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Proteggere il suolo per proteggere ciascuno di noi

Rubrica a cura di IPLA – Istituto per le piante da legno e per l’ambiente

In passato gran parte dei centri abitati erano costruiti con l’accortezza di salvaguardare le terre migliori per la produzione di alimenti. Oggi non è più così, ed è per questo che abbiamo davanti la necessità di rimettere al centro le potenzialità intrinseche dei suoli e di fornire la giusta attenzione a tutti i fattori produttivi in agricoltura, compresa ovviamente la disponibilità d’acqua.
In questo senso ci aiuta la Strategia tematica sulla protezione del suolo, approvata dall’Europa nel settembre 2006, che individua le otto minacce che incombono sui suoli e indica la strada da seguire a Stati e Regioni dell’Unione. Tra le minacce individuate l’impermeabilizzazione è certamente quella più pericolosa per i suoli italiani e piemontesi. Altre minacce, comunque assai rilevanti per i nostri territori, sono l’erosione, la perdita di sostanza organica, l’inquinamento, l’acidificazione e la compattazione, nonché la salinizzazione in alcune aree costiere italiane.

suolo IPLALe funzioni “pubbliche” svolte dal suolo

Il suolo, anche se di proprietà privata, svolge funzioni pubbliche: facilita il ricarico delle falde, fissa il carbonio organico, regima le acque di precipitazione, filtra gli inquinanti, ospita gran parte della biodiversità della Terra. Quando un suolo viene impermeabilizzato (cementificato) si configura quindi un danno ambientale alla comunità.
Secondo l’ISPRA nazionale, oltre il 7% del territorio italiano è ormai impermeabilizzato; alcune regioni raggiungono il dato preoccupante del 10% di territorio che non è più utilizzabile per fini produttivi a causa della “cementificazione” ma, se consideriamo solo le aree di pianura, le più produttive, il dato è notevolmente maggiore. In Piemonte tra il 7% e l’8% dell’intero territorio regionale è stato ormai consumato.

L’IPLA e l’analisi del suolo piemontese

l’IPLA, dalla sua nascita, rileva, studia e analizza i suoli piemontesi, producendo cartografie alle diverse scale e, su mandato regionale, proposte di razionale pianificazione del territorio capaci di conservare il più possibile la risorsa per le generazioni future. Tutti i dati rilevati sono messi a disposizione degli utenti, degli esperti, dei funzionari ma anche dei semplici cittadini a questo link.
suolo IPLA Piemonte
Tra gli strumenti prodotti ve n’è uno in particolare utile per definire quali siano i suoli a maggiore valore produttivo a livello agro-silvo-pastorale: la Capacità d’Uso dei Suoli. Con questa metodologia le centinaia di suoli diversi dell’intera regione sono raggruppati in 8 classi, dalla 1 (la classe migliore) alla 8 (la classe peggiore). Da questa cartografia si evince come sia proprio sulle migliori classi di capacità d’uso (dalla 1 alla 3, classi tipiche della pianura) che si è sviluppato il consumo di suolo. Quindi già oggi il danno che è stato prodotto è assai rilevante e ormai irreversibile. La Capacità d’uso dei suoli non è l’unico strumento ma certamente è una delle metodologie principali per misurare il valore della risorsa al fine di utilizzare la leva economica e fiscale nella protezione delle “terre migliori”. 
Nelle politiche di pianificazione urbanistica, occorre infatti trovare un legame stretto che sappia mettere in relazione il consumo della risorsa suolo con il suo valore economico; occorre cioè pagare il danno che si produce alla collettività per facilitare politiche di compensazione in base alla qualità del suolo che viene eliminato o danneggiato. Se si creasse questa connessione stretta tra “importanza del suolo” e “valore del suolo” faremmo finalmente passi avanti che potrebbero essere realizzati se il nostro Paese approvasse una legge sulla protezione del suolo che ancora non ha, malgrado da anni vi siano lodevoli tentativi in tal senso.

Merco scuròt, il Mercoledì delle Ceneri in piemontese

Rubrica a cura del Centro Studi Piemontesi

Merco scuròt. Tutti, forse, sanno che passato il martedì grasso, le feste e i bagordi di Carnevale, il giorno dopo, Mercoledì delle Ceneri, ha inizio il tempo di Quaresima. Quel mercoledì in piemontese è il merco scuròt, il mercoledì “scuro”: ad indicare il grigiore delle Ceneri e l’inizio di un periodo di morigeratezza.

 

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

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Comba il professore gentiluomo – Il saltafossi radical-cattolico – Il Sindaco d’Italia – Lettere

Comba il professore gentiluomo

Il prof. Andrea Comba, mancato venerdi’ a Torino all’età di 83 anni, ha rappresentato una delle ultime figure importanti della Torino civile. Riservato, colto, sobrio, elegante, misurato, era l’opposto di certi banchieri torinesi che hanno le mani sporche di politica e devono la loro scalata solo alla  politica. Comba si ritirò in punta di piedi  con grande dignità, mentre altri, malgrado non ricoprano più cariche, sgomitano  per comparire sui giornali. Non apparteneva al vippume torinese, fu l’ultimo esempio di una torinesità alta, non provinciale, aperta  al mondo. Professore universitario, avvocato, presidente della Fondazione Crt e di tante realtà torinesi tra cui l’Istituto di Studi Europei, sapeva stare al suo posto e non cercò mai la visibilità. Frequentò anche il Centro “Pannunzio” e con lui nacque anche un’amicizia che rimase viva negli anni. Una volta nel 2010 venne ad un concerto dei bersaglieri in marzo, davanti alla casa di Cavour, in via Lagrange. Si mise a nevicare  e il concerto si tenne lo stesso. Comba senza ombrello volle assistervi fino alla fine. Mi disse che avevo fatto bene a ricordare Cavour che meritava un’attenzione che l’Italia volgare di oggi è incapace di dedicargli. Non si lasciò mai invischiare nelle mene politiche locali, rimase sempre al disopr . Il suo stile glielo avrebbe impedito: era un gentiluomo di antico stampo. Conservo di lui una fotografia ad un Premio ”Pannunzio” insieme all’ambasciatore Sergio Romano. Anche rispetto a Romano il modo di pensare e di vivere di Comba era molto superiore e certe piccinerie dell’ ex ambasciatore in lui sarebbero state impensabili. L’ Università ha perso uno degli ultimi maestri ,di quelli capaci di formare allievi destinati a loro volta a diventare maestri.
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Il saltafossi radical-cattolico

