Rubriche- Pagina 90

Il monopattino? Non rilancia l’economia. E la popolarità dei dittatorelli crolla

COMMENTARII di Augusto Grandi / La fine del terrore non fa bene al lìder minimo ed ai dittatorelli. Man mano che gli italiani riacquistano coraggio e si alzano dal divano, si rendono conto che il governo ha gestito male l’emergenza – e su questo si può anche non infierire, perché si trattava appunto di una situazione particolare – ma sta gestendo in modo disastroso il ritorno alla normalità ed il rilancio (che non c’è).

Da un lato il sondaggio di Euromedia Research indica che la fiducia nei confronti del lìder minimo ha ormai lasciato alle spalle l’incredibile 60% dei giorni più bui ed è precipitata a poco più del 40%, con un trend in continua flessione. Va ancora peggio al governo, apprezzato da un terzo degli italiani, meno di quanti voterebbero comunque per i partiti che lo appoggiano. Dunque, sei un disastro ma ti voto lo stesso…

… continua a leggere:

Il bonus monopattino non rilancia l’economia e la popolarità dei dittatorelli crolla

 

Zanzare, 8 consigli per combatterle in modo efficace

Rubrica a cura di IPLA – Istituto per le Piante da Legno e per l’Ambiente

Lotta alle zanzare, parte il progetto del 2020 in Piemonte
Anche per questo 2020, malgrado le difficoltà dettate dall’emergenza sanitaria in atto, le azioni di lotta contro le zanzare sono cominciate. Con la pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione Piemonte della delibera di giunta relativa allo stanziamento dei fondi per il 2020, avvenuta giovedì scorso, si sono infatti avviate ufficialmente tutte le procedure per attivare il progetto, che anche per l’anno in corso sarà gestito dall’IPLA SpA.
Sono 235 i comuni che cofinanziano le azioni di contrasto alle zanzare sui loro territori. L’obiettivo? Ridurre le infestazioni abbassando il rischio di trasmissione di malattie come la Febbre del Nilo, la Zika, la Dengue o la Chikungunya. Le squadre di operatori sul territorio individuano i focolai di riproduzione e li eliminano o, ove ciò fosse impossibile (tombini, ristagni permanenti d’acqua, etc) attuano trattamenti con prodotti biologici e chimici a basso impatto per eliminare le zanzare quando sono allo stadio larvale. Solo in casi eccezionali, in presenza di raduni con molte persone (quest’anno certamente meno facili e più rari) si attuano trattamenti adulticidi. Ridurre il numero di zanzare, oltre a limitare il fastidio alla popolazione, riduce il rischio di trasmissione di malattie. In casi di presenza sul nostro territorio regionale di patologie trasmissibili da zanzare, ecco che le squadre opereranno sul territorio interessato una accurata disinfestazione che riguarderà anche tutte le aree ove il malato ha risieduto.
L’obiettivo prioritario è ridurre il rischio di epidemie ed è per questo che i fondi giungono dall’Assessorato alla Sanità della nostra regione.

8 suggerimenti per combattere le zanzare

Ecco dunque 8 precauzioni da adottare da parte dei dei cittadini. Infatti una parte del progetto, altrettanto importante, è quella dedicata alle azioni di formazione e informazione alla cittadinanza con la quale occorre creare una sorta di alleanza, una fattiva collaborazione. Da una parte si richiede a ciascuno di rispettare alcune prescrizioni che riducono la possibilità di riproduzione delle zanzare, vediamo insieme quali.
  1. Pulire periodicamente le grondaie per evitare ristagni d’acqua
  2. Cambiare di frequente l’acqua dei vasi e svuotare periodicamente quella dei sottovasi
  3. Capovolgere o non lasciare all’aperto oggetti che, con la pioggia, possano riempirsi d’acqua
  4. Coprire ermeticamente con zanzariere ben tese i recipienti che contengono acqua necessaria per l’irrigazione
  5. Tenere vuote vasche e fontane o introdurvi dei pesci
  6. Non abbandonare all’aperto rifiuti e teli di plastica che, con la pioggia, possano riempirsi d’acqua
  7. Trattare periodicamente, con prodotti larviciditutte le raccolta d’acqua non eliminabili (tombini, caditoie, ecc.)
  8. Non lasciare all’aperto copertoni che, con la pioggia, possano riempirci d’acqua
Si ricorda che è attivo un numero verde (800.171.198) al quale tecnici esperti possono rispondere a domande, dubbi o per segnalare particolari casi di infestazione che richiedano l’intervento diretto sul territorio.

Il teppismo che macchia la manifestazione antirazzista

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / Una macchia sulla manifestazione antirazzista, scrive “La Stampa”, limitandosi a dare la notizia con una fotografia e due righe di didascalia in cui si dice dell’ imbrattamento dei monumenti e dei muri di Palazzo Civico da parte di alcuni manifestanti: un atto di teppismo che non ha giustificazioni di sorta 

