Torino tra architettura e pittura. Giuseppe Penone

Torino tra architettura e pittura

1 Guarino Guarini (1624-1683)
2 Filippo Juvarra (1678-1736)
3 Alessandro Antonelli (1798-1888)
4 Pietro Fenoglio (1865-1927)
5 Giacomo Balla (1871-1958)
6 Felice Casorati (1883-1963)
7 I Sei di Torino
8 Alighiero Boetti (1940-1994)
9 Giuseppe Penone (1947-)
10 Mario Merz (1925-2003)

9) Giuseppe Penone (1947-)

La verità è che con l’inizio della bella stagione in classe non ci resisterebbe nessuno, né gli allievi, né tanto meno gli insegnanti. La primavera è tutta una poesia, il sole tiepido penetra attraverso le finestre e invade le aule, il venticello che al mattino è ancora freddo si fa piacevole brezza dalla tarda mattinata in poi, i colori della natura si accendono e tutto diventa un irresistibile richiamo per uscire all’aria aperta. Inutile dirlo, il ritorno di Persefone scuote gli animi degli studenti esattamente come il gasatore infervora le molecole dell’acqua e la rende frizzante; gli scolari diventano sensibilissime palline da ping-pong, guizzano tra i banchi appena trovano una scusa sostenibile e ormai il cambio d’ora non ha nulla da invidiare all’intervallo. È come se il mondo fuori emettesse dei richiami a ultrasuoni, che entrano nelle nostre menti impercettibilmente: uscire, uscire, uscire…
Ma è proprio nelle situazioni d’emergenza che vengono “le idee luminose”. Così ho pensato di trasformare questo irrefrenabile sentire primaverile in una riflessione costruttiva riguardo al rapporto “uomo-natura”. Certo tale titolazione è a dir poco vasta e si presta a diramarsi in diversi ambiti, dalla letteratura all’arte all’educazione civica, si può riflettere altresì sull’importanza dell’ecologia o su quanto l’ambiente che ci circonda influisca sul nostro stato mentale.
Le considerazioni sono tantissime e i ragazzi, quando si tratta di argomenti che li interessano sul serio, si dimostrano motivati oratori.
Da un punto di vista artistico-letterario si può affermare che l’argomento “uomo-natura” è antico come il mondo. Agli albori del tempo, in epoca preistorica, la condizione naturale e ambientale è aspetto costitutivo delle primissime pratiche artistiche, le pitture rupestri, ad esempio, dimostrano come l’uomo delle caverne sia riuscito a tramutare la mera materialità in manifestazione creativa, con lo scopo di sondare ciò che lo circondava.

Non solo, si pensi ai miti classici e a quanto la natura sia stata fonte d’ispirazione per aedi e filosofi; la civiltà greca “in primis”, attraverso la “cosmogonia”, tramuta gli Dei in elementi della natura, così la Terra diventa Gea, il mare Poseidone, il vento Eolo e via discorrendo.
Già solo con questa più che semplificata premessa si comprende che l’argomento è sconfinato e fitto di diramazioni e incisi.
Proviamo ora a restringere leggermente il campo e focalizziamo l’attenzione sull’ambito iconografico. Con l’epoca rinascimentale il paesaggio – e dunque la natura- acquista una sua propria importanza, lo sfondo diventa ambientazione scenografica, gli elementi raffigurati si fanno sempre più realistici e dettagliati e si caricano di significati simbolici che concorrono alla narrazione del soggetto scelto. Giusto per proporre un esempio concreto, per Leonardo da Vinci (1452-1519), uomo rinascimentale per eccellenza -su cui non provo nemmeno a dilungarmi in questo contesto perché ne verrebbe fuori un inciso chilometrico- la natura è un costante oggetto d’indagine; per l’artista lombardo l’ambiente va studiato e raffigurato con attenzione, esso ha la stessa importanza delle figure che ricoprono il ruolo di protagoniste, così come si evince dalla “Vergine delle Rocce” (1483–1485), opera nella quale la vegetazione è raffigurata con precisione scientifica, i fiori e le piante paiono illustrazioni botaniche e la resa dell’atmosfera confluisce nel risultato ultimo dell’aspetto delle figure, non più nette e contornate da una linea scura, ma sfumate, attraverso un sapiente uso della colorazione e della luce.

Con il trascorrere dei secoli la rappresentazione dell’ambiente acquista sempre più importanza, nel Seicento nasce il genere del paesaggio, nel Settecento invece si diffondono nuove correnti pittoriche quali il “vedutismo” e il “paesaggismo”. È però con il Romanticismo che il contesto naturale si afferma definitivamente come soggetto autonomo delle opere d’arte. A caratterizzare la poetica romantica vi sono due concetti principali: il “sublime” e il “pittoresco”. Entrambe le tematiche trovano la loro espressione nella natura e nel suo duplice aspetto, da un lato “locus amoenus” virgiliano, dall’altro manifestazione spettacolare ma spaventosa, “l’orrido che affascina” di Foscolo e Leopardi. I massimi esponenti del Romanticismo sono gli inglesi Turner e Constable e il tedesco Caspar David Friedrich. Questi pittori indagano in maniera simbolica il rapporto “uomo-natura”, arrivando però a conclusioni molto differenti, per Constable l’ambiente naturale è rassicurante, fonte di religiosità e tranquillità, al contrario per Friedrich e Turner la natura è qualcosa di irrefrenabile, devastante, stupefacente, che pone l’essere umano di fronte ai propri limiti. Una delle tele che meglio esprime il sentire dell’artista tedesco è “Il mare di ghiaccio” (1823–1824), in cui è raffigurata una nave che soccombe sotto la pressante e inesorabile forza delle calotte polari che dominano la scena e si ergono a protagoniste del dipinto.
Il Novecento si pone sempre come discorso a parte, le due guerre fanno sì che gli artisti sviluppino un’ottica pessimistica e disillusa, anche nei confronti della natura, non più confortevole ma maligna. Questo sentimento di totale scoramento sarà alla base dei filoni letterari della distopia e della fantascienza, particolarmente apprezzati negli anni Settanta. Nessuna corrente artistica però si è incentrata sul rapporto “uomo-natura” quanto la “Land Art”. Siamo negli anni Sessanta e in ambito artistico nasce un modo nuovo di affrontare l’argomento: gli artisti non si limitano ad illustrare o dipingere l’ambiente, essi agiscono direttamente sulla natura e sul territorio, creando opere altamente impattanti, caratterizzate dalla precarietà dell’essere e continuativamente soggette alle variazioni climatiche. Altra peculiarità di queste creazioni è quella di non poter essere viste nella loro interezza con un semplice sguardo, è necessaria infatti una prospettiva aerea o un elevato luogo d’osservazione per osservarle completamente, poiché si tratta in genere di opere enormi, che si estendono per lunghissimi tratti di territorio.
Ha eseguito anche lavori inscrivibili al settore della “Land Art” l’artista di cui vorrei parlarvi oggi nello specifico, personaggio parimenti conosciuto come “artista degli alberi”, la cui ricerca è tutta sviluppata intorno alla tematica “uomo-natura”.

Si tratta di Giuseppe Penone (1947-), originario di Garessio, un non troppo grande comune piemontese, in provincia di Cuneo. Penone si forma a Torino presso l’Accademia Albertina di Belle Arti, dove conosce Giovanni Anselmo (934)-) e Michelangelo Pistoletto (1933-), con i quali, a partire dal 1967, entra a far parte del movimento dell’ “Arte povera”.
L’anno successivo, nel 1968, espone con successo alcune sue sculture al “Deposito d’Arte Presente”; i suoi lavori sono realizzati con materiali poco convenzionali quali piombo, rame, cera, pece, legno, in essi è implicata l’azione naturale degli elementi, come esemplifica “Scala d’acqua: corda, pioggia, sole”.
L’artista è da sempre interessato a sondare le possibilità che ha l’uomo di interagire con la natura circostante, in tal senso sono celebri gli interventi che porta avanti nei boschi di Garessio, con il preciso scopo di intervenire nel processo di crescita degli alberi (“Alpi marittime”, 1968). In questa situazione l’artista decide di “lasciare un segno” del suo passaggio ed esegue dei calchi realistici delle proprie mani e braccia, dopodiché li installa su alcuni piccoli tronchi. Con il passare del tempo gli alberi crescono, ma tale crescita è sensibilmente e inevitabilmente modificata dalla presenza degli arti bronzei di Penone, che stringono e affondano nella corteccia come corpi estranei artificiali di cui la pianta non può liberarsi.
L’arte di Penone non è univoca, egli ricorre anche alla “performance”, alla “body art” e all’ “arte ambientale”, ma se possono cambiare le modalità d’azione, rimane invariata la sua prerogativa di studiare e approfondire il rapporto “uomo-natura”, sotto forma di un costante dialogo complesso tra “io e mondo”. Alla tematica ambientale fanno riferimento alcune sue opere che si avvicinano alla poetica della “Land Art”, come i lavori che egli esegue per le personali al Kunstmuseum di Lucerna (1977), al Museum of Modern Art di New York (1981) o al Musée d’art moderne de la Ville di Parigi (1984) o ancora ai grandi alberi in bronzo destinati ad alcuni spazi pubblici come il “Pozzo di Münster” del 1987, il “Faggio di Otterloo” (1988), l’“Albero delle vocali” inaugurato nel 2000 alle Tuileries di Parigi o l’“Elevazione” a Rotterdam del 2000.