Il senatore G a e t a n o Q u a g l  i a r i e l l o, già segretario del presidente del Senato Marcello Pera, ministro e senatore dai tanti passaggi trasformistici da un partito all’altro (sembra che anche oggi sia pronto a trasmigrare nei responsabili a sostegno di Conte) ha scritto un libro con il cardinale Ruini, ,uno dei personaggi più fastidiosamente invasivi nella politica italiana e meno rispettosi della laicità della Repubblica sancita dalla Costituzione. Nato radicale, Q u a g l i a r i e l l o via via è diventato sempre più un biaciapile. Il suo è  un libretto non meritevole neppure di una citazione. E’ una brutta copia del dialogo intrapreso tra Benedetto XVI e il filosofo  laico e liberale Marcello Pera che ha invece rappresentato qualcosa di importante e meriterebbe una rilettura anche oggi.

Il Sindaco d’Italia

ha rilanciato l’idea della elezione diretta del capo del governo, riprendendo la legge che prevede l’elezione dei sindaci. Non si tratta di una cosa nuova, ma non si tratta necessariamente di una sbandata a destra,come hanno titolato certi giornali con estrema faziosità. Un liberale come Filippo Burzio era per l’ elezione di un cancelliere che garantisse stabile  governabilità .Una parte del Partito d’Azione con Calamandrei e Valiani era per la Repubblica presidenziale. Il sistema francese ideato da De Gaulle venne accettato e fu mantenuto dal socialista  Mitterand e con quel sistema sono stati eletti tutti i Presidenti francesi: un metodo efficiente ed equo che ha garantito una democrazia stabile e l’alternanza. Renzi ha poca credibilità politica ,ma demonizzarlo perché mette in dubbio il governo Conte, uno dei peggiori della Repubblica, è disonesto. Semmai non ci sono le condizioni politiche per fare riforme costituzionali in questo Paese che ormai è allo sbando ed ha un’ economia destinata al collasso. Se si volesse uscire dallo stagno limaccioso  radical in cui siamo, forse sarebbe davvero necessario un bagno riformatore che desse una svolta istituzionale e costituzionale, consentendoci di passare alla III Repubblica. Certo Renzi non è il De Gaulle italiano che purtroppo  non esiste. Abbiamo una classe politica fatta di piccoli uomini e piccole donne incapaci di affrontare la quotidianità. Ma il problema della governabilità si pone come una priorità molto importante  soprattutto di fronte ad una politica mediocre  che non sa ad imporsi.

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Lettere    scrivere a quaglieni@gmail.com

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Sandro Pertini
Sono passati trent’anni dalla morte di Sandro Pertini, il presidente più amato dagli italiani. Perché non se ne parla ?          Paola Zullo
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Pertini è stato un grande uomo, una volta Saragat mi parlò di lui come di un  vero eroe capace di mettere sempre in gioco la sua  vita  per servire i suoi ideali. Fu fieramente socialista, pati’ il carcere e il confino, partecipò  alla Resistenza dove dimostrò la sua passione ed anche la sua durezza a volte eccessiva. Ebbe rispetto per il cadavere di Mussolini e della Petacci oltraggiato in modo infame  a Piazzale Loreto e ordinò che avesse fine quella orrenda sceneggiata  che disonorò i partigiani. Nel dopoguerra fu contro l’alleanza tra socialisti e comunisti, ma nel  1953, quando morì Stalin, ebbe parole di elogio nei suoi confronti, assolutamente non giustificabili perché tanti in Italia sapevano già allora  cosa fosse stato lo stalinismo. Fu deputato e due volte presidente della Camera dove dimostrò di saper essere anche un uomo super partes, ruolo che dovette costargli molto. Pertini era un istintivo  che a volte non misurava bene le parole e voleva anche piacere alla gente. Come Presidente della Repubblica seppe adempiere al ruolo con dignità ed onore, qualche volta con qualche concessione di troppo  alla demagogia. Non volle vivere al Quirinale come Cossiga: un esempio in verità  poco seguito. Non ebbe un pensiero politico organico ed originale come quasi tutto il socialismo italiano perché anche Nenni si rivelò soprattutto un giornalista e un agitatore e neppure Riccardo Lombardi, ex azionista e filocomunista, non si rivelò certo un teorico. Pertini era un colto uomo d’azione. Saragat tentò  di elaborare una teoria socialdemocratica, sia pure sull’onda del socialismo austriaco. Il socialismo italiano  nel complesso ebbe il fiato corto, solo Craxi cercò di pensare più in grande, attorniandosi di alcuni cervelli pensanti come Giuliano Amato e Luciano Pellicani. Ma il  discorso non andò molto lontano. Di Pertini resta una grande lezione di coerenza e di onestà. In Liguria lo stanno ricordando, altrove il ricordo stenta, perchè in questa Italia scombinata il nome di Pertini è stato totalmente dimenticato. Non poteva che essere così. Corrado Bonfantini comandante delle Brigate partigiane Matteotti mi disse del suo carattere irascibile .E disse che nei giorni della Liberazione fu vendicativo. Bonfantini fu a diretto contatto con lui a Milano nei giorni prima e dopo il 25 aprile. L’ultimo Pertini aveva colto a pieno l’idea che senza libertà non ci sarebbe stata giustizia sociale .Era l’idea di Matteotti e di Rosselli che riviveva. Certo, in precedenza ,aveva avuto un’idea di socialismo diversa,meno democratica . Non fu comunque mai un socialista liberale. Mi stupì che, quand’era Presidente, nel 1979 avesse insignito della medaglia d’oro il Centro”Pannunzio” e mi stupì ancora di più che un’altra volta avesse mandato un suo assegno personale da mezzo milione a sostegno del Centro”Pannunzio”. Forse Antonio Maccanico, segretario generale al Quirinale  e amico di Pannunzio, gli aveva parlato del Centro e anche di me. Lo incontrai una volta al Museo del Risorgimento e fu molto espansivo e generoso di elogi. Ma forse il tutto rientrava anche  nella sua disponibilità umana ad incontrare le persone e a parlare con loro. Probabilmente questo è il lato più importante di Pertini ,al di là della vicenda politica. Seppe anche scegliere dei senatori a vita come Leo Valiani e Norberto Bobbio che rispecchiavano perfettamente il dettato costituzionale sui senatori a vita che premia i meriti acquisiti. Nel suo settennato ebbe inizio il pentapartito con i liberali tornati al governo che significo’la fine dell’ infausta  solidarietà nazionale attraverso cui i comunisti cercarono di andare al governo. Anche sotto questo profilo la sua presidenza appare importante.Fu meno significativo di Einaudi e dello stesso Saragat, ma seppe incarnare lo spirito italiano. Di fronte al terremoto in Irpinia non esitò a scagliarsi inutilmente purtroppo – contro i ladri e i corrotti che speculavano. Un esempio unico, fuori dai rituali del Quirinale, che resta paradigmatico di un uomo dalla forte passione civile che non arretrò mai di fronte a nessuno. Anche durante gli anni di piombo tenne sempre un posizione fermissima contro il terrorismo, andando contro la linea del suo partito originario, da cui seppe affrancarsi come presidente. Una scelta molto limpida, per essere stato considerato il primo presidente socialista,come impropriamente venne definito all’atto della sua elezione.
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La minaccia del Coronavirus
Ma lei come si sente dopo il primi morti di Coronavirus anche in Italia ?        Antonino De Vittorio  
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Sono molto preoccupato . Aver chiuso solo  i voli da e per la Cina, senza controlli negli arrivi ai voli triangolati e indiretti dalla Cina ,ha già avuto conseguenze drammatiche. Io ho una  totale sfiducia negli attuali governanti, politicamente inetti.  Mi sembra che dopo circa un mese  dall’allarme ci troviamo impreparati, quasi in balia di noi stessi. Non voglio seminare allarmismo, ma c’ è da essere personalmente molto in ansia. Spero che ci sia ancora tempo per muoversi. C’ è già stato un imbecille menagramo che ha scritto su internet che ci  manca solo un nuovo Boccaccio per descrivere la peste. Idiozie, anche perché in effetti sarebbe stato  più calzante  citare Manzoni e il malgoverno della Spagna in Lombardia. Eravamo nel 1600, spero che nel 2020  le cose siano cambiate. Anzi, sono certo di si.