La manifestazione antirazzista che si è tenuta quasi nel rispetto delle norme no Covid in piazza Castello, forse non merita la macchia che le attribuisce il giornale. Se fossi stato a Torino, sarei intervenuto anch’io perché il razzismo di ogni  tipo va sempre condannato.
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Certamente ci sono persone che colgono ogni occasione – specie dopo il digiuno forzato di tre mesi – per scendere in piazza e protestare. Per altri versi, per manifestare solidarietà ad Hong Hong, ad esempio, eravamo in pochi insieme all’associazione “Marco Pannella” e Gian Piero Leo sempre presente in difesa dei diritti civili. C’è nuova aria di sardine che stanno uscendo dalla scatoletta in cui si erano rifugiate durante la pandemia per combattere la quale non hanno mosso un dito. E poi ci sono i centri sociali che resistono al Covid e rappresentano da sempre  l’anima violenta che non si ha il coraggio di reprimere, limitandosi a vedere ottusamente la violenza solo in Casa Pound. I Centri sociali rappresentano una mina vagante e la loro adesione ad una manifestazione che si tingeva per l’occasione anche come antiamericana e contro Trump, era prevedibile. Certo,  i promotori non potevano impedire a nessuno di  andare in piazza , anche se la partecipazione, sicuramente non ricercata, degli estremisti deve far pensare. Essere antirazzisti è sicuramente importante, ma ancora più importante è il rifiuto di ogni violenza. Condannare quanto è accaduto negli USA significa anche ribadire la condanna del ricorso alla violenza. Ma chi fa della violenza la sua ragion d’essere non può capire. E allora, per distinguersi e farsi notare, imbratta la statua di Vittorio Emanuele II in piazza Palazzo di Città. Un gesto cretino da parte di chi forse non sa neppure chi e  cosa ha imbrattato. Un atto di inciviltà che non può ricadere sulla manifestazione in sé. In ogni caso, se io avessi partecipato e avessi visto la presenza dei centri sociali, quasi sicuramente mi sarei allontanato dalla piazza, non accettando le cattive compagnie. Dopo il Covid forse è giunto  davvero il momento di chiudere i covi sovversivi e spesso abusivi dell’estrema sinistra e dell’esterna destra : un permanente assembramento di gente abituata ad usare le mani più che il cervello. Un potenziale elemento sovversivo capace di soffiare sul fuoco del disagio e della crisi in cui ci stiamo dibattendo. Il virus della violenza va combattuto con decisione e l’Italia messa a tappeto dalla pandemia non può più tollerare che ci sia gente che pratica il teppismo e ricorre alla violenza.  Il confine della manifestazione di un pensiero e della tolleranza o meno passa proprio attraverso il rispetto delle regole della democrazia e del civismo.
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Scrivere a quaglieni@gmail.com

Gargh come ‘n poj, cosa significa questo detto piemontese?

Rubrica a cura del Centro Studi Piemontesi

Gargh: poltrone, pigro, scansafatiche

Con tutta una serie di parole legate: garga, donna sciatta, meretrice; gargagnan, protettore. Per l’etimologia in dettaglio vedi REP Repertorio Etimologico Piemontese, Torino, Centro Studi Piemontesi-Ca dë Studi Piemontèis, 2015: “famiglia lessicale derivata dal germanico Karc/karg ‘vagabondo, ozioso, avaro’

Modo di dire in piemontese

Gargh come ‘n poj: pigro come un pidocchio, probabilmente perché il pidocchio vive senza lavorare e prospera nel sudiciume.

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Elizabeth Strout  “Olive, ancora lei”    – Einaudi-   euro  19,50

Brusca, senza peli sulla lingua, critica, ma anche profondamente buona: è Olive Kitteridge che ritorna, dopo aver fruttato alla sua ideatrice il Premio Pulitzer nel 2009. Se avete amato la prima tranche della sua storia, non potete perdervi questa in cui Olive, professoressa di matematica in pensione, continua ad osservare con acume gli abitanti dell’ immaginaria cittadina costiera del Maine, Crosby. Provincia americana con i suoi trantran quotidiani che è la grande protagonista del romanzo che, come il precedente, è articolato in una serie di racconti, ciascuno compiuto, tutti strettamente collegati.

12 anni dopo Olive è più vecchia, burbera, alta e grossa. Dopo aver seppellito il primo marito (uno sbiadito farmacista che rimpiange) incontra nuovamente l’amore e inanella un secondo matrimonio. E’ con Jack, professore di Harvard, anche lui pensionato, alle prese con acciacchi e decadenza dell’età. Sono entrambi imbolsiti e rallentati dagli anni, ma ancora capaci di tenerezza e complicità.

Poi c’è il rapporto di Olive con  il figlio Cristopher che vive a New York con la moglie, due figli di primo letto di lei e due  piccoli avuti insieme.  Bellissime le pagine che descrivono le difficoltà  di Olive nell’incarnare l’ideale di nonna e i problemi durante visite difficili e stizzose, abitudini dure a morire e pazienza quasi nulla.

Poi c’è tutto l’affascinante corollario degli abitanti di Crosby con i loro segreti e destini. Un affresco corale suddiviso in 13 storie private che danno pennellate di colore ad un unico grande quadro. Un libro che parla di vita, vecchiaia e prospettiva sempre  più vicina della morte.

Olive dai 70 anni arriva quasi ai 90 e si ritrova vedova per la seconda volta, ghermita da solitudine, rimpianti, ricordi e prospettive prossime allo zero. Una longevità non sempre piacevole, che fa i conti con incontinenza, fragilità, umiliazioni, debolezze, sentimenti grandi e piccoli, meschinità del tutto umane, ma anche sentimenti nobilissimi. Una Olive brontolona che la salute cagionevole riavvicina al figlio e la spinge a scrivere le sue memorie. Un libro delicato e magnifico.

 

Dina Nayeri   “L’ingrata”   – Feltrinelli –   euro 19,00

E’ sospeso tra gli orrori dell’Iran e le difficoltà d’integrazione in Occidente questo libro altamente autobiografico della scrittrice Dina Nayeri, nata a Isfahan nel 1979 e fuggita dal paese nel 1988. L’Iran della rivoluzione Khomeinista è peggiorato e non è certo un paese per donne, che sono considerate meno di niente.

La madre della scrittrice decide di convertirsi al Cristianesimo (nonostante  il parere contrario del marito dentista) inerpicandosi così su una strada difficilissima, irta di ostracismo. Sofferta ma inevitabile la decisione di prendere i figli e andarsene: all’epoca Dina aveva 9 anni ed inizia così la sua odissea di rifugiata.

Un iter lungo e doloroso, fatto di campi profughi a Dubai, accoglienza a Londra, il passaggio per l’Italia in un hotel trasformato in oasi che accoglie masse di richiedenti asilo. Un limbo che sarà l’anticamera per l’approdo finale in America.

Quando arriva in Oklahoma, Dina -che ha già visto di tutto e incontrato la disperazione di chi ha avuto la sfortuna di nascere alla latitudine sbagliata- è determinata a diventare qualcuno. Ma lo status di rifugiato è una forma mentis che non molla: tutto è più faticoso e difficile per chi cerca il suo spazio in terra straniera.

In queste pagine c’è il racconto lucido e in prima persona della complessa quotidianità dei richiedenti asilo, ai quali si impone di rimanere al proprio posto e farsi notare il meno possibile. Ed ecco l’ingratitudine del titolo: la scrittrice sviscera fino in fondo l’insoddisfazione che alberga nel cuore di chi viene accolto. E sottolinea che i migranti non hanno solo bisogno di cibo e documenti, ma soprattutto di sentirsi parte di una comunità….la difficile e impervia via dell’assimilazione.

