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Essere donna, avere dei figli, voler lavorare

ADESSO! di Silvia Garda / In Italia una donna che segue i suoi figli fa la mamma. In Italia un papà che segue i suoi figli, fa il mammo

In Italia una mamma che lavora, cucina, consola, parla con le maestre, mette a nanna, fa ciò che ci si aspetta da lei.

In Italia un papà che lavora, cucina, consola, parla con le maestre, mette a nanna, è tanto carino perchè aiuta la mamma.

In Italia una mamma che non lavora per stare con i suoi bambini, non è in grado di coordinare il suo lavoro con il suo ruolo genitoriale.

In Italia un papà che non lavora per stare con i suoi bambini è coraggioso e generoso perchè si sacrifica per la sua famiglia e lascia che la moglie si realizzi.

Perchè tutte queste differenze? Perchè, per quanto se ne parli, in Italia la donna è ancora prima di tutto, molto mamma. A noi ai colloqui di lavoro viene chiesto, tra le righe perchè non si potrebbe, se desideriamo dei figli, solitamente camuffando con: tra cinque anni come ti vedi? A noi viene chiesto alle cene di Natale: e un bambino? Quand’è che me lo fai un bel nipotino?

Immaginatevi se queste cose venissero chieste agli uomini. Impensabile, vero?

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Con pecore e conigli si prepara un pranzo, non la rinascita dell’Italia

COMMENTARII  Di Augusto Grandi / No, non ci sarà nessun Rinascimento, nessun Risorgimento, nessun Boom economico. Con le pecore, con i conigli si può preparare il pranzo di Pasqua, certo non si può pensare al rilancio, alla crescita.

Nei giorni di prigionia è utile scorrere le bacheche sui social. Perché offrono uno spaccato di una realtà italiana demoralizzante, se non disgustosa.

Una vittima del terrore imposto prova, timidamente, a chiedere le ragioni per le quali lei e famiglia non possono andare a respirare aria pulita nella loro casa di vacanze. E, implacabile, il coniglio di turno dispensa pillole di saggezza: “Non si deve andare nelle seconde case perché qualcuno potrebbe approfittarne per invitare 20 amici e sarebbe impossibile il controllo”. Con la stessa ferrea logica bisognerebbe vietare la circolazione stradale poiché qualcuno potrebbe provocare incidenti automobilistici. Colpire tutti per educarne uno. Non era proprio così, ma in epoca di Stato Libero di Bananas va bene tutto…

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Con pecore e conigli si prepara un pranzo, non la rinascita dell’Italia

I libri più letti e commentati nel mese di aprile

Torna, puntuale, l’appuntamento con i libri più letti e commentati nel gruppo FB Un libro tira l’altro ovvero il passaparola dei libri.

Tra i titoli più discussi del mese troviamo, al primo posto, La sedia vuota di Jeffrey Deaver, che continua a  convincere i lettori per la forza delle descrizioni e il carattere avvincente della trama; secondo posto per Il vecchio che leggeva romanzi d’amore, capolavoro del compianto Luis Sepulveda, autore molto amato e sempre presente nei post del gruppo; terzo posto per La città dei ragazzi, di Eraldo Affinati, lettura “di nicchia” ma che ha saputo incuriosire i membri del nostro gruppo con un interessante scambio di opinioni sui libri destinati ai lettori più giovani.

Torna la rubrica sui consigli delle librerie: questo mese a suggerire tre imperdibili letture, tocca alla Libreria Bianca & Volta di Riccione che propone La manutenzione dei sensi, di Franco Faggiani (Fazi editore), perché con delicatezza e sensibilità racconta come sia possibile affrontare le difficoltà più grandi, lasciandoci un senso di leggerezza e amore per la vita; La tigre, di Polly Clark (Atlantide edizioni), particolare, bellissimo e intenso; infine l’albo illustrato L’anima smarrita (Topipittori), scritto da Olga Tokarczuk, Nobel per la letteratura, che con poesia ci ricorda quali sono le cose davvero fondamentali della vita.

 

Per la serie: Time’s List of the 100 Best Novels, ovvero i cento romanzi più importanti del secolo XX, scritti in inglese e selezionati dai critici letterari per la rivista Times, questo mese abbiamo preso in esame tre romanzi ambientati nelle vecchie colonie: Una casa per Mr Biswas, di V.S. Naipaul, bizzarro e divertente romanzo di formazione “al contrario” ; il profondo  “prequel” di Jane Eyre Il Grande Mare dei Sargassi, di Jean Rhys il malinconico e struggente Il Nocciolo della Questione, di Graham Greene.

Per questo mese è tutto, ci rileggeremo il mese prossimo!

 

Podio del mese

La sedia vuota, Deaver (BUR) – Il vecchio che leggeva romanzi d’amore, Sepulveda (Guanda) –  La città dei ragazzi, Affinati (Mondadori)

 

Time’s List of the 100 Best Novels:

Una casa per Mr Biswas, Naipaul (Adelphi) – Il grande mare dei Sargassi (Adelphi) – Il nocciolo della questione (Fanucci)

 

Consigli della libreria

Libreria Bianca & Volta di Riccione

La manutenzione dei sensi, Faggiani (Fazi editore), – La tigre, Clark (Atlantide edizioni), L’anima smarrita, Tokarczuk (Topipittori).

