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I liberali e il ’68

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / Solo pochi liberali ebbero consapevolezza di ciò che stava accadendo. Nel 1968 ero nella Gli, la Gioventù liberale italiana, che era sempre un po’ più a sinistra di Malagodi 

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Chiesi a Fabrizio Chieli segretario della Gli torinese quale posizione avrebbero dovuto mantenere gli universitari liberali dopo che le rappresentanze dell’Intesa – il Parlamentino universitario – erano andate dissolte. Non seppe o non volle darmi un orientamento preciso, non sembrava pronto ad affrontare il tema della contestazione, forse anche  perchè, ormai, era fuori dall’Università e non coglieva ciò che stava accadendo a Palazzo Campana.
Anche il Gruppo Universitario  “Viva Verdi !“ di matrice risorgimentale capitanato da Luigi Rossi di Montelera non  capì che la contestazione avrebbe travolto ogni democrazia rappresentativa in nome di una finta democrazia assembleare che giungeva all’assemblea permanente e alle occupazioni notturne. Anche una donna intelligente come Nicoletta Casiraghi destinata ad una bella carriera nel PLI e nelle istituzioni mi sembrò poco interessata e in parte anche sedotta dal femminismo sessantottino. Vista la situazione con pochi amici e colleghi della Facoltà di lettere misi in piedi “Riforma democratica  universitaria” che da un lato affermava la necessità di riforme e dall’altro rivendicava il rispetto del metodo democratico, costantemente violato dai contestatori. Ebbi anche degli scontri verbali con Luigi Bobbio uno dei capi della contestazione. Poi la scelta del dare vita al  Centro Pannunzio mi distolse da quell’impegno, anche se volli fare egualmente una manifestazione in piazza Solferino che venne disturbata dai contestatori. Sempre nel 1968 alcuni comunisti mi aggredirono in un comizio a Porta Palazzo, sfasciandomi in pochi minuti il palco dal quale stavo parlando. Al contrario certe posizioni attirarono l’attenzione  e la simpatia dei più autorevoli  docenti  della Facolta’ di Lettere, dal preside Gullini a Franco Venturi. Lo stesso Giovanni Getto mi scrisse una letterina. Il centro Pannunzio assorbi’ i temi di Riforma democratica universitaria che confluì nel centro Pannunzio. Si creò allora nell’anno dello scontro tra generazioni un’alleanza tra giovani studenti e professori importanti del nostro Ateneo proprio attorno al Centro Pannunzio che difese le ragioni della serietà della scuola contro le  derive del facilismo. Poi si giunse al terrorismo e ad un impegno ferreo  e tempestivo contro le “sedicenti BR“. Ci fu anche un rapporto con il Generale dalla Chiesa. Il PLI si accorse della contestazione molto in ritardo ed alcuni suoi giovani esponenti finirono nella stessa contestazione. Solo in un successivo convegno nazionale della Gli a Sarnano Malagodi in persona cercò  di analizzare il fenomeno del ‘68  in chiave liberale, vedendo nella stessa contestazione qualche elemento  di liberalismo. Parlò di “ Libertà nuova“, dimostrando la sua cultura politica anche in quell’occasione, ma apparve una presa di coscienza tardiva. Malagodi non colse il potenziale di violenza che di lì’ a poco si sarebbe tradotto in gruppi come “Lotta continua“ e poi nel vero e proprio terrorismo. Neppure Zanone dal 1976  Segretario del PLI  fu convincente sul tema. Forse solo il Centro Pannunzio con la presidenza di Mario Bonfantini e poi di Luigi Firpo seppe fare i conti con i problemi della scuola e dell’Universita’. Soprattutto Firpo si schierò decisamente contro la degenerazione facilistica del ‘68 e del 27 garantito. Poi dal 1974 nacque il rapporto con Montanelli e con il “Giornale“. Furono anni difficili, anche di violenza e di paura, ma non aver mollato allora,   è  oggi motivo di legittimo orgoglio o almeno rende la nostra coscienza tranquilla.
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Osservati da più dimensioni: spiriti e “guardiani di soglia”

Torino, bellezza, magia e mistero     Torino città magica per definizione, malinconica e misteriosa, cosa nasconde dietro le fitte nebbie che si alzano dal fiume? Spiriti e fantasmi si aggirano per le vie, complici della notte e del plenilunio, malvagi satanassi si occultano sotto terra, là dove il rumore degli scarichi fognari può celare i fracassi degli inferi. Cara Torino, città di millimetrici equilibri, se si presta attenzione, si può udire il doppio battito dei tuoi due cuori.

Articolo 1: Torino geograficamente magica
Articolo 2: Le mitiche origini di Augusta Taurinorum
Articolo 3: I segreti della Gran Madre
Articolo 4: La meridiana che non segna l’ora
Articolo 5: Alla ricerca delle Grotte Alchemiche
Articolo 6: Dove si trova ël Barabiciu?
Articolo 7: Chi vi sarebbe piaciuto incontrare a Torino?
Articolo 8: Gli enigmi di Gustavo Roll
Articolo 9: Osservati da più dimensioni: spiriti e guardiani di soglia
Articolo 10: Torino dei miracoli

Articolo 9: Osservati da più dimensioni: spiriti e “guardiani di soglia”

A Torino si ha il sospetto di essere sempre osservati, e forse non è solo un’impressione, dato che nella città ci sono più di dieci mila telecamere. Ma non è unicamente la tecnologia a tenere sotto controllo i Torinesi: fessure e fori misteriosi si aprono a terra, ai bordi delle strade, simili a occhi demoniaci, come le fenditure presenti in via Lascaris, inoltre, dall’alto sembrano controllarci incessantemente quegli strani mostri che numerosi si affacciano dalle pareti delle case, quegli esseri grotteschi ed inquietanti, sempre attenti, e sempre enigmatici. Essi sono visibili soprattutto sui palazzi più antichi, caratterizzati dalla presenza di un particolare elemento ricorrente: mascheroni in stucco, collocati sull’architrave dei portoni oppure sopra o sotto i riquadri delle finestre. Sono i “guardiani di soglia”, e hanno un valore altamente allegorico. Simboleggiano il confine tra il dentro e il fuori, ciò che si può vedere e ciò che deve restare nascosto, e impediscono che entrino in casa persone o presenze indesiderate. Come mai hanno un aspetto bislacco? Davanti ad una figura stravagante non si può trattenere un sorriso, ma così facendo, tutte le intenzioni bellicose svaniscono, e la casa è al sicuro da eventuali malignità. Ma se ci fosse ancora qualcun altro che ci osserva? Qualcuno che noi non possiamo vedere, che ogni tanto ci pare di percepire. Qualcuno che forse ci guarda come fossimo delle ombre con cui non si può interagire?