 

Danilo Soscia  “Gli dei notturni”   -Minimum Fax-  euro 18,00

Questo è un libro di racconti decisamente particolare, in cui l’autore – che nel 2018 aveva pubblicato “ Atlante delle  meraviglie”-  si muove con abilità nelle biografie di 40 personaggi e su queste innesta una dimensione onirica. Prende alcuni famosi personaggi del 900 e immagina i sogni che potrebbero aver abitato le loro menti.

Una sorta di biografie notturne in cui tutto è vero e tutto è falso, ma che ci portano più a fondo nelle loro personalità. Attraverso un itinerario, a volte anche molto complesso e forse con un eccessivo accumulo visionario, rintraccia l’identità dei protagonisti e delinea tratti onirico-biografici.

Ci sono uomini politici come Ronald Reagan e Saddam Hussein, attrici come Marlene Dietrich e Anna Magnani, pittori, musicisti, scrittori, scienziati, sportivi, anime nere come Charles Manson e tanti altri.

Solo alcuni spunti, giusto per darvi l’idea.

Soscia immagina i pensieri di Eva Braun che consulta sibille berlinesi; quelli di Aldo Moro recluso nella stanza in cui è tenuto prigioniero dai suoi aguzzini; quelli di Marylin Monroe quando è ancora sconosciuta. Modigliani che trascorre le notti dialogando con i volti dei suoi quadri; Giulio Andreotti che sogna un’epidemia e lo scrittore Charles Bukowsky che, in un cimitero hollywoodiano, brinda alla morte.

Trait d’union di queste 248 pagine è una scrittura analitica con la quale Soscia entra ed esce da mondi inconsci diversissimi. Come qualcuno ha detto, delle “ipnografie” che travalicano la storiografia.

“Gilè”

PAROLE ROSSE di Roberto Placido / Per molto tempo è stato un capo di abbigliamento maschile molto elegante da mettere sotto la giacca. Tutti ricordiamo vecchie foto di famiglia con nonni e antenati lontani in posa e con in vista il gilè dal quale fuoriusciva l’immancabile catenella, per i più abbienti d’oro, alla quale era collegato il relativo orologio

Molti lo chiamavano, con un termine più nostrano, panciotto, in realtà, consultando la Treccani, deriva dal francese gilet, e questo dallo spagnolo jileco, che a sua volta dal turco yelek. L’abbiamo poi rivisto come indumento quasi fondamentale in tutti i film western anche se il gilè a cui idealmente sono affezionato di più è quello raffigurato nel famoso quadro-icona, di Pellizza da Volpedo, il “Quarto Stato”.

Con il passare del tempo è diventato sempre meno un capo di abbigliamento elegante, per uomo e anche per donna, e sempre più un indumento “casual” per andare in moto, a cavallo o, per rispettare le norme del codice della strada, da tenere in auto ed indossare in caso di sosta d’emergenza o di un incidente. Pensavamo che con l’utilizzo automobilistico o come indumento degli addetti ai lavori autostradali, i famosi “lavori in corso”, avesse esaurito il suo utilizzo ed invece, dimostrando una vitalità e versatilità inaspettata, negli ultimi anni è riapparso  prepotente ed è proprio il caso di dire “tirato per la giacchetta” un po’ di qua ed un po’ di là. Iniziarono, sembra la notte dei tempi ma sono passati solo alcuni anni, le “ronde padane” inventate dall’allora Lega Nord, ricordo al proposito un esilarante video del Trio comico Aldo, Giovanni e Giacomo. Poi sono arrivati, travolgenti, i francesi “Gilet Jaunes” (gilet gialli) con la loro carica di protesta ma anche di devastazione. Senza quasi interruzione, arriviamo ai nostrani gilè arancioni. Sul nuovo ed ultimo fenomeno protestatario vale la pena fare un piccolo approfondimento.

Alla testa di essi c’è un personaggio singolare che definire pittoresco è riduttivo e potrebbe rivelarsi, in una fase così difficile per il nostro paese, foriera di seri problemi. Mai sottovalutare o sbeffeggiare l’avversario, anche quello più improbabile e sgangherato. Male fanno tanti più o meno autorevoli commentatori a definirlo, parafrasando un famoso spot pubblicitario di un noto aperitivo il “cretino biondo” oppure accostare la sua divisa d’ordinanza ad una delle fantasmagoriche e variopinte giacche colorate del “celeste” al secolo l’ex e pregiudicato presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni. Mi riferisco al generale in congedo, pensione, Antonio Pappalardo. Ho specificato in pensione in quanto al nostro neo “masaniello” per non averlo specificato durante una pubblica manifestazione nel 2018 gli è costato un anno di sospensione dal grado di generale dei carabinieri da parte dell’allora ministro della Difesa Elisabetta Trenta (M 5 Stelle). Così avvenne, straordinario paese il nostro, che un ministro che in seguito userà un sontuoso alloggio pubblico senza averne più titolo ad affitto quasi simbolico, sanzionò un generale che non specificava di essere in pensione.

Questa non è l’unica “perla” del nostro generale. Nel 1992 ricevette un avviso di garanzia per avere diffamato il Comandante Generale dei Carabinieri Antonio Viesti e la successiva condanna, poi ridotta e successivamente annullata, gli costò la perdita della nomina a sottosegretario alla Finanze nel Governo Ciampi. Stabilì quasi un record, dal 6 al 24 maggio del 1992, meno del “Re di maggio”. E poi nel 2017 rinvio a giudizio per vilipendio del Capo dello Stato Sergio Mattarella, del quale ne chiedeva l’arresto per alto tradimento. Ed ancora richiesta di arresto dell’intero governo e di tutti i parlamentari. Per ultimo, il 31 maggio 2020, l’accusa di assembramento e mancato utilizzo dei dispositivi sanitari, mascherine, nella famosa manifestazione romana dei gilè arancioni.