 

Testi di Valentina Leoni, grafica e impaginazione di Claudio Cantini redazione@unlibrotiralaltroovveroilpassaparoladeilibri.it

Coronavirus e industrie, tra rinascita e resistenza per il presidente dei GGI Alberto Lazzaro

Rubrica a cura di ScattoTorino

Laureato in Ingegneria Biomedica al Politecnico di Torino, Alberto Lazzaro è una persona illuminata che conosce la differenza tra essere imprenditore e fare l’imprenditore. Nel 2012 ha fondato la Twocare srl, startup che operava nella progettazione e nella produzione di impianti dentali in materiale ossidico ceramico grazie alla quale ha vinto il premio Talento per le idee indetto da Unicredit. Nel 2014 ha aperto gli ambulatori mono-specialistici odontoiatrici Cliniche Dentali My Dental Family srl che gli hanno consentito di avere una visione completa del mercato, dal produttore al consumatore finale, e che gli hanno permesso di avere un osservatorio privilegiato sulle novità del settore così da poter proporre ai clienti le migliori innovazioni tecnologiche. Oltre ai due ambulatori, Alberto Lazzaro è socio della Wisildent srl dal 2010, azienda certificata che progetta, produce e commercializza componentistiche e protesi customizzate per l’odontoiatria secondo dinamiche industriali e sistemi di produzione automatizzati. Lungimirante e attento al contesto socio-economico in cui opera, questo manager dalla visione innovativa nel 2012 è entrato a far parte del Gruppo Giovani Imprenditori dell’Unione Industriale di Torino, nel 2016 ne è diventato Vice Presidente con delega all’Education e Cultura di Impresa e dal maggio dello scorso anno ne è alla guida.

Quali sono gli obiettivi del suo mandato, che terminerà nel 2021?

“Quando mi sono insediato ho fatto un discorso orientato sui temi della formazione, che per me ha quattro significati. C’è la formazione dell’imprenditore, che ha per obiettivo crescere come esperto sui temi dell’imprenditorialità, c’è la formazione per essere a disposizione del territorio, intesa come cultura di impresa per il territorio. Poi c’è la formazione imprenditoriale per i collaboratori, perché non siamo più nell’era dei dipendenti, ma abbiamo bisogno di persone che si formino e che ogni giorno siano imprenditori di loro stessi e del loro lavoro. Infine c’è la formazione legata alla parola, nel senso che forma e azione sono coerenti e fanno parte del modo di vivere e di essere di ciascuno di noi”.

Il Direttivo dei GGI

Come Presidente, in questo periodo come è vicino ai Giovani Imprenditori?

“In uno scenario come questo in cui tutti siamo fermi a casa, ho chiesto di fare il contrario e di formarsi per se stessi e per la comunità. Tutti hanno accolto la mia proposta e hanno creato la Commissione Ripresa coordinata da Roberto Rosati, in cui ci sono progetti per valorizzare le imprese del territorio che sono state ferme, o che hanno avuto un calo di fatturato notevole, in modo da rilanciarsi più velocemente nel post Covid-19. Il pool di aziende che ha aderito in questo momento lavora pro bono, ma dopo potrà sviluppare delle sinergie concrete. Tutti i partecipanti hanno messo a disposizione i propri skills, dalla comunicazione all’IT, e si incontrano una volta alla settimana, rigorosamente online, per fare il punto della situazione. Da qui è nata anche un’altra campagna che verte sul tema della responsabilità, a prescindere che l’azienda sia aperta o chiusa”.

Responsabilità significa?

“Le imprese che in questo periodo sono aperte non lo fanno per profitto, ma per un senso di responsabilità e per il bene di chi sta a casa, perché offrono prodotti o servizi fondamentali per il territorio. Quando parliamo di aziende, bisogna ricordare che senza le persone sono soggetti giuridici vuoti e mai come in questa emergenza è chiaro che non esiste più la dicotomia tra imprenditore e collaboratore, ma tra chi è responsabile e chi non lo è. Forse il periodo aiuta a capire che lavoriamo tutti per il bene della comunità alla quale apparteniamo. Spero che decada la diatriba tra io contro di te, ma che la dicotomia sia tra onesti e disonesti. In questi giorni impegnativi i fornitori e i clienti parlano di più, si raccontano le difficoltà e c’è una maggiore collaborazione dettata dal senso di responsabilità. Quando si dice che esiste il lavoro a tempo indeterminato, dobbiamo ricordarci che c’è un contratto a tempo indeterminato solo se l’azienda è a tempo indeterminato. O impariamo a prenderci cura del bene dell’impresa oppure il sistema decadrà e questo non dipenderà dall’imprenditore e neppure dal collaboratore”.

Quali skills deve avere, secondo lei, l’imprenditore di oggi?

“L’imprenditore non ha, l’imprenditore è. Per me non è colui che ha una partita iva, ma una persona che pensa e agisce. Saper trovare la soluzione è il vero skill. Nel Gruppo Giovani Imprenditori dell’Unione Industriale di Torino, come anche a livello nazionale, siamo trasversali perché non viviamo la competizione, ma la condivisione e la collaborazione che fa crescere le persone. Vincenzo Boccia diceva che chi fa parte del Gruppo Giovani lo farà per sempre e spero che questo sia un collante per tutti”.

Ci presenta il Progetto Rientro da Covid-19?

“Il Dottor Pietro Stopponi, con gli alumni della University Chicago Booth School of Business, hanno studiato un progetto di contenimento del virus sull’esempio di quanto è stato fatto in Corea del Sud in cui c’è stato un utilizzo coordinato di tecnologie informatiche, tamponi e test validati, strumenti di analisi e diagnostica clinica, protocolli di azione e normative. Il Dottor Stopponi mi ha telefonato e mi ha detto che secondo lui le aziende il 4 maggio devono riaprire, ma seguendo dei protocolli di sicurezza. Quella che mi ha proposto è una metodologia integrata per la creazione di un sistema di monitoraggio in tempo reale delle persone: faremo un test pilota su mille individui che lavorano nelle aziende. Il sistema distinguerà i soggetti contagiati, quelli potenzialmente infetti e quelli negativi, permettendo così, in abbinamento con le altre misure governative, il riavvio delle imprese e il rientro graduale e controllato alle normali attività sociali. La Regione Piemonte e la Città di Torino ci appoggiano e questo ci fa capire che non ci sono più le vecchie divergenze di un tempo, ma è arrivato il momento dell’unità. Sto dialogando anche con i sindacalisti e stiamo trasformando il periodo in un’opportunità per cercare di risolvere il problema”.

In che modo il Gruppo Giovani Imprenditori utilizza il modello coreano per l’imprenditoria?

“Faremo da test con alcune aziende non solo del territorio, ma anche a livello nazionale, per questo progetto pilota che, se porterà risultati, verrà utilizzato da molti. Al momento tutti i progetti sono validi e possono funzionare perché danno sempre maggiori indicazioni alla scienza”.