Torino pullula di spiriti, è sovraffollata di fantasmi che parrebbero non voler abbandonare la meravigliosa città nemmeno varcata l’ultima soglia. C’è chi sostiene di aver visto una strana vecchia in via XX Settembre, chi invece, sempre nella stessa strada, una coppia di fantasmi, deceduti probabilmente nel 1861, in un incendio, tesi nella ricerca dei loro parenti; al Municipio c’è un fantasma che muove gli oggetti ed emette strani rumori; ancora, in via della Basilica, ogni 10 del mese, compare una donna avvolta in una particolare luce, a chi la incontra chiede di essere perdonata di non si sa quale peccato. Presso la Basilica Mauriziana si aggira lo spirito di Pietro Cambiani, un inquisitore assassinato il 2 febbraio 1365; Piazza Palazzo di Città è infestata dal fantasma di un cordaio che si è impiccato legandosi alla sporgenza di un tetto, pare sia un ectoplasma dispettoso, che fa cadere le cose appoggiate al davanzale. Al Castello del Valentino, nelle notti fredde e buie, si può sentire il cocchio di Madama Cristina, trainato da cavalli infernali imbizzarriti, lo si può intravvedere nell’ombra correre fino a gettarsi nel fiume per poi sprofondare. In via San Francesco da Paola c’è il malinconico spirito della “Bela Caplera” (Bella Cappellaia); ancora degli spiriti regali sono stati avvistati presso la Chiesa della Consolata, forse Maria Adelaide di Savoia, mentre Filippo d’Agliè è solito aggirarsi al Monte dei Cappuccini.

L’elenco è ancora lungo. Luci improvvise nella notte, voci che si perdono tra le vie più strette, oggetti che si spostano, anime che non si arrendono a doversi distaccare da questo mondo. E in questa moltitudine di spiriti vi sono anche delle vittime di tragiche storie d’amore, come quella della figlia di “Monsù Druent”, vissuta a Palazzo Barolo. Elena Matilde Provana di Druento, figlia del conte Giacinto Antonio Ottavio Provana di Druento, si sposò con suo cugino, il marchese Gerolamo Gabriele Falletti di Castagnole, il giorno 3 febbraio 1695. Il matrimonio combinato si trasformò, come in una bella favola, in un matrimonio d’amore, tuttavia i due protagonisti non riuscirono ad avere il loro lieto fine. Il giorno delle nozze avvenne un doppio infausto presagio: crollò un pezzo dello scalone del palazzo e la sposa perse la collana che le era stata regalata dalla duchessa Anna Maria di Orléans. Nonostante gli avvertimenti del destino, la cerimonia non venne interrotta. Dall’unione dei due nacquero tre figli. Successe poi che “Monsù Druent” non volle pagare la dote della figlia e se la riprese in casa. Elena impazzì dal dolore e il 24 febbraio del 1701 si suicidò lanciandosi dalla finestra del primo piano. Quell’anno c’era molta neve e il colpo si attutì, la donna non morì sul colpo, ebbe il tempo di essere riportata nel palazzo e di spirare distesa su una panca di pietra che si trovava nell’androne.

Anni dopo, Ottavio Giuseppe Provana, uno dei figli di Elena, incaricò l’architetto Benedetto Alfieri di ristrutturare l’edificio, quest’ultimo, memore dell’infausto avvenimento, decise di inserire per ornare le finestre delle teste di putti, tutti sorridenti, tranne uno, quello posto sotto la finestra da cui si buttò la giovane sventurata. Ogni fantasma degno di nota compare con la luna piena, e quello di Elena non è da meno. Si dice che in quelle circostanze il suo spirito si aggiri, ancora dolorante per le sventure patite in vita, per le sale di Palazzo Barolo, alcune volte in compagnia dello spirito di Silvio Pellico, (1789-1854), anche lui inquilino dell’edificio, dopo la prigionia nella fortezza dello Spielberg.

Con le più che numerose testimonianze di chi giura di aver visto o sentito “qualcosa”, viene quasi naturale crederci. Una delle testimonianze più ravvicinate avvenne nelle gallerie sotterranee della cittadella: un bambino, durante una classica visita guidata, si era staccato dal gruppo e si era perso. Il piccolo aveva iniziato a correre lungo gli angusti corridoi, in preda al panico, finché un gentile signore non lo accompagnò cortesemente fino all’uscita. Un signore con la divisa settecentesca del battaglione Lyonnais. Ma le storie di fantasmi sono innumerevoli, alcune ci commuovono, altre ci fanno paura, perché gli spiriti sono come le persone, alcuni buoni e altri un po’ meno, ma tutti bisognosi di essere compresi.

Alessia Cagnotto

Chi è Michele Grio, in prima linea all’ospedale di Rivoli per l’emergenza

Rubrica a cura di ScattoTorino 

È stato in prima linea durante l’emergenza causata dal Covid-19 e con la sua équipe ha lavorato incessantemente, al di là dei turni e della fatica, spesso in condizioni estreme. Si definisce un caterpillar e, dice, come tutti gli anestesisti è un po’ pazzo. Soprattutto, aggiungiamo noi, è un medico che sa unire testa e cuore e che nel dramma di quelle giornate non ha avuto paura di piangere e lottare per aiutare i suoi pazienti. Nato in provincia di Mantova, da piccolo si è trasferito a Roma con la famiglia e ha vissuto all’ombra del Colosseo. Si è laureato all’Università degli Studi di Roma – La Sapienza, dove si è specializzato in Anestesia e Rianimazione, e successivamente ha conseguito un Master Universitario di II Livello in Direzione e Management delle Aziende Sanitarie. Dopo un breve periodo di lavoro presso l’Ospedale Santo Spirito in Sassia, il più antico del mondo, è approdato in ASL TO3 dove dirige la Struttura Complessa di Anestesia e Rianimazione di Rivoli che comprende gli Ospedali di Rivoli, Susa e Venaria Reale. Torinese d’adozione, ama da vent’anni la stessa donna e lo dice con orgoglio. Parlando di sé non può non raccontare dei suoi tre figli, che definisce meravigliosi: Edoardo di 5 anni, Arianna di 3 anni (nata precipitosamente al settimo mese di gestazione, mentre lui era di guardia in Ospedale, ricoverata in Terapia Intensiva Neonatale per un mese, ma ora in perfetta salute) e Fabio, nato pochi mesi prima dell’inizio della pandemia di Covid-19. Infine, ci tiene a sottolineare, sono tutti tifosi della Roma.

Non c’è che dire: il Direttore della Struttura complessa di Anestesia e Rianimazione dell’Ospedale di Rivoli prima che medico è un uomo. E questo fa di lui un professionista empatico e il dottore che tutti vorremmo incontrare in caso di pericolo.

Michele Grio EmergenzaEsercitare la professione per lei significa?

Il medico è un professionista che ha studiato per tanti anni e che continuerà a studiare per tutta la vita, ma che non può esercitare la professione senza la giusta caratura umana ed una spiccata predisposizione al prossimo. La medicina non è una scienza esatta, anche se le persone sembrano pretendere questo, ma una scienza statistica basata sulle evidenze scientifiche: noi medici studiamo continuamente per conoscere approfonditamente tali evidenze e ci confrontiamo con tutto il mondo attraverso l’aggiornamento con la letteratura scientifica, ma non siamo medici se non abbiamo la capacità di entrare in sinergia ed empatia con i nostri pazienti e con i loro familiari. Limitandoci a trattare le patologie, ci limitiamo ad essere tecnici della scienza medica; siamo medici solo completando le competenze tecniche e dedicando la nostra vita al trattamento dei pazienti, della persona che abbiamo di fronte ed anche delle loro famiglie. Se non fosse così, basterebbe un corso online, che trasmetterebbe in qualche modo concetti e nozioni, senza consentire di creare un modo di essere, una modalità di vita, che è appunto quella che io valuto essere la mia professione di medico”.

L’ospedale di Rivoli e il reparto da lei diretto sono stati in prima linea durante il Covid-19. Quanto è stato complesso gestire l’emergenza?

La Rianimazione dell’Ospedale di Rivoli, come d’altronde tante altre realtà ospedaliere e territoriali, nei rispettivi ambiti, hanno dovuto improvvisamente ed inaspettatamente confrontarsi con una minaccia che forse mai si era palesata in questi tempi. In poche ore e pochi giorni abbiamo avuto la necessità di trasformarci e reinventarci per gestire al meglio e dare le giuste risposte cliniche al caos che ci ha investiti: tutti si sono rimboccati le maniche e hanno lasciato che le nuove modalità di lavoro li investissero e che le stesse mutassero continuamente con il passare dei giorni. Nella nostra piccola realtà, il Dr. Flavio Boraso, Direttore Generale dell’ASL TO3, ci ha consentito di passare da una disponibilità di 5 posti letto ad un adeguamento fino a 19 posti letto in Terapia Intensiva, in soli tre giorni, fornendoci tutto il supporto necessario per costruire un piccolo miracolo organizzativo: questo ci ha permesso di riuscire a dare risposta ad un numero sempre crescente di pazienti gravi in una condizione in cui tutti i posti letto di Terapia Intensiva della Regione Piemonte si erano saturati sia in termini logistici che di personale e tecnologie. In pochi giorni siamo riusciti a definire i percorsi interni che ci hanno consentito di fornire la migliore assistenza ai nostri pazienti e di dare le giuste protezioni al personale sanitario ed indirettamente alle loro famiglie che aspettavano a casa. I risultati che stiamo elaborando in queste settimane mi inorgogliscono immensamente e sono la prova provata che mi onoro di dirigere un gruppo di professionisti di indiscutibile caratura sia umana che professionale, nonché di lavorare in un’Azienda Sanitaria che si staglia nel panorama delle migliori realtà di Sanità Pubblica a cui il cittadino italiano può rivolgersi con la certezza che per lui possiamo fare il meglio”.

A livello personale, cosa le ha lasciato questa esperienza?

“Anche se già da due anni dirigo la Rianimazione di Rivoli, quest’esperienza ha coinciso con l’assunzione definitiva dell’incarico di Direttore di Struttura Complessa ed il banco di prova è stato particolarmente violento: ne esco rafforzato e molto motivato, tranquillo per l’enorme valore del lavoro fatto da tutto il gruppo. Ho avuto l’occasione di vivere le più disparate emozioni, passando dal pianto per situazioni umane estremamente coinvolgenti, alla tristezza per i pazienti che non siamo riusciti a salvare e per le loro famiglie che non hanno potuto essere loro accanto, alla gioia per tutti i successi di cura ed all’esaltazione per aver messo la maggior parte di loro in piedi, riuscendo anche a portare qualcuno a casa, restituendolo direttamente all’affetto dei propri cari, che poi rappresenta la migliore riabilitazione per queste persone dopo settimane di allettamento e cure intensive”.

Michele Grio EmergenzaQuali accorgimenti dobbiamo avere per vivere un’estate in sicurezza?

“All’inizio di quest’esperienza ho sottolineato pubblicamente che nessuno di noi ne sarebbe uscito come prima e mi riferivo anche alle abitudini che, necessariamente, dovranno modificarsi alla luce di nuove regole igieniche e comportamentali: il distanziamento sociale, l’utilizzo delle mascherine e le norme igieniche quali il lavaggio delle mani continueranno a farci compagnia anche in futuro, probabilmente diventeranno aspetti automatici della nostra vita, e ci consentiranno di tornare in sicurezza a rimpossessarci di situazioni ed emozioni che questo virus ci ha tolto e di cui ci ha fatto sentire la mancanza. Torniamo quindi alla nostra vita, con speranza e motivazioni forti, senza derogare all’atteggiamento di prudenza che abbiamo imparato ad avere e che considero un valore aggiunto per la nostra società”.

Il virus sta scomparendo o dobbiamo mantenere alta l’allerta?

Il virus non è scomparso e non dobbiamo fare l’errore di abbassare la guardia: è un virus pericoloso e molto contagioso, che però abbiamo imparato a riconoscere, a contenere nella sua trasmissione e a trattare nelle sue complicanze cliniche anche mortali. Non siamo ancora in grado di annullarlo con terapie specifiche, ma sono fiducioso che la scienza ci saprà dare anche questa volta i giusti strumenti per farlo. Nel frattempo siamo riusciti a ridurre enormemente il tasso di mortalità ed il numero di pazienti che hanno bisogno di cure intensive, e questo è dovuto da una parte alle competenze acquisite, dall’altra al ruolo del nostro sistema immunitario che sa fare il suo lavoro in nostra difesa”.

Torino per lei è?

“Questa è la città in cui è nata mia moglie Antonella, che ho sposato nel 2005, ma che già dal 2000 ho imparato a conoscere ed apprezzare per lei. Poi è inaspettatamente diventata mia, anche se vivo a Rivoli, dove lavoro da dieci anni e dove sono nati i miei tre figli. Sono originario di Castel Goffredo in provincia di Mantova, sono cresciuto e ho studiato a Roma, mi sono completato realizzandomi umanamente e professionalmente a Torino. Il legame con il Piemonte e con il capoluogo è solido, provo riconoscenza per le opportunità offertemi e raccolte, per l’affetto e la stima che continuo a registrare e per l’accoglienza niente affatto fredda che ho ricevuto sin dall’inizio”.

Un ricordo legato alla città?

“Ricordi ne ho moltissimi, sono emozionalmente legato a via Roma ed in particolare a Piazza San Carlo, che per anni sono stati i miei luoghi preferiti. Proprio in Piazza San Carlo, anni addietro, abbiamo organizzato con l’attuale Associazione Lorenzo Greco Onlus una manifestazione con centinaia di bambini e ragazzi che, all’unisono, eseguivano correttamente il massaggio cardiaco e defibrillavano in sicurezza. Un’esperienza unica, meravigliosa, a suggello del fatto che tutti possiamo e dobbiamo essere in grado di soccorrere un’inaspettata vittima di arresto cardiaco in ambito extraospedaliero, rappresentando probabilmente la sua unica speranza di vita. Siamo tuttora impegnati con queste finalità su tutto il territorio piemontese ed in particolare su quello di riferimento della nostra Azienda Sanitaria, con le diverse edizioni di EVVIVA l’ASLTO3, che molti di voi conoscono e che continuano a chiederci di organizzare nelle varie città”.

 

Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto

Mai mischiare giudizi morali e giudizi penali

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / Le giornate a tema ormai sono del tutto svalutate e inflazionate. Ne hanno create per tutte le occasioni anche le più strampalate, ma ieri 17  giugno era la giornata dedicata alle vittime degli errori giudiziari. E’ tornata alla mente naturaliter la figura di Enzo Tortora, condannato a dieci anni in base a pentiti indegni di essere creduti da magistrati che non pagarono mai per i propri errori, ma anzi fecero carriera 

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Francesca Scopelliti, la sua compagna, ci ha costantemente ricordato il martirio di Tortora che solo il coraggioso Pannella seppe denunciare con coraggio. Zanone che era segretario del PLI, il Partito di Tortora, ebbe paura e lo lasciò solo. Enzo lo definì non senza ragione “il farmacista di Pinerolo“ che guardò al tornaconto immediato senza comprendere la grande battaglia liberale che si doveva combattere per Tortora e la giustizia giusta.
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E ovviamente va ricordato Bruno  Contrada che fu una vittima della mala giustizia anche più di Tortora e che qualcuno vorrebbe illusoriamente senatore a vita, nominato da Mattarella che mai – credo- penserebbe di onorare un grande servitore dello Stato come Contrada. Ma oggi la giornata deve anche farci  ricordare Palamara e le correnti che hanno inquinato la magistratura, minandone l’ indipendenza che non è un diritto dei magistrati, ma un dovere dei magistrati  nei confronti dei cittadini. Il pm di Palermo Di Matteo che inquisì  Napolitano per una presunta trattativa Stato- Mafia e che ora è al CSM , ha parlato di clima mafioso nella spartizione delle cariche all’interno della Magistratura. Una dichiarazione che se fosse stata detta da altri, sarebbe apparsa  un oltraggio alla Magistratura, perseguibile penalmente. Anche il caso  di Carminati,  liberato dal carcere dopo cinque anni per i ritardi giudiziari, deve farci meditare. Lo accusarono di mafia, ma un tribunale ha dichiarato che non era mafioso. Oggi è libero perché le regole devono essere uguali per tutti, anche per Carminati. La legge dovrebbe essere uguale per tutti e non sarà certo Giletti o il ministro Bonafede a farmi cambiare idea. I giudizi morali sono importanti, ma nulla hanno a che fare con quelli giudiziari. Carminati lo detesto, ma i suoi diritti sono sacri e inviolabili. Un liberale la pensa così. Che piaccia o non piaccia. Guai a tradurre  sul piano penale dei giudizi morali. Saremmo all’ Inquisizione laica, la peggiore possibile. La Giustizia che piaceva a Calamandrei, a Leone, a Cossiga, a Denicola e a Carnelutti per non dire a Beccaria, ne uscirebbe violentata per sempre.
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Zanzare, conoscerle per difendersi: le principali specie in Italia

Rubrica a cura di IPLA – Istituto per le Piante da Legno e per l’Ambiente

3750 specie diverse nel mondo, più di 60 in Italia.

Pensate che di zanzare ve ne siano solo uno o due tipologie? Siete fuori strada. Delle circa 3.570 specie di zanzare conosciute al mondo, in Italia ne sono presenti più di 60 specie. Di queste tuttavia solo una decina sono interessate al sangue umano. Tra loro ve ne sono in 4 che rappresentano la maggioranza delle zanzare che ci infastidiscono con le loro punture e che, in alcuni casi, possono trasmettere patogeni per l’uomo.

La lotta alle zanzare, che colpisce prevalentemente gli insetti quando sono allo stadio larvale, si deve fare in modo differenziato a seconda delle specie che si vogliono colpire.

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Le zanzare comuni

zanzare comuni foto

La zanzara comune (nome scientifico Culex pipiens) è di aspetto e dimensioni piuttosto minute e colorazione di fondo sul marroncino. Di questa specie esistono due forme biologiche: una rurale e ornitofila (si nutre a spese degli uccelli) e una che predilige il sangue umano, particolarmente adattata agli ambienti urbani, che rappresenta un’evoluzione della prima. Dal punto di vista biologico, la forma adattata a nutrirsi a spese dell’uomo si è abituata alla vita in ambienti chiusi, spesso sotterranei (cantine); è in grado di accoppiarsi in spazi ristretti e di compiere il primo ciclo di produzione di uova senza il pasto di sangue. Esistono popolazioni ibride e con caratteristiche intermedie. Si nutre in prevalenza nelle ore serali e mattutine.

La zanzara tigre

zanzare tigre foto

La zanzara tigre (nome scientifico Aedes albopictus) si distingue dalla zanzara comune per la colorazione: l’adulto è nero con striature bianche su tutto il corpo, in particolare sulle zampe. Le dimensioni non sono diverse dalla zanzara comune.
E’ una specie originaria delle foreste tropicali del sud-est asiatico, da dove nel corso di pochi decenni, a partire dalla seconda metà del XX secolo, ha colonizzato buona parte delle regioni temperate e tropicali del globo. Si nutre di giorno.
La sua diffusione è principalmente dovuta al trasporto accidentale di uova deposte all’interno di manufatti oggetto di commerci internazionali, come i copertoni usati. In Piemonte è ormai diffusa ovunque al di sotto dei 600 metri di quota.

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Le zanzare di risaia

zanzare risaia

La zanzara di risaia (nome scientifico Ochlerotatus caspius o Aedes caspius) presenta una colorazione molto variabile tra popolazioni e anche all’interno della stessa popolazione. Nella forma più comune si distingue per l’addome acuto e scuro che mostra un disegno a “crocette” chiare. Le femmine pungono sia durante il giorno che durante la notte, con un picco di attività nelle ore più fresche della giornata e al crepuscolo. Si tratta di una specie aggressiva, fonte di grave fastidio per l’uomo e gli animali domestici. E’ una specie molto comune in Italia, soprattutto nelle regioni costiere e in quelle risicole. E’ in grado di spostarsi di molti chilometri dai suoi focolai di sviluppo. E’ una delle zanzare più presenti nelle aree risicole piemontesi.

La zanzara anofele

zanzara anofele foto

Zanzara anofele. Per “anofeli” s’intendono generalmente tutte le specie di zanzare appartenenti al genere Anopheles.
In Europa, la maggior parte di esse è riconducibile ad un insieme di specie molto simili, che si possono distinguere solo allo stadio di uovo o con particolari misure biometriche delle larve.
Le specie che compongono il complesso sono 8, di cui 7 presenti in Italia. In Piemonte predominano An. messeaeAn. melanoon e An. maculipennis, specie che si nutrono prevalentemente a spese di animali ma che possono raramente pungere l’uomo e solo quando sono presenti in grandi popolazioni, come accade nel Piemonte orientale a estate inoltrata.
Il corpo è dotato di lunghe zampe e di una evidente proboscide; è di colore scuro e ha dimensioni più grandi delle altre specie. Le ali presentano inoltre caratteristiche macchie, dovute a gruppi di scaglie scure.

 

Giorello che praticò il dubbio laico

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / La morte improvvisa e crudele del filosofo Giulio Giorello dopo due mesi di ricovero a Milano per Coronavirus, quasi subito dopo  la sua dimissione dall’ospedale rende ancora più duro il distacco da un maestro della cultura filosofica italiana che ha molto spaziato nella sua ricerca, anche se di  lui restano  soprattutto l’epistemologo e il filosofo della scienza  di altissimo valore.

Come ha detto Cacciari, liberò dal vecchio positivismo e dall’ideologismo marxista la ricerca  filosofica. Allievo di Ludovico Geymonat, era andato oltre il maestro. Bobbio una volta mi disse che Geymonat viveva soprattutto di certezza ideologiche , mentre noi laici siamo attratti dai dubbi.
Giorello ha praticato il dubbio laico, anche se non ha mai accettato la distinzione bobbiana tra  la laicità e il laicismo, quest’ultimo In contraddizione con lo spirito laico amato dal filosofo torinese. Giorello aveva un’idea forte del laicismo, per dirla con un’espressione cara a Nicola Abbagnano e al suo discepolo Giovanni Fornero. Discussi con lui di questi temi, ma fu difficile dialogare. Quando pubblicai un libro su Cavour e i rapporti tra Stato e Chiesa con Girolamo Cotroneo in cui liberammo Cavour da  certe ipoteche anticlericali e massoniche, gli spedii una copia, invitandolo a presentare il libro insieme a Raimondo Luraghi, ma non accetto’. In un’altra occasione gli spedii la nuova edizione del “Perché non possiamo non dirci cristiani” di Benedetto Croce, ma si limitò a ringraziare. Era molto difficile il  nostro dialogo , pur partendo da posizioni che affermavano il valore della tolleranza .  Fu un neo illuminista molto convinto, fu quasi a suo modo un nuovo Voltaire . Anche con Augusto Viano che ebbe posizioni assai vicine a lui, fu difficile il dialogo negli ultimi anni perché considerava la religione una sorta di idola tribus da rifiutare. Anche Giorello ebbe un atteggiamento simile. Io mi sono nutrito di Ruffini, di Bobbio, di Jemolo, di Passerin e facevo difficoltà a sintonizzarmi con Giorello il cui anticlericalismo ateizzante appariva una costante . In più ero amico di Marcello Pera  come lo ero stato di Francesco Barone , due figure quasi  antitetiche rispetto a Giorello Il suo libro “Di nessuna Chiesa . La libertà del laico” rappresenta assai bene il suo pensiero. Marco Pannella parlò di laici credenti e non credenti, un modo altro di affrontare il tema della laicità. Al contrario del Maestro Geymonat che polemizzò duramente con Popper, difendendo la società chiusa sovietica, Gioriello  fu per la società aperta popperiana, ma il liberalismo del pensatore austriaco gli fu sostanzialmente estraneo. Resta di lui una grande opera scientifica  destinata a restare e una inesausta passione civile, unita ad una grande coerenza. Giorello e’  stato un chierico alla maniera di Benda che non ha tradito . La libertà e ‘ stata l’animatrice del suo lavoro. Anche come divulgatore giornalistico e’ stato straordinario per la sua chiarezza esemplare . Rispetto a tanti marxisti vecchi e nuovi che hanno monopolizzato la filosofia italiana per decenni Giorello è stato capace di autonomia. Anni luce dai torinesi teorici del “pensiero debole“ passati  in tarda età, armi e bagagli, al marxismo. Mi sarebbe piaciuto leggere di un suo dialogo con Papa Francesco così distante dal clericalismo. Invece di Eugenio Scalfari che ha monopolizzato quel rapporto Giorello più di ogni altro avrebbe potuto portare il  confronto ad un livello molto alto che ci avrebbe arricchiti tutti, credenti e non credenti.

La pera garga, una storia in lingua piemontese

Rubrica a cura del Centro Studi Piemontesi 

La pera garga

C’era una volta, in una borgata di campagna negli immediati dintorni di Torino (frazione Bauducchi nel Comune di Moncalieri), oggi sconvolta da autostrade, svincoli, superstrade, industrie, un nucleo di cascine fiancheggiate da una polverosa stradina in terra battuta. Lungo la strada, in una sorta di slargo davanti a quella che era la bottega del fré (il fabbro), a l’ombra giaja delle foglie di un’arbra (un pioppo) c’era una grande pietra rotonda. Questa pietra aveva come antico uso di servire al fré a tiré le roe dij cher e dij carton (tirare, ridare rotondità, risistemare le ruote dei carri). Chiusa la bottega del fré, la pietra era rimasta lì inutilizzata e per la gente del posto era diventata un punto di incontro.

Lì si trovavo i ragazzi a giocare; lì veniva a sedersi la gente le sere d’estate o le domeniche pomeriggio. Ci si fermava su queste pietra-punto di incontro, nei momenti di riposo dal lavoro e così nel lessico familiare di quel posto la pera è diventata garga, cioè pigra, attraverso un investimento in qualche modo magico e primitivo: ossia attribuendo all’oggetto d’uso la condizione dei suoi fruitori.

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

 

Tracy Chevalier  “La ricamatrice di Winchester”   -Neri Pozza-  euro 18,00

Dura la vita per le “donne in eccedenza” rimaste nubili dopo la strage di uomini compiuta nella Grande Guerra. E’ questo lo scenario dell’ultimo romanzo dell’autrice del bestseller “La ragazza con l’orecchino di perla”. Ancora un affresco storico ambientato nell’inglese Winchester nel 1932. Protagonista è la 38enne Violet Speedwell che, dopo la morte del fidanzato in guerra, sembra irreparabilmente destinata al zitellaggio perenne; prospettiva poco allettante in una società basata sul matrimonio come unico sacro-santo destino del genere femminile.

Violet però non si rassegna all’idea di un’esistenza buia e desolante, punta invece sull’indipendenza e l’emancipazione.

Ok, l’amore della sua vita è caduto in trincea, ma non vuol dire che anche lei deva vedere finita la sua vita. E’ tenace e coraggiosa, il primo passo che compie è allontanarsi da una madre piagnucolosa e soffocante, inacidita dalla morte del marito e del figlio primogenito. Violet non si lascia incastrare dai suoi ricatti emotivi, lascia la casa natia di Southampton e si trasferisce a Winchester.

Trova lavoro come dattilografa in una compagnia di assicurazioni, divide una casa con coetanee scostanti e fa i conti con l’esiguo stipendio che a malapena le consente di sopravvivere.

Per il sesso si affida agli incontri casuali nei bar con “gli uomini dello  sherry”, ma anela a ben altro. Strategica è la sua decisione di entrare nel gruppo di volontarie che negli anni 30, sotto la guida di Louisa Persel, ricamavano cuscini per la cattedrale di Winchester. Lei, che non aveva mai preso un ago in mano, decide di imparare perché vuole creare qualcosa che le sopravviva.

La sua storia incrocia quella di altri personaggi: come  l’amicizia con altre donne “in eccedenza”, effervescenti come Gilda e Dorothy, e l’intesa con il campanaro della chiesa che ha perso un figlio in guerra e deve gestire una moglie impazzita dal dolore.

 

Jane Harper  “L’uomo perduto”   – Bompiani –   euro  19,00

L’Australia assolata e dal caldo rivente è lo struggente fondale sul quale si muovono i personaggi tormentati di questo splendido noir. E’ il terzo romanzo della scrittrice di radici britanniche (nata a Manchester nel 1980), ma cresciuta a Melbourne dall’età di 8 anni, Jane Harper. Il suo libro di esordio “Chi è senza peccato” si era guadagnato il premio come miglior poliziesco australiano nel 2017, e “L’uomo perduto” non è da meno.

Inizia con il ritrovamento del cadavere di Cameron Bright in un punto dell’outback dal nome suggestivo “la tomba del Magazziniere” (scoprirete la storia tragica che c’è dietro) a miglia di distanza da tutto, in una torrida estate del Queensland, che lì coincide col Natale.

Cosa è successo a questo stimato proprietario di una stazione di bestiame -fratello di mezzo tra Nathan e Bub- che aveva ereditato la proprietà di famiglia? La morte di Cam è davvero inspiegabile. Sul cadavere bruciato vivo e disidratato dal sole non ci sono segni di lotta o altro che spieghi una fine del genere. Ma allora perché un esperto fattore come lui, nato e cresciuto in quella terra ostile, si sarebbe allontanato dall’auto piena di acqua? Suicidio?

Lo scoprirete leggendo, così come vi avventurerete nei segreti e nei tormenti della famiglia Bright. A partire dal padre violento. Poi il primogenito Nathan sul quale pesa una colpa mai condonata dagli abitanti dell’immaginaria cittadina di Balamara e dai suoi stessi familiari. Per arrivare al più piccolo dei fratelli, Bub, che da anni sogna di andarsene lontano da quella fattoria piena di dolore, col sogno di diventare cacciatore di canguri e rifarsi una vita. Ma soprattutto scoprirete chi era davvero Cameron, il suo passato e il suo modo di condurre l’esistenza e gli affetti…e tenetevi forte perché nulla sarà come sembra all’inizio.

 

Simonetta Fiori  “La testa e il cuore”   – Guanda –   euro 17,00

Cosa legava coppie famose dell’Olimpo artistico e culturale della levatura di Liv Ullmann  e  Ingmar Bergman, Boris Pastor e Rada Preml, Dario Fo e Franca Rame o Raffaele La Capria e Ilaria Occhini?

Ve lo svela la giornalista di Repubblica Simonetta Fiori in queste pagine scandite in 30 storie di unioni famose e uniche, nelle quali grandi menti e grandi cuori si sono incontrati.

Attraverso le interviste ai protagonisti sopravissuti ricostruisce menage affascinanti e spesso complicati in un alternarsi di alti e bassi, abbandoni e ritorni, i primi incontri e i tasselli sui quali poggiavano sodalizi incredibili.

Ci sono coppie letterarie, compresa quella dello scrittore portato via dal Covid 19 dopo lunga agonia, Luis Sepúlveda e la poetessa Carmen  Yáñez, intervistati nel giugno 2018. Un colpo al cuore leggere oggi il loro racconto della storia d’amore mai finita: passata attraverso un primo matrimonio, golpe militare e dittatura, lontananza e ricongiungimento in un secondo matrimonio che solo la morte ha potuto spezzare.

Con grazia e sensibilità Simonetta Fiori vi fa entrare nelle vite affettive di personaggi non solo letterari come Alberto Moravia e l’inafferrabile Carmen Llera, o Rosetta Loy e Cesare Garboli (per citarne alcuni).

Vi conduce anche nel vissuto di coppie del cinema, come quella di Mario Monicelli e Chiara Rappacini; della musica, con Fabrizio de André e Dori Ghezzi; del teatro, con Giuliana Lojodice e Aroldo Tieri,… e tante altre.

Scoprirete vezzi, sentimenti, abitudini, caratteri opposti che si amalgamano oppure deflagrano in rotture, amori tormentati che diventano amicizie incrollabili. Come quella che condusse l’attrice Liv Ullmann al capezzale del regista -forse più geniale di tutti i tempi- Ingmar Bergman, e che lei, oggi splendida 80enne, descrive così:

«Sapevo che Ingmar non stava bene, ma non era così grave. Eppure una mattina di luglio 11 anni fa, sentii all’improvviso che dovevo correre a Fårö. Noleggiai un aereo privato…..Entrai nella sua stanza, lui era già assopito. Gli presi la mano e gli dissi alcune cose su di noi…Non so se abbia sentito, forse la sua anima si. Sono stata l’ultima persona a vederlo. E’ morto quella notte».

 

 

L’eredità di Montanelli

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / Gad Lerner approdato al “Fatto” perché  ha rotto con Molinari e “Repubblica” adesso si esercita a scrivere su Montanelli dopo  che il suo nuovo direttore ha difeso il grande giornalista, citando perfino Angelo Del Boca che ha detto che un vero razzista non avrebbe mai sposato una donna africana 

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Lerner giunge a scrivere che Travaglio stesso è l’erede di Montanelli. E lo  stesso Travaglio credo pensi di esserne l’erede. La realtà è ben diversa perché l’esperienza della “Voce” fu una parentesi non fortunata di Montanelli in cui prevalsero i giacobini  alla Travaglio, sempre combattuti dal maestro: un giornale nato male e vissuto peggio che Montanelli decise di chiudere per tornare ad un ”Corriere della Sera“ mutato  rispetto a quando lo aveva lasciato, sbattendo la porta.
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Posso testimoniare che quando Montanelli ricevette il Premio Pannunzio nel 1991 a Torino si fece accompagnare solo da Paolo Granzotto e non volle nessun altro, anche se dalle fotografie scattate ai tavoli del ristorante scoprii  anni dopo che ad un tavolo dietro una colonna del Ristorante Arcadia  in fondo alla sala si era imbucato  a cena un giornalista non invitato e che allora nessuno conosceva: il giovane, futuro direttore del “Fatto“. Montanelli che io conobbi nel 1987  e che invitai a parlare nel 1988 per ricordare Pannunzio nell’Aula del Consiglio Regionale del Piemonte mai mi parlò di altri giornalisti. Solo una volta mi parlò- molto male – di Marcello Staglieno destinato dopo anni a diventare mio amico. Montanelli criticò Staglieno, non immaginando cosa farà a capo della cultura del “Giornale” Caterina Soffici una vera e propria infiltrata di sinistra. In realtà nessuno può pretendere di essere il continuatore di un fuori classe come Montanelli o come Pannunzio. Basterebbe pensare ai giudizi severissimi che Indro espresse sulla Magistratura per rendersi conto che mai avrebbe potuto condividere la concezione barbara della Giustizia esibita dal “Fatto” come un marchio di fabbrica inquisitorio e profondamente illiberale.
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Appare strano come abbia fatto a promuovere Travaglio un uomo come Giovanni Arpino  nei confronti di Montanelli. La vedova di Arpino non riuscì mai a capacitarsi dell’abbaglio del marito. Montanelli fu unico ed irripetibile come lo fu Pannunzio e gli imitatori devono rassegnarsi a ruoli marginali. E’ la stessa cosa che accadde con Bobbio che non ebbe l’arroganza di creare una sua scuola, una scelta che rivela la sua grandezza e la sua superiorità, come evidenziò Marcello Gallo. I presunti bobbiani o continuatori si rivelarono subito inadeguati rispetto al maestro e finirono nell’oblio. Gad Lerner, dopo aver insultato Montanelli, sembra fare un po’  di marcia indietro perché il suo nuovo fondatore e direttore si ritiene un montanelliano doc o addirittura il nuovo Montanelli. Lerner gli antepone però  Giorgio Bocca perchè, pur essendo stato fascista, fece il partigiano, ma qui si tratta non di valutare l’antifascismo resistenziale (Montanelli fu  comunque incarcerato a San Vittore), ma il giornalismo ed è fuor di dubbio che Montanelli sia stato superiore a Bocca che specie negli ultimi anni si rivelò faziosissimo. La statua di Montanelli viene difesa persino dal Presidente milanese dell’Anpi,  anche se  bisognerà attendere  l’Anpi nazionale che dantescamente “giudica e manda“  all’inferno i reietti che non si uniformano alle sue ideologie e alle sue vulgate.
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“La stampa” ha relegato in un piccolo pezzo, con una  piccolissima fotografia la notizia dell’ imbrattatura del monumento  a Montanelli che – apprendiamo –  sul piano estetico non piace a Travaglio, ma incontra i gusti di Lerner. Una scelta simile  a quella che fece quel giornale quando venne ferito dalle Br Montanelli e la notizia venne derubricata come il ferimento di un giornalista anonimo. Un errore che il direttore Arrigo Levi riconobbe, quando lo invitai a ricordare Carlo Casalegno al Liceo d’Azeglio. Imbrattare con vernice rossa Montanelli ci fa riandare ad un clima che non avremmo voluto rivivere. Quello dell’intolleranza becera del ‘68, dell’autunno caldo e dei primi Anni 70. Poi arrivò il terrorismo. Speriamo che si fermino alle parole e alla vernice. Certo,  sono degli strani antirazzisti che praticano la violenza delle parole  e dei simboli per affermare le loro idee, ammesso  che ne abbiano.
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Stati Generali, Colao degradato

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni / Si aprono con grande solennità gli Stati Generali sull’economia che dureranno dieci giorni. Siamo a metà giugno  e il Governo Conte occupa altri preziosi dieci giorni per ascoltare anche  quelli che ai tempi di Craxi erano chiamati nani e ballerine. Verranno sentiti personaggi come Farinetti  e Fuksas  che non credo possano dare un vero e spassionato contributo ad un dibattito, come si può evincere dalla loro esperienza professionale

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C’è una regia mediatica volta a dare l’idea che adesso (cioè in grandissimo ritardo) ci si voglia aprire al confronto, sempre negato alle opposizioni che oggi vengono accusate da uno sprovveduto commentatore di essere “aventiniane”, quasi ci fosse Mussolini al governo. La commissione Colao creata ad hoc ha prodotto un documento di aria fritta come l’avrebbe definita Ernesto Rossi che non fu solo un polemista, ma anche un grande economista.
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Colao si è distinto per avere proposto di tassare il contante , un’idea ossessiva della peggiore sinistra. Il Super Manager, tanto venerato nei mesi scorsi come il salvatore della Patria, è stato degradato ad essere uno dei tanti partecipanti all’evento  romano che, tra l’altro, avrà dei costi significativi che in tempo di crisi sarebbe interessante conoscere. Nessun paese europeo ha fatto qualcosa di simile, ma tutti hanno deciso con rapidità le misure necessarie a contenere la crisi e tentare di rilanciare l’economia L’Italia si manifesta incerta, mentre il suo sistema economico produttivo e commerciale sta crollando. Il documento Colao non è piaciuto e rimarrà un piccolo libro dei sogni. Un’altra caratteristica degli Stati Generali a porte chiuse è la mancanza di trasparenza. Tutto deve essere pubblico. Un capo del governo che ha fatto un uso sproporzionato della Tv, non può non garantire la massima trasparenza dei dibattiti, consentendo di poterli seguire in tv o almeno in streaming, uno stile caro ai grillini delle origini. Ma forse in questa segretezza si nasconde la negatività maggiore di un’operazione  meramente cosmetica che vorrebbe sostituirsi al Parlamento  in questi mesi quasi  totalmente svuotato delle sue funzioni, sancite costituzionalmente, senza che nessuno abbia alzato la voce. Dare l’idea di non saper decidere, di volere elemosinare idee, è un ennesimo errore ed è un colpo alla credibilità dell’ Italia anche in vista della trattativa europea. Può essere una passerella mediatica, accuratamente studiata dal suo ufficio stampa, per il presidente Conte che a malapena riesce a mediare tra il Pd e i Cinquestelle. Abbiamo un governo che si regge sulla tragedia del Coronavirus, sempre che i magistrati di Bergamo non lo mandino a casa con un avviso di garanzia ,anche se le parole della magistrata che è andata ieri a Palazzo Chigi, è apparsa molto cerimoniosa  è tranquillizzante con il presidente e i ministri. Non ci sono ragioni vere per gli Stati Generali,  se non  quelle di prendere e perdere altro tempo prezioso. E’ un segno della grande confusione in cui viviamo , unici in Europa. Ma forse Conte e il suo eccezionale ministro degli Esteri vogliono proprio essere unici in Europa . Una scelta che tende ad isolarci come un paese  il cui governo non è in grado  di decidere il futuro dell’Italia. L’Italia soffre anche l’anomalia incredibile di avere un ministro all’economia laureato in lettere che viene considerato, non si sa perché, un grande economista. I governi precedenti scelsero tutti persone competenti, il Conte bis ha messo in quella casella, comunque decisiva ,un ex comunista che ragiona ancora con certi pregiudizi ideologici obsoleti, come ha dimostrato  vistosamente da Vespa nei giorni scorsi. I latini dicevano “Mala tempora currunt”, gli Italiani di oggi ricorrono agli insulti e alle imprecazioni più volgari per esternare un disagio che è sempre più evidente e che sta determinando tensioni sociali molto più gravi di quelle che portarono il re Luigi XVI, dopo gli Stati Generali francesi alla ghigliottina. Il
furore popolare non guarda in faccia nessuno e manifesta gli istinti più bassi e violenti dell’uomo . Una lezione che non va mai dimenticata.
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