Non meno controversa ed ondivaga è stata la carriera politica, iniziata nel 1992 eletto alla Camera dei Deputati con il PSDI (partito socialdemocratico italiano) di Franco Nicolazzi e la breve esperienza di Governo, descritta prima, nell’ultimo governo della Prima Repubblica. Nel 1993 si candida, con un neo movimento, a Sindaco di Pomezia (Roma) ottenendo, non capiterà più, un lusinghiero 13% e l’elezione a consigliere comunale. Inizia una cavalcata tutt’altro che travolgente di candidature tutte segnate da miseri risultati. Lascia il gruppo socialdemocratico alla Camera e passa al Gruppo Misto. Sempre nel 1993 si candida, con Solidarietà Democratica a Sindaco di Roma contro Francesco Rutelli ottenendo lo 0,55% dei voti. Passa con il Patto di Mario Segni dal quale va via perché non ricandidato. Anno nuovo, il 1994, nuova candidatura, alle europee con Alleanza Nazionale e nuova bocciatura.

Il primo decennio del nuovo millennio è contrassegnato dall’ennesimo movimento, Popolari Europei, che si colloca a destra della Casa delle Libertà. Si candida alle comunali di Roma ottenendo uno striminzito 0,15%. Sempre nel 2001 alle elezioni politiche si candida al Senato con Lega Azione Meridionale e poi alle regionali siciliane nella lista Biancofiore di “vasa vasa” (bacia bacia) Salvatore Cuffaro. Nel 2007 un ritorno di fiamma con il PSDI, Direzione Nazionale, ed ennesima candidatura nel MpA (Movimento per l’Autonomia) di Raffaele Lombardo. Tutte candidature fallimentari. L’ultima gli permette però di fare una comparsata di un anno nel C.d.A. (consiglio di amministrazione) dello Stretto di Messina S.p.A.

Arriviamo così a questi ultimi anni ed all’ennesima formazione politica, Movimento Liberazione Italia che fa riferimento al Movimento dei Forconi ed ai Gilet Arancioni nel 2019. Con questi ultimi si presenta alle regionali umbre ottenendo lo 0,13% e l’ennesima sonora bocciatura.

Nota di colore, per chiudere questo lungo elenco, la vena artistica letteraria fatta di romanzi, poesie, saggi, composizioni religiosi e rock. Che dire, un vero circo barnum.

La riflessione conclusiva, nella debolezza dei partiti, dei loro rappresentanti e nell’assenza di programmi e progetti, come possano esistere, prolificare ed essere eletti personaggi del genere. Sempre pronti a cavalcare il malessere, il malumore, la rabbia e la delusione di molti italiani. Per questo, nonostante le sonore e ripetute bocciature, che non vanno sottovalutati e presi sottogamba. Bisogna invece dare risposte durissime a questi elementi e movimenti dichiaratamente populisti se non violenti e sovversivi. Più che la variopinta carriera politica del generale in congedo Antonio Pappalardo mi ha lasciato esterrefatto come abbia potuto realizzare quella militare nell’Arma dei Carabinieri con incarichi importanti e delicati.

Ritorno ad Alassio

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / Oggi è il primo sabato del primo fine settimana dei torinesi in Liguria dopo mesi di divieto. Tanti miei amici sono tornati ad Alassio : dalla contessa Perrone di San Martino ai farmacisti Platter Ricotti . Credo che sarà nella sua bella villa collinare anche il Presidente Enzo Ghigo  

La riapertura e’ un traguardo  importante e l’inizio  di una ripresa che appare molto difficile perché il turismo non è stato abbastanza considerato e protetto dal Governo. Per ora sono in gioco gli arrivi di piemontesi e lombardi, ma sarà molto importante l’auspicato arrivo degli stranieri, a partire dai  francesi.
Io ho in mente Alassio nello splendore del suo turismo. Ricordo di essere stato al Grand Hotel alla fine degli anni Cinquanta a trovare  mio zio che andava con l’amante in vacanza e che mi disse che doveva lavorare anche in vacanza e che doveva andarci con la segretaria. Inizialmente capii che Alassio era un posto in cui si doveva lavorare anche in vacanza. Più tardi capii che Alassio era un posto  per amare le belle donne in libertà. E infatti quella segretaria esibiva già allora un ridottissimo bikini. Alassio  era la città di Mario Berrino e  del Muretto. Alassio si identificava con Miss Muretto e con quella che Mario Soldati definiva la frenesia dell’estate. Quasi tutte le donne in bikini e alla sera in pantaloni attillati e la pancia scoperta in tanti ritrovi come la Capannina  e soprattutto al Caffè Roma dove  si ritrovavano grandi divi come Wanda Osiris, Anita Ekberg, Vittorio de Sica. Le più prestigiose famiglie del bel mondo avevano una residenza estiva ad Alassio: Mondadori,  Ferrero di Ventimiglia, Ruspoli, Ricordi, Moratti, Pininfarina sono solo alcuni dei numerosi grandi nomi. Per l’estate Berrrino aveva inventato la “gran cagnara” che creava un clima di euforia generale attorno al Muretto che segnava la ritrovata serenità dopo la guerra. Alassio che era bella anche sotto il fascismo come scrisse Mario Soldati, era  rinata a nuova vita durante gli Anni Cinquanta che furono splendidi. Il Roof Garden di Berrino offriva ottima  musica ed i migliori artisti  italiani ed internazionali: Modugno, Mina, Manfredi, Chiari, Villa, Vanoni, Celentano, Zanicchi, Rascel, Jannacci. Il Caffè Concerto in piazza Matteotti creato da Balzola era un richiamo più popolare, ma sicuramente importante. Alla riapertura del turismo alassino voglio ricordare il passato glorioso come auspicio di un nuovo turismo  futuro che ricrei un’Alassio  nuova perla del Ponente. Lo merita la città del Muretto che quest’anno dovrà ricordare degnamente il centenario della nascita di Mario Berrino grande artista e grande inventore ed animatore del turismo, delle serate e delle nottate alassine. Nel suo nome Alassio potrà rinascere. E tanti torinesi ritorneranno a trascorrere le loro vacanze ad Alassio  che dovrà essere pronta ad accoglierci in modo adeguato  ancora meglio del passato perché tornare ad Alassio è un atto di amore per una città che ha patito per il Coronavirus, ma ha saputo  prontamente rialzarsi,   meglio di noi piemontesi.
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Scrivere a quaglieni@gmail.com

Crostata di ciliegie fresche e crema pasticcera vantaggiosa

Rubrica a cura de La Cuoca Insolita

Quale miglior occasione per fare una bella crostata di ciliegie fresche e crema pasticcera? San Giovanni è alle porte e mi vengono subito in mente le mie estati in campagna da bambina, e i “giuanin” che iniziavano a trovarsi nelle ciliegie proprio in questo periodo. Allora bisognava sbrigarsi a mangiarle e si facevano marmellate e qualunque cosa pur di finire la cesta! E la tradizione continua anche adesso, dopo tanti anni. Se volete sapere cos’ha di speciale questa crostata, andate a leggere subito “Perché vi consiglio questa ricetta?”. Siete giù in cucina a prepararla?