Alla base delle creazioni di Penone vi è l’idea che la scultura non sia un’operazione legata alla vista, bensì al tatto; l’artista stesso, infatti, mentre scolpisce, aderisce e si immerge nel materiale dell’oggetto che sta lavorando e tale aderenza comporta dei cambiamenti nell’oggetto stesso. A sostegno di tale tesi, Penone riporta questo esempio: “Se noi prendiamo in mano una tazzina, è questa tazzina ad essere una scultura. Tuttavia nel momento stesso in cui la nostra mano afferra la tazzina, essa prende la forma di quest’ultima. Quindi possiamo affermare che solamente in quel momento la mano può essere considerata una scultura”.
Da qui nasce la riflessione che con l’impronta di una mano si possa intervenire sulla crescita di un albero: l’idea si concretizza e nascono i vari calchi in bronzo e acciaio che entrano in contatto diretto con i tronchi e diventano specchio della relazione “uomo-natura”, “io-mondo” che caratterizza tutta la ricerca artistica di Penone. Da questa particolare visione e da questa peculiare tipologia di intervento artistico si sviluppa il processo che lo porta a studiare le prerogative proprie della materia e insite all’interno di un albero.
Tra i lavori più conosciuti vi sono le numerose versioni di “Alberi”. Si tratta di travi di legno di diverse lunghezze che l’artista ha pazientemente intagliato e scavato con lo scopo di mettere in evidenza, all’interno della trave stessa, la forma naturale dell’albero. Lo scavo deve avere una precisa profondità, in relazione ad uno degli anelli che corrisponde all’età della pianta, la quale riemerge dal legno, più giovane e con i rami, individuabili grazie a nodi. L’altra parte della trave però viene lasciata intatta, sia per mostrare l’intervento dell’artista, sia lo sviluppo naturale della crescita dell’albero.
Dagli anni Ottanta in poi Penone si dedica a elaborare sculture in bronzo, che sono in realtà calchi di parti di alberi, nelle quali spesso inserisce elementi vegetali viventi. A questa categoria appartiene lo spettacolare “Giardino delle sculture fluide” (2003-2007) realizzato al parco della Venaria Reale.

Un’altra opera decisamente interessante si trova a Rivoli, presso il Museo di Arte Contemporanea. Si tratta dell’installazione “Soffi”, in cui l’artista indaga il momento dell’inspirazione. L’osservatore si trova di fronte a un ambiente completamente rivestito di foglie di alloro profumate, al centro di tale ambientazione, posizionato sulla parete centrale, è visibile un polmone in bronzo dorato. La scultura quindi entra nel corpo di noi visitatori, nel momento stesso in cui respiriamo e inaliamo gli odori: attraverso l’azione del respirare l’artista pone delle riflessioni sui confini dello spazio e della forma e si conferma interessato non solo alla rappresentazione dell’oggetto quanto più all’evocazione di una suggestiva immagine poetica.
Non posso avviarmi a concludere senza citare un’altra scultura, presente proprio a Torino, precisamente di fronte all’ingresso della GAM (Galleria d’Arte Moderna). Si tratta di “In limine”, opera ideata con lo scopo di creare un segno che indichi il passaggio dalla spazialità della Città a quella sacrale del Museo. È un blocco di marmo, materia che proviene dal sottosuolo, che sostiene un albero, cresciuto a contatto con la pietra, sradicato e fuso in bronzo, posizionato di traverso, apparentemente instabile. Le parti più volatili dell’albero, le sue foglie, si protendono a cercare la luce e attraverso il processo della fotosintesi si oppongono alla forza di gravità. Lo stesso Penone così commenta l’installazione: “La vita segreta della materia risiede nel movimento dei fluidi. Le vene sono la traccia di un’esistenza che si sviluppa nel corpo delle cose, appare nel marmo, nelle radici, nella scorza, nei rami, nelle foglie e nell’uomo”.
Cari lettori, sinceramente non so quanto mi abbiate prestato attenzione, ma non vi rimprovererò, capisco che la bella stagione porti via la concentrazione e induca a pensare alle tanto agognate vacanze. Soltanto, fingendo che il bianco del foglio che segna la fine del pezzo possa metaforicamente essere paragonato al suono della campanella, e possa dunque destarvi dai vostri pensieri leggeri, mi permetto un ultimo commento: guardatevi sempre intorno con stupore, la vera arte sta nell’imparare a meravigliarsi sempre.

 

Alessia Cagnotto

 

 

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