Le istituzioni quali prospettive vedono per il tessuto aziendale cittadino?

“Sia la Città che la Regione vogliono tornare velocemente ad una situazione di nuova normalità. Tutti vedono il percorso da fare insieme e stanno collaborando per venirne fuori. Non esiste la soluzione, ma c’è la volontà di essere uniti. Spero che le persone si stringano intorno alle istituzioni perché ci vuole responsabilità da parte di tutti”.

Di cosa si occupa Wisildent, l’azienda della quale è socio?

“La nostra attività consiste nella produzione e nella commercializzazione di manufatti e protesi con macchinari di ultima generazione. In questo periodo siamo aperti per la gestione delle urgenze e abbiamo aumentato il nostro senso di responsabilità in modo da fornire quanto ci viene richiesto dai dentisti e dagli odontotecnici. I collaboratori di Wisildent hanno dimostrato una grande vicinanza all’impresa. Abbiamo una chat e tutti hanno postato ciò che hanno fatto a livello di formazione personale e di gruppo. Devo ringraziare i collaboratori perché potevano essere seccati per la cassa integrazione e invece hanno colto l’opportunità per essere ancora più uniti tra loro e con noi.

In Wisildent la trasparenza è importante e ogni anno ci incontriamo per fare il punto, capire dove andremo, evidenziare le difficoltà e i punti di forza. Per noi smart working vuol dire lavorare in modo flessibile e supportarsi e in azienda lo facevamo già prima del Covid-19 perché la collaborazione per noi è un requisito fondamentale. Anche se siamo in 12, utilizziamo le dinamiche delle grandi aziende e siamo suddivisi in business unit in cui il dialogo è la base per lavorare in armonia ed evolvere insieme. In 4 anni siamo cresciuti con una media del +20% annuo e speriamo che il virus non arresti la scalata che stiamo facendo grazie ai collaboratori”.

Torino per lei è?

“I miei genitori sono di Bronte, vicino a Catania, e si sono trasferiti al Nord quando erano giovani. Per me Torino è la città della rinascita perché da sempre è risorta da ogni gigantesco problema. Quando ha perso il ruolo di capitale d’Italia si è trasformata in capitale dell’industria e quando l’industria ha avuto problemi ha puntato sulla cultura e sugli eventi. Quando c’è un problema Torino sa rinnovarsi, per cui sono certo che il Covid-19 sarà per la città un momento di cambiamento e crescita. Come Gruppo Giovani Imprenditori dell’Unione Industriale di Torino siamo a disposizione di istituzioni e aziende per mettere a fattor comune le nostre capacità”.

Un ricordo legato alla città?

“Durante le Olimpiadi ero uno dei driver, oltre che interprete per la squadra di giornalisti canadesi. Ho lavorato per la TV CBC news che si occupava degli eventi in Piemonte e, sapendo bene l’inglese, spesso parlavo io. Ero orgoglioso di poter far conoscere Torino e la nostra regione al mondo e ancora oggi sono in contatto con il direttore di CBC news in Canada”.

Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto
Ph: Claudio Ferrero

Cerimonie religiose vietate. Ma nei momenti bui la fede è conforto e coesione

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IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / La decisione del governo di continuare a vietare le cerimonie religiose cattoliche e, penso, tutte le cerimonie religiose in generale, ha sollevato la protesta della Conferenza episcopale italiana, sconfessata dallo stesso Papa  Francesco  che ha sostenuto che si deve obbedire alla restrizioni del governo per la pandemia

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Si tratta di scelte che meritano una riflessione. La prima riguarda più in generale il modo in cui  oggi il fatto religioso è stato relegato ad elemento marginale, a cosa considerata a priori come opzionale, dimenticando  totalmente le ragioni dei credenti. La scelta del governo sancisce questa percezione del fatto religioso  in  cui la Chiesa è messa  sullo stesso piano di un museo o di un teatro. Le chiese nella storia dei popoli e dell’italiano in modo particolare, non sono solo dei locali magari artisticamente belli e storicamente importanti. Le chiese sono luoghi  di culto di cui la Messa e l’Eucarestia sono il momento più alto e come tali vanno considerati. Quando si vedono d’estate turisti che vogliono entrare a visitare una chiesa in abbigliamento non idoneo abbiamo un’idea di come non si abbia più rispetto del luogo religioso, visto esclusivamente come uno scrigno d’arte. E’  certo indispensabile usare la mascherina e i guanti e mantenere le distanze di sicurezza  anzi ,doveva essere fatto molto prima), ma privare i fedeli del conforto dei sacramenti viola lo stesso principio costituzionale della libertà di culto in modo ingiustificato.
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Significa manifestare  un implicito e rozzo materialismo che nega ogni valore al sacro. Posso liberamente accedere in tabaccheria a rifornirsi di sigarette, ma non in chiesa,appare qualcosa che stride anche di fronte alla logica. E ciò vale per tutte le confessioni religiose, ovviamente. Il virus ha fatto venire a galla una concezione  della vita che si limita a vedere la salvezza della propria pelle come unico vero valore, magari consentendo, sul versante opposto, l’eutanasia  proprio perché la vita biologica resta l’unico metro di giudizio. Anche Machiavelli e persino Gramsci vedevano nella religione un elemento “aggregativo” per un popolo. Sarebbe importante riprendere alcune loro riflessioni in merito. In particolare nei momenti bui, ogni religione è stata motivo di conforto e di coesione sociale. E’ la storia a dimostrarlo in modo inconfutabile. Un amico sacerdote di Alassio già molti anni fa mi metteva in evidenza come la tenuta sociale dell’ Italia sia in larga misura  dovuta al mondo cattolico  e ai suoi valori che si oppongono al nichilismo cinico pervadente.
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Mi sembra naturale che la CEI non potesse tacere ulteriormente, anche se il tono usato è apparso un po’ troppo forte e risentito. Va detto che una libera Chiesa in un libero Stato debba poter esercitare, pur con tutte le cautele necessarie, la sua attività pastorale. In questo caso va detto che sorge qualche dubbio sul fatto che viviamo in un libero Stato. I troppi e pasticciati decreti del presidente del Consiglio hanno leso principi costituzionali e hanno svuotato il ruolo del Parlamento.Illustri giuristi hanno lanciato l’allarme.  La smentita del documento della CEI da parte del Papa appare abbastanza singolare. Questo Papa, fin dall’inizio, ha dimostrato di non voler essere clericale e questo è un suo merito storico. Ha voluto vedere la religione come qualcosa di molto vicino ai problemi concreti dell’ uomo e anche in questa occasione ha voluto ribadirlo. Ma sorge legittimo il dubbio se anche il Papa non dia la dovuta rilevanza al fatto religioso. Appare un paradosso incredibile, ma qualche sospetto diventa legittimo. Certo la pandemia si sta rivelando un accadimento sconvolgente non solo per la morte e le sofferenze che semina, i drammi economici e sociali che provoca, ma anche i dubbi che determina.
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Scrivere a quaglieni@gmail.com