“Orchestra di Coccole”, un libro per giocare e divertirsi

Rubrica a cura di Mamme in Sol

La musica è il linguaggio delle emozioni: accompagna e connota affettivamente i momenti più delicati e intensi che mamma e bambino condividono nella loro quotidianità. Questo è l’intento con cui ha preso forma il nuovo libro musicale di Francesca Borgarello, “Orchestra di Coccole”: creare una colonna sonora che accompagni i momenti più intimi di questa relazione così speciale, facendo muovere al bambino i suoi primi passi in un universo ricco di stimoli della musica.

Orchestra di Coccole, giocare e divertirsi con la musica

Nato come proseguimento ideale del percorso di condivisione musicale fra genitori e bambini iniziato da Mamme in Sol, Orchestra di Coccole è un libro ricco di sorprese sonore per far divertire, emozionare e giocare mamme papà e bimbi! Ogni pagina è dedicata ad un momento intimo, ad una coccola che mamma e bambino si scambiano… e a ognuno di questi momenti è associata una musica a tema. 

Orchestra di Coccole libro

Dieci nuovissimi brani guidano genitori e bimbi attraverso attività musicali che li stimolano a trascorrere insieme del tempo di qualità; c’è una canzone per accompagnare il risveglio mattutino e portare il buonumore, una per giocare a nascondino, una per farsi il solletico sulle note di Rossini, un delicato valzer da ballare stretti alla mamma, una dolce filastrocca dedicata al papà, una ninna nanna per cullare i piccoli…

10 brani per guidare genitori e bimbi

I brani sono vari e coinvolgenti, ricchi di fantasia e di emozioni. Ogni canzone permette all’adulto di memorizzarla facilmente, ma lascia spazio alla possibilità di essere modificata, per renderla personalizzata e divertente. Accompagnano le varie pagine piccoli dialoghi tra adulto e bimbo, da poter leggere ai piccoli, e che hanno la funzione di lasciare spazio alla fantasia e alla parola, da arricchire con la musica e il canto.  Parole e musiche sono accompagnate dalle bellissime e coloratissime illustrazioni di Giuditta Gaviraghi, che rappresentano momenti di vita quotidiana del mondo degli animali: anche qui la mamma e il suo cucciolo condividono gioco, divertimento e tenerezze!

Con le 10 canzoni nel CD allegato – ma anche scaricabili sul proprio cellulare grazie al QR code! – i balli e i giochi continuano anche fuori dal libro, per una vera orchestra di coccole!

Dove e quando

Orchestra di Coccole: laboratorio musicale di presentazione
Con l’autrice Francesca Borgarello

Venerdì 21 febbraio ore 17.00
Mamme in Sol, via Giulia di Barolo 11 – Torino
info@mammeinsol.it – 3914729388

 

Torino e il Cinema, una storia d’amore che ha radici molto profonde

Rubrica a cura di Somewhere Tour & Events

Il capoluogo piemontese si è aggiudicato un nuovo importante riconoscimento. Dopo essere stata nel 2018 la capitale indiscussa del cibo, Torino sarà Capitale del Cinema 2020: una grandissima soddisfazione per la nostra città, da sempre legata all’arte in tutte le sue forme.

Sono passati 20 anni dal 20 luglio 2000, giorno in cui il Museo Nazionale del Cinema apre al pubblico nella rinnovata sede della Mole Antonelliana, con il suggestivo allestimento di François Confino. nello stesso giorno viene costituita Film Commission Torino Piemonte, con lo scopo di promuovere Torino de il Piemonte quali location cinematografiche e televisive.

Quest’anno, in occasione di questo doppio ventesimo compleanno, la città di Torino celebrerà il suo profondo rapporto con la Settima Arte mettendo in luce la varietà di enti, associazioni, istituti e laboratori che la contraddistinguono come eccellenza nel panorama cinematografico nazionale ed europeo. Nasce così «Torino Città del Cinema 2020. Un film lungo un anno», un progetto di Città di Torino, Museo Nazionale del Cinema e Film Commission Torino Piemonte, con il sostegno del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, in collaborazione con Regione Piemonte, Fondazione per la Cultura Torino, media partner Rai.

Torino e il cinema, una lunga storia alle spalle

Torino e il Cinema

Torino e il cinema sono legati da una lunga storia che affonda le radici nel passato: risale alla fine dell’Ottocento, quando i fratelli Lumière allestirono in città la prima proiezione italiana. Questo legame si concretizza nel presente, rendendosi protagonista della vita culturale cittadina e, allo stesso tempo, si proietta verso il futuro. Un’unione resa evidente dal connubio tra la Mole Antonelliana– simbolo e icona della città – e il Museo Nazionale del Cinema ospitato al suo interno. Sono inoltre numerosissimi i film che in questi anni hanno portato Torino sul grande schermo, mostrandone bellezza e potenzialità.

A partire da gennaio, l’atmosfera cinematografica sta coinvolgendo anche «i luoghi del cinema». Nei punti strategici della città sono stati allestiti supporti di forte impatto visivo e iconografico per un’accoglienza immersiva e suggestiva in una città “cinema friendly”. I passanti, con il supporto di mappe cartacee e digitali o attraverso guide turistiche, possono visitare 20 luoghi cinematograficamente significativi come piazze e palazzi del centro cittadino, come tappe per ripercorrere il percorso del cinema torinese, attraverso i film che ne hanno fatto la storia. L’intero 2020 sarà caratterizzato da un ricco calendario di iniziative, in cui confluiranno tutti i tradizionali eventi cinematografici del territorio. Verranno coinvolte le istituzioni culturali torinesi con l’obiettivo di creare “contaminazioni cinematografiche” in ciascun ambito, dall’editoria alla musica, dall’arte contemporanea al teatro, sviluppandosi su diversi assi tematici tra cui innovazione, tecnologia, multimedialità, educazione, formazione e accessibilità.

Si tratta, dunque, di un viaggio nel tempo – tra passato, presente e futuro – scandito dai vari appuntamenti, iniziative ed eventi organizzati. Il ruolo di Torino e del Piemonte nel mondo del cinema ha assunto nel tempo una notevole rilevanza dal punto di vista dello sviluppo dell’industria cinematografica, dello sviluppo di talenti e professionalità e delle ricadute in termini di promozione, anche internazionale, dell’immagine della città e dell’intero territorio.

Somewhere Tour & Events è già al lavoro per preparare delle esperienze imperdibili a tema “Cinema”!

 

Chi è Paola Gribaudo, presidente dell’Accademia Albertina di Torino

Rubrica a cura di ScattoTorino 

Paola Gribaudo è una donna eclettica e sensibile la cui vita sembra la trama di un romanzo. Come il padre Ezio – celebre artista, editore e promotore culturale – anche lei ha saputo coniugare la passione per l’arte e per la cultura con la professione. Critica d’arte, curatore di libri d’arte, vanta collaborazioni con le case editrici Skira, Gli Ori, De Agostini, Electa, Rizzoli International, Silvana Editoriale e Thames & Hudson. Intellettuale vivace e appassionata, ha viaggiato molto e conosciuto i protagonisti dell’arte: da Francis Bacon a Peggy Guggenheim, da Henry Moore a Jean Dubuffet da Giorgio de Chirico a numerosi altri. Nella sua brillante carriera di editore ha pubblicato oltre 1.000 tra monografie, cataloghi di mostre e libri per autori e artisti internazionali. A testimonianza del valore del suo operato, nel 2011 ha ricevuto l’onorificenza di Chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettres dal Ministro della Cultura Francese Frédéric Mitterand. Nel 2016 l’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino le ha conferito la medaglia di Accademico d’onore per il ruolo di Ambasciatrice del libro d’arte e per aver portato il nome di Torino nel mondo. Un legame, quello con l’Accademia Albertina, che è quasi inscindibile e che si basa su una profonda stima reciproca. Nel 2019 il Ministro per l’Istruzione Marco Bussetti l’ha infatti nominata Presidente della stessa. Un riconoscimento prestigioso a conferma di una carriera illustre che si snoda non solo in Italia, ma anche all’estero e che ha un valore ancora più profondo se si considera che Paola Gribaudo è la prima donna a ricoprire questo ruolo.

Paola Gribaudo Accademia AlbertinaLibri: il fil rouge della sua vita?

“Credo nel destino e forse era già tutto scritto quando ho scelto come tema della tesi di laurea l’analisi critica di un trattato di Charles Le Brun su come disegnare le passioni umane. Da sempre la mia specializzazione è legata ai testi d’arte e grazie ai libri ho viaggiato, ho conosciuto artisti e personaggi del calibro di Botero e Federico Zeri, ho curato progetti editoriali in Europa, Stati Uniti, Argentina e in altri paesi. Dietro ad ogni libro c’è una storia: ci sono persone, sogni, progetti, criticità, happy end che ho vissuto in prima persona”.

Carriera fa rima con impegno?

“Per me il lavoro non è mai stato un business, ma una passione e mi sono occupata di editoria con devozione curandone ogni aspetto, dall’ideazione del libro alla stampa. Dopo la laurea in lettere, come tutti i giovani ho svolto diversi lavori. Frequentando lo studio di mio padre ho conosciuto il mondo dell’editoria, perché negli Anni ’80 lui se ne occupava ancora attivamente. La mia professione l’ho costruita da sola step by step, soprattutto all’estero, andando negli studi degli artisti e cercando editori, fotografi, grafici, stampatori e operatori del settore in linea con il progetto da sviluppare. Dal 1981, quando impaginai il primo volume dal titolo 629 Oeuvres de Renoir à Picasso di George Peillex per il Musée du Petit Palais di Ginevra, ad oggi ho curato 1.070 libri”.

Lei è anche autrice?

“Per festeggiare i 25 anni di carriera nel 2004 ho pubblicato Libri e librini, un catalogo che ho presentato alla libreria Les Arcades di Parigi, da Achim Moeller Fine Art di New York, nel mio studio di Torino e al Castello di Malgrà a Rivarolo Canavese. Il testo spiega come dentro ad ogni libro ci sia una storia composta da un caleidoscopio di emozioni, incontri, telefonate, euforia, tensione, soddisfazione. In Mille di questi libri, (pubblicato da Skira nel 2017 in edizione italiana e inglese nel 2018) invece, la pittrice Barbara Tutino racconta il mio percorso professionale, ma soprattutto il processo creativo che si nasconde dietro ad ogni volume e che trasforma un testo in un’opera”.

Presidente, ci presenta brevemente la storia dell’Accademia Albertina? Accademia Albertina

“Nel 1678 Maria Giovanna di Savoia-Nemours, vedova di Carlo Emanuele II, fondò l’Accademia dei Pittori, Scultori e Architetti ispirandosi al modello dell’Académie Royale di Parigi. Dopo di lei, solo gli uomini hanno ricoperto cariche prestigiose sino alla mia nomina dello scorso anno. Sono quindi davvero onorata di questo incarico. L’Accademia Albertina di Torino, che è erede delle accademie reali, fu rifondata nel 1833 da Carlo Alberto e ancora oggi conserva nei propri archivi un ricco patrimonio di documenti relativi all’attività di formazione e ricerca nei campi delle arti figurative. All’edificio fu annessa anche una Pinacoteca, che aveva un ruolo didattico, ed oggi la nostra è l’unica Pinacoteca che si trova all’interno di un’Accademia”.

Una fotografia dell’Accademia oggi?

“La nostra è una delle più importanti d’Italia e conta circa 1.500 allievi provenienti da 40 nazioni. La peculiarità è che oltre alle materie di studio tradizionalmente legate all’arte figurativa, come la scuola di nudo che riapriremo nel secondo semestre, proponiamo corsi più innovativi e in linea con le professioni di oggi come fotografia, restauro, digital art. L’obiettivo è formare pittori e scultori di alto livello, ma anche i futuri professionisti della comunicazione. Per questo abbiamo diversi stagisti che, a rotazione, imparano ad allestire mostre, redigere comunicati stampa, interagire con le assicurazioni e impostare un catalogo”.

Qual è il ruolo della Pinacoteca?

“Viene utilizzata per le mostre e di recente, grazie all’intervento della Compagnia di San Paolo, è stato restaurato lo splendido ipogeo della Rotonda del Talucchi che al momento è destinato ad esposizioni temporanee. Privilegiamo mostre dei docenti e artisti che si sono formati presso di noi e ciascuno dona un’opera che viene inserita nella futura Pinacoteca del ‘900. Lo scorso novembre, ad esempio, abbiamo ospitato la mostra Arte come teatro della nostra docente di arte e scenografia Paola de’ Cavero ed è in preparazione quella di Carlo Giuliano”.

Accademia Albertina Paola GribaudoCi anticipa alcuni progetti del 2020?

“In occasione del bicentenario della nascita di Vittorio Emanuele II, il 14 marzo l’Accademia Albertina sarà sede di un convegno storico artistico sulla figura del primo re d’Italia mentre la sera prima l’Aula del Primo Parlamento Italiano al Museo Nazionale del Risorgimento a Palazzo Carignano, luogo in cui nacque il re, ospiterà un ballo risorgimentale. Alcuni abiti saranno realizzati dagli studenti che seguono il corso di sartoria e li sfoggeranno, insieme a me, per l’occasione. In autunno, invece, verrà allestita la prima esposizione ideata da me con i Prof. Valerio Terrraroli e Guido Montanari che si intitolerà Disegnare la città. Decori e Architettura dagli archivi dell’Accademia Albertina di Torino. Oltre a valorizzare gli archivi e i disegni che ospitiamo nella Pinacoteca e in Accademia, la mostra evidenzierà i processi che hanno contribuito alla costruzione della memoria e dell’identità collettiva della città sia in termini di decoro sia in termini di pianificazione urbana e progetto di architettura. Il percorso includerà anche altri poli espositivi come la Fondazione Accorsi, l’Università in via Po, lo storico caffè Baratti & Milano e il museo della Reale Mutua Assicurazioni. Infine proseguiremo con il restyling dei cataloghi dell’Accademia Albertina per creare un’identità più nuova ed impattante. Fedele alla mia vocazione di editore, con l’Accademia abbiamo già realizzato diversi cataloghi sia per il FISAD Festival Internazionale delle Scuole d’Arte e Design che abbiamo ospitato lo scorso autunno sia alcune mostre come Incanti russi che è in calendario presso la Pinacoteca sino al 22 marzo”.

Torino per lei è?

“Sono d’accordo con Giorgio de Chirico quando dice che Torino è una città monarchica, fluviale e regolare ed è la città più profonda, enigmatica e inquietante non solo dell’Italia, ma del mondo intero. Concordo anche con Nietzsche quando sottolinea che Torino non è un luogo che si abbandona. Qui sono nata ed ho vissuto, anche se ho viaggiato molto. Qui ho le mie radici, ma mi sento una Torinese anomala perché della città ho ereditato la riservatezza, ma non la chiusura verso il mondo”.

Un ricordo legato alla città?

“Più che un ricordo, una sensazione. Quando rientro dai viaggi e dall’aereo vedo le montagne che la circondano con il Po che scorre lento, la Mole Antonelliana e la cupola del Guarini, mi sento protetta e a casa”.

 

Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto
Foto: Accademia Albertina – Fabio Amerio e Marco Carulli

Alluvioni, la gestione delle sponde fluviali per ridurre i rischi

Articolo a cura di IPLA – Istituto per le Piante da Legno e per l’Ambiente

Dopo ogni evento alluvionale si torna a parlare della necessità di prevenzione, degli abusi e degli errori che sono stati fatti, di come si dovrebbe e potrebbe fare per ridurre i danni. E la terminologia è spesso inappropriata. Come il riferimento alla “messa in sicurezza” che andrebbe invece sostituito con una più realistica “riduzione del rischio”. La fragilità del nostro territorio, in gran parte montano e collinare, è un dato oggettivo. In questa sede vorremmo soffermarci sugli interventi che potrebbero essere utili a mitigare il rischio dei danni alluvionali. In particolare per quanto concerne la gestione della vegetazione. Proprio a seguito degli eventi che hanno colpito il sud-est del Piemonte nell’autunno scorso, si è riacceso il dibattito. Come gestire quindi gli alberi che crescono spontaneamente negli alvei e sulle sponde dei nostri corsi d’acqua? Ecco allora che si torna a parlare di “pulizia dei fiumi”, altro termine che andrebbe bandito, con cui si intende il taglio di alberi e arbusti in alveo con in aggiunta una significativa rimozione di sedimenti.

Dora alluvioni

Procediamo con ordine: innanzitutto occorre distinguere il reticolo idrografico minore, costituito dai piccoli rii di versante, da quello dei fiumi di fondovalle e pianura. Le caratteristiche sono molto diverse. I primi sono corsi d’acqua con portata modesta o nulla per gran parte dell’anno, i cui alvei, ampi solo alcuni metri, vengono rapidamente colonizzati dalla vegetazione spontanea. Quando si verificano degli eventi intensi il deflusso viene ostacolato dalla vegetazione e la corrente viene deviata causando dissesti con possibili danni anche alle infrastrutture. In questi casi la gestione della vegetazione è indispensabile per garantire la pervietà dei corsi d’acqua e preservare l’integrità del territorio.

Come funzionano i fiumi

I fiumi sono invece ecosistemi complessi. Certo, di grande importanza dal punto di vista ambientale, infatti i fattori in gioco sono molteplici: morfologia, aspetti idraulici e vegetazione. Un esempio? L’effetto che negli ultimi decenni ha avuto il massiccio e diffuso prelievo di sedimenti in alveo in molti fiumi del bacino padano, compresi quelli piemontesi. L’effetto combinato dei prelievi di materiale in alveo e delle opere di difesa ha progressivamente artificializzato i nostri corsi d’acqua rendendoli molto simili a canali. In queste condizioni si innesca un processo di erosione progressiva del fondo dell’alveo, con l’abbassamento anche di alcuni metri, conseguente aumento della velocità della corrente e danni alle infrastrutture, in particolare ponti e opere di difesa. Per contrastare questo fenomeno si sono rese necessarie ingenti opere di manutenzione tra i quali la rifondazione delle pile dei ponti ormai scalzate e in pericolo di crollo. In questi casi la vegetazione spontanea cresciuta negli alvei può costituire un freno naturale alla velocità della corrente e contribuire all’integrità delle opere.

Come intervenire per gestire le alluvioni?

Dora alluvioni

Ecco allora che gli stessi interventi, come il semplice taglio della vegetazione, a seconda dei contesti in cui si applicano possono avere effetti molto diversi. La chiave per attuare una gestione mirata ed efficace è la pianificazione. La Regione Piemonte, supportata da IPLA, con altri partner italiani e francesi, ritenendo fondamentali questi aspetti ha aderito al Programma Interreg Italia e Francia, con il progetto Eau Concert, che si è sviluppato in due fasi successive.

 

La prima, realizzata nel periodo 2013-2015, ha visto la realizzazione in via sperimentale del Piano di Gestione della Vegetazione perifluviale (PGV) del fiume Dora Baltea e del torrente Chiusella, la cui metodologia è poi stata utilizzata per la pianificazione di altri corsi d’acqua: Stura di Lanzo, Dora Riparia, Torrente Belbo, Torrente Orba e Fiume Sesia (in corso di realizzazione).

La seconda, attualmente in corso, ha come obiettivi la realizzazione degli interventi previsti dal Piano di gestione attraverso il miglioramento della vegetazione forestale presente lungo la Dora, l’impianto di circa 5000 alberi e arbusti per formare siepi campestri e contrastare le specie esotiche invasive. Si prevede inoltre la realizzazione di corsi di formazione aperti a studenti universitari, amministratori, tecnici e ditte forestali specializzati nella gestione di questi ecosistemi di grande importanza per la riduzione del rischio idraulico, la conservazione della biodiversità e della qualità delle acque e la promozione di attività turistiche sul nostro territorio.

Ciafela, alla scoperta di una parola piemontese dimenticata

Rubrica a cura di Centro Studi Piemontesi

Ciafela, ciafërla. Parola piemontese, molto dimenticata, per guancia. Di conseguenza abbiamo ciaflù per indicare un viso paffuto; pacioflù, per bimbo (o persona) grasso e paffuto; sgiaf, schiaffo; sgiaflon, schiaffone; sgiaflé, schiaffeggiare. Ma tirabasin è la fossetta sulle guance (Gianfranco Gribaudo, Ël Neuv Gribàud. Dissionari piemontèis, Torino, Daniela Piazza, 1996).

Beni comuni

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Parole rosse di Roberto Placido /  Lo scorso mese di ottobre il Comitato “Stefano Rodotà” per la difesa dei beni pubblici comuni e sovrani ha depositato, presso la Camera dei Deputati, le firme per la proposta di legge di iniziativa popolare

E’ l’ultimo atto di un lungo percorso che parte dal lavoro svolto dalla commissione guidata dal compianto ed indimenticato Stefano Rodotà che terminò e presentò, febbraio 2008, quanto aveva realizzato all’allora Ministro di Grazia e Giustizia Clemente Mastella.

Può sembrare incredibile ma al leader dell’UDEUR (Unione dei democratici per l’Europa) aveva affidato un compito straordinario e mai fatto prima alla commissione di valenti giuristi tra i quali Alberto Lucarelli e Luca Nivarra, presieduta appunto da Stefano Rodotà e dal quale prese il nome con vice Ugo Mattei. Lo straordinario lavoro, che avrebbe dovuto armonizzare e rendere attuali le norme per la gestione dei beni pubblici, si fermò lì in quanto proprio chi aveva affidato il lavoro, Clemente Mastella, fece cadere il, debole, governo Prodi e ritornare in sella Silvio Berlusconi ed il centrodestra. Per superare lo stop Stefano Rodotà ed Ugo Mattei mi proposero quello che per me fu una grande occasione ed un grande privilegio e cioè di rilanciare il testo della commissione ministeriale attraverso la proposta di legge delega al parlamento, prevista dalla nostra Costituzione, da parte di un Consiglio regionale. Con la collaborazione di diversi consiglieri di tutti i partiti si arrivò , con il voto unanime di tutto il Consiglio regionale del Piemonte, ad inviare al Senato della Repubblica la proposta di legge sui beni comuni (ottobre 2009). Scoprimmo così le resistenze e gli interessi che frenavano il lavoro di quanti si occupavano dei beni comuni. Una grande ventata di speranza e di entusiasmo arrivò con il referendum sull’acqua pubblica che vide nuovamente tutti insieme i “benecomunisti” con milioni di italiani che sovvertirono le previsioni dando così uno stop alle speculazioni sulla privatizzazione dell’acqua in Italia.

Sull’acqua e sul mancato rispetto della volontà popolare sappiamo poi come sono andate le cose. (giugno 2011). Si arriva poi al referendum sulle Trivelle per limitare lo sfruttamento indiscriminato e senza limiti delle risorse petrolifere del nostro paese (aprile 2016). Per inciso sia per l’acqua che per le trivelle a Torino ed in Piemonte ci furono dei risultati, in difesa dei beni comuni, superiori alla media nazionale. Per tornare ai giorni nostri, va riconosciuto il merito al Comitato Rodotà di avere riportato all’attenzione il tema dei Beni Comuni e ad un gruppo di parlamentari, principalmente del Movimento cinque stelle, di averlo trasformato in una proposta di legge ordinaria che sta trovando consensi anche tra altri parlamentari di svariati gruppi. Al testo, primo firmatario Giuseppe D’Ippolito, è stato aggiunto un “cappello” preliminare con forte matrice ambientalista. L’obiettivo rimane sempre lo stesso, modificare il libro III° del Codice civile sulla proprietà che parla solo dei beni pubblici e privati per inserire una terza categoria quella dei beni comuni a prescindere dalla proprietà.

Cioè di quei beni il cui accesso deve sempre essere garantito alla comunità. Gli stessi beni vengono poi divisi in tre categorie, dei beni indispensabili come l’acqua, i ghiacciai, infrastrutture strategiche, fiumi ecc. I beni messi a frutto ed i beni che possono essere ceduti. In attesa degli esiti delle due proposte di legge una riflessione su quanto ho scritto sopra e sulle posizioni che ha tenuto la sinistra ed il suo principale partito, i DS (Democratici di Sinistra) prima ed il PD (Partito Democratico) poi si impone. E’ stato un atteggiamento di disinteresse se non di contrarietà. Questo a mio parere è uno dei motivi, non l’unico, che ha determinato l’allontanamento di milioni di elettori e le conseguenti sconfitte elettorali. Se la sinistra vuole riavere un’anima e riconquistare parte del suo popolo quello dei Beni Comuni è una straordinaria opportunità.

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

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No agli estremisti rossi e neri e ai loro sostenitori –  Giuseppi, l’arrogante –  Il geometra O d i f r e d d i –  Il pizzaiolo che leggeva Montanelli – Lettere 

No agli estremisti rossi e neri e ai loro sostenitori

Giusta è un assessore grillino che si è più volte distinto per le  sue dichiarazioni faziose ed insieme esilaranti. Di fronte ai teppisti dei centri sociali che devastano un’ aula universitaria, ha affermato in loro difesa  che bisogna tenere giù le mani da chi protesta, senza dire una parola sull’infame convegno negazionista sulle foibe organizzato all’Università. Esami e lezioni bloccati per i tafferugli in un nuovo piccolo ‘68 all’ insegna della violenza.  Accusare il Rettore è demenziale ,evoca i tempi in cui Allara era considerato colpevole di tutti i mali dell’ Università. Geuna ha agito da uomo aperto al dialogo, se minoranze violente hanno stravolto tutto,non è certo colpa sua. Va comunque denunciato con preoccupazione e con fermezza il clima di intolleranza che domina al campus Einaudi .Un ritorno a tempi che non possiamo rimpiangere, con estremisti rossi e neri che trasformano l’ Università in un mattatoio in cui viene abbattuta la libertà della cultura e della ricerca.
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Giuseppi, l’arrogante

Giuseppi Conte adesso alza anche la voce, dicendo che lui non è uno che cambia maggioranze di governo, dimenticando il voltafaccia di agosto dello scorso anno. Era un professore semi sconosciuto che è diventato Presidente del Consiglio su designazione dei grillini, un personaggio di quarta  fila, emerso dal profondo Sud di Padre Pio. Non aveva e non ha dimostrato esperienza di governo. L’ Italia è ferma, tutti i problemi dall’Alitalia, alle autostrade, dall’Ilva alle fabbriche che chiudono stanno marcendo. Una intera classe politica si rivela ancora una volta inetta. E Conte, invece di dimettersi e chiedere scusa per il suo fallimento, alza anche la voce, chiedendo l’aiuto di Mattarella. Renzi strumentalizza la prescrizione di Bonafede, una vera aberrante bestialità giuridica ,ma alza solo la voce perché ci sono i posti del sottogoverno da dividere e non si scollerà mai da questa maggioranza rissosa ed incapace che sta sgovernando ,nel modo peggiore possibile. Giuseppi deve andare a casa e con lui Di Maio e tutti gli altri. Siamo all’assurdo che un mediocre come Franceschini in questo Governo sembri quasi uno statista. Il Pd, sostenendo Conte, sta commettendo un altro gravissimo errore.
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Il geometra  O d i f r ed d i

O d i f re d d i ha pubblicato l’ennesimo libro, dal titolo ”Il g e n i o delle d o n n e“, che consacra la sua figura di tuttologo e non di uomo di scienza, come vorrebbe essere. Ho avuto solo un’occasione di conoscere il geometra di Cuneo, poi laureatosi in matematica, che non volle studiare il latino, ma che ama invadere le praterie della cultura classica senza averne la benché minima conoscenza. Dovevamo parlare di Giordano Bruno finito sul rogo dell’ Inquisizione. O d i f r e d d i  lo irrise ed io che non ritengo Bruno un grande filosofo, lo difesi controvoglia, ma non potevo accettare le fin troppo banali ironie di O d i f r e d d i che si crede un grande studioso a cui tutto è concesso. In più occasioni ho polemizzato con lui per il disprezzo che manifesta per ogni tipo di religiosità, chiuso come è in un ateismo settario che lui confonde con la laicità. Inutile dirgli di leggere Bobbio che distingue laicità e laicismo. I geometri non fanno studi di filosofia…
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Il pizzaiolo che leggeva Montanelli

Ho appreso in ritardo che è mancato Antonio De Martino, storico titolare della pizzeria “La Spiga d’oro“ di Borgo San Paolo. Era un lettore fedele di questa rubrica, finché visse. Laureando in Medicina, dovette interrompere l’Università per la morte improvvisa del padre. Si rimboccò le maniche e, invece di fare il medico, fece con naturalezza il pizzaiolo. Era una persona colta e sensibile con cui era possibile parlare con piacere. Portava con se’ l’antica eleganza della Napoli migliore. Una volta parlammo di Benedetto Croce e mi disse la sua invidia quando seppe che io ero amico delle figlie del filosofo Ebbe il coraggio di esibire nel suo locale, nel cuore del Borgo rosso per eccellenza dove imperversavano Pajetta e Novelli , “Il Giornale“ di Montanelli, come feci io durante gli anni del terrorismo, andando a fare lezione. Mi mancherà l’amicizia di Antonio nata sui banchi del liceo, rivissuta negli anni dell’Università nella pizzeria del padre e poi ripresa nel vecchio locale magicamente rimasto intatto nei decenni e quasi ritrovato per caso , una sera di alcuni anni fa. Riprendemmo il discorso interrotto tanti anni prima che adesso non sarà più possibile. Una grande tristezza, un grande dolore dopo la morte di Paolo Macchi di Bricherasio.

Lettere      scrivere a quaglieni@gmail.com

Basta  pantomime
Io sono stanco di questa pantomima di dare la cittadinanza alla senatrice Segre e di toglierla a Mussolini. Tutti i Comuni d’Italia stanno facendo a gara per primeggiare in questa vicenda che sta diventando ridicola.     Luigi Porrati
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Credo che la storia vada sempre rispettata interamente. Le forzature sono sempre sbagliate. Salò ha fatto bene a confermare la cittadinanza a Mussolini che fa parte della sua storia. L’altra sera in piazza Castello un suonatore di fisarmonica, nella serata di San Valentino, suonava “Bella ciao“. Debbo dire che mi ha infastidito. Era cosa che puzza di regime. Se poi si tratta di un regime democratico, il fatto appare davvero assurdo ed incomprensibile. Le esagerazioni non riesco a sopportarle.
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Le sardine torinesi e l’odio      
Cosa pensa delle sardine torinesi?  Adele Ru
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Non si può ancora esprimere un giudizio . Forse sono migliori di quelle che si recano ad omaggiare Benetton. Una sardina torinese in tv si presentò persino con la giacca. Finora hanno mandato dei bacioni a Salvini e si sono proposti di presidiare il Valentino che ha bisogno di ben altro per essere liberato dal dominio incontrastato degli spacciatori. Diciamo che le sardine torinesi sono più dei pesci di acqua dolce, meno ideologici di altri. Attendiamoli alla prova. La cartina di tornasole sarà Appendino, se saranno dalla sua parte o con un Pd alleato dei grillini, vedremo che le sardine non si smentiscono neppure a Torino. Credo  anche che il movimento in futuro  possa sfaldarsi e dividersi. D’ accordo contro l’odio, ma una parola per Giampaolo Pansa odiato per anni, le sardine non l’hanno saputa pronunciare. Neppure contro i violenti  facinorosi dei centri sociali che hanno devastato un’aula all’ Università. E neppure nel Giorno del ricordo hanno rammentato  l’odio dei comunisti titini e togliattiani contro gli italiani dell’ Adriatico orientale. Benissimo schierarsi contro l’ odio razzial , ma bisogna schierarsi con tutti gli odi, senza distinzioni  settarie .
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“La Stampa”  in sciopero
Come mai “La Stampa “ non esce per due giorni,unico  quotidiano in Italia ? Perché ?        Alice Fusco
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Il quotidiano torinese sta  sempre più perdendo lettori  e copie e si trova in una profonda crisi,a metà strada tra la gestione di  De Benedetti ed Elkann che sembrano tuttavia identificarsi. I tempi dell’Avvocato sono davvero lontani. Il giornale di via Lugaro come tanti altri quotidiani parrebbe non rispettare  più da tempo le norme che regolano la professione giornalistica, ormai purtroppo  non più tutelata in modo adeguato  neppure dall’ Ordine professionale. Oltre al grave disagio che lamentano i giornalisti e che incide pesantemente  sulla stessa qualità del giornale, il motivo dello sciopero e’ il trasferimento di ben otto giornalisti dalla redazione romana a quella di Torino, una vera “deportazione” di massa. L’ episodio sarebbe stato impensabile in passato. C’ è anche un piano di altri pre- pensionamenti  che impoverirà il giornale delle sue professionalità. Non si può non essere solidali con i giornalisti de ”La Stampa”