Perché vi consiglio questa ricetta?

 Questa crostata è senza glutine e senza latte né burro.
 Per tutta la torta solo 30 g di zucchero al posto di 160 g! Questo grazie a eritritolo e stevia (due dolcificanti naturali, a zero
calorie e zero zuccheri).
 Usare uova intere aiuta a ridurre la quantità di grassi saturi! Infatti, il colesterolo è contenuto solo nel tuorlo.
 Calorie -20%, grassi -40%, di cui grassi saturi -85%, zuccheri -60% rispetto ad una torta analoga, preparata con fatta con burro, solo zucchero, latte intero, farina 00.
 La curcuma è un potentissimo antiossidante.

Tempi: Preparazione (40. min); Cottura (20 min);
Attrezzatura necessaria: teglia diam. 24, casseruola piccola, minipimer, tagliere e coltello a lama liscia, contenitore a bordi alti, matterello, rotella per pasta fresca, spruzzino.

Ingredienti per la crostata di ciliegie fresche e crema pasticcera

per uno stampo da 24 cm diam.

Per la pasta frolla:

 Farina di riso integrale – 160 g
 Fecola di patate – 120 g
 Farina di mandorle – 120 g
 2 uova intere
 Eritritolo – 80 g
 Zucchero bianco – 30 g
 Stevia foglie essiccate – 1 cucchiaino raso (2
g)
 Olio di semi girasole – 50 g
 Scorza di 1 limone
 Vanillina – 1 bustina
 Lievito per dolci – ½ cucchiaino (2 g)
 Sale fino integrale di Sicilia – 1 pizzico

Per la crema pasticcera vantaggiosa:

 Latte di soia – 500 ml
 1 Uovo intero
 Farina di riso bianca – 50 g
 Eritritolo – 50 g
 Zucchero bianco – 30 g
 Vanillina – ½ bustina
 Curcuma – 1 punta

Per la decorazione e la gelatina:

 Ciliegie denocciolate – 300 g
 Succo di mela – 125 g
 Agar-agar polvere – 2 g (1 cucchiaino raso)
 Per la gelatina, al posto dei preparati a base di pectina o della marmellata (ricche di zucchero), usate l’agar-agar, un’alga che contiene calcio, Vitamina D e Vitamina K!

Approfondimenti e i consigli per l’acquisto degli “ingredienti insoliti” a questo link).

In caso di allergie…
Allergeni presenti: Soia, uova, frutta a guscio

Preparazione della crostata di ciliegie fresche e crema pasticcera

FASE 1: LA PASTA FROLLA E LA COTTURA

Mescolate nella terrina tutti gli ingredienti fino ad ottenere un impasto che non si appiccica alle mani.
Chiudete nella pellicola e lasciate riposare a temperatura ambiente mezz’ora. Stendete la pasta con il mattarello, chiudendola in un foglio di pellicola, ad uno spessore di 0,5 cm circa. Ungete leggermente la teglia con olio e spolverate con la farina di riso. Trasferite la pasta frolla nella teglia, lasciando il bordo alto. Bucherellate il fondo con una forchetta. Formate con la pasta frolla un anello, di larghezza di un paio di cm e di diametro di circa la metà rispetto a quello della teglia (tagliatelo con la
rotella per la pasta fresca, per decorarne i bordi). Cuocete la pasta frolla in forno ventilato a 160° C per 10 minuti circa (l’anello) e per 20 minuti (la base della torta). A fine cottura, togliete dal forno e lasciate raffreddare per almeno 15 minuti.

crostata di ciliegie fresche ingredientiFASE 2: LA CREMA PASTICCERA VANTAGGIOSA

Con il minipimer frullate insieme il bianco e il rosso dell’uovo. Versate la quantità necessaria nella casseruola e aggiungete farina di riso, eritritolo, zucchero e vanillina e mescolate con il cucchiaio. Scaldate il latte (in un contenitore per microonde o in un’altra piccola casseruola sul fuoco). Prima che prenda il bollore spegnetelo e versatelo a poco a poco nella casseruola dove avevate già messo il mix di uova e gli altri ingredienti. Amalgamate bene e solo ora versate tutto il resto del latte, mescolate con la frusta e mettete a cuocere per 2-3 minuti a fuoco medio alto, girando continuamente con la frusta. Aggiungete la curcuma (pochissima alla volta per non avere un colore troppo giallo, che sarebbe innaturale). Versate la crema calda in un contenitore e copritela fino a quando si sarà raffreddata. Versate la crema raffreddata sulla base di pasta frolla cotta. Ponete al centro della torta l’anello di pasta frolla cotta.

FASE 3: LA DECORAZIONE DI FRUTTA E LA GELATINA

Lavate le ciliegie e tagliatele a metà, per togliere il nocciolo. Mettete in una casseruola il succo di mela (freddo) e l’agar-agar e portate a bollore, mescolando ogni tanto. Abbassate il calore (molto basso) e fate sobbollire per un paio di minuti. Lasciate raffreddare per alcuni minuti. La vedrete ancora liquida come l’acqua (infatti questa gelatina si addensa molto più lentamente di quella del preparato a base di pectina che si compra al supermercato). Non preoccupatevi, non avete sbagliato niente! Lasciate raffreddare un po’; e poi mettete la gelatina nello spruzzino e cospargete la superficie della frutta. Lo strato di gelatina sarà sottilissimo e il risultato finale sarà perfetto!

Sciacquate subito lo spruzzino versando dentro l’acqua (sennò la gelatina si addenserà nel tubo e non potrete più usare lo spruzzino!).

La conservazione

In frigorifero: 3-4 giorni (1 settimana le basi di pasta frolla senza la crema).
Nel surgelatore: sconsigliato, perché una volta scongelate non saranno croccanti come appena fatte. Potete
invece surgelare per 3-6 mesi le basi di pasta frolla (senza frutta e crema).

Chi è La Cuoca Insolita?

La Cuoca Insolita (Elsa Panini) è nata e vive a Torino. E’ biologa, esperta in Igiene e Sicurezza Alimentare per la ristorazione, in cucina da sempre per passione. Qualche anno fa ha scoperto di avere il diabete insulino-dipendente e ha dovuto cambiare il suo modo di mangiare. Sentendo il desiderio di aiutare chi, come lei, vuole modificare qualche abitudine a tavola, ha creato un blog e organizza corsi di cucina. Il punto fermo è sempre questo: regalare la gioia di mangiare con gusto, anche quando si cerca qualcosa di più sano, si vuole perdere peso, tenere a bada glicemia e colesterolo alto o in caso di intolleranze o allergie alimentari.

Chi vi sarebbe piaciuto incontrare a Torino?

Torino, bellezza, magia e mistero.
Torino città magica per definizione, malinconica e misteriosa, cosa nasconde dietro le fitte nebbie che si alzano dal fiume? Spiriti e fantasmi si aggirano per le vie, complici della notte e del plenilunio, malvagi satanassi si occultano sotto terra, là dove il rumore degli scarichi fognari può celare i fracassi degli inferi. Cara Torino, città di millimetrici equilibri, se si presta attenzione, si può udire il doppio battito dei tuoi due cuori.

Articolo 1: Torino geograficamente magica
Articolo 2: Le mitiche origini di Augusta Taurinorum
Articolo 3: I segreti della Gran Madre
Articolo 4: La meridiana che non segna l’ora
Articolo 5: Alla ricerca delle Grotte Alchemiche
Articolo 6: Dove si trova ël Barabiciu?
Articolo 7: Chi vi sarebbe piaciuto incontrare a Torino?
Articolo 8: Gli enigmi di Gustavo Roll
Articolo 9: Osservati da più dimensioni: spiriti e guardiani di soglia
Articolo 10: Torino dei miracoli

Articolo 7 – Chi vi sarebbe piaciuto incontrare a Torino?

Molti personaggi particolari si sono aggirati per le strade di Torino nel corso del tempo, alcuni famosi, altri conosciuti solo nei quartieri in cui abitavano, altri ancora avrebbero preferito non essere ricordati da nessuno.

Una delle figure più discusse e celebri che visitò la magica città augustea fu Nostradamus, il cui vero nome era Michel de Notre Dame (1503-1566). Egli fu astrologo, farmacista e scrittore, si interessò moltissimo anche di medicina, è a lui che viene addirittura attribuita l’invenzione della “pillola rossa”, con la quale si pensava di poter curare la peste, ma in realtà era solamente un concentrato di vitamina C, estratta da sostanze vegetali. Verso il 1550 egli iniziò a dedicarsi all’occultismo e nello stesso anno scrisse il suo primo “Almanacco”; in seguito decise di stilare 1000 quartine nelle quali erano contenute premonizioni destinate a tutta l’umanità.  Lo stesso Nostradamus cita Torino nella sesta quartina della prima Centuria: “L’occhio di Ravenna sarà escluso, quando ai suoi piedi le ali cadranno, i due Bresse avranno costituito Torino, Verseil che francesi calpesteranno.” Cosa significhino questi versi non ci è dato saperlo, ma intanto possiamo vantarci di aver colpito l’animo del più famoso tra gli esoteristi, tanto da indurlo a redigere una profezia proprio sulla nostra città. A documentare il passaggio dello studioso per le strade di Torino è la cosiddetta lapide di Domus Morozzo, che recita: “NOTRE DAMUS A LOGE ICI ON IL II A LE PARADIS LENFER LE PURGATOIRE IE MA PELLE LA VICTOIRE QUI ME MEPRISE OVRA LA RUINE HNTIERE”, (Nostradamus ha alloggiato qui, dov’è il Paradiso, l’Inferno, il Purgatorio. Io mi chiamo la Vittoria, chi mi onora avrà la gloria, chi mi disprezza avrà la completa rovina). Si trattò di un soggiorno breve di cui non conosciamo la motivazione. Assai dubbie le notizie sulla stessa lapide (forse una scrittura in codice), di cui si dice resti una foto del 1922.
Un’altra persona che si poteva incontrare per le nostre strade, non di tale celebrità, ma ben nota ai torinesi era Enrietta Naum, una donna poco appariscente e poco istruita, nata nel 1846, che abitava in via Cappel Verde 6. Non si sa nulla della sua infanzia né della sua adolescenza, ma passò alla storia come l’unica esorcista donna riconosciuta dalle autorità politiche e religiose. E poi c’è sempre chi ama gettare malelingue e infatti, se per alcuni era una santa, per altri era una “masca”, esperta di rimedi e conoscitrice di erbe magiche.

Il caso più eclatante che la vide protagonista avvenne nel 1914, quando compì un esorcismo a favore di Giuseppe Brossa, di soli quattordici anni. Pare che il caso fosse davvero grave, poiché il ragazzo compiva scelleratezze contro le cose e contro gli animali e proferiva parole indicibili. Così Giovanni fu portato a casa di Enrietta, la quale, mentre pronunciava formule in latino, mise sul fuoco un pentolino con dell’acqua e delle erbe. Ed ecco che Giovanni iniziò a comportarsi in modo animalesco, allora l’anziana donna lo afferrò per i capelli e guardandolo negli occhi intimò al diavolo di abbandonare il corpo del ragazzo e precipitarsi nell’acqua bollente. Pare che il pentolino e Giovanni caddero insieme, uno a terra e l’altro nelle braci del focolare, il pavimento tremò e il giovane rinvenne, finalmente guarito. La donna era sempre disponibile ad aiutare i bisognosi, ma il cuore grande delle sue vicine di casa risposero a tanta gentilezza con un solerte invito a cambiare abitazione. Enrietta si spostò in via Porta Palatina, e lì continuò ad accogliere chi le chiedeva aiuto. Quando morì, la Gazzetta del Popolo la ricordò così: “La pia donna aveva dedicato la sua vita al bene spirituale degli altri, liberando coloro che si erano trovati in preda di forze maligne o di “fatture” praticate da nemici senza scrupoli”. Enrietta fu l’ultima esorcista donna, e non solo a Torino.

Noto ai torinesi, ma decisamente non amato, fu invece Pietro Pantoni. Egli abitava in via Bonelli 2, ed era il boia della città. Il suo percorso di vita era segnato fin dall’adolescenza, poiché quello era il mestiere di famiglia. Nel 1831 Pietro ricevette, da Urbano Rattazzi, la patente di Ministro di Giustizia torinese. L’uomo rimase in attività per più di trent’anni, giustiziando 127 persone, fino al 13 aprile 1864, anno in cui si tolse il celebre e sinistro mantello rosso: la forca avrebbe di lì in avanti lasciato il passo alla fucilazione. Pietro non ebbe vita facile, poiché la figura del boia, ovviamente, era denigrata da tutti. La moglie di Pietro Pantoni soffrì in modo particolare questa situazione, tanto che quasi non usciva di casa. Una storia antica ci riporta al XV secolo, quando il duca Amedeo VIII di Savoia era dovuto intervenire per riportare l’ordine tra i fornai della città di Torino, che si rifiutavano di vendere il pane al boia. Il duca li obbligò a farlo, pena il diventare clienti dello stesso esecutore. Ma i fornai, astuti, escogitarono un modo per manifestare comunque il loro disprezzo e iniziarono a porgere alla moglie del boia di turno il pane al contrario. Il Duca intervenne di nuovo: nacque il pancarrè, un pane uguale dai due lati, per non far torto a nessuno.  Nonostante tutto, le monete pagate dalle consorti dei boia torinesi continuarono ad essere gettate in una ciotola di aceto dai fornai, per essere “ripulite” dalla loro efferata origine. Curioso era anche il metodo con cui il boia veniva pagato dopo un’esecuzione. Il responsabile firmava il foglio di pagamento indossando i guanti, per non aver nulla a che fare con quel denaro. Dopodiché buttava il foglio per terra, dove un addetto lo prendeva con delle pinze e lo gettava al boia, che aspettava nella tromba delle scale o sotto la finestra.

L’esecutore di giustizia torinese aveva anche piccoli privilegi: un banco riservato nella Chiesa di Sant’Agostino e il diritto ad essere sepolto sotto il campanile di quella stessa Chiesa.
Torniamo a Pietro Pantoni, la cui storia, oltre alle palesi difficoltà dovute ai giudizi delle persone, ci testimonia anche un’altra realtà, l’eterna presenza di coloro che tentano di arricchirsi sulle disgrazie altrui, come testimonia il tariffario ufficiale per le esecuzioni che prevedeva un compenso di 16 lire per un rogo, 21 lire per un’impiccagione e addirittura 36 lire per uno squartamento. Un altro personaggio che avremmo potuto incontrare per le vie della città è colui che nel 1846 celebrò proprio il matrimonio di Pietro Pantoni, si tratta di Giuseppe Cafasso, conosciuto ai più come “il prete della forca”, poiché per anni era stato a fianco dei condannati anche nell’ultimo tragitto, quello verso il patibolo.  Il lungo iter della morte incominciava la sera prima dell’esecuzione, quando Cafasso, il condannato e il boia si riunivano per pregare. Durante l’incontro, il boia chiedeva perdono al condannato per ciò che avrebbe dovuto compiere il giorno successivo. All’alba, dal confortatorio del carcere, il condannato saliva sul carro che lo avrebbe condotto al patibolo, scortato dai membri incappucciati della Confraternita della Misericordia, che recitavano il Miserere, e che cercavano di mitigare la sofferenza del poveruomo, visti anche i ripetuti oltraggi della folla; il boia saliva sul carretto con il morituro. Davanti agli occhi del condannato, al cui collo veniva messa una corda precedentemente benedetta, veniva posto un grosso crocifisso dotato di alette laterali, così che lo sfortunato vedesse il patibolo soltanto all’ultimo momento. Questo crocifisso è conservato ancora oggi nella Chiesa della Misericordia a Torino. Torino ha ospitato personaggi di ogni genere, celebri, inquietanti, misteriosi, magnanimi; la varietà delle persone che hanno attraversato le sue strade sono lo specchio della complessità della città stessa, metà “bianca” e metà “nera”, un po’ storia, un po’ leggenda.

Alessia Cagnotto

Chi è Cristina Fresia, AD di Fresia Alluminio, azienda attenta alle persone

Rubrica a cura di ScattoTorino

Foto di Vincenzo Solano

Fresia Alluminio non è “semplicemente” un’azienda, ma una realtà produttiva nella quale le persone hanno valore. Questo plus, insieme alla competenza imprenditoriale e alla capacità di guardare al mercato con una vision volta al futuro, è sempre stato un elemento che ha fatto la differenza e che ha trasformato il negozio di ferramenta di nonno Valentino in un’impresa famigliare di successo. Dal 1930 ad oggi Fresia Alluminio è diventata un punto di riferimento del settore non solo in Piemonte (a Volpiano risiedono la direzione generale e il polo logistico-produttivo) e in Liguria (a Vado Ligure ci sono un magazzino e un centro logistico), ma anche nel resto d’Italia e all’estero. La società progetta, brevetta e commercializza sistemi ecosostenibili per serramenti in alluminio ad alta efficienza energetica. Inoltre è stata la prima nel nostro paese ad aver certificato l’intera filiera di un serramento e la prima in Europa ad aver immesso sul mercato, nel 2011, una gamma di prodotti nati dal recupero e dalla rigenerazione dell’alluminio e della poliammide.