L’isola del libro

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Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

 

Emmanuelle De Villepin  “Dall’altra riva”    -Longanesi-    euro 18,60

“Tutte le famiglie felici sono simili tra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”. Questo incipit di Tolstoj ad “Anna Karenina” potrebbe applicarsi perfettamente all’ultimo bellissimo romanzo della scrittrice francese Emmanuelle De Villepin che, ancora una volta, dedica la sua sensibilità ai meandri affettivi di una famiglia che vi resterà nel cuore.

Inizia con un funerale, punto di arrivo ma anche di partenza. Siamo in Normandia e davanti al feretro del padre -che non vedeva da 40 anni- arriva Nora, la figlia che se n’era andata non sopportando più il dolore cha aveva attanagliato la sua famiglia.

Approdo che è anche l’avvio di una resa dei conti con chi non c’è più, preludio a chiarimenti e scoperte. L’autrice si addentra con la sua consueta grazia in una vicenda familiare attraversata da abbandono, lutti, amore, solitudine, inadeguatezza rispetto agli impegni affettivi, senso della vita e della morte. Convinta che la letteratura sia una grande indagine sull’animo umano, la De Villepen racconta senza mai giudicare, ed è abilissima nello scandagliare i fondali. Lo fa attraverso una sorta di gioco di specchi in cui si alternano le voci dei due personaggi femminili centrali.

Una è quella di Nadege, donna tormentata che ha lasciato senza più voltarsi indietro marito e tre figli piccoli; non tanto per seguire la passione travolgente per il figlio di amici che ha 15 anni meno di lei, quanto piuttosto per sfuggire a una vita che non sembra le appartenga e a un marito che trova noioso. Uno strappo netto e senza ritorno che lei spiegherà in un diario destinato alle figlie.

Ma non sarà l’unica disperazione che schianta questa famiglia. Un altro tipo di abbandono, irreparabile, coinvolge il figlio 12enne, Mathieu. Tragedia che finirà per dilaniare quello che resta del padre scivolato nella depressione e delle due figlie: la responsabile e matura Apolline e la sorella minore Nora. E’ sua la seconda voce narrante, con la sua versione dei fatti e il suo bagaglio di vissuto. Nora, che non aveva retto il carico di sofferenza all’interno delle pareti domestiche e se ne era andata via dopo il diploma, un taglio netto del cordone ombelicale.

Ecco la tela di questo affresco familiare che tocca corde intime e profonde, senza sdolcinature né pregiudizi. E su tutto aleggia l’opera “L’isola dei morti” del pittore svizzero Anold Böcklin, di struggente bellezza.

 

Hamilton Basso  “La vista da Pompey’s Head”  -Nutrimenti-  euro 22,00

Questo è uno dei capolavori dimenticati della letteratura americana, pubblicato nel 1954 dal giornalista del New Yorker Hamilton Basso (nato a New Orleans nel 1904, morto nel Connecticut nel 1964), finalista al National Book Award dell’epoca, e diventato un film diretto dal regista Philip Dunne nel 1955.  Davvero un peccato l’oblio per tanto tempo e un applauso all’editore Nutrimenti che ce lo  riconsegna.

E’ la bellissima storia del ritorno di un avvocato di New York al suo paese natio, nel South Carolina, per risolvere un’oscura vicenda che anticipa il tema del celebre “Il buio oltre la siepe” di Harper Lee del 1960 (diventato anche un film interpretato da uno strepitoso Gregory Peck).

Anson Page è il brillante avvocato socio di uno studio newyorkese che rappresenta case editrici prestigiose, felicemente sposato e con due figli. Deve chiarire e chiudere una vertenza scottante: Lucy Wales, moglie del famoso scrittore Garvin Wales, ormai anziano e cieco, accusa  lo scomparso e stimato editore Philip Greene di aver  prelevato ingenti somme dai diritti d’autore del marito. I Wales vivono isolati dal resto del mondo su un’isola del South Carolina che Anson conosce bene perché è nato a due passi da lì. Eccolo tornare a Pompey’ Heard, in quel Sud da cui era scappato da giovane, disgustato dalla mentalità retrograda e razzista, che aveva visto cadere in disgrazia il padre per aver difeso un uomo di colore in un processo contro un illustre cittadino bianco. Deve incontrare la dispotica e diffidente Lucy Wales, strenua protettrice della privacy del marito che nessuno vede più da anni, e chiudere il caso. Sarà l’occasione per Anson di fare un complesso tuffo carpiato all’indietro, nelle amicizie e negli amori di un tempo, nelle contraddizioni di una terra bellissima, ma soffocata da pregiudizi, ottusità e pettegolezzi. Un romanzo corposo ed elegante, uno spaccato del Sud – forse più attuale di quello che pensiamo-che vi trascinerà per oltre 500 pagine fino a un epilogo emblematico.

 

Amitav Gosh  “L’isola dei fucili”  – Neri Pozza-   euro 18,00

Cambiamento climatico e migrazioni sono al centro dell’ultimo libro di uno dei più importanti  scrittori  indiani contemporanei, che veleggia tra saggio e romanzo. Narra la straordinaria avventura del commerciante di libri rari e oggetti di antiquariato Deen Datta, nato nel Bengala, che vive e lavora a Brooklyn.

Durante uno dei suoi periodici viaggi a Calcutta incontra un lontano parente che per sfidare la sua nomea di profondo conoscitore di folklore indiano, gli racconta una storia affascinante. E’ quella del ricco “mercante di fucili” Bonduky Sadagar che aveva scatenato l’ira della dea dei serpenti Manasa Devi, perché si era rifiutato di diventare un suo devoto. Per  ritrovarne traccia, Deen Datta  intraprende un avventuroso viaggio a spasso nei secoli, in miti e leggende, e attraverso vari confini, dall’India a Los Angeles fino a Venezia.

Archetipo di queste pagine è la dea dei serpenti alla quale è dedicato un tempio nelle Sundarbans, in India, tra Bangladesh e Bengala occidentale, frontiera naturale in cui si scontrano natura e profitto. La più grande foresta di mangrovie al mondo, brulicante di serpi e creature velenose, una delle aree più povere del pianeta, funestata da cicloni devastanti, cambiamenti climatici e classificata dal WWF come eco regione. E’ in questo scenario -perfetto per incarnare il disastro- che Amitav Gosh intreccia i suoi sogni, le sue ossessioni, cronaca e storia, simboli e metafore, ed incrocia vissuto personale con il futuro possibile del globo, tra cambi di scena ecologici e culturali.

Il senso della Libertà

PAROLE ROSSE  di Roberto Placido / Questo 25 aprile 2020 lo ricorderemo a lungo. La Festa nazionale della Liberazione da settantacinque anni ci ricorda da dove nasce la Repubblica Italiana e soprattutto grazie a chi il nostro paese ha riacquistato, oltre alla dignità, la libertà e la democrazia. Per troppi anni è stata relegata, oltre ad un giorno di festa da scuola e dal lavoro, a cerimonia istituzionale ristretta ai rappresentanti delle istituzioni, delle associazioni della resistenza, ai partigiani ed i loro famigliari ed a quanti, una minoranza, hanno sempre avuto una forte sensibilità democratica.

Con il passare degli anni e con la naturale e fisiologica scomparsa dei protagonisti di quello straordinario periodo è sorto il problema di tramandare la loro esperienza e valori e di coinvolgere le giovani generazioni. Periodicamente abbiamo assistito a tentativi revisionistici da parte della destra neofascista o ex fascista e da qualche storico di sinistra o presunto tale. Anche quest’anno, perdendo l’occasione di dare un segno di maturità quanto mai necessario in una situazione emergenziale da destra è arrivata la proposta di dedicare il 25 aprile alle vittime del Corona Virus. Proposta tanto irricevibile quanto idiota. L’ipocrisia porta a non avere il coraggio di chiamare le cose con il proprio nome.

Se si fosse mantenuto lo spirito e la composizione delle forze che hanno animato le formazioni partigiane il 25 aprile sarebbe stata vissuta con una partecipazione e condivisione se non unanime, impossibile, certamente in misura decisamente maggiore. Voglio ricordare che nel Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) e nelle formazioni partigiane c’erano rappresentanti socialisti, comunisti, cattolici democratici, liberali, repubblicani, monarchici ed azionisti. Quindi, mi riferisco specialmente ad una parte della sinistra che ha cercato di appropriarsi della “resistenza”, la Resistenza non era e non è di una parte sola, ad essa hanno partecipato, dando sostegno e copertura, operai, impiegati, contadini, civili, preti e suore e molti rappresentanti delle forze dell’ordine. Per chi fosse interessato c’è una bella pubblicazione del Comando generale dell’Arma dei Carabinieri sul ruolo dei Carabinieri durante la lotta di Liberazione. Un altro elemento da confutare è quello della territorialità, si è svolta solo al nord dell’Italia. Chi lo sostiene dimentica o fa finta di dimenticare lo sbarco alleato, la “ linea gotica” e l’Italia divisa in due. Problema risolto dalla folta e numerosa, molte migliaia, presenza di meridionali nelle formazioni partigiane. Uno su tutti il comandante del CLN che liberò Torino, Pompeo Colajanni, nome di battaglia “Barbato”, siciliano, ufficiale della cavalleria. Sul ruolo e sulla partecipazione dei meridionali alla lotta di liberazione voglio ricordare il convegno organizzato dal Consiglio Regionale del Piemonte il 16 giugno 2013 al Teatro Carignano a Torino.

Per concludere su di un altro elemento, spesso riproposto, quello degli esigui numeri dei partigiani, rammento che alla lotta di Liberazione hanno contribuito sicuramente le formazioni partigiane, i molti civili, ed, non si possono dimenticare e lo sono stati per troppo tempo, i seicentomila internati militari italiani (IMI) che rifiutarono di combattere per la repubblica di Salò e preferirono i campi di concentramento pagando un prezzo altissimo in termini di vite umane e privazioni. Tutto questo è la storia passata e recente ma la vera particolarità, che mi ha fatto riflettere, di questo 25 aprile è l’essere tutti “prigionieri” in casa da quasi due mesi. Festeggiare la Liberazione stando chiusi in casa, segregati quasi volontariamente, un ossimoro, per combattere un nemico invisibile e quindi più subdolo, non può che fare riflettere sul senso e sul valore della libertà. E’ proprio vero che una cosa l’apprezzi molto di più quando non ce l’hai, quasi, più o ti viene a mancare. Forse è per questo senso di privazione, di mancanza, che ci sono state un numero straordinario di manifestazioni e di iniziative con una partecipazione e condivisione che ci dà la percezione tangibile di essere liberi pur essendo “prigionieri” e segregati. La libertà e la democrazia sono, insieme alla Costituzione, i più importanti dei grandi “regali” che ci hanno portato la Resistenza e la lotta di liberazione.

La Cuoca Insolita propone: i ravioloni #celafaremo

Tra qualche giorno sarà il 25 aprile, la Festa della Liberazione. È una data importante per l’Italia e quest’anno la sentiamo con maggiore intensità. Ci siamo stretti e continueremo a farlo, da lontano, per alleviare il peso di vivere un momento così complicato, in cui tante persone lavorano per il resto dei cittadini, con un fortissimo senso di altruismo, tanti lottano contro una malattia e tanti aspettano pazienti che arrivino tempi migliori, grati verso chi li aiuta. Questa è l’Italia, con tutti i suoi pregi e i suoi difetti, ma siamo noi. E io desidero celebrarla con voi, scegliendo solo ingredienti italiani, nelle vostre case, nelle vostre cucine. Viva l’Italia! #celafaremo #iorestoacasa

Tempi: Preparazione 1 ora;

Cottura 10 min per il ripieno + 2 minuti per i ravioli;

Attrezzatura necessaria: Contenitore bordi alti, piccolo contenitore per il ripieno, pentola per cottura ravioli, 1 padella piccola, pellicola per alimenti, un matterello grande

Difficoltà (da 1 a 3): 2

Costo totale: 2,90 € (4,40 €/kg)

Ingredienti per 4 persone (per ogni porzione sono previsti tre ravioli, uno per colore):

Per la pasta verde:

  • Farina di semola bianca – 50 g
  • Farina di piselli – 10 g
  • Acqua – 30 g

Olio e.v.o. – 1 cucchiaino scarso

Per la pasta bianca:

  • Farina di semola bianca – 65 g
  • Acqua – 25-30 g
  • Olio e.v.o. – 1 cucchiaino scarso

Per la pasta rossa:

  • Farina di semola bianca – 50 g
  • Farina di barbabietola – 10 g
  • Acqua – 25 g
  • Olio e.v.o. – 1 cucchiaino scarso

Per il ripieno:

  • Porri – 80 g
  • Finocchi al vapore – 80 g
  • Ricotta – 160 g
  • Olio extra vergine oliva – 40 g
  • Sale – ½ cucchiaino (4 g)
  • Pepe – 4 macinate

Per condire il piatto:

  • Parmigiano grattugiato – 20 g
  • Foglie di salvia sminuzzate – 2 a testa

Olio extra vergine – 1 filo

Perché vi consiglio questa ricetta?

  • Valori nutrizionali: rispetto ai classici ravioli ricotta e spinaci, questa ricetta ha il 26% di calorie in meno, il 45% in meno di carboidrati (e stiamo parlando di un primo piatto) e il 20% di grassi saturi in meno.
  • Avete colorato la pasta con coloranti naturali, preparati da voi a partire dalla verdura. Coloratissimi, profumati e ricchissimi di fibre. Per sapere come produrre le farine di piselli e di barbabietola, potete andare sulla ricetta Ravioloni #celafaremo su www.lacuocainsolita.it
  • Le farine colorate si conservano per 6 mesi a temperatura ambiente chiuse in un barattolo. Potrete usarle per ricette salate ma anche per colorare creme dolci e biscotti.
  • Se volete, potrete usare anche la farina di semola integrale (ricordando che assorbe più acqua: usate più acqua per l’impasto), per un maggiore apporto di fibre
  • Se avete problemi con i latticini o se siete vegani, potete sostituire la ricotta con il tofu aromatizzato alle erbe e il parmigiano con il lievito alimentare in scaglie.

Per sapere come produrre le farine di piselli e di barbabietola, potete andare sulla ricetta Ravioloni #celafaremo su www.lacuocainsolita.it

Approfondimenti e i consigli per l’acquisto degli “ingredienti insoliti” a questo link: https://www.lacuocainsolita.it/ingredienti/).

In caso di allergie…

Allergeni presenti: Cereali contenenti glutine, latte

Preparazione

Fase 1: LA PASTA FRESCA

Per ogni colore, separatamente, mescolate tutti gli ingredienti in una terrina a bordi alti. Lavorate l’impasto per circa 5-10 minuti con le mani, su un piano di lavoro pulito, fino a quando vi accorgerete che la superficie diventa liscia, quasi come la seta. Se volete velocizzare il lavoro, potete anche fare un impasto unico sommando tutti gli ingredienti (ma non mettete tutta l’acqua subito: ne aggiungerete dopo, poco alla volta) tranne le farine colorate e dopo 6-7 minuti dividete l’impasto in tre parti uguali; una parte resterà così; ad una parte invece andrà mescolata la farina rossa di barbabietola, mentre alla terza parte aggiungerete la farina verde di piselli. Aggiungete l’acqua che non avevate aggiunto prima (attenzione perché ogni impasto richiede delle quantità di acqua diversa). Mescolate bene gli impasti rosso e verde in modo che il colore diventi ancora più uniforme. Chiudete separatamente le tre palline di pasta fresca in fogli di pellicola e lasciate riposare per 30 min.

FASE 2: IL RIPIENO

Fate imbiondire a fuoco vivo i porri sminuzzati finemente nell’olio in una padella. Versate quindi un poco di acqua (meno di una tazzina da caffè) e lasciate evaporare completamente (questo servirà per rendere i porri più leggeri e digeribili). Aggiungete ora i finocchi già cotti a vapore e schiacciati con una forchetta e lasciate cuocere ancora 2 minuti. Togliete dal fuoco e unite la ricotta fresca, il sale e il pepe e amalgamate bene.

FASE 3: LA PREPARAZIONE DEI RAVIOLONI #CELAFAREMO

Prendete circa 20 g di pasta fresca e create una piccola pallina. Infarinate leggermente il piano di lavoro e con il matterello stendete la pasta, creando un disco di circa 10-12 cm (la pasta non dovrà essere troppo sottile). Cercate di non infarinare la parte superiore del disco. Fate la stessa cosa con ogni impasto colorato.

In una metà del cerchio disponete una cucchiaiata di ripieno (circa 30 g) e poi chiudete sopra l’altra metà del cerchio. Sigillate bene la mezzaluna con i lembi di una forchetta. Disponete su un piano infarinato con semola.

FASE 4: LA COTTURA

Portate a bollore una pentola di acqua. Salate e buttate delicatamente i ravioloni. Scolate dopo 2 minuti, con l’aiuto della schiumarola.

FASE 5: LA PRESENTAZIONE DEL PIATTO

Condite i vostri Ravioloni #celafaremo con le foglie di salvia sminuzzate, il parmigiano e un filo d’olio, che daranno ancora più sapore al vostro piatto senza nascondere i tre colori della nostra bandiera!

Buon appetito e buona festa!

CONSERVAZIONE

Nel surgelatore (da crudi): separate bene tra loro i ravioloni e cospargeteli di semola. Una volta surgelati, potete metterli tutti insieme in un sacchetto gelo e conservarli per 3-6 mesi. Al momento dello scongelamento, separateli nuovamente tra loro e sistemateli su un vassoio con della semola.

In frigorifero (da crudi): 2-3 giorni (fateli asciugare un pò all’aria prima di metterli frigorifero e poi chiudeteli in un contenitore). Sconsigliato conservarli dopo cottura (si attaccano tra loro).

Chi è La Cuoca Insolita

La Cuoca Insolita (Elsa Panini) è nata e vive a Torino. E’ biologa, esperta in Igiene e Sicurezza Alimentare per la ristorazione, in cucina da sempre per passione. Qualche anno fa ha scoperto di avere il diabete insulino-dipendente e ha dovuto cambiare il suo modo di mangiare. Sentendo il desiderio di aiutare chi, come lei, vuole modificare qualche abitudine a tavola, ha creato un blog (www.lacuocainsolita.it) e organizza corsi di cucina. Il punto fermo è sempre questo: regalare la gioia di mangiare con gusto, anche quando si cerca qualcosa di più sano, si vuole perdere peso, tenere a bada glicemia e colesterolo alto o in caso di intolleranze o allergie alimentari.

Tante ricette sono pensate anche per i bambini (perché non sono buone solo le merende succulente delle pubblicità). Restando lontano dalle mode del momento e dagli estremismi, sceglie prodotti di stagione e ingredienti poco lavorati (a volte un po’ “insoliti”) che abbiano meno controindicazioni rispetto a quelli impiegati nella cucina tradizionale. Usa solo attrezzature normalmente a disposizione in tutte le case, per essere alla portata di tutti.

Calendario corsi di cucina ed eventi con La Cuoca Insolita alla pagina https://www.lacuocainsolita.it/consigli/corsi/

Giuseppe Bergamaschi, chi è l’uomo che ha trasformato le maschere di Decathlon per gli ospedali

Rubrica a cura di ScattoTorino

Papà bresciano e mamma coreana, Giuseppe Bergamaschi è un cittadino del mondo. Nato in Sud America, ha vissuto i primi anni di vita in Africa e sin da bambino ha interagito in un contesto multiculturale ricco di contaminazioni. La sua visione ampia del mondo è una qualità che ancora oggi fa di lui un uomo lungimirante sia nella vita sia nel lavoro. Benché non sia torinese, ha vissuto all’ombra della Mole. Grazie al ruolo del padre, Amministratore Delegato del gruppo Fiat, ha conosciuto la Torino dei capi di stato, degli imprenditori, ma anche delle persone meno note. Amante delle sfide che il territorio gli pone, Giuseppe Bergamaschi si è specializzato nel campo tecnologico quando il settore era ancora agli esordi e ha fondato la Onevo Group. L’azienda è specializzata nella progettazione, prototipazione, produzione e fornitura per le imprese di tecnologie e servizi ICT all’avanguardia, dedicate alla gestione Smart dei settori City, Retail, Office, Bulding, Eventi, Mobility e Industry 4.0. Poiché, dice Bergamaschi, convivere è diverso dal semplice appuntamento di lavoro, dal 2014 ha creato infine degli uffici dedicati allo smart office in modo da ospitare altre aziende con le quali collaborare e creare una contaminazione di idee. Perché ScattoTorino lo intervista­­­? Perché in epoca Covid-19 quest’uomo ricco di energia e di passione ha sentito l’esigenza di fare qualcosa per aiutare e in una domenica di pandemia ha realizzato i raccordi e le valvole stampate in 3d che permettono l’adattamento delle maschere da snorkeling di Decathlon per l’utilizzo in cpap. Quelle utilizzate nei reparti di rianimazione.

L’attenzione verso il prossimo è nel suo dna?

I miei genitori hanno portato avanti una grande attività sociale in Sud America. Quando ero bambino e vivevamo là per il lavoro di mio padre, nei fine settimana ci recavamo nelle zone abitate dagli Indios per portare cibo e tutto ciò che mancava, inoltre costruivamo case, chiese, scuole e sviluppavamo l’allevamento. Utilizzavamo materiali di scarto come gli imballi in legno delle portiere delle auto che dovevano essere mandati al macero o i vetri difettosi delle macchine. Il metodo che papà aveva ideato era sostenibile ed ecologico. Quando gli stabilimenti erano chiusi, poi, i miei genitori organizzavano giorni di scuola per i bambini che non potevano frequentarla regolarmente”.

Avrebbe potuto seguire la professione paterna, invece ha optato per la tecnologia. Perché?

“Perché un tema in continuo divenire ed è sinonimo di ciò che è l’uomo: è curiosa, ha bisogno di evolvere e di scoprire aspetti nuovi della vita e lavora per migliorarli. All’inizio la tecnologia era per pochi e il mio compito era dare una prospettiva di sviluppo al settore, ad esempio facendo capire ai clienti la sua importanza non solo professionale, ma anche nella vita privata. Siccome credo che la specializzazione sia fondamentale, ho creato delle business unit con competenze mirate per ogni settore e successivamente ho interconnesso le diverse tecnologie – dall’informatica alla sorveglianza, dalla telefonia al web – per creare possibilità quasi infinite di utilizzo che portassero a innovazione, efficienza organizzativa e funzionale e ad un’economia sostenibile che puntasse all’ottimizzazione”.

Di cosa si occupa Onevo Group?

“È un’azienda tecnologica ICT e system integrator di telecomunicazioni, videoanalisi, networking, IoT, raccolta dati, sicurezza informatica e videosorveglianza che sviluppa tecnologie a supporto delle aziende e degli utilizzatori finali. La sua mission è migliorare le esperienze e renderle più fruibili, innovative e sicure in ogni ambiente. Onevo ha il compito di rendere interconnessi i luoghi, gli strumenti, le necessità, le persone con la massima attenzione verso l’esigenza dell’uomo e non del suo controllo. È in prima linea in questa rivoluzione grazie a tecnologie proprietarie sviluppate per i settori office, retail, building, industry e automotive e, con il supporto di partner di eccellenza, completa e integra la propria offerta con servizi a 360° su soluzioni innovative di piattaforme, design e arredi”.

Onevo e Salone dell’Auto Parco Valentino di Torino. Una partnership importante?

“Dalla seconda edizione abbiamo promosso quello che è stato un evento rappresentativo della città, condividendo i temi dell’innovazione, del design e della ricerca, da sempre orgoglio di Torino. Abbiamo sviluppato un nuovo ecosistema composto da Smart City, Smart Mobility, Smart Building e Smart Interior con il quale ognuno di noi vivrà e si confronterà nei prossimi anni.

Siamo infatti consapevoli che i luoghi diventeranno ibridi e dovranno mutare in base alle esigenze degli utilizzatori e che la tecnologia contaminerà anche gli arredi, che diventeranno intelligenti. Il nostro lavoro ha riscosso molto successo e saremo presenti anche al Milano Monza Open-Air Motor Show dove ci occuperemo della parte tecnologica dell’evento”.

In che modo Onevo Group sta supportando la sanità durante la pandemia?

“In questi giorni la costante di molti è vivere in modo passivo la situazione, perché è difficile pensare di fare qualcosa di utile. Io invece avevo una grande energia, ma non sapevo come incanalarla. Poi una domenica a pranzo ho letto che a Brescia stampavano delle valvole 3D e lanciavano un appello a tutta Italia perché l’emergenza era ormai avanzata e ne avevano bisogno. Sono andato in ufficio, ho preparato e stampato tutto in modo da spedire già il lunedì successivo. Ho anche parlato con i collaboratori, che come sempre si sono dimostrati coesi, e abbiamo iniziato a lavorare senza sosta per produrre i raccordi e le valvole stampate in 3D che permettono l’adattamento delle maschere da snorkeling di Decathlon per l’utilizzo in cpap. Per intenderci, quelle usate nei reparti di rianimazione degli ospedali”.

Come è stato l’iter per consentire l’utilizzo delle valvole?

“Abbiamo contattato gli ospedali piemontesi per dare la nostra collaborazione e abbiamo iniziato un confronto proattivo con i medici per capire come usare questi strumenti, ma è stato tutto molto complesso. Il primo problema era reperire le maschere perché eravamo appena entrati nel lockdown, così abbiamo utilizzato Facebook per chiedere alle persone di donarcele e centinaia di contatti hanno risposto subito all’appello. Oltre al fatto che non potevamo incontrare i donatori e quindi non sapevamo come recuperare le maschere, c’era il problema che i dispositivi non sono medici né certificati. Abbiamo contattato la Polizia di stato, la Protezione Civile, i comuni, gli ospedali e le altre istituzioni per creare un protocollo funzionale. Il materiale non certificato può essere usato solo in caso compassionevole, quindi quando non si hanno altri mezzi, e abbiamo percorso questa via”.

A chi state dando i dispositivi di protezione?

“Abbiamo iniziato a collaborare con la Protezione Civile di Acqui Terme che si è occupato della distribuzione delle maschere agli ospedali. Abbiamo svolto un lavoro di igienizzazione, sanificazione, disinfezione all’ozono, montaggio e collaudo di ogni kit, che abbiamo consegnato agli ospedali e alle case di cura della zona di Acqui Terme e di Torino”.

Un altro problema è il reperimento delle mascherine. Come state procedendo?

“Abbiamo pensato ad una modifica della maschera da snorkeling di Decathlon per i medici e per il personale sanitario in modo da proteggere occhi, naso e bocca. Abbiamo progettato dei nuovi kit, che abbiamo stampato in 3D, che ci permettono di utilizzare dei filtri usati in ambito medico, militare e agricolo, per cui meno difficili da reperire, con una protezione garantita al 99% e una ventilazione sufficiente che permette di non far appannare la maschera. Questi filtri costano meno delle mascherine fpp2 e fpp3 e durano di più: la mascherina usata dal personale medico, infatti, dopo 4 ore deve essere buttata via, mentre i filtri durano dalle 24 ore ad oltre un mese. Abbiamo studiato i pezzi in ospedale e cercato velocemente la tecnologia più adatta e il materiale utilizzabile. Inoltre non tutti i filtri, i raccordi e le valvole hanno la stessa misura per cui ci è stato richiesto dalla Protezione Civile di riadattarli e in meno di 24 ore lo abbiamo fatto. Si sono complimentati dicendo che i nostri prodotti sono precisi e di qualità. Sono contento di contribuire ad aiutare in questo stato di emergenza”.

Torino per lei è?

“È una città che scelgo perché mi ci sono ritrovato a vivere, ma è anche una scelta confermata. È a misura d’uomo e ha un valore storico e artistico importante. Torino è una piazza dura perché non si apre subito alle nuove idee, ma se si riesce qui, si riesce anche altrove e questo è stimolante. Spesso a Torino nascono delle eccellenze che poi vengono abbandonate perché non si hanno le risorse per sostenerle. Avremmo bisogno di consolidare le capacità e valorizzarle nel territorio perché quando l’innovazione fatta con coscienza si unisce alla tradizione al buon gusto, si crea un luogo di cultura e qualità”.

Un ricordo legato alla città?

“Da bambino andavo al Club Scherma Torino che ha sede presso il parco del Valentino e a pranzo, con mia madre, consumavamo un panino al Giardino delle rose e dopo facevamo una passeggiata fino in centro. Questo ricordo mi ha indotto ad essere partner del Salone dell’Auto Parco Valentino: volevo fornire dei servizi e metterlo in sicurezza perché volevo valorizzarlo”.

Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto