golosità da sgranocchiare. Ma il cinema non accompagna solo il cibo: c’è un rapporto molto più stretto e profondo tra la settima arte e l’alimentazione.

Cinema e Food, così diversi ma così simili

Così diversi, eppure così simili: nel cinema, come nel cibo, proiettiamo i nostri desideri e le nostre paure. Sia cinema che cibo sono pietre miliari della comunicazione sociale e dello sviluppo relazionale: il primo appuntamento romantico ufficiale avveniva in passato proprio al cinema oppure a cena. Sullo schermo, come in cucina, l’evoluzione nasce sempre dalla sperimentazione. E questi sono solo alcuni termini che ritroviamo in entrambi i settori: “pizza” è il nome in gergo della pellicola; è di uso comune l’espressione “cucinare un film” o “dare in pasto agli spettatori”, spesso una creazione cinematografica può essere definita “pesante”, “indigesta” o “sciropposa”.

Perché il cinema e il cibo sono così legati tra loro?

In quale modo cinema e cibo si sono così legati nel tempo? Tutto ebbe inizio nel 1895, in uno dei primi lavori dei fratelli Lumière intitolato Le répas de Bebè, dove venne ripresa una delle scene di vita familiare più intime: un bambino imboccato dai genitori. Il cibo non a caso diventa protagonista dello schermo a partire dalle prime pellicole.

Le battute di numerosi film, dove il cibo è il vero protagonista, sono ormai entrate nel linguaggio di tutti i giorni. Come dimenticare la scena di Un americano a Roma (1954), dove Nando Mericoni (Alberto Sordi), estenuato dalla dieta americana, minaccia un piatto di pasta per poi avventarsi su di esso.

Ci troviamo nell’Italia degli anni ’50, dove sta dilagando il mito della cultura americana e tutto – modi di vestire, di parlare e di mangiare – sembra adeguarsi al modello oltreoceano. In questo caso la pasta è la rivincita del modo di vivere italiano su quello straniero: il protagonista del film arriva addirittura a sostituire il termine italiano “bucatini” al dispregiativo americano “maccaroni”, ma non può resistere alla loro bontà!

Cinema e food, altri esempi di questa relazione duratura

Stessa voracità, causata da differenti circostanze, è quella che spinge i personaggi di Miseria e Nobiltà (1954) ad assalire un piatto di vermicelli al pomodoro. Il film, ricordato per la scena degli spaghetti mangiati con le mani e messi in tasca, è l’emblema di Totò, maschera della fame del cinema italiano per eccellenza. Il piatto verace e popolare che viene mangiato senza dar conto alle buone maniere, in questo caso, rappresenta l’antico rituale che lega uomo e cibo, come riempimento ed appagamento. Dietro alla pittoresca immagine ripresa dal “mangiamaccheroni” napoletano, oltre alla rappresentazione della fame vera, c’è anche una grande rivincita: quella della creatività contro la sfortuna.

…ma anche cinema e dolci!

Film più recenti invece vedono come protagonisti i dolci, in particolare il cioccolato: La Fabbrica di Cioccolato del 1971 interpretata da Gene Wilder ha avuto un remake a firma Tim Burton nel 2005. A vestire i panni del proprietario della fabbrica di dolci più famosa al mondo nella nuova versione è Johnny Depp. Uno dei momenti clou è la visita alla fabbrica: un mondo sognante popolato di dolci di ogni tipo, dove c’è una sorpresa golosa ad ogni angolo come la cascata di cioccolato.

Un altro esempio famoso dello stretto legame tra cinema e food è Chocolat (2000). La cioccolataia più conosciuta del grande schermo ha il volto dolce e sensuale di Juliette Binoche. Chi non ha sognato almeno una volta di mangiare il cioccolato di Vianne Rocher e restare rinchiuso per una notte nella sua bottega?

E voi conoscete altre scene celebri in cui il cibo è il vero protagonista?

 

I crackers gluten free ai semi di lino de La Cuoca Insolita

Articolo a cura de La Cuoca Insolita

Mi ricordo che la prima volta che ho aperto un libro di ricette senza glutine, non riuscivo a capire come fosse possibile fare dei prodotti da forno…senza usare la farina! Ho richiuso il libro, pensando che era una follia e che quei crackers, probabilmente, erano anche insulsi. Ero troppo abituata a considerare veramente buoni solo i gusti che la tradizione mi tramandava. Poi un giorno mi sono accorta che avevo da troppo tempo una busta intera di semi di lino a casa… Non volevo rischiare di buttarla, così mi sono ritrovata a sfogliare quel vecchio libro e questa volta ho deciso di fare una prova. Avevo tutto in casa e la ricetta richiedeva pochissime lavorazioni.
Quella sera c’erano a casa i miei suoceri:
– “Che profumino… Cos’hai preparato di buono oggi?”
– “Volete assaggiare?”.
– Sorriso soddisfatto, che voleva dire: “Sì, grazie!”
Finita tutta la teglia prima di cena.

Tempi: Ammollo semi (1h30); Preparazione (15 min); Cottura (2h30 min); 

Attrezzatura necessaria: Colino, robot da cucina tritatutto, coltello a lama liscia e tagliere, leccarda o teglia da forno 30 x 22 cm, carta da forno

Difficoltà (da 1 a 3): 1

Costo totale: 2,39 €

Ingredienti (per circa 300 g di crackers): 

  • Semi di lino – 100 g
  • Mandorle sgusciate – 50 g
  • Pomodori secchi reidratati – 50 g 
  • Capperi sotto sale – 15 g

Perché vi consiglio questa ricetta?

  • E’ adatta ai celiaci ed è senza farina.
  • Non fa alzare la glicemia (al contrario di pane, grissini o crackers).
  • a il 30% di calorie in meno rispetto ai crackers comuni!
  • I semi di lino in questa ricetta portano due benefici principali: l’elevato potere saziante e l’apporto di molti sali minerali (altre proprietà benefiche invece qui si perdono, per via della  cottura).
  • Le mandorle forniscono molto calcio e sono utilissime per lo sviluppo delle ossa nei bambini e per la prevenzione dell’osteoporosi nelle persone adulte.

Approfondimenti e i consigli per l’acquisto degli “ingredienti insoliti” a questo link.

In caso di allergie… Allergeni presenti: frutta a guscio.

Preparazione dei crackers

Fase 1: AMMOLLO DEI SEMI DI LINO

Mettete in ammollo i semi di lino per almeno 1h30 circa 750 ml di acqua. Al termine i semi saranno aumentati molto di volume e la loro consistenza sarà gelatinosa. Poneteli in un colino per eliminare tutta l’acqua in eccesso. 

Crackers di Lino

FASE 2: LA MISCELA DEGLI INGREDIENTI

Tritate grossolanamente le mandorle con il robot tritatutto (se non lo avete potete usate coltello e tagliere ma sarà un po’ meno veloce). Tritate invece più finemente i pomodori secchi insieme ai capperi, che avrete precedentemente risciacquato per togliere l’eccesso di sale. Unite tutti gli ingredienti ai semi di lino scolati. Disponete sulla leccarda o nella teglia, su carta da forno, formando uno strato che livellerete bene con il dorso di un cucchiaio fino ad uno spessore di 2-3 mm (deve essere sottile, altrimenti a fine cottura i crackers non saranno croccanti).

FASE 3: LA COTTURA

Accendete il forno a 100° C e una volta caldo infornate e cuocete per 2h. Sfornate e capovolgete lo strato sul lato opposto e fate cuocere ancora per 30 minuti, in modo che anche questo perda la sua umidità residua. A fine cottura la superficie dei crackers dovrà essere piuttosto dura al tatto. Spezzettate tutto lo strato in piccoli pezzetti della dimensione dei crackers e portate in tavola. 

Chi è La Cuoca Insolita?

La Cuoca Insolita (Elsa Panini) è nata e vive a Torino. E’ biologa, esperta in Igiene e Sicurezza Alimentare per la ristorazione, in cucina da sempre per passione. Qualche anno fa ha scoperto di avere il diabete insulino-dipendente e ha dovuto cambiare il suo modo di mangiare. Sentendo il desiderio di aiutare chi, come lei, vuole modificare qualche abitudine a tavola, ha creato un blog e organizza corsi di cucina. Il punto fermo è sempre questo: regalare la gioia di mangiare con gusto, anche quando si cerca qualcosa di più sano, si vuole perdere peso, tenere a bada glicemia e colesterolo alto o in caso di intolleranze o allergie alimentari.