Dal 2014, anno che ha visto il settore dell’edilizia in forte crisi, Cristina Fresia è Amministratore Delegato della società. In precedenza si era occupata della gestione del personale e grazie all’empatia e alla stima che ha saputo creare con i collaboratori, è riuscita a traghettare l’impresa di famiglia fuori da quel periodo buio. Come? Comunicando con trasparenza la situazione al suo staff e sviluppando un piano industriale che al 31 dicembre del 2019 ha raggiunto i risultati previsti. Una delle sue capacità è stata la gestione del problema con coraggio. Quello stesso coraggio che, unito alla grinta e alla determinazione, le ha permesso di essere un modello per i dipendenti. “Credo nell’intangibile” racconta a ScattoTorino. “L’arte, i sentimenti, lo sguardo sono elementi che viviamo e non tocchiamo. Parlando di azienda, l’intangibile è la somma delle persone che, se unite, creano non solo parole ma anche azioni”.

Fresia Alluminio vanta una lunga tradizione famigliare. Ce la racconta?

“Quest’anno festeggiamo 50 anni di attività di vendita di alluminio. Il 6 giugno avremmo dovuto celebrare l’evento, ma la situazione legata al Covid-19 non lo permette. In realtà già nel 1930 nonno Valentino aprì un negozio di ferramenta e mio padre lo sostituì in seguito alla sua morte prematura. Papà Ezio ha avuto l’idea, giovanissimo, di comprare altre ferramenta e così ha scoperto le barre di alluminio.

Fresia AlluminioQuesto materiale è leggero e facile da lavorare e mio padre ha insegnato ai fabbri a fare i serramenti. In questi decenni i nostri clienti sono rimasti fedeli perché li abbiamo sempre seguiti con attenzione. In pratica noi progettiamo il sistema dei serramenti in modo che, con semplicità di assemblaggi, si realizza il serramento e la fabbricazione la curano i clienti stessi. Fresia Alluminio è nata un po’ dopo e si è separata da Fresia Ferramenta. Oggi Fresia Alluminio è un’azienda famigliare in cui papà è il Presidente mentre io e mio fratello Valentino siamo più operativi. Il nostro business è progettare finestre, porte scorrevoli e facciate continue ad alto potere isolante energetico e acustico che minimizzano la naturale dispersione termica e l’impatto ambientale”.

Ci presenta Alsistem?

“Essendo nati da una ferramenta, eravamo dei commercianti e compravamo l’alluminio inteso come prodotto già esistente. Papà ha avuto l’idea di creare un nostro sistema di profili, ma essendo piccoli il progetto era costoso. Ha quindi coinvolto altri commercianti italiani e circa 20 anni fa ha creato un’azienda, Alsistem, che progetta e acquista. Dai 3 soci iniziali siamo passati a 10 in tutta la penisola. I vantaggi di questo consorzio, che detiene i brevetti dei propri sistemi in esclusiva, sono la suddivisione dei costi e la diffusione delle diverse referenze su più mercati oltre a quello territoriale”.

Fresia Alluminio e sostenibilità. Un connubio vincente?

“L’alluminio è malleabile e noi compriamo la materia prima o il secondario, cioè l’alluminio fuso che è quasi migliore del primario. L’alluminio si fonde facilmente, ma ha un’alta conducibilità. Per tagliare il calore in eccesso molte aziende inseriscono nel serramento una barretta di plastica. Grazie a mio fratello, che è molto bravo nella ricerca, noi inseriamo il neociclato che è un materiale rigenerato. Dal 2011, quindi molto prima che in Italia si parlasse di sostenibilità, i nostri prodotti sono certificati e forniamo la documentazione e l’analisi del loro ciclo di vita. Nel 2020 le referenze certificate sono 11, più di quelle di tante aziende conosciute a livello internazionale”.

Quanto è importante il fattore umano nella vostra impresa?

“Da ragazza ho studiato presso la scuola di Amministrazione aziendale e a 21 anni ho trovato lavoro al di fuori di Fresia Alluminio. A 22 anni sono entrata in azienda e mio padre mi ha affidato la responsabilità del personale. Da sempre, quindi, conosco le procedure, l’organizzazione e le persone. Ho un approccio friendly con i collaboratori e spesso mi sento di dire che Fresia Alluminio è un’azienda famigliare non solo perché fondata dalla mia famiglia, ma perché ci conosciamo tutti da tempo. Mi piace ottenere le cose con il sorriso, anche se in certi casi è importante essere più direttivi.

I nostri clienti sono artigiani e abbiamo l’abitudine a relazionarci in modo famigliare anche con loro. Due volte all’anno ci incontriamo con il personale per raccontare cosa abbiamo fatto. Coinvolgiamo tutti: dai magazzinieri all’autista agli impiegati. Mio fratello racconta del mercato, dei prodotti, delle novità e io della parte relativa alle risorse umane. È un’occasione di scambio anche per i colleghi e questo aiuta a creare armonia in azienda, perché il capitale umano ha un ruolo fondamentale”.

Fresia Alluminio

Il biennio 2020-2021 la vede Consigliera dell’Unione Industriale. Un riconoscimento prestigioso

“Da giovane facevo parte dei Lyons, dell’Api ed ho partecipato ad attività di gruppo perché le ritengo formative. In seguito, tra l’azienda e la famiglia, non ho più avuto tempo. Poi mi sono iscritta all’Unione Industriale e un giorno mi hanno telefonato per chiedermi se volevo fare la rappresentante per votare. Ho accettato e, di getto, ho chiesto di candidarmi. Non mi sono promossa e non l’ho detto a nessuno, ma sono stata votata. Attualmente i nostri meeting si svolgono con Zoom perché non possiamo incontrarci di persona, ma sono entusiasta”.

Torino per lei è?

“Sono entrata a far parte dell’Unione Industriale per fare qualcosa per Torino. La nostra città è composta da persone ricche di idee, ma purtroppo non sempre emerge il loro lavoro. Nel capoluogo c’è molto intangibile e spero di poter contribuire al suo sviluppo in modo che diventi visibile a tutti. Amo Torino e non mi staccherei mai da lei. Viaggio molto per lavoro, ma torno sempre a casa”.

Un ricordo legato alla città?

“La mia prima conquista è stata, da ragazzina, quando papà mi donò un motorino. Dai 14 ai 19 anni ho scoperto tanti angoli di Torino e della collina. Ricordo ancora la gioia e il senso di libertà che provavo nel conoscere a poco a poco la mia città”.

 

Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto